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7. Gli inizi

7.3 La libertà

Ancora prima di procedere con l'analisi di quanto scrive Augusto, è doveroso spiegare che cosa fosse la libertas nel pensiero e nell'uso dei Romani.80 Per Syme non ci sono dubbi: essa era un "concetto vago e negativo", poiché trovava definizione rispetto a un'alterità, ossia come libertà da qualcosa, che fosse la dominazione di un tiranno o di una fazione. Per un aristocratico romano significava il predominio della nobilitas che continuava a godere serenamente dei propri privilegi, pertanto la invocava a difesa dello status quo, del potere e della ricchezza. Non si trattava, quindi, di una libertà illimitata, piuttosto poteva concretizzarsi nell'osservanza della costituzione.

Ancora prima di Ottaviano, era già in voga l'utilizzo della libertà come valore da

78 p. 145. Merita di essere trascritta la premessa di Syme: "Anche la migliore delle fazioni non è che una sorta di congiura contro lo Stato".

79 pp. 147-148

80 Il tema della libertas è stato approfondito da molti studiosi. Si segnalano: P. A. BRUNT, La caduta

della repubblica romana, Roma-Bari 1990; P. A. BRUNT, Libertas in the Republic, in IDEM, The Fall of the Roman Republic and Related Essays, Oxford 1988, pp. 281-350; A. MOMIGLIANO, B. Croce, Constant e Jellinek intorno alla differenza tra la libertà degli antichi e quella dei moderni,

Napoli 1930, p. 9, in "Rivista di Filologia e Istruzione classica", LIX (1931), pp. 262-264; A. MOMIGLIANO, Libertà dei moderni, in Pace e libertà nel mondo antico: lezioni a Cambridge,

gennaio-marzo 1940, a cura di R. Di Donato, Firenze 1996, pp. 57-70; A. MOMIGLIANO, Libertà dei moderni, in Pace e libertà nel mondo antico: lezioni a Cambridge, gennaio-marzo 1940, a cura di

R. Di Donato, Firenze 1996, pp. 120-141; F. SCHULZ, I principii del diritto romano, a cura di V. Arangio Ruiz, Firenze 1946; C. WIRSZUBSKI, Libertas. Il concetto politico di libertà a Roma tra

difendere, come pretesto attraverso il quale combattere per sconfiggere la "banda (factio) momentaneamente al controllo del governo legittimo", perché essa opprimeva la

res publica e sfruttava a proprio vantaggio le forme costituzionali. Appellandosi alla libertas, Pompeo da giovane arruolò un esercito privato (evidente analogia con l'operato

di Gaio Ottavio), per salvare "Roma e l'Italia dalla tirannia della fazione mariana". Il Magno in persona vide ritorcerglisi contro quell'ideale per il quale si era battuto, quando il proconsole Cesare, strenuo "difensore dei diritti dei tribuni e delle libertà del Popolo Romano", si mosse contro Pompeo e gli oligarchi che lo accerchiavano, sostenendo di "liberare sé e il Popolo Romano dal dominio di una fazione".81

Gli esempi di Pompeo e Cesare testimoniano che la libertas poteva "essere fatta propria da ogni fazione e da ogni governo", nonché tornare utile "come slogan contro governanti impopolari, per dare al loro potere il marchio dell'illegalità". Allora diventano immediatamente decifrabili le parole che Augusto scrive nel par. 1 delle Res

Gestae. Infatti, parlare di libertà non lo distingueva dagli altri capiparte, né separava la

sua fazione dalla risma in cui stavano le altre, visto che durante le guerre civili tutti sostennero di lottare per difendere la pace e abbattere il dispotismo. Nella fattispecie, nell'autunno del 44 a.C. il rivoluzionario Ottavio agì "per liberare Roma dalla tirannia del console Antonio" e, al termine della missione, poté affermare che "la libera repubblica [era] stata 'conservata', 'instaurata', o 'restaurata'". La dicitura Libertas

P(opuli) R(omani) Vindex fu il naturale coronamento e la sacra giustificazione per l'uso

della violenza e per l'usurpazione portata a compimento.82

Il Princeps sostenne che la frode con la quale aveva riportato la libertà e restaurato la repubblica non solo fosse stata necessaria, ma anche salutare, al punto che a Roma non si doveva più parlare di dominatus. Quello di Augusto, si disse negli ambienti senatoriali, era un vero principatus, a fondamento del quale si collocava la libertas. Syme, invece, non ha dubbi e ritiene che, salito sul trono, l'Imperator abbia rivestito il proprio dispotismo con gli "abiti rubati al cadavere della repubblica", senza limitarsi a personalizzare la Pax, ma spingendosi oltre: nacque la Libertas Augusta.83

81 pp. 173-174. Syme cita CESARE, Guerra civile, I, 22, 5. Inoltre si vedano p. 576 e p. 55, dove il neozelandese ricorda che sotto la facciata eroica, Cesare era in realtà spinto dall'onore personale. 82 p. 178. si vedano anche p. 563 e p. 174, in cui Syme precisa: "Pretesto del rivoluzionario è che la

repubblica sia preda della tirannide o dell'anarchia e che il suo ideale sia riportarvi l'ordine". BMC,

Roman Empire coins, vol. I, p. 112.

7.3.1 LA LIBERTÀ DI PAROLA

Prima che a vantaggio del bene comune e per il mantenimento della pace tutti i poteri passassero a un solo uomo, esistevano la libertas del Popolo Romano e l'auctoritas del Senato. Esse operavano in armonia e costituivano la fonte dell'autorità, sia in termini di potenza politica che come giustificazione dell'operato personale. Con il mutare della direzione governativa, secondo Syme, la libertas fu abolita e a Roma rimpiansero non tanto la libertà politica, quanto piuttosto la libertà di parola, una virtus che impediva il fiorire di servilismo e adulazione.84

Proprio all'insegna del servilismo e dell'adulazione prosegue l'indagine dello storico neozelandese, il quale si trova anche a fare i conti con il silenzio di Augusto, poiché il

Princeps non va oltre quanto riportato nel par. 1. "Non fu probabile udire commenti

schietti tra le panche del Senato augusteo anche se mascherati da 'critiche costruttive'. Né le scuole di retorica favorirono l'indipendenza". Questo è l'assunto di partenza, però la musica cambiava nettamente tra le solide mura dei circoli e dei banchetti, così come quando si accalcava la folla ai funerali. In quei casi era sufficiente una scintilla perché divampasse un incendio, un'accusa perché scaturissero delle rivelazioni.85 "Man mano che il dispotismo avanzava sulla via della segretezza e della repressione", cresceva la speculazione maliziosa degli aristocratici.86 Nei salotti, più che le leggi suntuarie e la moralità forzata dello Stato si criticava la verità ufficiale, la quale generava diffidenza. Augusto, però, decise di non intervenire con la repressione che avrebbe solamente amplificato il risentimento, anche perché, a conti fatti, quelle attività non erano per lui così dannose. Invece di elaborare un programma di indottrinamento, lasciò che fossero proprio le classi elevate a escogitare una "formula di accettazione". Grazie a personalità ingenue, a convinti sostenitori e perfino a falsi ac festinantes, nacque un'apologia frutto di una tacita collusione tra i senatori e il principato, che non impedì ai patres di esprimersi in modo franco e vigoroso durante i processi e le assemblee, ma che allo

84 p. 171

85 AA, p. 441

86 p. 537. Sono utili le affermazioni di Syme scritte a p. 548, riportate di seguito senza ulteriori filtri: "Tacito, figlio di un cavaliere della Gallia Transpadana o della provincia della Gallia Narbonense, fissa nei suoi scritti lo spirito, i pregiudizi e il risentimento dell'aristocrazia romana, rivela le cause e il dramma della loro decadenza. I nobiles, invece, non hanno raccontato di sé. Non hanno lasciato alcuna personale e autentica documentazione che mostri cosa pensassero del principato di Augusto. Erano stati salvati, viziati e sovvenzionati dal nuovo Stato; ma erano pur sempre i superstiti di una catastrofe, condannati a lenta e inesorabile estinzione".

stesso tempo consentì al dominatore di non correre rischi, anche senza esporsi con una scoperta e scomoda propaganda. A conclusione del ragionamento, senza farsi mancare una punta di acredine, Syme ammonisce che non bisogna distogliere l'attenzione "dalle strutture della società e dagli sviluppi del governo imperiale", per concentrarsi invece sull'apologia. Questa infatti, pur essendo più affascinante del tema del culto imperiale, rimane "uno squallido capitolo nella 'storia delle idee'".87

7.3.2 LA LIBERTÀ DI SCRITTURA

Secondo Syme, il servilismo fu un veleno anche per la scrittura, per la Storia in particolare. A esso si aggiunse la repressione ufficiale, con il risultato che la narrazione storica "ben presto deperì e scomparve: magna illa ingenia cessere", almeno quando si trattò di raccontare qualcosa che riguardasse i vivi. Fu diverso per i defunti, visto che su di loro poterono serenamente abbattersi l'odio e la vendetta, in modo che all'adulazione si accompagnasse la denigrazione, "i due mali contrastanti, ma complementari, insiti nella storiografia romana dell'età imperiale". Sottolineando questi fatti, Sir Ronald pone il principato di Augusto in continuità con il periodo triumvirale dal quale era nato, sancendo la morte della libertas, anche nelle pagine dei retori e dei poeti.88

In queste righe si preferisce rimanere nell'ambito storico, anzitutto per ricordare le difficoltà che si incontrano nel tentativo di fare luce sul lungo regno di Ottaviano. I fatti e le loro narrazioni dovettero passare al setaccio dell'autorità centrale, la quale per salvaguardare gli interessi propri e degli alleati procedette alla sopressione, all'occultamento e al lancio del discredito su quanto veniva pubblicato (qualora non ostacolasse perfino la pubblicazione stessa).89

Concretamente, un esempio ancor più interessante perché riconducibile alla famiglia del Princeps è offerto da ciò che accadde al giovane figlio di Druso, Claudio. Invogliato "a studiare la storia dall'esempio e dai consigli di Livio" decise di scrivere a sua volta,

87 AA, p. 441. È nuovamente utile anche p. 537.

88 p. 543. Si cita TACITO, Storie, I, 1, in cui si dice che la Storia scomparve come conseguenza della battaglia di Azio.

scegliendo come oggetto della narrazione le guerre civili. Scelta avventata, perché avrebbe comportato la menzione delle azioni di Augusto, riassumibili per Syme in sole quattro parole: tradimento, violenza, proscrizioni, omicidi. Come se non bastasse, oltre che della carriera dell'erede di Cesare, sarebbe stato necessario parlare di uomini ancora in vita. Per questi motivi, la madre Antonia e la nonna Livia riuscirono a dissuadere il giovane che ripiegò sugli anni in cui il nonno portatore della pace ebbe saldamente il potere tra le mani.90

Forse anche perché consentì ed esortò a trattare le vicende di coloro che erano morti prima del 44 a.C., persino di Pompeo e di Catone, "Augusto riuscì a impedire che la sua dominazione fosse bollata come la nemica dichiarata della libertà e della verità", anche se non per molto tempo.91 Eppure, si sa, il tema del "quando c'era lui" appartiene ai corsi e ai ricorsi storici. Così, anche se già con Ottaviano si era "montata la scena per la fosca tragedia dei Giulio-Claudi", si verificò comunque una successiva idealizzazione del passato, in virtù della quale, attraverso gli occhi del malcontento, si guardò "con rimpianto alla libertà di cui si godeva sotto il tollerante principato di Augusto".92