Con La rivoluzione romana, Syme ha a sua volta operato una rivoluzione. Ha osservato Augusto, la sua carriera, le varie fasi della sua vita e le Res Gestae da un punto di vista diverso, nuovo. Ha scritto il libro di getto, tra il 1936 e il 1938, assecondando il bisogno di capire il presente, analizzando il passato. Il 7 settembre del 1939 il Regno Unito, insieme alla Francia, dichiarò guerra alla Germania di Hitler; quattro giorni dopo fu pubblicato il volume symiano. Più che le ritorsioni naziste, Sir Ronald dovette temere quelle fasciste, poiché il titolo di un capitolo, La prima marcia
su Roma, era sufficientemente eloquente, ma non si trattenne. Invece di esaminare il
comportamento di Mussolini, studiò quello dell'Imperator, lo fece utilizzando soprattutto gli Annali di Tacito e ciò che apprese non gli piacque. Non gli piacque Augusto.
Per riassumere l'intento del presente lavoro, in sede di introduzione si è parlato di "processo" e, dal procedimento, sono emerse due grandi accuse. Partendo dal presupposto che il Princeps attuò una rivoluzione con la violenza e la frode, Syme gli imputa di aver distorto la realtà, piegandola al proprio volere, in più occasioni, e di aver instaurato una monarchia. È innegabile che nelle sue Res Gestae, l'autobiografia-manifesto, Ottaviano abbia deciso di raccontare solo i fatti che gli avrebbero consentito di offrire di sé un'immagine positiva. Per raggiungere l'obiettivo, dovette omettere i misfatti, come le proscrizioni o le soperchierie ai danni dei potenziali rivali e dei dissidenti, e trasformare dei conflitti che per il Mondo Antico erano all'ordine del giorno in guerre decisive per la libertà del Popolo Romano. L'elemento del testo augusteo che più colpisce il lettore è il rifiuto. L'autore scrive di aver rifiutato, nell'ordine: un gran numero di trionfi offertigli dal Senato; la dittatura; il consolato annuo e a vita; le magistrature non conformi al mos maiorum, come la cura legum et morum; il pontificato massimo prima della morte di Lepido; l'oro coronario decretato dalle colonie e dai municipi. A queste rinunce va sommata la maestosa decisione di consegnare al Senato e al Popolo Romano la res publica constituta, in seguito alla quale poté governare con maggiore autorità, pur avendo di fatto subito la riduzione dei poteri. Vi furono anche manifestazioni di gratitudine e onorificenze concesse da parte del Senato e del Popolo alle quali non si oppose, dai giochi in suo nome alle preghiere per la sua
salute, passando per la corona civica, il clupeus aureus e l'importantissimo titolo di
Augustus. Syme ha pochi dubbi quando analizza questi fatti: nulla accadde per caso, fu
tutto programmato nei minimi dettagli, oppure, qualora non fosse stato possibile decidere anticipatamente il da farsi, esso sarebbe scaturito in modo naturale, perché i senatori erano clienti del Princeps, perché a governare furono in realtà i suoi uomini di fiducia riuniti in diversi gabinetti, perché il rivoluzionario ebbe sempre la Fortuna dalla propria parte. Il neozelandese studia, analizza e scava a fondo, costruisce i propri ragionamenti basandosi su fonti autorevoli, oppure formula le proprie congetture senza mai perdere affidabilità, ma il pregiudizio è sempre negativo. Così, se Augusto rinunciò ai poteri detenuti fino al 27 a.C., fu solo perché erano già state elaborate le mosse successive: in cambio sarebbero giunti la legalizzazione della sua posizione, il titolo sovrumano e l'aumento dell'auctoritas oltre ogni limite.
La seconda accusa è quella più affascinante: per Syme, Augusto fu il primo monarca dopo un lungo periodo di governo repubblicano. Anche se dalla lettura delle
Res Gestae non emerge questa impressione, tenendo conto delle analisi symiane esposte
nelle varie sezioni, si può azzardare un'affermazione: il Princeps concepì il potere concessogli dal Senato e dal Popolo come una proprietà privata. Un bene personale può essere suddiviso e trasmesso arbitrariamente. Nello specifico, si pensi alla tribunicia
potestas e all'imperium, i due pilastri sui quali si resse il principato augusteo, che furono
concessi anche ad Agrippa e a Tiberio. Se la collegialità fu uno dei segni distintivi della Repubblica, non è lecito dire altrettanto per il passaggio ereditario delle cariche. Il pensiero corre velocemente a Giulio Cesare: egli designò suo nipote Gaio Ottavio come erede del suo nome e delle sue sostanze, ma non gli attribuì la dittatura. Invece Ottaviano, dopo aver visto morire Marcello, Agrippa, Druso, Lucio e Gaio, decise di affidare a Tiberio lo Stato che aveva creato nei trentasette anni trascorsi dal fatidico 23 a.C. Una delle ipotesi formulate trova nel principato augusteo la realizzazione del desiderio di pace e ordine comune a tutta la cittadinanza romana. In tale contesto, il
Princeps sarebbe stato la figura di riferimento, l'emblema di qualcosa di più grande.
Dietro a lui si sarebbero trovati altri individui che, avendo scorto nel rivoluzionario l'uomo giusto per governare, lo avrebbero sostenuto fino a trasformarlo nel loro leader. Così, l'erede di Cesare sarebbe stato un ingranaggio della macchina imperiale, tanto importante quanto non indispensabile. Sarebbe stato l'espressione di un potere che
veniva nei fatti gestito da altri. Syme è poco propenso ad accettare questa versione, preferisce ammettere l'esistenza di una corte imperiale stretta attorno ad Augusto, con quest'ultimo saldamente a capo di essa. Non potendo amministrare da solo il nuovo Stato, l'Imperator si circondò di persone fidate che però furono sue pedine. Dal canto suo, egli non fu la pedina di nessuno.
Venendo alla questione principale, si precisa che Syme non ha analizzato nei particolari le Res Gestae, bensì l'operato di Ottaviano, la sua carriera e la sua figura. Seguendo i ragionamenti del neozelandese, con l'Autobiografia sempre sotto la lente di ingrandimento, si è riusciti a inquadrare il testo e il suo autore. Le Res Gestae rispecchiano perfettamente Augusto: indagando le prime si comprende il secondo, le due azioni si compenetrano fino a fondersi, mentre le parole, attraverso detto e non detto, ci fanno capire quale fosse il carattere del dominatore, quale fosse la portata delle sue azioni. "Unicità" e "doppiezza", questi sono i due termini da affiancare alle memorie e al pater patriae. Nessuno fu superiore a lui per l'auctoritas, per l'ambizione, per la capacità di sfruttare le guerre civili e la rivoluzione, imponendosi come il fondatore di un nuovo Stato, attraverso rifiuti che, invece di diminuirne i poteri, li aumentarono. Dal canto loro, le Res Gestae riuscirono a essere contemporaneamente propaganda e apologia, affermazione e negazione della supremazia, orgogliosa dimostrazione di autorità e umile proclamazione di rispetto per la repubblica e le sue forme antiche. Cesare Augusto credette davvero nelle tradizioni e le usò per i propri scopi, nello stesso modo in cui riscoprì gli elogi dei generali romani per trasformarli in un racconto di impatto straordinario. Leggendo il documento, prima ci si esalta, con gli occhi sgranati davanti ai numeri riguardanti il denaro speso, i trionfi celebrati e rifiutati, i consolati rivestiti, i cittadini censiti, le navi e gli schiavi catturati, poi si viene assaliti dallo sconforto, perché non si riesce a trovare una definizione soddisfacente per quei poteri ai quali l'autore accenna solo cursoriamente. La frustrazione è maggiore se si spera di trovare la soluzione all'enigma della figura del Princeps. Al termine di questo lavoro, si sceglie di presentare le Res Gestae giustapponendo i due termini di "autobiografia" e "manifesto". In esse si individua un certo Augusto: il capoparte rivoluzionario che, agendo illegalmente, dovette modificare a proprio vantaggio la verità se non addirittura ometterla; il dux più abile a usare le parole che le armi, ma comunque capace di assoggettare, se non con guerre straordinarie, con la propaganda, intere popolazioni; il
Princeps che creò una monarchia sulle macerie accumulate da decenni di guerre civili;
il pontefice massimo che attese la morte del collega prima di impossessarsi del titolo, perché poté agire indisturbato, pur essendone privo; l'Imperator che assunse tale nome dopo una pesante sconfitta, che chiuse per ben tre volte il Tempio di Giano, proclamando la pace, benché si combattessero guerre in molti territori dell'impero; l'uomo che, consegnando la repubblica al Senato e al Popolo Romano e tornando a essere un "semplice" magistrato, fu implorato di diventare una divinità. Infine, fu l'autore delle Res Gestae, il testo in cui presentò tutti questi fatti, scegliendo meticolosamente ogni parola, per confermarsi tanto unico quanto elusivo.