• Non ci sono risultati.

L’ ARCO CONTRO LA LANCIA : IL CONOSCERE PER VIA OPPOSITIVA

2. L A RAPPRESENTAZIONE DELL ’ ALTERITÀ NEI P ERSIANI

2.3. L’ ARCO CONTRO LA LANCIA : IL CONOSCERE PER VIA OPPOSITIVA

persiano introdotta alla fine della descrizione di Serse. Si è osservato anche che il contesto e la forma linguistica in cui viene presentata l’opposizione non lasciano intendere una prevaricazione di un elemento sull’altro, e che la sua

119 Paduano 1978, 38-49, Michelini 1982, 86-96, Rosenmeyer 1982, 114-6, Saïd 1988, 329-31,

Belloni 19942 xxixs, Hall 1996, 24s, Rosenbloom 2006, 40s, Garvie 2009, 45, 338. 120 Hall 1996, 24s.

31

rappresentazione ha degli elementi in comune con quella delle ceramiche attiche di inizio secolo. Quest’opposizione è espressa nuovamente nello scambio tra la regina e il corifeo che prende l’avvio dalla domanda della donna sulla collocazione di Atene122:

Βα. Χο. Βα. Χο. Βα. <Χο. <Βα. Χο. Βα. εὖτ᾽ ἂν εἰς οἴκους μόλωμεν. κεῖνο δ᾽ ἐκμαθεῖν θέλω, ὦ φίλοι, ποῦ τὰς Ἀθήνας φασὶν ἱδρῦσθαι χθονός; τῆλε πρὸς δυσμὰς ἄνακτος Ἡλίου φθινασμάτων. ἀλλὰ μὴν ἵμειρ᾽ ἐμὸς παῖς τήνδε θηρᾶσαι πόλιν; πᾶσα γὰρ γένοιτ᾽ ἂν Ἑλλὰς βασιλέως ὑπήκοος. ὧδέ τις πάρεστιν αὐτοῖς ἀνδροπλήθεια στρατοῦ; *** > *** > καὶ στρατὸς τοιοῦτος, ἔρξας πολλὰ δὴ Μήδους κακά. πότερα γὰρ τοξουλκὸς αἰχμὴ διὰ χεροῖν αὐτοῖς πρέπει; 230 235 Χο. Βα. Χο. Βα. Χο. Βα. Χο. Βα. οὐδαμῶς: ἔγχη σταδαῖα καὶ φεράσπιδες σαγαί. καὶ τί πρὸς τούτοισιν ἄλλο; πλοῦτος ἐξαρκὴς δόμοις; ἀργύρου πηγή τις αὐτοῖς ἐστι, θησαυρὸς χθονός. τίς δὲ ποιμάνωρ ἔπεστι κἀπιδεσπόζει στρατῷ; οὔτινος δοῦλοι κέκληνται φωτὸς οὐδ᾽ ὑπήκοοι. πῶς ἂν οὖν μένοιεν ἄνδρας πολεμίους ἐπήλυδας; ὥστε Δαρείου πολύν τε καὶ καλὸν φθεῖραι στρατόν. δεινά τοι λέγεις κιόντων τοῖς τεκοῦσι φροντίσαι. 240 245

Riaffiora la neoformazione eschilea τοξουλκός, già incontrata nella parodo e priva di altre ricorrenze nella letteratura greca; σταδαῖος è usato nuovamente da Eschilo in Sept.513 a indicare la posizione ben salda di Zeus pronto a scagliare la folgore, mentre in Thuc.IV.38.5 è accostato a μάχη per indicare nello specifico il combattimento corpo a corpo. Eschilo si sta dunque riferendo all’uso greco della lancia nello scontro ravvicinato, accostandole il resto dell’equipaggiamento oplitico; φέρασπις è detto significativamente di Ares nell’Inno omerico a Marte123, peraltro nostra unica attestazione di questo

122 Aesch.Pers.230-45.

123 Hymn.Hom.Mart.2: Ἆρες ὑπερμενέτα, βρισάρματε, χρυσεοπήληξ, / ὀβριμόθυμε,

φέρασπι, πολισσόε, χαλκοκορυστά, / καρτερόχειρ, ἀμόγητε, δορυσθενές, ἕρκος

32

aggettivo anteriore a Eschilo. L’opposizione introdotta nella parodo viene dunque sviluppata ponendo l’attenzione sull’atto dell’arciere di tendere la corda dell’arco e sul pesante equipaggiamento oplitico.

Proprio in questa scena la critica ha riscontrato la formulazione della più netta opposizione tra Atene e Persia nella tragedia. Chi legge i Persiani in chiave patriottica vede soprattutto nell’opposizione tra lancia e arco una formulazione simbolica dell’opposizione tra l’ἀνδρεία ateniese e generalmente greca e la viltà dei Persiani che combattono distanza, che sarebbe collegato allo stereotipo greco sulla mollezza ed effeminatezza orientale; a questo si accompagnerebbe anche la fiducia dei Persiani nell’enorme disponibilità di uomini e ricchezze dell’impero piuttosto che nel valore di pochi soldati, e il collegamento tra l’impero, la sottomissione dei suoi abitanti al sovrano e la perdita della libertà per i popoli conquistati124. E’

innegabile che in questo passo i Persiani sono rappresentati come una minaccia alla libertà della Grecia e che il poeta mette in rilievo l’opposizione tra arco persiano e lancia greca. Il contesto e la caratterizzazione del dialogo ci inducono tuttavia a porre l’attenzione sul fatto che Eschilo sta rappresentando un personaggio straniero chiedere e ottenere informazioni su un popolo di cui sa poco, e che coincide con gli spettatori del dramma. Occorre ricordare che, come si è già messo in evidenza, era comune per i Greci organizzare le proprie conoscenze per mezzo dell’opposizione e dell’analogia; al livello drammatico l’opposizione tra mondo greco e mondo persiano sembrerebbe dunque funzionale alla rappresentazione del processo conoscitivo della regina, durante il quale nello stesso tempo gli spettatori ateniesi si sentono rappresentati per riflesso. Le opposizioni presenti in questa scena sono dunque da interpretare sotto questo aspetto: la regina viene a

δικαιοτάτων ἀγὲ φωτῶν, / ἠνορέης σκηπτοῦχε, πυραυγέα κύκλον ἑλίσσων / αἰθέρος ἑπταπόροις ἐνὶ τείρεσιν ἔνθα σε πῶλοι / ζαφλεγέες τριτάτης ὑπὲρ ἄντυγος αἰὲν ἔχουσι.

124 Hall 1989, 79-86, Georges 1994, 95-102, Hall 1996, 13, Harrison 2002, 56-66, 76-8, Hall 2006,

33

sapere che i Greci non combattono come i Persiani e non sono sottoposti a un solo uomo come loro. Che la regina stia chiedendo informazioni riguardo a un popolo di cui non sa molto è evidente dal fatto che chiede dove si trovi Atene; che lo stia facendo per via oppositiva a ciò che conosce meglio è evidente dal modo in cui formula la domanda. La madre del re si serve infatti dell’avverbio πότερα, formulando una proposizione interrogativa disgiuntiva di cui però non è espressa la seconda alternativa normalmente introdotta da ἤ, lasciandone il completamento al suo interlocutore125.

Parlando da Persiana, chiede se i Greci combattono come i Persiani, lasciando aperta la possibilità di un’alternativa che non è in grado di immaginare nello specifico, ma che comunque ritiene probabile per via della distanza tra i due popoli. Diverso è il caso della sua domanda sul comandante dell’esercito, in quanto il suo punto di vista persiano non lascia spazio ad alternative; la sua domanda sembra dare per scontato che un esercito debba sottostare a un solo uomo, condizione necessaria per difendersi dai nemici (vv.241-3).

Con questa riflessione si vuole far notare che questo passo non risulta necessariamente connotato secondo un’ideologia, ma pone a confronto due mondi diversi di cui sono messe in risalto alcune specificità. Sicuramente questi versi avranno suscitato delle reazioni emotive negli spettatori ateniesi di Eschilo, dal momento che questi si sentivano descritti indirettamente come valorosi difensori della libertà propria e della Grecia; ma per sostenere che la tragedia sia intrisa di patriottismo bisogna fare un passo in più126. Per valutare

se e in che modo ci sia spazio per del patriottismo greco, bisognerà appunto cercare di capire, nel proseguo di questo lavoro, come i temi collegati a questa opposizione sono sviluppati nel corso della tragedia, e se sono realmente funzionali allo svolgimento del dramma.

125 Cff.Aesch.Sept.95s, Ag.274 per lo stesso uso in Eschilo. 126 Garvie 2009, 103s.

34

Innanzitutto, nella tragedia non ci sono mai reali allusioni a una presunta viltà dei Persiani, il cui esercito, come si è visto nella parodo, è descritto con la dignità e la magnificenza proprie delle forme dell’ἔπος. Le uniche espressioni che sembrano andare contro questa rappresentazione sono presenti nelle descrizioni del messaggero, e peraltro non sembrano indugiare su una qualche barbara inettitudine in battaglia. La prima ricorre quando il narratore si sofferma sul φόβος che prende i Persiani al levarsi del grido di guerra dei Greci a Salamina; ma è una reazione che si può spiegare anche per via dell’inganno subito, essendo questi colti alla sprovvista dall’attacco greco127.

Le altre riguardano invece la fuga scomposta cui si danno le navi persiane quando la battaglia si trasforma in un massacro per gli asiatici e poi di nuovo alla fine della battaglia128, quando Serse, a sua volta in ritirata, dà l’ordine di

fuggire129; ma più che come una dimostrazione di viltà si può vedere la fuga

come una semplice accettazione dell’evidente sconfitta, con il conseguente ovvio tentativo di mettersi in salvo. Certamente non si può mancare di osservare che nel primo discorso del messaggero i comandanti persiani caduti vengono elencati in un nuovo catalogo che capovolge quello della parodo, in quanto si tratta adesso di un catalogo di morte130; eppure nemmeno in questo

caso c’è traccia di alcuna viltà o inettitudine degli sconfitti. C’è spazio piuttosto per la gloria riservata a uno dei comandanti, Siennesi131, e la

sanguinosa fine di Matallo, che morendo tinge di rosso la sua barba, richiama alla memoria le acque dello Scamandro rosse di sangue per via del massacro compiuto da Achille nel ventunesimo canto dell’Iliade132; il massacro di

127 Aesch.Pers.386-94. 128 Aesch.Pers.422, 480s. 129 Aesch.Pers.470s. 130 Aesch.Pers.302-30. 131 Aesch.Pers.326-8: Συέννεσίς τε πρῶτος εἰς εὐψυχίαν, / Κιλίκων ἄπαρχος, εἷς ἀνὴρ πλεῖστον πόνον / ἐχθροῖς παρασχών, εὐκλεῶς ἀπώλετο. 132 Aesch.Pers.314-6: Χρυσεὺς Μάταλλος μυριόνταρχος θανὼν / πυρσὴν ζαπληθῆ δάσκιον γενειάδα / ἔτεγγ', ἀμείβων χρῶτα πορφυρᾷ βαφῇ, cff.Il.XXI.17-26: Αὐτὰρ ὃ διογενὴς δόρυ μὲν λίπεν αὐτοῦ ἐπ' ὄχθῃ / κεκλιμένον μυρίκῃσιν, ὃ δ' ἔσθορε δαίμονι ἶσος / φάσγανον

35

Persiani viene per così dire sovrimpresso al massacro epico di Troiani. Nello stesso tempo si può notare che la vittoria greca viene ascritta in primo luogo non al valore dei Greci in battaglia, ma all’inganno di un demone e al volere degli dei133. Infatti, prima che i Persiani si rendano conto dell’inganno sono

detti agire οὐκ ἀκόσμως, ἀλλὰ πειθάρχῳ φρενί134, ma è dopo l’inaspettato

inizio della battaglia che quest’ordine viene rovesciato nel disordine della fuga cui si è appena fatto riferimento. In secondo luogo, tornando nello specifico al significato dato da alcuni interpreti allo scontro tra lancia e arco, si può osservare che quando il messaggero dà l’annuncio della disfatta, riferisce che οὐδὲν γὰρ ἤρκει τόξα, πᾶς δ᾽ ἀπώλλυτο / στρατὸς δαμασθεὶς ναΐοισιν ἐμβολαῖς135. Non sono dunque la lancia e la modalità di

combattimento ravvicinato ad avere la meglio sull’arco, ma la flotta ateniese, il cui vantaggio riportato sul mare è detto poi responsabile anche della vittoria sulla terraferma136. Questa caratteristica ha altre implicazioni che tratteremo

al momento opportuno, soprattutto per quanto riguarda la centralità del mare nello svolgimento e nell’interpretazione del dramma. Ora è sufficiente osservare che sono le navi ad aver portato la vittoria ai Greci, grazie soprattutto all’intercessione di un demone e degli dei, e che l’arco sembrerebbe utilizzato da Eschilo più che altro per presentare i Persiani attraverso un loro tratto distintivo in opposizione a un tratto distintivo greco; questa sembra del resto la funzione della contrapposizione presente anche

οἶον ἔχων, κακὰ δὲ φρεσὶ μήδετο ἔργα, / τύπτε δ' ἐπιστροφάδην· τῶν δὲ στόνος ὄρνυτ' ἀεικὴς / ἄορι θεινομένων, ἐρυθαίνετο δ' αἵματι ὕδωρ. / ὡς δ' ὑπὸ δελφῖνος μεγακήτεος ἰχθύες ἄλλοι / φεύγοντες πιμπλᾶσι μυχοὺς λιμένος εὐόρμου / δειδιότες· μάλα γάρ τε κατεσθίει ὅν κε λάβῃσιν· / ὣς Τρῶες ποταμοῖο κατὰ δεινοῖο ῥέεθρα / πτῶσσον ὑπὸ κρημνούς, 324-7: Ἦ, καὶ ἐπῶρτ' Ἀχιλῆϊ κυκώμενος ὑψόσε θύων / μορμύρων ἀφρῷ τε καὶ αἵματι καὶ νεκύεσσι. / πορφύρεον δ' ἄρα κῦμα διιπετέος ποταμοῖο / ἵστατ' ἀειρόμενον, κατὰ δ' ᾕρεε Πηλεΐωνα.

133 Aesch.Pers.345s, 343-73. Si tratterà nel dettaglio delle possibili cause della vittoria greca nel

terzo capitolo.

134 Aesch.Pers.374. 135 Aesch.Pers.278s. 136 Aesch.Pers.728.

36

alla fine della parodo137. Si può dire dunque che l’opposizione tra lancia greca

e arco persiano non risulta funzionale allo sviluppo della vicenda drammatica, e che dal testo non sembrano nemmeno emergere come simboli rispettivamente di ardimento e viltà; bisogna osservare peraltro che nel corso della tragedia Eschilo non accosta gli orientali solamente all’arco, ma anche alla maestria nell’andare a cavallo138, nell’arte navale139, all’uso del carro140 e

della spada141. Infine, si può aggiungere che risulterebbe strano pensare che

nell’immaginazione greca l’uso dell’arco fosse necessariamente legato a una certa viltà in generale; infatti, per quanto sia ben noto l’accostamento tra l’uso dell’arco e il personaggio omerico di Paride, gli stessi Greci sia durante che successivamente alle guerre persiane non cessarono di rappresentare come arcieri alcuni dei loro personaggi del mito più valorosi; questo è il caso della rappresentazione di Eracle nel frontone est del tempio di Atena Aphaia ad Egina, datato al 490-480 a.C.142, e nella metopa del tempio di Zeus a Olimpia

che lo raffigura dopo aver ucciso gli uccelli stinfalidi, datata tra il 470 e il 460 a.C.143. Inoltre, nel corso dello stesso V secolo sia Eschilo che Sofocle ed

Euripide dedicarono dei drammi al personaggio omerico di Filottete, eccellente e valoroso arciere detentore dell’arco e delle frecce dello stesso Eracle144.

Che l’uso dell’immagine dell’arco possa dipendere dal tentativo di Eschilo di denotare i Persiani attraverso un loro tratto ritenuto distintivo, presentando nello stesso tempo ai suoi spettatori una caratteristica di un popolo straniero, potrebbe essere suggerito anche da un elemento esterno al testo. I sovrani

137 Aesch.Pers.146-9. 138 Aesch.Pers.18, 26-32.

139 Aesch.Pers.19, 39, 54, 374-83. 140 Aesch.Pers.45-7, 81-4. 141 Aesch.Pers.56-8.

142 Bejor - Castoldi - Lambrugo 20132, 128-32. 143 Id., 220-2.

37

achemenidi si presentavano infatti come arcieri, cavalieri e lanciatori esperti145, ma era l’arco a simboleggiare il loro potere regale146 essendo

raffigurato come attributo principale del Gran Re nel darico, la moneta d’oro imperiale introdotta da Dario e già in uso sicuramente nel 500 a.C.147, ma

anche nei sigilli regali148 e nei monumenti imperiali, come nel rilievo della

tomba di Dario a Naqsh-i Rustam o nel celebre rilievo di Bisitun149. La storia

narrata da Erodoto concernente l’invidia di Cambise per il fratello Smerdi, unico persiano in grado di tendere l’arco donato dal re etiope e per questo visto da Cambise come una minaccia per il proprio potere, sembra riferirsi a questo particolare legame tra la legittimità della regalità persiana e la maestria nell’uso dell’arco150; ma non mancano altri passi in cui lo storico si riferisce a

una più generale importanza attribuita dai Persiani a quest’arma in particolare151. Non è implausibile pensare sulla base di quanto considerato nel

145 DB, rilievo del monumento di Bisitun (v. Brosius 2000, 28s), DNb§9 (trad. Brosius 103): «I

am trained in my hands and my feet; as a horseman, I am a good horseman; as a bowman, I am a good bowman, both on foot and on horseback; as a spearman, I am a good spearman, both on foot and on horseback.»

146 Briant 1996 (trad. ing. 2002, 90, 187, 213s).

147 Brosius 2000, 72, Briant 1996 (trad. ing. 2002, 213s), Kuhrt 2007, 339 n.5, 545. Xen.Cyr.V.2.7

riporta che fosse già in uso ai tempi di Ciro II.

148 Kuhrt 2007, 561, 872.

149 Briant 196 (trad. ing. 2002, 211s), Kuhrt 2007, 500.

150 Hdt.III.21: Νῦν δὲ αὐτῷ τόξον τόδε διδόντες τάδε ἔπεα λέγετε· «Βασιλεὺς ὁ Αἰθιόπων συμβουλεύει τῷ Περσέων βασιλέϊ, ἐπεὰν οὕτω εὐπετέως ἕλκωσι [τὰ] τόξα Πέρσαι ἐόντα μεγάθεϊ τοσαῦτα, τότε ἐπ' Αἰθίοπας τοὺς μακροβίους πλήθεϊ ὑπερβαλλόμενον στρατεύεσθαι, μέχρι δὲ τούτου θεοῖσι εἰδέναι χάριν, οἳ οὐκ ἐπὶ νόον τρέπουσι Αἰθιόπων παισὶ γῆν ἄλλην προσκτᾶσθαι τῇ ἑωυτῶν», 30: Καμβύσης δέ, ὡς λέγουσι Αἰγύπτιοι, αὐτίκα διὰ τοῦτο τὸ ἀδίκημα ἐμάνη, ἐὼν οὐδὲ πρότερον φρενήρης. Καὶ πρῶτα μὲν [τῶν κακῶν] ἐξεργάσατο τὸν ἀδελφεὸν Σμέρδιν ἐόντα πατρὸς καὶ μητρὸς τῆς αὐτῆς, τὸν ἀπέπεμψε ἐς Πέρσας φθόνῳ ἐξ Αἰγύπτου, ὅτι τὸ τόξον μοῦνος Περσέων ὅσον τε ἐπὶ δύο δακτύλους εἴρυσε, τὸ παρὰ τοῦ Αἰθίοπος ἤνεικαν οἱ Ἰχθυοφάγοι· τῶν δὲ ἄλλων Περσέων οὐδεὶς οἷός τε ἐγένετο. Ἀποιχομένου ὦν ἐς Πέρσας τοῦ Σμέρδιος ὄψιν εἶδε ὁ Καμβύσης ἐν τῷ ὕπνῳ τοιήνδε· ἐδόκεέ οἱ ἄγγελον ἐλθόντα ἐκ Περσέων ἀγγέλλειν ὡς ἐν τῷ θρόνῳ τῷ βασιληίῳ ἱζόμενος Σμέρδις τῇ κεφαλῇ τοῦ οὐρανοῦ ψαύσειε. Πρὸς ὦν ταῦτα δείσας περὶ ἑωυτῷ μή μιν ἀποκτείνας ὁ ἀδελφεὸς ἄρχῃ, πέμπει Πρηξάσπεα ἐς Πέρσας, ὃς ἦν οἱ ἀνὴρ Περσέων πιστότατος, ἀποκτενέοντά μιν. 151 Hdt.I.136: Παιδεύουσι δὲ τοὺς παῖδας ἀπὸ πενταέτεος ἀρξάμενοι μέχρι εἰκοσαέτεος τρία μοῦνα, ἱππεύειν καὶ τοξεύειν καὶ ἀληθίζεσθαι, V.105: Ὀνήσιλος μέν νυν ἐπολιόρκεε Ἀμαθοῦντα, βασιλέϊ δὲ Δαρείῳ ὡς ἐξαγγέλθη Σάρδις ἁλούσας ἐμπεπρῆσθαι ὑπό τε Ἀθηναίων καὶ Ἰώνων, τὸν δὲ ἡγεμόνα γενέσθαι τῆς συλλογῆς ὥστε ταῦτα συνυφανθῆναι

38

paragrafo 1.1 che già entro gli anni 70 del V secolo Eschilo, e gli Ateniesi in generale, possano aver avuto modo di entrare in contatto almeno per via indiretta con informazioni concernenti l’importanza avuta dall’arco nell’immaginario dei Persiani, così come su altre caratteristiche dell’impero achemenide152. E’ interessante notare in tal proposito che l’archeologia ha

confermato la circolazione di darici ad Atene nel corso del V secolo, e che alcuni ritrovamenti, pur non essendoci certezze in tal senso, potrebbero essere datati già al tempo delle spedizioni di Dario e Serse153; inoltre, i recenti

ritrovamenti di sigilli achemenidi da Seyitömer Höyük in Frigia suggeriscono che alcuni elementi figurativi dell’immaginario achemenide dovevano essere ampiamente diffusi in Anatolia a partire dall’età classica154.

Si può tentare infine un’ultima considerazione per concludere il discorso sulla presunta rappresentazione della viltà ed effeminatezza dei Persiani nella tragedia di Eschilo. La ὑπόθεσις dei Persiani ci informa infatti che il poeta ‘adattò’ la sua tragedia sulle Fenicie di Frinico, e riporta nello stesso tempo che in questo dramma era un eunuco a dare la notizia della sconfitta di Serse all’inizio della tragedia155. Non sappiamo nulla della caratterizzazione di

questo personaggio nella tragedia di Frinico; diverse fonti tuttavia ci presentano lo stereotipo greco sugli eunuchi persiani come personaggi

τὸν Μιλήσιον Ἀρισταγόρην, πρῶτα μὲν λέγεται αὐτόν, ὡς ἐπύθετο ταῦτα, Ἰώνων οὐδένα λόγον ποιησάμενον, εὖ εἰδότα ὡς οὗτοί γε οὐ καταπροΐξονται ἀποστάντες, εἰρέσθαι οἵτινες εἶεν οἱ Ἀθηναῖοι, μετὰ δὲ πυθόμενον αἰτῆσαι τὸ τόξον, λαβόντα δὲ καὶ ἐπιθέντα ὀϊστὸν ἄνω πρὸς τὸν οὐρανὸν ἀπεῖναι, καί μιν ἐς τὸν ἠέρα βάλλοντα εἰπεῖν· Ὦ Ζεῦ, ἐκγενέσθαι μοι Ἀθηναίους τείσασθαι.

152 Anche Tourraix 1984, 123-34, Garvie 2009, xxiis, Kennedy 2013, 67-76, sulla base di alcuni

elementi della tragedia ritengono che Eschilo avesse una buona conoscenza di certi aspetti dell’impero achemenide. 153 Cook 1985, 221s, Miller 1997, 73s. 154 Kaptan 2010, 361-8. 155 Argum.Aesch.Pers.1-7: Γλαῦκος ἐν τοῖς περὶ Αἰσχύλου μύθων ἐκ τῶν Φοινισςῶν Φρυνίχου φησὶ τοὺς Πέρσας παραπεποιῆσθαι. ἐκτίθησι καὶ τὴν ἀρχὴν τοῦ δράματος ταύτην· τάδ’ἐστὶ Περςῶν τῶν πάλαι βεβηκότων· πλὴν ἐκεῖ εὐνοῦχός ἐστιν ἀγγελλων ἐν ἀρχῇ τὴν Ξέρξου ἧτταν, στορνύς τε θρόνους τινὰς τοῖς τῆς ἀρχῆς παρέδροις· ἐνταῦτα δὲ προλογίζει χορὸς πρεσβυτῶν. παραποιεῖν può significare genericamente ‘cambiare leggermente’ o ‘copiare con alterazioni’, ma anche ‘parodiare’; cf. Hall 1996, 105.

39

effeminati, ingannevoli, devoti fino alla massima sottomissione verso il proprio padrone156. Di nuovo, la nostra prima fonte in proposito è Erodoto,

che accosta in particolare gli eunuchi alla pratica della castrazione e alla loro estrema affidabilità, motivo per cui secondo lo storico erano tenuti in alta considerazione dai Persiani157. Nel caso in cui la figura dell’eunuco fosse già

emblematica delle presunte viltà ed effeminatezza persiane all’inizio del V secolo158, può sembrare quantomeno strano che Eschilo non si fosse servito di

una figura del genere qualora avesse realmente voluto enfatizzare questo stereotipo greco sui Persiani. Considerato insieme alle altre osservazioni fatte in questo paragrafo, il fatto che Eschilo attribuisca al messaggero la funzione informativa che nelle Fenicie era propria del personaggio dell’eunuco, e che faccia recitare l’inizio della sua tragedia non a quest’ultimo, ma al coro di anziani Fedeli del re, ci lascia supporre che il poeta di Eleusi non avesse questa intenzione denigratoria tra le sue priorità. Nel prossimo paragrafo ci concentreremo proprio sulla rappresentazione e funzione degli anziani Fedeli che costituiscono il coro della tragedia.

2.4. GLI ANZIANI FEDELI DEL RE: PROSPETTIVE IN SOVRAPPOSIZIONE