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3.6. PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE

3.6.5. Aquila reale Aquila chrisaetos

3.6.5.1. Distribuzione storica e attuale nel Parco Nazionale del Lazio Abruzzo e Molise

La presenza dell’ Aquila reale nel Parco Nazionale d’ Abruzzo, Lazio è Molise è ampiamente documentata da catture ed osservazioni, dal momento che la specie, considerata nel passato nociva, era attivamente perseguitata fino agli anni ’60 anche all’ interno dei confini del Parco Nazionale.

Fino agli anni ’60 però i dati relativi alla riproduzione ed al successo riproduttivo della specie non sono noti, se non da osservazioni sporadiche (Di Carlo, 1972)

Grazie alle schede di rilevamento del personale di sorveglianza del Parco, ai dati raccolti da causa di una perimetrazione non sempre attenta alle ragioni ambientali, a 1-2 km di distanza in un caso in una Riserva Naturale Regionale abruzzese, nell’ altro all’ interno di un SIC della Regione Lazio.

Il dato storico, analizzato da Chiavetta (1978), indica un numero di territori ipotetici per l’ Aquila reale, leggermente superiore a quelli attuali (7-8), anche se non è possibile con certezza affermare che tali aree fossero costantemente e contemporaneamente occupate, ed in particolare per due di esse, è anzi probabile che si trattasse di siti alternativi.

La perdita di queste due coppie nidificanti andrebbe collocata tra il 1950 ed il 1960, periodo nel quale importanti lavori stradali in prossimità del sito Gola Macrana determinarono verosimilmente l’abbandono dell’ area, che a tutt’ oggi rimane comunque idoneo alla specie per le caratteristiche ambientali, ma frequentato solo saltuariamente dalla specie, mentre per la Foce di Barrea, dove Chiavetta (1978) ritiene l’ Aquila “…particolarmente perseguitata in passato…” non si dispone di motivazioni per l’ abbandono del sito, anch’ esso comunque ancora idoneo e oggi frequentato irregolarmente dalla specie.

Probabilmente, dal momento che la nidificazione nel sito del Vallone Lacerno è ripresa a partire dal 1994 e non si era verificata tra il 1974 ed il 1993, si deve ritenere che le coppie perdute negli anni 50-70 del secolo scorso fossero in effetti 3, poi ridotte a 2 per la occupazione di tale area, anche se il sito non era citato tra quelli storici, risultando però occupata la vicina area di Balsorano (Ridotti) fino probabilmente al 1965 (Chiavetta 1978).

Gli altri 4 siti, in assenza di dati certi, dovrebbero essere stati occupati con relativa continuità nel tempo.

La tabella 1 mostra i dati relativi alle 5 coppie nidificanti nel periodo 1995-2008.

L’ analisi dei dati indica un valore di produttività per i dati certi di 0,45 (n=58), dato questo piuttosto basso se confrontato con situazioni delle Alpi occidentali (0,58; n=627; Fasce e Fasce 1992) ed anche con i valori rilevati nell’ area dell’ Appennino settentrionale (0,65; n=58; Fasce e Fasce 1992), dell’ Appennino centrale (0,88; n=53; Allavena et al. 1987), in Sardegna (0,68; n=90;

Schenk in Fasce e Fasce 1984) ed in Sicilia (0,94; n=101; Di Vittorio et al., 2000).

3.6.5.2. Principali minacce per la specie

I numerosi casi registrati di uccisioni nell’ area abruzzese, confermano che la specie subisce ancora oggi una notevole pressione da parte di cacciatori e bracconieri. Ad aggravare tale minaccia è il fatto che il sito di nidificazione del Vallone Lacerno, pur incluso in un SIC è però fuori dai confini del Parco Nazionale, e dunque maggiormente esposto ai rischi connessi all’attività venatoria. Anche la coppia della Val Canneto frequenta spesso territori esterni all’ area protetta; ricordiamo a questo proposito il caso del maschio adulto della Val Canneto rinvenuto morto ucciso da un bracconiere nel luglio 1999. Sono documentati anche casi di avvelenamento conseguenti ad ingestione di animali uccisi da bocconi avvelenati.

Altro fattore limitante conosciuto per l’ area sono le collisioni con i cavi dell’ alta e soprattutto della media tensione, che in particolare nella Val Canneto rappresentano a causa della posizione e della morfologia del sito, una minaccia costante per la specie; un caso di elettrocuzione di una giovane Aquila reale è noto per tale area.

In alcuni settori, in particolare nel versante laziale, la presenza di deltaplani che sfruttano i ripidi versanti per prendere quota, potrebbe costituire un ulteriore fattore di disturbo, peraltro molto vicino a due siti di nidificazione attivi.

A questo proposito va sottolineato come nonostante la presenza di maggiori fattori di disturbo e degrado il settore laziale evidenzi un maggiore successo riproduttivo delle coppie situate nell’ area abruzzese-molisana.

La scarsa produttività delle coppie nidificanti nell’ area, inferiore anche a quella media dell’

Appennino, testimoniata dalla frequente alternanza di annate con fallimento e/o mancata nidificazione e dai rari involi di 2 giovani, è probabilmente riferibile alla scarsa disponibilità trofica del territorio, privo delle grandi prede (p.es. marmotte) che nell’ area alpina rappresentano la

principale risorsa alimentare dell’ aquila. Benché il PNALM presenti una notevole biodiversità ed una consistente ricchezza di mammiferi ed ungulati in particolare, le prede ideali dell’ aquila sono di taglia inferiore, la lepre in particolare rappresenta oltre il 50% della dieta in biomassa (Novelletto e Petretti, 1980; Ragni et al., in Fasce e Fasce, 1984); anche l’ ampia copertura boscosa dell’ area, pari a circa il 50% della superficie totale, determina territori di caccia molto estesi e discontinui per le singole coppie.

Borlenghi e Corsetti (2002) hanno evidenziato in aree campione dell’ Appennino centrale, valori medi degli indici di presenza della lepre, doppi nelle aree occupate dall’ aquila reale, rispetto ai territori disertati. Pur essendo documentati tentativi di predazione su giovani di camoscio, non esistono osservazioni dirette di predazione su giovani di questa specie, piuttosto numerosa negli ambienti di altitudine del PNALM, e neppure sul cervo, frequentatore sempre più numeroso dei pascoli submontani ed anche sommitali.

L’aumento della copertura boschiva rilevabile nel confronto tra le foto del secolo scorso e quelle attuali, l’ abbandono dell’ attività agricola e la sua modernizzazione e meccanizzazione, hanno probabilmente giocato un ruolo importante anche nella riduzione numerica della lepre, riducendo la disponibilità di questa e di altre potenziali prede. Anche il progressivo declino della Coturnice (Petretti, 1985) altra significativa preda dell’ Aquila reale in area appenninica, ha finito per ridurre ulteriormente la disponibilità trofica per la specie.

Alcuni ricercatori ritengono che la produttività dell’ Aquila nell’ Italia centro-meridionale non giustifichi la sopravvivenza della specie e hanno ipotizzato conseguentemente l’ immigrazione di soggetti provenienti dalla regione alpina o dalla penisola balcanica. Tale ipotesi non è allo stato attuale suffragata da dati certi. Borlenghi e Corsetti (2002) su un campione di 10 coppie dell’

Appennino centrale, esaminato nel periodo 1988-2001, evidenziano un sostanziale equilibrio tra giovani nati ed individui persi.

3.6.5.3. Status di conservazione attuale

La conservazione della grandissima parte delle coppie nidificanti nell’ Appennino è assicurata dalla presenza di aree protette, ma lo stato di salute della specie almeno a livello regionale non appare del tutto rassicurante (Antonucci et al., in Magrini et al. 2007). Nell’ area del PNALM lo scarso successo riproduttivo costituisce una grave incognita per il futuro della specie, per quanto il numero di coppie ormai stabile da 20 anni e la medesima tendenza a livello regionale (Lazio-Abruzzo) rappresentino una garanzia per la conservazione della specie.

D’ altra parte la mancanza di riconquista di nuovi territori a fronte della protezione assicurata alla specie ed agli ambienti, i frequenti insuccessi riproduttivi ed i valori bassi della produttività, suggeriscono che la specie è forse al limite dalla capacità portante del territorio.

Fattore Stato stato di

Range Stabile, probabilmente in declino rispetto alla prima metà del secolo

La strategia di conservazione dell’Aquila nell’area e più in generale dell’Appennino centrale dovrebbe mirare prima di tutto a ridurre le uccisioni illegali che costituiscono la principale causa di mortalità di esemplari altrimenti assai longevi; anche la riduzione dei casi di elettrocuzione attraverso la rimozione delle linee elettriche a media tensione più pericolose (si veda nel PNALM il caso della Val Canneto), costituisce un importante obiettivo da conseguire; una corretta valutazione dell’ impatto ambientale di impianti eolici in progetto costituisce una ulteriore misura di tutela, dal momento che le aree più ventose sono spesso zone di media montagna prive o povere di copertura vegetale, che costituiscono territori di caccia dell’Aquila reale. Già nel caso delle Gole del Sagittario impianti sono stati costruiti sulla cresta montuosa immediatamente adiacente il sito di nidificazione. Il contrasto all’uso illegale dei bocconi avvelenati rappresenta un ulteriore obiettivo da conseguire nel territorio del Parco Nazionale e più in generale nell’area laziale-abruzzese.

L’incremento delle prede nei territori di caccia della specie potrebbe costituire un importante fattore di aumento del successo riproduttivo, ma appare evidente come tale risultato possa essere ottenuto solo attraverso una politica di gestione ambientale su larga scala, volta a favorire principalmente la Lepre e la Coturnice, entrambe specie di interesse venatorio, anche fuori dai confini dell’ area protetta.

deposizione non avvenuta, schiusa non avvenuta, pullus o giovani morti nel nido in fase precoce. Il punto interrogativo indica un dato non certo, desunto dalle schede di osservazione delle guardie o da informazioni raccolte a posteriori.

1995