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11. La Pax e le conquiste

11.1 L'Ara Pacis Augustae e il Tempio di Giano. Guerra e pace

Syme intitola Pax et Princeps il capitolo finale de La rivoluzione romana, andando a contornare un quadro iniziato più di cinquecento pagine addietro, quando esordì, affermando che "per un Romano amante della patria e di sentimenti repubblicani persino la sottomissione a un governo assoluto era un male minore rispetto alla guerra fra concittadini", alla quale aveva posto fine Augusto con il suo principato.157

Quello della pace è uno dei temi forti della propaganda augustea, come si evince dal manifesto autobiografico del Princeps, nei parr. 12, 13 e 26, soprattutto in relazione alla politica estera, qui esaminata. Il testo delle Res Gestae fu preceduto dai fatti concreti, ossia dalla "celebrazione pubblica e monumentale" della pax, dalla quale però non si poté separare quella della guerra, soprattutto se si pensa che si vis pacem para bellum, come ammonisce l'antica massima. La parafrasi arriva direttamente dalla scrittura di Syme: "L'esaltazione della pace da parte di uno statista romano poteva forse comprovare una vittoria, ma non annunciava il rilassamento dello sforzo bellico".158 Nell'estate del 13 a.C., Augusto e Agrippa tornarono a Roma, dopo tre anni di battaglie in Spagna e in Gallia, avendo pacificato l'impero e predisposto nuove conquiste. Il Senato onorò l'evento decretando la costruzione di un'ara che lo commemorasse: così, l'altare della Pax Augusta fu deciso il 4 luglio del 13 a.C. e dedicato il 30 gennaio del 9 a.C.159 Syme chiarisce ulteriormente il legame tra guerra e pace, al quale i Romani erano tradizionalmente abituati. Infatti, la pace sortiva gli effetti di un "tranquillante", ma sotto covava un sentimento di conquista. Allora ecco perché, secondo il

157 p. 4. A p. 578, Syme chiarisce il legame indissolubile che chiama "pax et Princeps", dicendo che questi due elementi erano "inseparabili di fatto tanto quanto nelle speranze e nelle preghiere:'custodite, servate, protegite hunc statum, hanc pacem, hunc principem'".

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neozelandese, l'Ara Pacis Augustae fu anche "l'espressione concreta di un impegno di politica imperiale e di un presagio di vittoria" futura.160

Ancora più illuminanti sono le parole dello stesso Ottaviano, quando scrive che la pace "generata con le vittorie in tutto l'impero del Popolo Romano" era la condizione indispensabile per la chiusura del Tempio di Giano Quirino. L'autore dell'Autobiografia tiene a ricordare che quel tempio era stato chiuso solo due volte prima della sua nascita, mentre, sotto il suo principato, il Senato volle esaltare per ben tre volte la conquista della pace per terra e per mare. Eppure, svela Syme, la cerimonia non escludeva automaticamente la presenza di guerre in atto, poiché nel frattempo "i generali di Roma agivano nelle province di confine".161 Un esempio è costituito dalle conquiste balcaniche di Marco Licinio Crasso, nipote del triumviro Crasso, durante le quali le porte del Tempio di Giano rimasero chiuse (29-28 a.C.), probabilmente perché a muoversi non era stato il Princeps in persona, se al contrario furono aperte nel 27 a.C., "quando il dominatore partì con i paramenti di guerra (paludatus) per estendere i confini occidentali della sua provincia".162 Una volta partito, trascorse fuori dall'Italia buona parte dei primi quattordici anni del suo governo: in Spagna (27-24 a.C.), in Oriente (22-19 a.C.) e ancora in Spagna e Gallia (16-13 a.C.). A colpire l'attenzione sono soprattutto i sei anni passati in Spagna e in Gallia, dove la situazione era piuttosto complicata, dal momento che era necessario "rendere accessibili i valichi alpini", perfino "costruire strade", oltre a sottomettere Asturi e Cantabri, "studiare, organizzare e tassare le province", infine "fondare città e sistemare i veterani". A detta di Augusto, nel 13 a.C. la missione era stata portata a termine con successo.163

Ma non fu tutto semplice come il Princeps volle far credere, per mezzo delle Res

Gestae, e nuovamente Syme si propone di illuminarci. Le fonti furono seriamente

compromesse dall'importanza della figura augustea, dato che questa e l'Autobiografia "hanno oscurato la vera prospettiva storica" in due modi. Nel primo caso, furono esaltate solo le prodezze del dominatore, dimenticando le campagne di altri generali,

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161 p. 336. Per approfondire il tema della chiusura del Tempio di Giano, si veda anche T. SCHMITT, Die

Schliessung des Ianus als Erfindung, Tradition und Symbol. Epik, Historiographie und politische Wirklichkeit. L'autore ipotizza che la cerimonia di chiusura possa essere una costruzione di epoca

augustea.

162 RP III, p. 1180. Syme precisa che la destinazione augustea fu la Spagna e non la Britannia.

come quelle di coloro che guidarono le altre due colonne dell'esercito giunto nelle due Spagne nel 26 a.C.164 Allo stesso modo "poco si è conservato delle successive e considerevoli conquiste dei luogotenenti di Augusto" in Illirico, intorno al 15 a.C. Nel secondo caso, Ottaviano "dimenticò" le delusioni e sorvolò sulle difficoltà, evitando di raccontare che "nella Spagna nord-occidentale la conquista definitiva fu un'operazione durata per dieci lunghi anni (28-19 a.C.)".165 Syme spiega che le guerra finì nel 19 a.C., grazie alle ultime vittorie di Agrippa, mentre il Princeps scelse di promuovere le campagne del 26 e 25 a.C. come la conquista finale, chiudendo per la seconda volta le porte del Tempio di Giano.166

Se la storiografia dell'epoca fu indirizzata dalla presenza di Augusto in Spagna, la stessa sorte toccò alle fonti per le campagne belliche in Illirico condotte nel 35 e nel 34 a.C. Appiano e Cassio Dione rivelano che queste furono "modeste nella progettazione e nella realizzazione", ma nella testa di Ottaviano e nella sua propaganda dovevano essere la prova del suo valore come capo militare. Era logico, quindi, aspettarsi che la gloria toccasse interamente a lui, che "espose la propria persona con ostentazione e ricevette gloriose ferite", raggiungendo il culmine del prestigio e conquistando "seguaci in ogni classe e in ogni fazione".167 Queste campagne biennali servivano per dimostrare alle truppe che il demagogo era anche un abile generale, "pari al grande Antonio". Poiché costui combatteva lontano, in Oriente, fu semplice per l'Imperator che "aveva scelto di proteggere l'Italia" sminuire le azioni belliche del rivale, allo stesso tempo esaltando le proprie imprese, ben "visibili e tangibili".168

164 RP I, p. 442 165 RP VI, p. 131

166 RP I, p. 444. Le pp. 369-370 de La rivoluzione romana consentono di vedere il quadro generale,

relativamente al 26 a.C. In quell'anno Augusto si ammalò gravemente, dopo essersi messo in gioco direttamente contro i Cantabri. "Cercò rimedio nella cura delle acque dei Pirenei e sollievo nella composizione della propria autobiografia, opera opportunamente dedicata ad Agrippa e Mecenate". L'esercito, nel frattempo, ottenne dei successi che non furono definitivi, tanto che, mentre a Roma le porte del Tempio di Giano restavano chiuse, al di là dei Pirenei i "montanari" insorgevano, richiedendo l'intervento di Agrippa. Quest'ultimo combatté "paziente e spietato" fino al 19 a.C., quando "con massacri e schiavitù impose la pace romana su un paese desolato".

167 RP VI, p. 131 e La rivoluzione romana, pp. 265-266, dove si sintetizza anche la prima campagna di

Ottaviano, durante la quale egli "vinse le tribù dei Pannoni, pacificò la costa della Dalmazia e sottomise le tribù indigene fino, e non oltre, la linea delle Alpi Dinariche". Syme non cita direttamente le fonti, ma si consiglia di confrontare DIONE, Storia romana, XLIX, 37; 38; APPIANO, Guerre illiriche, 20; 28

Siccome, nelle Res Gestae, si tace anche sulle reazioni al comportamento di Augusto da parte dei popoli sottomessi, Syme riporta l'esempio delle sollevazioni avvenute in Gallia, dove "il liberto Licinio estorceva enormi tributi", dopo "l'introduzione di un regolare sistema di imposte (13-12 a.C.)". Risultato di eventi come quello descritto fu l'odio nei confronti di Roma, provato in alcune regioni di un impero, che non era diventato neppure sotto il principato "un'ideale dispensa di giustizia e carità", al contrario manteneva la rozzezza che già era stata tipica dell'età repubblicana.169

Infine, tornando alla lettera dell'Autobiografia, si può dedicare qualche parola alle tre chiusure del Tempio di Giano decretate dal Senato. Se la prima risale alla conclusione delle guerre civili e non ha bisogno di chiarimenti, mentre della seconda si è già parlato, invece la terza merita un approfondimento. La datazione non è certa, poiché l'unica indicazione giunge da Orosio, che la colloca nel 2 a.C., risultando però inaffidabile. Dal canto suo, Syme è certo che la terza chiusura abbia un forte legame con le guerre settentrionali di Druso e Tiberio del 12-9 a.C., ossia "l'apogeo delle conquiste augustee". Non fu possibile celebrare già nell'11 a.C. quei successi a causa di un'incursione dei Daci, ma si rimediò in altro modo nell'8 a.C., attraverso l'estensione del pomerium di Roma. Infine, dovette arrivare il momento in cui il Senato votò lo sbarramento del tempio, a glorificazione della fine di un'epoca, con "l'apparente sottomissione dei Germani, l'estensione dell'Illirico fino al Danubio, con il ridimensionamento dei Traci da parte di L. Pisone in tre feroci campagne". A confermare che la pace romana era stata "ottenuta dal Mare del Nord fino al Mar Nero", tra il 7 e il 2 a.C. "molti soldati furono congedati dal servizio militare con ricompense in denaro".170

169 p. 533

170 RP I, pp. 447-448, dove si cita OROSIO, VI, 22, 1; cfr. I 1, 6; VII, 2, 16. Syme aggiunge che

MOMMSEN, Res Gestae Divi Augusti (1883), 50 ha suggerito una datazione plausibile tra l'8 e l'1 a.C. Inoltre, AA, p. 68.