7. 3 Pon]tifex [maximus, augur, XVuir]um [sac]ris fac[iundis, VIIuirum ep]ulon[um, frater arualis, sodalis Titius,] fetialis fui.
Fui pontefice massimo, augure, quindecemviro per i riti sacri, membro dei settemviri epuloni, fratello arvale, sodale Tizio, feziale.
10. 2 Pontif]ex maximus ne fierem in uiui [c]onle[gae mei l]ocum, [populo id sace]rdotium deferente mihi, quod pater meu[s habuer]at r[ecusaui, qu]od sacerdotium aliquot post annos eo mor[t]uo d[emum qui ciuilis tu]m[ultus] occasione occupauerat, cuncta ex Italia [ad comitia mea] confluen[te mu]ltitudine, quanta Romae nun[q]uam [fertur ante i]d temp[us fuisse] recep[i] P(ublio) Sulpicio G(aio) Valgio consulibus.
Rifiutai di diventare pontefice massimo al posto del mio collega che era ancora in vita, sebbene il Popolo mi affidasse questo sacerdozio che mio padre aveva rivestito. E accettai questo sacerdozio dopo alcuni anni, sotto il consolato di Publio Sulpicio e Gaio Valgio, una volta morto colui che se n'era impossessato, cogliendo l'opportunità offerta dai tumulti della guerra civile. Da tutta Italia affluì ai miei comizi una folla grande quanto mai – si dice – giunse a Roma prima di quel momento.
Nel par. 10, Augusto dà rilievo al fatto di essere diventato pontefice massimo solo dopo la morte del collega che deteneva quel titolo. L'uomo indicato nelle Res Gestae come un approfittatore, uno capace di sfruttare a proprio vantaggio il periodo difficile delle guerre civili, è Marco Emilio Lepido, proconsole della Spagna nel 48 a.C. e triumviro fino al 36 a.C. Dal momento dell'esclusione, egli continuò a essere il capo della religione romana, vivendo confinato nella sua abitazione al Circeo. Syme non manca di esprimere, senza troppe sottigliezze, il suo giudizio sull'operato di Ottaviano.
Infatti, mentre il Princeps ostenta il rifiuto e l'attesa rispettosa del collega, lo storico spiega il vero motivo, dicendo che si trattava di uno scrupolo indolore e perciò facilmente osservabile: era infatti sufficiente attendere la morte di Lepido per subentrargli, si trattava di una semplice formalità.54
Constatato il limitato prestigio del rivale, al "Primo Cittadino" non servirono i crismi dell'ufficialità per agire, poiché gli fu sufficiente l'auctoritas con la quale sovrastava tutti. Mentre Lepido era ancora in vita, "subito dopo la guerra di Azio e il triplice trionfo, Roma poté contare sul fervido zelo [di Augusto] per la religione, sacrati
provida cura ducis". Syme accenna ad alcune azioni compiute da Ottaviano, come se
fosse lui stesso la guida della religione romana: nel 29 a.C. chiuse per la prima volta il Tempio di Giano e ripristinò l'Augurium salutatis, una cerimonia arcaica caduta da tempo in disuso; "colmò i vuoti nei collegi sacerdotali esistenti, richiamando in vita l'antico collegio dei fratelli Arvali, cosa che mentre accresceva la dignità dello Stato, forniva nuovi mezzi di patronato".55
Lepido morì nel 13 a.C. e Augusto accettò il pontificato nel 12 a.C. Diversamente dal predecessore, che aveva ottenuto la carica da Antonio in cambio del suo appoggio, il futuro pater patriae fu eletto dal Popolo Romano. Come si legge nell'Autobiografia, a Roma giunse dai municipi di tutta Italia una folla senza precedenti. Tale evento viene letto con lucidità da Syme come una "manifestazione spontanea e unica nel suo genere" che assunse "il carattere di un plebiscito", esprimendo "devozione al Princeps e fiducia nel governo".56
Prendendo atto che "la rinascita nazionale e patriottica della religione è un fenomeno complesso", il Professor spende uno dei suoi rarissimi elogi al dominatore. Solitamente, lo storico mette in evidenza la disparità esistente tra le parole, la propaganda, e i fatti, puntando il dito contro l'autoreferenzialità del governo augusteo e condannandone le azioni. In questo caso, però, riconosce la sincerità degli sforzi profusi da Augusto, che voleva "con autentico sentimento religioso [...] restaurare l'antico spirito di profonda, dignitosa e decorosa venerazione degli dei romani".57
54 p. 498. Syme è molto tagliente: " Augusto, ostentatamente scrupoloso quando gli scrupoli non gli costavano nulla, non lo aveva spogliato di questo onore".
55 p. 498. Syme cita OVIDIO, Fasti, II, 60. 56 p.523
Come spiegato, era facile agire e allo stesso tempo rispettare la posizione di Lepido, rifiutando di subentrargli illegalmente prima della morte, sebbene fosse il Popolo a chiederglielo. Eppure, va riconosciuto che il Princeps ossequiò almeno la facciata della ripristinata costituzione romana, distanziandosi così dal padre adottivo, che aveva ottenuto "con la corruzione e con il favore popolare la carica suprema della religione dello Stato Romano"58. In questo modo, restituì al pontificato il suo spirito originario, poiché esso tornava a essere un compenso al merito, non più "un premio in palio nel gioco della politica", com'era stato considerato non solo da Cesare ma anche da Lepido.59
Nel par. 7, Augusto elenca le sue funzioni religiose, i sacerdozi rivestiti, oltre a quello principale di pontefice massimo. Non va dimenticato che fu membro di tutti i collegi, ma non per questo fu una sorta di "re consacrato", pur disponendo di mezzi d'azione, di controllo e di un prestigio notevolmente accresciuti.60 Al termine del par. 25 tiene a specificare che circa 170 senatori tra i 700 che lo seguirono ad Azio divennero sacerdoti. I poteri religiosi conferitigli consentirono al dominatore di riportare in vita antichi collegi sacerdotali, da anni dimenticati. Non si trattò di semplice pietas, ma anche di uno stratagemma per ricompensare e stringere ancora di più a sé i sostenitori. Il
Princeps riuscì a riempire i collegi di suoi "partigiani", rivoluzionari non sempre pii e
dotti, ma ambiziosi di distinguersi socialmente e ottenere successo politico. Syme conclude, caustico e lineare: "Invece che ai culti e ai riti i sacerdoti rivolgevano le loro energie all'intrigo – o ai banchetti sfarzosi".61
non era stata interamente pervertita".
58 p. 27. Syme non risparmia una stoccata a Cesare il Dittatore, definendolo "un demagogo patrizio [che] non conosceva paura né scrupoli". A p. 76 spiega meglio: "Il pontificato, unito al suo stesso nome, poiché i Giuli erano un'antica famiglia sacerdotale, era visto da Cesare come uno strumento per la politica e il dominio".
59 p. 498
60 JACQUES – SCHEID, Roma e il suo Impero, p. 158, dove si legge anche che "i sacerdoti romani non erano consacrati" e che "il potere sacerdotale del principe non fu mai semplicemente confuso con il suo potere di magistrato".
61 pp. 422-423. Syme spiega che la situazione creatasi a Roma durante il principato di Augusto è naturale per una società oligarchica, in cui la religione è affidata allo Stato.