Nel corso di questo lavoro si è avuto modo di analizzare nel dettaglio in che modo la rappresentazione dell’alterità persiana contribuisce allo sviluppo drammatico della tragedia di Eschilo. Questa consente al poeta di creare un contesto orientale per una vicenda che dipende dal particolare ordinamento
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politico persiano, in base al quale la rovina personale del Gran Re può ricadere su tutto il suo impero. Nel delineare i tratti di questa monarchia assoluta, Eschilo non si priva della possibilità di presentare alcuni elementi del mondo persiano in una veste greca, coerentemente alle sue esigenze drammaturgiche e alla necessità di far comprendere più facilmente al suo pubblico quanto di estraneo veniva mostrato e alluso di volta in volta sulla scena. A tal proposito, abbiamo sostenuto che la tragedia non prevede un’opposizione sistematica tra Atene e Persia connotata secondo una particolare ideologia; piuttosto, Eschilo ricorre talvolta al confronto tra le specificità di due mondi diversi per presentare una realtà straniera. La presunta rappresentazione dei Persiani e degli orientali come moralmente e culturalmente inferiori ai Greci che a detta di alcuni critici percorre la tragedia non risulta infatti emergere da un’analisi del dramma: la vile sottomissione dei Fedeli nei confronti dei propri padroni risulta essere piuttosto un atteggiamento ossequioso verso la famiglia reale che non si esita a mettere da parte davanti alle responsabilità del Gran Re in merito alla catastrofe che ha coinvolto l’impero; la mancanza di contegno e l’orientale effeminatezza che si sono volute vedere nel κομμός finale si direbbero ingiustificate, dal momento che questo si presenta come una lunga trenodia proporzionata alla rovina in cui versa l’impero, e soprattutto in tono con le immagini e l’atmosfera evocate nel resto della tragedia; l’insistenza sul lusso e sull’enorme disponibilità di ricchezze dell’impero viene messa da parte in seguito alla scoperta della sciagura e della consapevolezza per cui è meglio astenersene414. Ognuna di queste caratteristiche è dunque trattata in
modo funzionale alla vicenda drammatica e soprattutto viene posta all’attenzione del pubblico attraverso una commistione di elementi greci e
414 Il tema dei rischi cui può indurre una smodata ricchezza trova peraltro un importante
riscontro nell’Orestea, a riprova del fatto che non è da intendersi come specificamente rivolto a mettere in luce alcuni costumi poco virtuosi degli orientali: Aesch.Ag.338-42, 362-86, 750-82,
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orientali che rende difficile vedervi l’intenzione del poeta di mettere in risalto un’opposizione polare tra i due mondi.
Nello stesso tempo, attraverso la figura di Serse Eschilo non manca di alludere agli estremi a cui può portare il tipo di potere del Gran Re, presentando delle caratteristiche del tutto estranee al contesto della democrazia ateniese. A questa caratterizzazione estremamente negativa del modo di gestire il potere viene tuttavia contrapposta quella virtuosa e positiva rappresentata da Dario. L’opposizione tra questi due diversi modi di intendere il potere monarchico sembra sfumare la polarità tra democrazia e monarchia: una buona gestione della monarchia può portare prosperità agli abitanti dell’impero. Eppure è evidente che a fronte della condizione di sudditanza dei Persiani Eschilo presenta la libertà dei Greci come condizione essenziale e vero elemento distintivo dell’uomo greco: se la tragedia non presenta infatti una polarizzazione di Greci e Persiani sulla base delle loro rispettive qualità morali, contribuisce fortemente a definire i Greci in quanto difensori della loro condizione di uomini liberi. Del resto il successo militare dei Greci a Salamina e il riuscito tentativo di respingere l’incursione persiana contro il suolo ellenico sono tutt’altro che omessi dal poeta; anzi, proprio alla prima domanda rivolta dai Fedeli all’εἴδωλον di Dario su quale sia per i Persiani la cosa migliore da fare allo stato presente delle cose, il divino sovrano risponde di non effettuare nuove spedizioni militari contro τὸν Ἑλλήνων τόπον, puntualizzando che la stessa terra è alleata dei Greci415. Non si può non
considerare che gli spettatori di Eschilo non abbiano provato un certo orgoglio nel sentir pronunciare queste parole; lo stesso poeta prese parte alle guerre contro i Persiani per difendere la propria terra. Ma su questo orgoglio greco e ateniese non viene posta una particolare enfasi; durante il racconto della battaglia di Salamina il successo greco viene ascritto in primo luogo all’azione
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del δαίμων e all’inganno da cui Serse non riesce a guardarsi: è infatti a causa dello φθόνος divino che il Gran Re e di conseguenza il suo impero incorrono nella catastrofe, senza che la tragedia offra una spiegazione del perché ciò avvenga; questo doveva indurre gli spettatori quantomeno a riflettere sull’instabilità della condizione umana comune sia ai Greci che ai Persiani. Del resto, si è notato che anche laddove sia presente un certo patriottismo greco, come nel dialogo tra il coro e la regina incentrato su Atene, questo è suggerito solo per riflesso, non poggia su una rappresentazione denigratoria del mondo persiano, e soprattutto non è funzionale allo svolgimento della vicenda drammatica. E’ evidente infatti che la tragedia non si risolve in una celebrazione della democrazia ateniese: la stessa dipendenza degli abitanti dell’impero nei confronti del Gran Re risulta trattata principalmente in quanto funzionale a far ricadere la responsabilità di tutta la vicenda su Serse piuttosto che come rappresentativa di una condizione degradante per l’uomo; inoltre, nell’ultimo paragrafo dello scorso capitolo si è suggerito in che modo l’introduzione delle motivazioni di Serse poco prima del suo ingresso in scena poteva predisporre quantomeno parte degli spettatori di Eschilo a una certa compassione nei confronti del sovrano sconfitto, andando oltre eventuali contrapposizioni.
In effetti, questo modo di porre in rilievo le specificità distintive dei due popoli senza che ciò implichi una caratterizzazione essenzialmente negativa dei Persiani trova riscontro in quel generale atteggiamento di interesse e rispetto nei confronti del mondo orientale di cui si è parlato nel paragrafo §1.2. Si è già ricordato, del resto, del fascino esercitato sul mondo greco da parte di un certo modo di vivere orientale; ma questa tragedia mostra anche una certa attenzione, per esempio, per il rapporto tra i notabili di Persia e la famiglia reale, per alcuni aspetti della concezione della regalità, per l’organizzazione dell’esercito e l’ordinamento dell’impero. Proprio quando si è trattato di tematiche di questo tipo ci si è spesso dovuti porre il problema di quanto fosse
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dovuto alla rappresentazione eschilea e quanto piuttosto a una deformazione dipendente dallo stereotipo greco; eppure proprio lo stereotipo può essere considerato la traccia di un certo tipo di curiosità per ciò che viene percepito come distante e difficile da comprendere, ma non per questo necessariamente visto in modo negativo. Si può ricordare infatti che nel racconto del sogno della regina Eschilo rappresenta la Grecia e la Persia come due sorelle416; pur
tenendo in considerazione il filtro del linguaggio poetico e il fatto che il poeta faccia pronunciare queste parole a una Persiana, è ragionevole pensare che se Eschilo avesse voluto porre un netto contrasto tra i due popoli e rappresentare la subalternità di uno all’altro avrebbe usato, qui come nel resto della tragedia, immagini e toni ben più allusivi in quella direzione. Al contrario, in un dramma che ruota intorno a una battaglia avvenuta nemmeno dieci anni prima, il poeta decide di presentare la vicenda a partire da una situazione di antica armonia: oltre che per l’abito, che allude alla loro diversa etnia e alle loro diverse usanze, le due sorelle si differenziano solo in quanto una si mostra insofferente al giogo impostole, mentre l’altra lo accetta di buon grado. Il linguaggio usato dall’immagine eschilea mi sembra chiaro; il diverso atteggiamento delle due sorelle davanti al giogo è l’unica opposizione realmente funzionale allo sviluppo della tragedia, ovvero quella tra la sottomissione al giogo del potere e la perentoria difesa della propria libertà. L’idea di una antica armonia e di una comune origine è del resto rievocata anche dalla leggenda di Perseo, semidio greco da cui sarebbero discesi i Persiani, cui il testo allude in riferimento alla titolatura di Serse417. Inoltre, è
significativo che i Greci si facevano risalire a personaggi mitici di origine orientale che una volta giunti in terra ellenica vi avevano dato origine alle
416 Aesch.Pers.181-96.
417 Aesch.Pers.79s (v. n.99 sulle due diverse lezioni χρυσογόνου e χρυσονόμου, e Garvie 2009,
99, per il quale comunque entrambe le lezioni manterrebbero il riferimento a Perseo),
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prime comunità: Pelope, Danao e Cadmo418; il più interessante per noi è
Pelope, in quanto viene descritto come lidio da Pindaro e come frigio da Bacchilide, Sofocle ed Erodoto419. Questa compresenza di leggende che
alludevano a una discendenza dei Greci da personaggi orientali e dei Persiani da un semidio greco sembrerebbe confermare la nostra ricostruzione per cui almeno fino alla prima metà del V secolo questi due mondi dovevano ancora guardarsi tendenzialmente con un certo interesse e rispetto, come si spera di aver dimostrato a proposito dei Persiani. Infine, si può osservare che la presupposizione secondo cui nel periodo della composizione dei Persiani i Greci si considerassero già definitivamente vincitori sulla Persia, e fossero per questo propensi a raffigurare i nemici sconfitti come figure ormai prevaricate e culturalmente inferiori, sembra non tenere in considerazione che il conflitto con Serse di fatto si prolungò almeno fino alla battaglia dell’Eurimedonte, vera vittoria decisiva per i Greci avvenuta intorno al 467 a.C.; fino a questo momento le operazioni militari compiute da Cimone in Tracia e in Asia Minore a partire dal 476 lasciano intendere infatti che durante quegli anni il nemico fosse ritenuto tutt’altro che sconfitto420.