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La rappresentazione dell'alterita nei Persiani di Eschilo

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO

DI

FILOLOGIA,

LETTERATURA

E

LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

FILOLOGIA E STORIA DELL

ANTICHITÀ

TESI

DI

LAUREA

La rappresentazione dell’alterità nei Persiani di Eschilo

CANDIDATO

RELATORE

Mattia Boscarino

Chiar.mo Prof. Enrico Medda

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Andrea Taddei

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... 5

1.1. ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CONTESTO STORICO DEI PERSIANI ... 9

2. LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ALTERITÀ NEI PERSIANI ... 15

2.1. LA DIMENSIONE LINGUISTICA E MUSICALE DELL’ALTERITÀ ... 17

2.2. L’ALTERITÀ MEDIATA DALL’EPOS: IL CATALOGO DI GUERRIERI ASIATICI E LA PREFIGURAZIONE DELL’ASSENZA ... 24

2.3. L’ARCO CONTRO LA LANCIA: IL CONOSCERE PER VIA OPPOSITIVA ... 30

2.4. GLI ANZIANI FEDELI DEL RE: PROSPETTIVE IN SOVRAPPOSIZIONE ... 39

2.5. LA REGINA, IL LUSSO ORIENTALE E LA PREOCCUPAZIONE PER L’OIKOS .... 49

2.7. IL KOMMÒS DI SERSE E LA REALIZZAZIONE DELLE ASPETTATIVE ... 74

3. DARIO E SERSE... 89

3.1. INTERVENTO DIVINO E RESPONSABILITÀ UMANA ... 92

3.2. L’ESERCIZIO DEL POTERE: PADRI E FIGLI ... 96

4. CONCLUSIONE:I PERSIANI E I PERSIANI ... 107

5. APPENDICE: I PERSIANI TRA RICEZIONE E MESSA IN SCENA NEI MODERNI SPETTACOLI DI SIRACUSA ... 112

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5 1. INTRODUZIONE

Per studiare criticamente i Persiani1 bisogna misurarsi con alcune

problematiche particolari. Essendo l’unico dramma a soggetto storico pervenutoci in forma completa, richiedono di interrogarsi sulla presentazione fatta da Eschilo di personaggi e avvenimenti da lui tratti dalla storia e sottoposti all’attenzione dei suoi spettatori, tenendo presente il loro essere espressione del peculiare fenomeno che è stato il teatro ateniese del V secolo a.C.

A questa si intreccia un’altra problematica: il doversi confrontare con un’opera che vede come protagonisti dei personaggi dall’etnia e dai costumi diversi da quelli dei loro spettatori; personaggi che peraltro rappresentavano un popolo che quegli stessi spettatori avevano sconfitto nemmeno dieci anni prima della rappresentazione della tragedia. Le difficoltà che dipendono da ciò sono evidenti: bisogna chiedersi, nel corso dell’analisi, quanto Eschilo fosse informato sui Persiani e i loro costumi; quanto nell’opera sia dovuto alla ricezione distorta che all’epoca i parlanti lingua greca potevano avere dei costumi di un popolo così geograficamente distante; quanto sia stato invece distorto consapevolmente dal poeta in accordo con il suo operare da drammaturgo; se e quanto, inoltre, l’opera risenta di ‘patriottismo greco’ per via dello scontro che oppose a più riprese l’impero persiano a diverse πόλεις greche nel periodo compreso tra la rivolta delle colonie delle coste anatoliche e i primi anni settanta del V secolo.

Molti interpreti si sono concentrati sul peso che dal loro punto di vista la vita personale di Eschilo e la storia recente dovettero avere sull’opera2, mettendo

in risalto ad esempio la morte che il fratello Cinegiro trovò a Maratona combattendo probabilmente al fianco del poeta3, il presunto epitaffio che 1 Il testo greco dei Persiani qui riprodotto è quello dell’edizione di Page 1972; sarà di volta in

volta specificato in nota qualora ci si discosti da questa edizione.

2 Georges 1994, 76-8, Hall 1996, 3-5. 3 Hdt.VI.114, Ar.Ran.1296s.

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commemora la morte di quest’ultimo a Gela4, e la particolare situazione

sociale e politica in cui si trovava Atene all’indomani delle guerre persiane, che portò alla formazione della Lega di Delo nel 478/7 a.C. e successivamente al formarsi di una propaganda a vocazione panellenica in funzione antipersiana, a sostegno di quella che Tucidide chiama ἀρχή Ἀθηναίων5. In

tal modo viene proposta una lettura della tragedia che mette in risalto un’opposizione polare tra Greci e Persiani, in cui i secondi sono rappresentati come l’anti-greco per eccellenza, il barbaro: il nemico sconfitto etnicamente diverso e politicamente inferiore contro il quale definirsi sulla base della propria pretesa superiorità morale e culturale6. D’altra parte alcuni hanno

visto nei Persiani un’opera che pur mettendo in luce certe differenze tra i due popoli non è ispirata a fini auto-celebratori e propagandistici7, ma che

suggerisce l’empatia degli spettatori ateniesi con i Persiani sconfitti in una comune rievocazione dei dolori sofferti8. Tra questi, alcuni vi individuano

anche il monito del poeta per i propri concittadini a non esaltarsi nella celebrazione della vittoria, ma di esercitare moderazione di fronte al nascente imperialismo ateniese, prendendo come exemplum negativo la vicenda di Serse9. Infine, c’è stato anche chi ha negato fortemente la presenza di

un’opposizione ideologica di qualunque tipo, individuando nella tragedia un’operazione di mediazione del mondo persiano che rende quest’ultimo accessibile allo spettatore greco10.

4 Vita Aeschyli, 11; vedi la persuasiva argomentazione di Page (FGE 479) che lo ritiene un falso. 5 Thuc.I.95-7, cff.I.75s, VI.83, [Arist.]Ath.Pol.XXIIIs. Sulla propaganda ateniese in particolare v.

Perlman 1976, 5, Hall 1989, 8-16, Cartledge 20022, 53-6.

6 Said 1978, 56s, Goldhill 1988, 190-2, Hall 1989, 57, 70s, 99s, Georges 1994, 95, Hall 1996, 5s,

13, Pelling 1997, 15-8 (la cui lettura riconosce tuttavia un peso importante alla compassione per il nemico sconfitto), Harrison 2002, 52s, 77, 105-9, Kantzios 2004, 5, Hall 2006, 214-20.

7 Broadhead 1960, xvi-viii, xxix, Garvie 2009, xxii, Kennedy 2013, 66-8. 8 Collard 2008, xxii, Rosenbloom 2006, 24s.

9 Belloni 1988, lvii. 10 Paduano 1978, 15-29.

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Dinanzi a una tale varietà di posizioni appare evidente come spesso possa essere il carattere pregiudiziale dell’indagine a guidare l’interprete verso una certa lettura del testo. Nel tentativo di guardarci da questo rischio, l’obiettivo di questo lavoro sarà quello di analizzare innanzitutto il modo in cui Eschilo sceglie di rappresentare l’alterità persiana in funzione del suo operare da drammaturgo, tenendo presenti il particolare contesto storico-politico ma anche l’occasione specifica per cui l’opera venne concepita, ovvero gli agoni tragici delle Grandi Dionisie.

In tal proposito, prima di passare ad un’illustrazione della struttura di questo lavoro è opportuno porre una premessa di ordine metodologico. Bisognerebbe esercitare cautela, infatti, dinanzi alla tentazione di leggere questa specifica tragedia come un «documento dell’immaginazione collettiva ateniese» e soprattutto come «una testimonianza assolutamente veritiera dei modi in cui agli Ateniesi piaceva pensare al loro grande nemico11». Un simile

modo di procedere appare sconsigliabile perché rischia di appiattire la creazione poetica in una sorta di prodotto di un ipotetico sentire comune degli Ateniesi nei confronti dei Persiani. Un concetto del genere appare arbitrario in quanto in gran parte soggetto alla ricostruzione dell’interprete, come si vedrà in seguito, e in quanto non sembra tener conto del fatto che a partecipare alle Grandi Dionisie era un pubblico composito, peraltro non solo ateniese12, e probabilmente variegato sia per quanto riguarda le posizioni dei

singoli spettatori rispetto alla democrazia ateniese che per quanto riguarda le loro reazioni emotive in risposta alla tragedia. Inoltre, se da una parte è plausibile che i poeti tragici nel perseguimento della vittoria tentassero di riflettere sulla scena le idee e i sentimenti della cittadinanza ateniese e i problemi con cui questa era chiamata a confrontarsi, d’altra parte bisogna guardarsi dal postulare per questo motivo una qualche limitazione alla loro

11 Hall 1996, 5.

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espressività artistica. Non possiamo sapere fino a che punto Eschilo riflettesse, distorcesse o provocasse l’immaginazione dei suoi spettatori; possiamo tuttavia farci almeno un’idea del peso che doveva avere nel suo lavoro la volontà di stimolare al meglio i suoi concittadini, sulla base delle parole che Aristofane fa pronunciare al poeta di Eleusi: τοῖς μὲν γὰρ παιδαρίοισιν ἐστὶ διδάσκαλος ὅστις φράζει, τοῖσιν δ' ἡβῶσι ποηταί13. Per quanto riguarda

dunque il rapporto tra l’opera, l’autore e il suo pubblico, è importante considerare la specificità delle Grandi Dionisie, ovvero il loro presentarsi come un’occasione civica che offriva la possibilità di pensare la πόλις attraverso le potenzialità dei drammi di mostrare tensioni e ambiguità in gioco nel discorso civico14; non risulta difficile immaginare che in un teatro di

questo tipo poteva esprimersi la creatività del poeta.

Questo lavoro prenderà dunque avvio, nel prossimo capitolo, trattando della rappresentazione dell’alterità nei Persiani. Si prenderà in esame la facies linguistica, musicale e visiva (laddove possibile) della tragedia, alcune tematiche da questo punto di vista significative e i personaggi che si avvicendano sulla scena. Si avanzerà l’ipotesi che la rappresentazione dell’alterità persiana sia funzionale alla comprensione degli spettatori piuttosto che alla creazione di un’opposizione che mira ad affermare la superiorità dell’elemento greco su quello persiano. Inoltre, si osserverà che la rappresentazione dell’alterità ha delle ripercussioni su una componente fondamentale della vicenda drammatica: è infatti in seguito all’ordinamento politico persiano che la rovina personale di Serse ricade su tutto l’impero, rendendo i Persiani un dramma collettivo. Nel terzo capitolo si tenterà di trovare una controprova al nostro ragionamento; in particolare, si andrà a vedere in che senso l’alterità persiana rappresentata dal poeta non costituisce

13 Ar.Ran.1054s, ma v. in generale i vv.1008-62.

14 Goldhill 1987, 68, 75s (e 2000, 35, 46s), Griffith 1995, 109s (e 1999, 75-80), Rhodes 2003, 119

offrono posizioni illuminanti in proposito, che seppur molto diverse fra loro comunque concordano nel riconoscere questa potenzialità del dramma ateniese.

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un elemento funzionale a motivare la rovina del Gran Re, in quanto la componente etico-religiosa dell’opera non allude al fatto che Serse venga punito per un suo comportamento dipendente dai costumi persiani. Piuttosto, si vedrà che la tragedia presenta un’attenzione particolare per i modi diversi in cui Dario e Serse esercitano il proprio potere, vera opposizione attorno alla quale sono incentrati Persiani, e che soprattutto prevede un certo spazio per la compassione per Serse, figlio che nel tentativo di dimostrarsi all’altezza del padre conduce l’impero ereditato alla rovina. Alla fine della nostra analisi dovrebbe dunque essere evidente in che modo la tragedia, pur presentando alcuni spunti patriottici, si pone entro un più ampio discorso di indagine sulle forme del potere che non si risolve in una autocelebrazione della democrazia ateniese. Infine, data la rilevanza avuta dalla moderna ricezione della tragedia nella rappresentazione del rapporto tra oriente e occidente, nell’appendice ci si porrà l’obiettivo di mostrare in che modo i Persiani siano stati reinterpretati dal teatro moderno e contemporaneo; si osserverà infatti che questo ha enfatizzato in modo diverso l’alterità del popolo rappresentato, pur concependo spesso la tragedia come focalizzata sull’opposizione tra i due mondi.

1.1. ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CONTESTO STORICO DEI PERSIANI

Un’inclinazione comune ad alcuni degli studiosi citati consiste nel trattare gli anni coevi e immediatamente successivi alle guerre persiane dando per certa la presenza dell’ideologia antipersiana di cui si è detto; nel farlo tuttavia si riferiscono a fonti più tarde, espressione di un contesto ideologico e intellettuale ben diverso. In questo modo la tragedia di Eschilo viene letta come una delle prime espressioni di una tendenza di cui in realtà non sembra possibile cogliere i segni prima della metà del V secolo15. In uno studio sulla

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figura dell’altro Andrea Cozzo parla ad esempio del formarsi di un’ideologia «che vincola pregiudizialmente a un’ostilità generalizzata e decontestualizzata nei confronti dei popoli con cui si abbiano contatti a rischio di conflittualità16», e che dipinge i barbari come meno progrediti dei Greci sia

culturalmente che politicamente17. Nel fare ciò egli fa tuttavia riferimento,

oltre che ai Persiani, a Euripide, Tucidide, Ippocrate, Platone, Isocrate, Aristotele e autori ancora successivi18. Non si può fare a meno di notare che,

esclusa la tragedia di Eschilo, l’opera con la datazione più alta fra i testi citati è la Medea, di quattro decenni successiva ai Persiani, dei quali è citato solo il v.242, pronunciato dal corifeo in riferimento agli Ateniesi: οὔτινος δοῦλοι κέκληνται φωτὸς οὐδ᾽ ὑπήκοοι. Nel corso di questo lavoro ci soffermeremo sull’interpretazione di questo dialogo tra il coro e la regina; quel che conta adesso è che ci sembra opportuno dover trovare altri elementi al di fuori del testo eschileo per sostenere che l’antimedismo fortemente ideologizzato proprio della seconda metà del secolo sia da ritenere già presente negli anni in cui lavorò il poeta – una verifica che ci apprestiamo a intraprendere in questo paragrafo. Peraltro, trattando di fonti coeve a quelle già citate lo stesso Cozzo fa notare che Atene sulla base della propria autoctonia e democrazia afferma la propria pretesa supremazia anche sulle altre città greche19. Di

conseguenza l’opposizione tra l’idea del ‘Noi’ e quella del ‘Loro’ rintracciabile ad Atene a partire dalla seconda metà del V secolo non sembra unicamente funzionale a un sentimento antipersiano, ma parte di una tendenza più generale e specificamente ateniese a definirsi sulla base della propria cittadinanza rispetto agli altri non-cittadini.

16 Cozzo 2010, 39. 17 Id., 40-7.

18 Eur.Med.536, 1330s, IA.1400, Thuc.I.6.6, Hippoc.Aer.XIIs, XVI, XXIII, Pl.Rep.470c, 471a,

Menex.242a-d, Epin.987d, Isoc.Ant.293, Panath.163, Paneg.150s, Phil.XVI, Xen.Vect.I.6-8,

Arist.Eth.Nic.1145a30s, 1149a10, Pol.1252b8s, 1285a20-22, 1295a11-13, 1327b20-36, Diod.Sic.I.2.6, III.15.2, XIII.27.6, 30.5, Polyb.XI.5.7, Dion.Hal.Ant.Rom.XIV.6.6.

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Nel tentativo di ricostruire la percezione che i Greci potevano avere dei Persiani nella prima metà del secolo, Thomas Harrison offre uno spunto interessante. Prendendo in esame alcuni passi di Erodoto con elementi in comune o accostabili alla tragedia eschilea, ma non così simili da dare per certa una derivazione dei primi dai Persiani, ipotizza l’esistenza di un più ampio corpus di storie e aneddoti sulla corte e i costumi persiani in circolazione in Grecia nel corso del quinto secolo20. L’esistenza o meno di

questo insieme di conoscenze, sebbene difficilmente dimostrabile, ben si accorderebbe tuttavia a una generale curiosità che probabilmente colse i Greci nei confronti dei Persiani quando questi conquistando la Lidia nel 547/6 a.C. si affacciarono sul Mar Egeo, favorendo dunque le occasioni di contatto tra i due popoli21. Una curiosità che poté essere incentivata da voci e notizie

riportate al loro rientro in patria dagli Ioni impiegati sotto Dario come mercenari, medici, ingegneri e costruttori partecipanti alla costruzione di monumenti a Susa, Pasargadae e Persepoli, così come da ambasciatori e mercanti greci22, ma anche dalle monete, sigilli o artefatti che i Greci potevano

vedere in quanto vicini o soggetti all’impero e più in generale in quanto in contatto con popolazioni orientali23. Questo interesse per le popolazioni e i

costumi orientali è riscontrabile nella logografia ionica di fine VI e inizio V

20 Harrison 2000, 44-7.

21 Momigliano 1975 (trad. it. 1980, 127-9), Belloni 19942, xvii-xviii, Hall 1996, 14, Kennedy 2013,

67s.

22 DSf§4 (trad. Brosius 45): «The stone columns which were worked here were brought from

a village called Abiradu, in Elam. The stone-cutters who worked the stone were Ionians and Sardians. The goldsmiths who worked the gold were Medes and Egyptians. The men who worked the wood were Sardians and Egyptians». Miller 1997, 101s, Brosius 2000, 41, 79, Cartledge 20022, 52-4, Van Dongen 2007, 28-30, 33-7 (che invita alla cautela nel postulare

stabili contatti personali tra Greci e Mesopotamici prima del V secolo, in quanto le notizie disponibili ci offrono un quadro confuso e incompleto, ma riconosce un più generale scambio culturale e un reciproco interesse mediato dalle popolazioni anatoliche e levantine, che avevano contatti stabili sia con i primi che i secondi), Haubold 2013, 102, Kennedy 2013, 68.

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secolo24 e, più tardi, nei viaggi e nelle Storie di Erodoto25. Seppure quest’ultimo

sia stato attivo successivamente al periodo di cui stiamo tentando di ricostruire il contesto ideologico e intellettuale, è significativo che Momigliano riconosca che ancora intorno alla metà del V secolo «il suo pensiero si concentra fondamentalmente sulla reciproca comprensione tra Greci e Persiani26». Lo storico peraltro coglie un «cambiamento nell’atteggiamento

prevalente nei confronti dell’impero persiano nel V secolo, severo ma non privo di riconoscimento», che «cedette nel secolo successivo a un miscuglio di idealizzazione di sovrani persiani scomparsi e di pettegolezzo sugli intrighi di corte contemporanei27». Un cambiamento che trova in parte un riscontro,

relativamente al modo in cui gli Ateniesi tendevano a vedere e rappresentare i Persiani in battaglia, nella ceramica attica e nelle fonti epigrafiche di inizio V secolo.

L’arte vascolare mostra che nelle più antiche rappresentazioni dei guerrieri persiani a noi note, datate tra il 500 e il 460 a.C., questi sono raffigurati con dovizia di dettagli etnografici e parità militare con i Greci, in linea con la visione aristocratica della guerra per cui maggiori sono l’onore e la forza del nemico con cui si intrecciano le armi, maggiore è la gloria ottenuta dal vincitore28; quest’interesse etnografico non si discosta peraltro da quella

generale curiosità nei confronti del mondo persiano comune alla fine del VI e all’inizio del V secolo29. In queste ceramiche i Persiani appaiono infatti dotati

di arco e frecce che però giacciono inutilizzati, in quanto ingaggiano un corpo a corpo con i Greci servendosi della spada; vale la pena notare che anche quando appaiono in posizione di svantaggio non sono rappresentati in fuga

24 Lesky 1957 (trad. it. 2016, 268-72). 25 Id., 368.

26 Momigliano 1975 (trad. it. 1980, 135). 27 Id., 138.

28 Miller 1995, 39s. 29 Bovon 1963, 598.

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o in atteggiamenti che alludono a una qualche forma di umiliazione30. Un

cambiamento significativo comincia ad essere identificabile durante gli anni 60 e 50 del V secolo, quando un’opposizione morale sembra iniziare a prendere il posto del precedente interesse etnografico. Nelle ceramiche di questo periodo appaiono infatti guerrieri persiani ancora dotati di spada, ma raffigurati in fuga o in atteggiamenti di panico, e spesso contrapposti a Greci rappresentati secondo l’ideale della nudità eroica31. Non mancano inoltre

opposizioni più cariche da un punto di vista ideologico e miranti alla derisione e all’umiliazione del nemico sconfitto32, in cui l’immagine dell’arco

e della faretra continua a giocare un ruolo distintivo nel riconoscimento del soggetto rappresentato.

Ovviamente con questo non si intende sostenere che la ceramica attica suggerisce che a partire dagli anni sessanta e cinquanta del quinto secolo il modo di guardare ai Persiani in Atene cambiò improvvisamente. Bisogna tenere in considerazione una certa approssimazione nel datare le ceramiche e il fatto che ci è pervenuto un campione di una produzione probabilmente molto più vasta; proprio per questo motivo non è possibile escludere che alcune rappresentazioni del primo tipo fossero ancora presenti nel secondo periodo descritto e viceversa. Eppure questo esame può aiutarci a immaginare, al tempo dei Persiani, una percezione del mondo persiano probabilmente molto più varia e composita di quella generalmente

30 Cratere a colonnette del pittore di Gottinga, 500 a.C., Metropolitan Museum of Art, NY,

06.1021.97; kylix del pittore di Brygos, Attica, 500-470 a.C., Ashmolean Museum, Oxford, 1911.615; kylix del pittore della Gigantomachia di Parigi, Attica, 490-480 a.C., Metropolitan Museum of Art, NY, 1980.11.21; anfora nolana non attribuita, Attica, 480-470 a.C., Metropolitan Museum of Art, NY, 06.1021.117; kylix del pittore di Trittolemo, Attica, 460 a.C., National Museum of Scotland, A.1887.213.

31 Miller 1995, 39-41. Cratere a calice non attribuito, Attica, 460 a.C., Antikenmuseum und

Sammlung Ludwig, Basel, BS 480; oinochoe del pittore di Chicago, Attica, 450 a.C., Museum of Fine Arts, Boston, Francis Bartlett Fund, 13.196.

32 Il cosiddetto ‘Vaso dell’Eurimedonte’, un’oinochoe del pittore di Trittolemo, Attica, 460 a.C.,

Museum für Kunst und Gewerbe, Hamburg, 1981.173; vedi in proposito le letture suggerite da Lissarrague 1997, 953 e Llewellyn-Jones 2017, 97-115.

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riconosciuta dagli interpreti, e che soprattutto sembra figurarsi quel mondo con interesse e senza intenti denigratori per lo meno negli anni degli scontri militari con questo popolo.

Inoltre, le fonti epigrafiche che commemorano le guerre persiane ‒ su cui bisogna comunque esprimersi con cautela per via delle non poche incertezze legate alla loro autenticità, datazione e integrazione ‒ sembrano concentrarsi più che altro sul riconoscimento degli sforzi compiuti dai Greci nell’impresa di respingere i Persiani e sul valore di coloro che caddero in difesa della libertà della Grecia. Ci riferiamo in particolare a un epitaffio per i Corinzi caduti a Salamina33, uno per i Megaresi caduti durante le guerre34, l’epigramma iscritto

sul monumento di Callimaco di Afidna, polemarco ateniese caduto a Maratona35, due epigrammi che commemorano le perdite subite dagli

Ateniesi a Maratona o Salamina36, e la celebre colonna tortile di Delfi37. Come

per la ceramica pertinente al periodo delle guerre, da questi documenti, della

33 IG I3 1143 (Fornara 21): ⌊ὀ͂ ξένε, εὔℎυδρ⌋όν ποκ’ ἐναίομες ἄστυ Ϙορίνθο, / ⌊νῦν δ’ ℎαμὲ

Αἴα⌋ν̣τος ⌊νᾶσος ἔχει Σαλαμίς⌋. / ⌊ἐνθάδε Φοινίσσας νᾶας καὶ Πέρσας ℎελόντες⌋ / ⌊καὶ Μέδους ℎιαρὰν ℎελλάδα ρℎυόμεθα⌋. Integrato sulla base di Plut.Mor.870e.

34 IG VII 53 (Fornara 60): τὸ ἐπίγραμμα τῶν ἐν τῷ Περσικῷ πολέμῳ ἀποθανόντων κὲ κει<μέ>νω[ν] / ἐντα<ῦ>θα ἡρώων· ἀπ<ολ>όμενον δὲ τῷ χ<ρ>όνῳ Ἑλλάδιος ὁ ἀρχιερεὺς ἐπ<εσ>κ<εύ>[ασεν]. / [ἐπεὶ ἔδοξε τοὺς ἐν τῷ πολέμῳ ἀποθανόντας ἐνταῦθα] / [τα]φῆναι, {Ϲ} τοῦ[το τ]<ὸ ἐπίγραμμα ἐ>π̣οίη̣<σε>ν̣ ἐπὶ <τιμῇ> τῶν <κ>ειμένων καὶ τῆς πόλεως Σιμωνίδης / vacat / <Ἑλ>λάδι καὶ Μεγαρεῦσιν ἐλεύθερον ἆμαρ ἀέξ<ε>ιν / <ἱ>έμενοι θανάτου μοῖραν ἐδεξάμεθα, {ΜΕ} / τοὶ μὲν ὑπ’ Εὐβ̣οίᾳ κ<ω>παχ<έϊ>, ἔνθα κ<αλ>εῖτε / {Ε} ἁγνᾶ<ς> Ἀρτέμιδος τοξοφόρ̣ου τέμενος, / τοὶ δ’ ἐν ὄρ<ε>ι Μ<υ>κάλας, τοὶ δ’ ἔνπροσθε<ν> Σαλαμεῖνος / [νηῶν Φοινισσῶν ἐξολέσαντες Ἄρη]· / τοὶ δὲ καὶ ἐν π<ε>δίῳ Βοι<ω>τ[ί]ῳ, οἵτινες ἔτλαν / χεῖρας ἐπ’ ἀνθ<ρ>ώπους ἱππομάχους ἱένε. / ἀστοὶ δὲ ἄμμι τόδε <φθιμένοις> γέρας ὀμφα<λ>ῷ ἀ<μ>φὶ {ΙΙ} / Νεισέων ἔ<π>ορον λ<α>οδόκων ἀγορῶ[ν]. / <μ>έχρις ἐφ’ ἡμῶν δὲ ἡ πόλις <κ>α<ὶ> ταῦρον ἐν<ή>γ<ι>ζεν; si discute se sia una copia di un originale di inizio V secolo.

35 ML 18 (IG I2 609): [Καλίμαχός μ’ἀν]έθεκεν Ἀφιδναῖο[ς] τἀθεναίαι ⁝ ἄν[γελον ἀθ]ανάτον

hοὶ Ὀ[λύμπια δόματ’] ἔχοσιν, | [….8…. πολέ]μαρχο[ς] Ἀθεναίον τὸν ἀγõνα ⁝ τὸν Μα[ραθον... h]ελενονο[….11……⁝] παισὶν Ἀθεναίον μν[……….21………..]

36 ML 26 I&II (IG I3 503, Fornara 51ab):

I: ἀνδρο͂ν το͂νδ’ ἀρετε[․․․․9․․․․ος ἄφθιτον] αἰεί, [⋮] / [․․․8․․․․]ν[․]ρ[— —9— — ⌊νέμοσι θεοί⌋. ⋮] / ἔσχον γὰρ πεζοί τε [καὶ ὀκυπόρον ἐπὶ νεõ]ν ⋮ / ℎελλά[δα μ]ὲ πᾶσαν δούλι⌊ον ἐ͂μαρ ἰδε͂ν ⋮⌋. II: ἐ͂ν ἄρα τοῖσζ’ ἀδάμ̣[α—⏕—⏕—⏑] ℎ̣ότ’ αἰχμὲν / στε͂σαμ πρόσθε πυλο͂ν ἀν̣[—⏖—⏖–] / ἀνχίαλομ πρε͂σαι ῥ̣[—⏕—⏕—⏖—⏓] / ἄστυ βίαι Περσο͂ν κλινάμενο[ι ⏖ –]. 37 ML 27 (Fornara 59).

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cui parzialità e brevità bisogna comunque tener conto, non risultano particolari indugi nei confronti degli sconfitti. La stessa caratteristica è riscontrabile anche nel celebre componimento di Simonide per i caduti della battaglia delle Termopili38 e nei suoi frammenti sulla battaglia di Platea

restituitici dai ritrovamenti papiracei39, nei quali l’autore si sofferma sulla

celebrazione dell’ἀρετή e del κλέος dei caduti, elevandoli allo status di eroi. Vedremo come l’operazione compiuta da Eschilo sia inversa, in quanto la gloria dei vincitori non è mai celebrata direttamente, ma è per così dire una ovvia ma taciuta conseguenza della totale rovina persiana, rispetto alla quale i Persiani si pongono come indagine e compianto nell’immaginario poetico dell’autore.

2. LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ALTERITÀ NEI PERSIANI

E’ generalmente accettato tra gli studiosi che i pensatori greci almeno fino all’età di Platone tendessero a privilegiare come metodi di organizzazione e spiegazione delle loro conoscenze l’opposizione e l’analogia40. François

Hartog ha dedicato un intero studio proprio ai modi in cui Erodoto, per rendere più comprensibili per il suo destinatario greco costumi e forme del pensiero di popoli stranieri, presenta questi elementi attraverso l’enfatizzazione di differenze e analogie con costumi e forme del pensiero greci, elaborando di fatto una retorica dell’alterità41. In questo capitolo si

osserverà che anche nei Persiani i modi della rappresentazione procedono spesso per opposizione e analogia, il primo dei quali si accompagna alla stereotipizzazione dell’elemento persiano, mentre il secondo ricorre alla ‘grecizzazione’ di alcuni elementi stranieri. Si suggerirà dunque che entrambi

38 Simon.fr.531 PMG. 39 Simon.frr.10-17 W.

40 Lloyd 1966, 431-6, Taplin 1978, 122. 41 Hartog 1980 (trad. it. 1992, 185-221).

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i modi della rappresentazione sono funzionali alla comprensione degli spettatori di Eschilo, non intendendo con ciò che l’interesse etnografico sia al centro dell’opera, ma che un certo tipo di attenzione per la rappresentazione dell’alterità persiana è funzionale allo sviluppo e alla comprensione della vicenda drammatica42. In una certa misura dunque nell’opera riaffiorerebbe

quella curiosità per il mondo persiano di cui si è parlato, ma attraverso le caratteristiche proprie del genere tragico, cioè in base ai particolari obiettivi drammaturgici di Eschilo e alla capacità dei drammi ateniesi di indagare la realtà osservandola da punti di vista diversi. Si noterà infatti che molto spesso entrambe le forme della rappresentazione concorrono alla rappresentazione di un personaggio o di un concetto, in una commistione di elementi greci e persiani che rende dubbia l’idea di un’assoluta opposizione polare fra i due nella tragedia; l’esempio più evidente è l’εἴδωλον di Dario, sovrano divinizzato e oggetto della deferenza del coro secondo lo stereotipo greco sulla natura divina dei sovrani persiani, ma insieme depositario della morale greca sulla necessità di volgersi a moderazione e saggezza. Dall’analisi dovrebbe risultare evidente come questo tipo di rappresentazione, anche quando contrastiva, non sembra prevedere una presentazione dei Persiani come un popolo moralmente e culturalmente inferiore.

42 Un aspetto, questo, che risulta piuttosto forzato da Hall 1989, 70-100 e 2006, 5-19, e Harrison

2002, 98-105, le cui letture politiche della tragedia influenzano pesantemente le altre componenti del dramma. Questo si risolverebbe infatti in una sistematica definizione di ciò che è ateniese sulla base della sua opposizione a quanto è persiano, sì da dimostrare che non tutti gli uomini sono soggetti alle stesse leggi etico-religiose, ma che i Persiani sono più predisposti degli altri alla hybris e alle sue conseguenze. Tuttavia risulta difficile pensare che il focus della tragedia ricada sull’interesse etnografico in funzione patriottica, soprattutto per lo spazio dedicato da Eschilo in modo preponderante alla componente etico-religiosa in generale e, come si vedrà, all’opposizione tra Dario e Serse. Garvie 2009, xxii, esprime la stessa perplessità: «I have no wish to deny that Hall and Harrison give an accurate and valuable account of the differences between Persians and Greeks as Aeschylus presents them in the play, but I am not persuaded that this is what the play is ‘about’».

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2.1. LA DIMENSIONE LINGUISTICA E MUSICALE DELL’ALTERITÀ

Diversi elementi del testo ci autorizzano a immaginare, con le cautele dovute rispetto a quanto non è possibile ricostruire a partire da esso, che la dimensione performativa della tragedia doveva contribuire in una certa misura ad enfatizzare l’alterità del popolo rappresentato43. La curiosità

etnografica di cui si è detto si esprimerebbe pertanto in una patina esotica in grado di trasportare lo spettatore in una realtà distante e poco conosciuta, ricreando quel distanziamento che generalmente era garantito dalla ambientazione e dai soggetti mitici delle tragedie44. Si è osservato che Eschilo

nella parodo fornisce indicazioni vaghe sull’ambientazione della tragedia, riferendosi in generale a Susa ed Ecbatana45, per elencare poi i popoli al

seguito di Serse. Attraverso la forma catalogica veniva dunque evocata non un luogo o una situazione in particolare ma «the whole idea of Persia46».

Da un punto di vista linguistico l’impiego di ionicismi47 risulta esemplificativo

del processo di mediazione dell’elemento orientale finalizzato alla comprensione dello spettatore. Questi dovevano infatti richiamare all’orecchio ateniese la varietà linguistica parlata in quella parte del mondo greco da più tempo vicina e in contatto con l’impero persiano, rimandando dunque lo spettatore a una realtà percepita come esotica48. Simile doveva

essere probabilmente il riferimento a forme di cordoglio di tipo orientale nelle espressioni Μαριανδυνὸς θρηνητήρ49 e καὶ στέρν᾽ ἄρασσε κἀπιβόα τὸ

43 Si parlerà più avanti di ciò che è possibile ricostruire riguardo ai costumi e agli oggetti di

scena, essendo strettamente collegati alla caratterizzazione della regina e Serse in particolare. Anche questi comunque dovevano probabilmente enfatizzare l’alterità dei personaggi non senza essere funzionali alla comprensione della vicenda drammatica (vedi in particolare il carro della regina e il significato delle vesti stracciate di Serse, §2.5, §2.7).

44 Garvie 2009, xi. 45 Aesch.Pers.14-7. 46 Arnott 1989, 135s.

47 Aesch.Pers.61 ἀσιῆτις, v.497 ῥέεθρον (senza contrazione in -ει), v.556 πολιήτης, v.661s

τιήρης v.782 νέα (con allungamento della vocale prima di φρ-), etc.

48 Hall 1996, 23. 49 Aesch.Pers.935-40.

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Μύσιον50. Approfondiremo al momento opportuno le possibili implicazioni

di queste espressioni; adesso è importante notare che si riferiscono a forme rituali di lamentazione di popoli dell’Asia Minore che abbiamo modo di supporre fossero più o meno noti all’audience di Eschilo51 e che nella loro

rievocazione potevano dunque mediare per gli spettatori delle pratiche a loro distanti e poco conosciute. Allo stesso effetto dovevano contribuire altri elementi linguistici del testo, come il sostantivo βαλήν, riferito due volte a Dario nel brano corale della sua invocazione52 e glossato come βασιλεύς da

Esichio, secondo il quale sarebbe frigio53. Qui dunque Eschilo pare servirsi di

un termine di una popolazione orientale per enfatizzare l’alterità della regalità persiana, e nello stesso tempo forse per enumerare per via indiretta un altro ἔθνος sottoposto all’autorità dell’impero. Allo stesso effetto era indirizzato probabilmente l’uso del sostantivo βᾶρις54, che nelle Supplici Eschilo fa

pronunciare due volte all’araldo egiziano per indicare un particolare tipo di nave egiziana55, e che in Eur.IA.297 ‒ unica attestazione poetica del termine

successiva a Eschilo ‒ è accostato all’aggettivo βάρβαρος per descrivere delle navi troiane nemiche56; Erodoto sembra invece riferirsi con questo termine a

imbarcazioni nilotiche usate per il trasporto57. Ciò che conta mettere in rilievo

ai fini del nostro ragionamento sui Persiani è il fatto che per indicare un tipo

50 Aesch.Pers.1054.

51 I Mariandini sono menzionati in un frammento di Ecateo (FGrH I F 198) e più tardi in

Hdt.I.28, III.90, VII.72. Per quanto non si possa essere certi della circolazione della Periegesi in Atene (Hall 1989, 75s), non è implausibile supporre che parte delle informazioni raccolte dalla logografia ionica fossero in una certa misura penetrate nel mondo greco stimolando l’immaginazione e l’interesse dei Greci (v.§1.1). Meno consistenti dovevano essere le informazioni sui Misii, dei quali si è tuttavia supposto che nel mondo greco fosse conosciuta una forma di lamento rituale; v. Bachvarova-Dutsch 2016, 100s.

52 Aesch.Pers.658; unica altra attestazione è in un frammento di Sofocle, TrGF IV F 515, nella

forma βαλλήν. 53 Hsch.Lex.B.154. 54 Aesch.Pers.553, 1076. 55 Aesch.Supp.873: Αἰγυπτίαν γὰρ βᾶριν οὐχ ὑπερθορῇ, 882: βαίνειν κελεύω βᾶριν εἰς ἀμφίστροφον. 56 Eur.IA.296-8: ὧι τις εἰ προσαρμόσει / βαρβάρους βάριδας, / όστον οὐκ ἀποίσεται. 57 Hdt.II.41.

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di imbarcazione orientale Eschilo si serve di un termine che sembra riferirsi a un’imbarcazione egiziana, ricorrendo dunque a un elemento straniero specifico per evocare un’alterità più vagamente orientale. Il fatto che Euripide accosta a questo termine l’aggettivo βάρβαρος in un passo che preannuncia un mancato ritorno per chi contrapponga le proprie βάριδες alle navi achee, come di fatto il ponte di βάριδες priva i Persiani del ritorno58, ci induce a

ipotizzare che Euripide stesse riprendendo questo passo di Eschilo e forse anche l’uso eschileo del sostantivo come evocativo di un’imbarcazione genericamente orientale e distinta da quelle greche.

Alla creazione di un’atmosfera orientale dovevano concorrere anche le sonorità insolite dovute all’accumulo dei nomi dei guerrieri persiani ricorrenti nella tragedia59, ma anche la grande varietà di interiezioni esprimenti dolore

e sgomento, disseminate per tutta la tragedia e preponderanti nel κομμός finale insieme all’uso insistente di ripetizioni verbali60. E’ stata messa in risalto

in particolare l’insistenza sui suoni ‘a’ e ‘ai’ nei nomi dei condottieri e nelle sezioni corali, i quali costituendo una caratteristica dell’antico persiano dovevano suonare stranieri all’orecchio greco61. Questo espediente si rivela

una soluzione efficace al problema per cui l’apprezzamento di una parola su un piano meramente fonico è possibile solo bloccando momentaneamente la comprensione linguistica dell’ascoltatore62; l’uso ricorrente del catalogo di

nomi e quello insistente delle interiezioni consente pertanto ad Eschilo di predisporre maggiormente la sua audience all’esperienza dell’ascolto e dunque alla percezione dell’alterità del mondo evocato attraverso i suoni. E’

58 Aesch.Pers.548-53: νῦν γὰρ δὴ πρόπασα μὲν στένει / γαῖ' Ἀσὶς ἐκκενουμένα. / Ξέρξης μὲν ἄγαγεν, ποποῖ, / Ξέρξης δ' ἀπώλεσεν, τοτοῖ, / Ξέρξης δὲ πάντ' ἐπέσπε δυσφρόνως / βαρίδεσσι ποντίαις. 59 Aesch.Pers.21-52, 302-28, 958-99. 60 Aesch.Pers.268, 274 ὀτοτοτοῖ, 433, 672 αἰαῖ, 445, 517 οἴ, 550, 560 ποποῖ, 568, 576, 852 φεῦ 569, 577 ἠέ, 570, 574 ὀᾶ, 1004-77, etc. 61 Rosenmeyer 1982, 114s, Hall 1996, 23. 62 Gurd 2013, 123-25.

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significativo inoltre che l’accumulo di nomi e interiezioni riemerga nel κομμός di Serse, dove soprattutto a partire dalla sesta coppia strofica la dimensione musicale sembra avere la meglio su quella informativa63.

L’insistenza del suono della vocale ‘a’ risulterà importante anche nella descrizione di Dario, che è detto ἀκάκας e ἄμαχος con alfa privativo per enfatizzare il suo contrasto con Serse64, ma anche θεῖον ἀνάκτορα Δαριᾶνα

nella scena della sua invocazione cui si è già fatto riferimento65. In questo

verso Eschilo non si serve dell’usuale forma greca Δαρεῖος, ma ricorre ad una forma alternativa le cui uniche altre ricorrenze a noi note cadono nello stesso brano corale sotto forma del vocativo Δαριάν, in entrambi i casi accostato all’aggettivo ἄκακος66. Si è suggerito che questo fosse un tentativo di rendere

in modo più autentico la forma persiana Dārayavahuš67, così come nel caso

della forma Ἀγβάτανα usata in luogo di Ἐκβάτανα per avvicinarsi al persiano antico Haŋgmatana68. A sonorità insolite dovute all’utilizzo dell’alfa

e alla preferenza per termini inusuali doveva concorrere probabilmente anche il sostantivo ἀνάκτωρ; l’ipotesi che questo termine dovesse risultare altisonante e onorifico è resa plausibile dal fatto che in Eschilo si ripresenta solo al v.356 delle Coefore unitamente al superlativo σεμνότιμος in riferimento ad Agamennone, in occasione del κομμός intonato da Oreste, Elettra e il coro per il sovrano defunto69, dunque in un contesto paragonabile a quello dei

Persiani70.

Alla frequenza di determinati elementi linguistici nella parodo dei Persiani e in particolare alle neoformazioni lessicali eschilee è stato dedicato uno studio

63 Aesch.Pers.1038-77. 64 Aesch.Pers.855. 65 Aesch.Pers.652. 66 Aesch.Pers.663, 671. 67 Kranz 1933, 86. 68 Aesch.Pers.16, 535, 961. 69 Aesch.Cho.306-478.

70 Cf.Aesch.Pers.557 ἄκτωρ, la cui unica altra attestazione fino al II secolo a.C. è Eum.399, dove

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da Vittorio Citti, il quale osserva che questi elementi linguistici sono spesso volti a sottolineare alcuni temi e immagini importanti del testo71. Si può

aggiungere che a questo effetto si doveva accompagnare probabilmente anche in questo caso quello di far risaltare, attraverso la forma insolita o altisonante di tali espressioni, l’alterità dei costumi e dei popoli cui facevano riferimento. L’esempio più evidente è costituito dai composti lessicali di ἁβρο-, neoformazioni ricorrenti nei Persiani con cui il poeta esprime lo stereotipo greco sulla raffinatezza del modo di vivere dei Lidi e in generale dei popoli orientali72. Altre concernono la tattica militare e l’organizzazione dell’esercito

persiano ‒ delle quali non è implausibile supporre che Eschilo avesse conoscenza anche per via diretta, vista la sua partecipazione personale alle guerre ‒ e altri elementi o caratteristiche del mondo orientale73; così ad

esempio il Nilo è detto πολυθρέμμων74. Altri esempi di neoformazioni

notevoli sono i patronimici Δαρειογενής75, le cui uniche ricorrenze a noi note

sono in questa tragedia di Eschilo, e Ἀσιατογενής76, che ricorre poi solo in un

71 Citti 1984, 61-73; riguardo alle neoformazioni linguistiche bisogna comunque procedere con

cautela, dal momento che dipendono da quanto non ci è pervenuto della letteratura anteriore ad Eschilo.

72 Aesch.Pers.41: ἁβροδίαιτος, riferito ai Lidi; v.135 ἁβροπενθής; v.541 ἁβρόγοοι; v.543

ἁβροχίτων; v.1073 ἁβροβάτης; v.Hdt.I.94 per questo luogo comune greco sui popoli orientali.

73 Aesch.Pers.26: τοξοδάμαντές τ᾽ ἠδ᾽ ἱπποβάται (oggi a differenza di quanto fa Citti a

proposito di τοξοδάμας non si può più parlare con certezza di neoformazione, in quanto il termine è presente nei più recenti ritrovamenti papiracei di Bacchilide, fr.dith.29dM e forse anche in fr.dith.26M; ἱπποβάτης è attestato solo in Eur.IA.1058-61, dove tuttavia la diversità del contesto non incoraggia a pensare che si tratti di un riferimento preciso ad Eschilo e dunque a una sua neoformazione: ἅμα δ' ἐλάταισι στεφανώδει τε χλόαι / θίασος ἔμολεν ἱπποβάτας / Κενταύρων ἐπὶ δαῖτα τὰν / θεῶν κρατῆρά τε Βάκχου. In ogni caso l’accostamento dei due termini in un solo verso e la loro collocazione nel catalogo di guerrieri persiani e all’interno della trama di epicismi della parodo - v. nota 81 - rende comunque l’intero verso particolarmente significativo); vv.55, 237 τοξουλκός; v.65 περσέπτολις; v.76 πεζονόμος, hapax; v.80 ἐφέτης (che riemerge poi nell’oratoria attica, ma secondo Citti 1984, 68 la presenza dell’ipotesto epico del passo assieme all’espressività che descrive la massa dei guerrieri in movimento sarebbe la conferma dell’innovazione lessicale eschilea).

74 Aesch.Pers.33. 75 Aesch.Pers.6, 145.

76 Aesch.Pers.12; cff.v.42 ἠπειρογενής, hapax, v.35 Αἰγυπτογενής, ripreso solo in

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frammento di Crizia citato da Ateneo77. Significativi sono anche i numerosi

composti di χρυσ-, spesso peraltro ricorrenti nella forma πολύχρυσος – detto ad esempio di Sardi e Babilonia78 ‒, che indicano le sterminate ricchezze del

Gran Re e nello stesso tempo evocano dall’inizio alla tragedia uno splendore che sarà denso di significati già dall’ingresso della regina79. A questi si

aggiunge infine l’uso di omerismi80 e neoformazioni che vagheggiano la

dizione epica, come ad esempio i significativi hapax ποιμανόριον81 e

ποιμάνωρ82, rifatti sull’espressione formulare omerica ποιμένα λαῶν83 e

riferiti rispettivamente all’esercito e al suo comandante. Questi insieme a diversi degli elementi su citati si direbbero enfatizzare la straordinarietà quasi mitica dell’esercito persiano in marcia, un aspetto su cui ci soffermeremo nel prossimo paragrafo.

Per quanto concerne la dimensione musicale, la metrica usata da Eschilo può costituire un valido aiuto nel tentativo di ricostruire l’atmosfera orientaleggiante del dramma. E’ stato messo in luce infatti da molti commentatori l’uso preponderante nella parodo del metro ionico a minore, tipico in contesti orientaleggianti esprimenti abbandono alle emozioni o ἁβροσύνη84, in modo più o meno coerente con la descrizione che Platone,

Aristotele e Aristosseno danno dello stile musicale ionico come rilassato e armonioso e particolarmente adatto ai simposi85. Ciò non toglie che il metro

77 Crit.fr.6.5W.

78 Aesch.Pers.3, 9, 45 riferito a Sardi, 53 riferito a Babilonia, 80, 159. 79 Saïd 1988, 324.

80 Aesch.Pers.29, 105 ἱππιοχάρμης, cff.Il.XXIV.257, Od.XI.259, Hes.frr.7.2M-W, 9.2M-W,

205.1M-W; v.32 ἐλατὴρ, cff.Il.IV.145, XI.792, XXIII.369, Hymn.Hom.Ap.232, Hymn.Hom.Merc.14, 265, 377; v.85 δουρίκλυτος, cff.Il.V.45, 55, X.230, XI.333, etc. Come

sottolinea Garvie 2009, 54, in alcuni casi è tuttavia impossibile distinguere tra ionicismi e forme epiche.

81 Aesch.Pers.75. 82 Aesch.Pers.241.

83 Il.I.263, II.243, etc. Cf. Citti 1984, 68.

84 Eur.Bacch.113s, 128s, 144-53; Ar.Thesm.101-29, Ran.324-36, 340-53, cf. Hall 1989, 82s, Garvie

2009, 46, Centanni 2012, 113.

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ionico sia usato talvolta anche nei contesti che richiedono una certa dignità, come è stato osservato ad esempio a proposito dell’esodo delle Supplici eschilee86. E’ plausibile dunque pensare che nei Persiani il metro utilizzato

potesse accompagnarsi alla musica nel costituire una patina orientaleggiante esprimentesi nei contesti in cui si indugia sull’alterità dei costumi evocati o sul cedere a uno stato emotivo, non necessariamente in modo non dignitoso. E in effetti nei Persiani questo metro ricorre soprattutto nella sezione della parodo in cui il coro descrive il passaggio dell’esercito sul ponte di barche, soffermandosi su una rappresentazione quasi mitica di Serse, e in cui poi comincia a farsi insistente il presentimento della mutazione del volere del dio e della conseguente rovina per i Persiani che ἔμαθον δ᾽ εὐρυπόροιο θαλάσσας […] ἐσορᾶν πόντιον ἄλσος87. Non è necessario postulare un

«effetto straniante» per via di un’incongruenza tra un testo che richiede «un ritmo sostenuto e trionfale» e un metro invece «molle e allentato88». Possiamo

piuttosto pensare che dopo il ritmo sostenuto della sezione anapestica il metro ionico introducesse un crescendo dello stato emotivo evocato dal coro, andando da un’eccitazione non priva di orgoglio per il passaggio straordinario dell’armata di guerrieri orientali all’enfatizzazione di uno stato d’ansia per l’imprevedibilità delle mutazioni divine. Il metro torna inoltre nell’invocazione di Dario89 insieme ad un uso insistente del coriambo90, che

esprime inquietudine o angoscia91, dunque di nuovo in un contesto in cui

l’esaltazione emotiva si accompagna a un certo stato d’ansia, qui legato all’attesa per l’apparizione del sovrano defunto. Un’eccitazione mista ad inquietudine ben si accorderebbe in effetti al rituale rappresentato sulla scena,

86 Aesch.Suppl.1018-61, cf.Eur.Suppl.42ss. Broadhead 1960, 48s, 290.

87 Aesch.Pers.65-114. Per la scansione metrica della tragedia v.Broadhead 1960, 287-97, West

1990, 461-6, Belloni 19942, 291-300, Hall 1996, 179-88, Garvie 2009, 373-7. 88 Centanni 2012, 106s.

89 Aesch.Pers.647-671, 694-6, 700-2. 90 Aesch.Pers.633s, 640s, 659-61, 666-8.

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che doveva inoltre risultare allo spettatore greco quantomeno inusuale; come vedremo infatti in questo contesto non sembra assente un certo grado d’esotismo. Infine, lo ionico a minore riaffiorava contestualmente al docmio nella seconda coppia strofica del κομμός finale92, in cui Serse lamenta la

rovina dell’esercito e gli anziani del coro cominciano a chiedere al sovrano dei compagni caduti. Costituendo il docmio il metro tipico della lamentazione93,

ed essendo presente sin dalla prima coppia strofica94, l’uso dei due doveva

esprimere il particolare trasporto emotivo del momento; torneremo tuttavia più dettagliatamente sul κομμός quando si tratterà della scena di Serse nello specifico.

2.2. L’ALTERITÀ MEDIATA DALL’EPOS: IL CATALOGO DI GUERRIERI ASIATICI E LA PREFIGURAZIONE DELL’ASSENZA

Abbiamo già osservato che diversi espedienti del testo, primi fra tutti la forma catalogica e il suo confrontarsi con la dizione epica, concorrono ad enfatizzare la gloriosità e maestosità dell’esercito persiano in marcia, elevando al passato mitico dell’ἔπος la materia descritta95. Altri elementi che vanno in questa

direzione si concentrano nei versi che descrivono Serse al comando della spedizione96; il sovrano è detto infatti ἰσόθεος φώς come i più illustri eroi

omerici97, χρυσογόνου98 γενεᾶς, e in quanto divino sospinge un ποιμανόριον

92 Aesch.Pers.950-73. 93 Garvie 2009, 341. 94 Aesch.Pers.931-48.

95 Michelini 1982, 77, Saïd 1988, 326s, Rosenbloom 2006, 40, Garvie 2009, 45, Parara 2010, 93. 96 Aesch.Pers.74-85.

97 Il.II.565 riferito a Eurialo, III.310 a Priamo, IV.212 a Macaone, etc.

98 Contro Page e Garvie che stampano χρυσονόμου, accolgo con Broadhead, West, Belloni2 e

Hall la variante χρυσογόνου, che ritengo preferibile visto il contesto epicizzante e in quanto riferimento più diretto alla discendenza dei Persiani da Perseo, nato da Danae fecondata da Zeus in forma di una pioggia d’oro: cff.Hdt.VI.54., VII.61.3., 150.2. Cf. Citti 1984, 68. Per quanto persuasiva, non mi sembra che l’argomentazione usata da Garvie (2009, 76) renda χρυσονόμου evocativo del concepimento di Perseo come lo è invece χρυσογόνου. Garvie intende infatti χρυσονόμου «with -νομου passive in force», traducendo dunque «of the race dispensed in gold».

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θεῖον99. Nell’immagine evocata viene descritto come un personaggio mitico

in due versi significativi anche dal punto di vista lessicale; con lo sguardo di drago sanguinoso, πολύχειρ καὶ πολυναύτας100, Σύριόν θ᾽ ἅρμα διώκων, /

ἐπάγει δουρικλύτοις101 ἀνδράσι τοξόδαμνον102 Ἄρη. Queste

rappresentazioni grandiose della potenza persiana e del suo condottiero appaiono in linea con il rispetto per il nemico e la curiosità etnografica che abbiamo riscontrato nell’arte vascolare di inizio V secolo. Oltre allo splendore del Gran Re sono infatti tradotte negli stilemi dell’ἔπος l’opposizione tra arco persiano e lancia greca e la figura del carro assiro, ponendo in risalto due caratteristiche della tattica di guerra persiana e orientale. Si può osservare che l’opposizione tra arco e lancia, su cui torneremo, non lascia intendere una superiorità del secondo elemento sul primo, che tra l’altro è presentato per mezzo della figura del dio della guerra. Allo stesso modo la successiva immagine dell’esercito persiano inarrestabile come l’onda del mare doveva risultare agli spettatori di Eschilo minacciosa e spettacolare, dal momento che doveva richiamare alla loro memoria le metafore omeriche di Diomede che travolge i Troiani come un fiume in piena e quella di Ettore che si abbatte contro gli Achei come un’onda impetuosa103. Non possiamo non pensare

99 V. note 81-3.

100 πολύχειρ è probabile neoformazione eschilea; oltre ad essere accostato all’hapax

πολυναύτας, riaffiora in Soph.El.488-90 in una descrizione mostruosa dell’Erinni, dunque in un contesto paragonabile a quello eschileo: Ἥξει καὶ πολύπους καὶ πολύχειρ ἁ δει/νοῖς κρυπτομένα λόχοις / χαλκόπους Ἐρινύς.

101 Omerismo, v. nota 80. 102 V. nota 73.

103 Aesch.Pers.87-90; cff. rispettivamente Il.V.85-94: Τυδεΐδην δ' οὐκ ἂν γνοίης ποτέροισι

μετείη / ἠὲ μετὰ Τρώεσσιν ὁμιλέοι ἦ μετ' Ἀχαιοῖς. / θῦνε γὰρ ἂμ πεδίον ποταμῷ πλήθοντι ἐοικὼς / χειμάρρῳ, ὅς τ' ὦκα ῥέων ἐκέδασσε γεφύρας· / τὸν δ' οὔτ' ἄρ τε γέφυραι ἐεργμέναι ἰσχανόωσιν, / οὔτ' ἄρα ἕρκεα ἴσχει ἀλωάων ἐριθηλέων / ἐλθόντ' ἐξαπίνης ὅτ' ἐπιβρίσῃ Διὸς ὄμβρος· / πολλὰ δ' ὑπ' αὐτοῦ ἔργα κατήριπε κάλ' αἰζηῶν· / ὣς ὑπὸ Τυδεΐδῃ πυκιναὶ κλονέοντο φάλαγγες / Τρώων, οὐδ' ἄρα μιν μίμνον πολέες περ ἐόντες, e XV.615-29: καί ῥ' ἔθελεν ῥῆξαι στίχας ἀνδρῶν πειρητίζων, / ᾗ δὴ πλεῖστον ὅμιλον ὅρα καὶ τεύχε' ἄριστα· / ἀλλ' οὐδ' ὧς δύνατο ῥῆξαι μάλα περ μενεαίνων· / ἴσχον γὰρ πυργηδὸν ἀρηρότες, ἠΰτε πέτρη / ἠλίβατος μεγάλη πολιῆς ἁλὸς ἐγγὺς ἐοῦσα, / ἥ τε μένει λιγέων ἀνέμων λαιψηρὰ κέλευθα / κύματά τε τροφόεντα, τά τε προσερεύγεται αὐτήν· / ὣς Δαναοὶ Τρῶας

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infatti che almeno una parte degli spettatori di Eschilo fosse in grado di cogliere richiami omerici di questo tipo; di conseguenza il fatto che la presentazione della potenza persiana venisse mediata attraverso le forme dell’ἔπος doveva avere un effetto e delle reazioni emotive difficili da immaginare. Infatti, contestualmente al trovarsi immersi in un’ambientazione orientale e altra per mezzo degli espedienti su cui ci siamo soffermati nello scorso paragrafo, gli spettatori venivano chiamati a confrontarsi con immagini ed espressioni da loro sentiti come tradizionali e a cui erano abituati ad attribuire un certo significato. E’ possibile così notare sin dalla parodo il modo in cui Eschilo introduce la sua audience all’alterità persiana attraverso una commistione di elementi greci e orientali.

Questa caratteristica traspare anche da un altro aspetto della parodo: il catalogo di guerrieri asiatici e la rappresentazione epica di Serse sono infatti funzionali a mediare per mezzo di forme ben note agli spettatori di Eschilo un aspetto dell’alterità politica dell’impero persiano, ovvero il potere assoluto e accentratore del Gran Re. Del μέγαν ῥεῦμα φωτῶν che si dispiega inarrestabile, alla fine del catalogo viene detto dagli anziani del coro che ἐκ πάσης / Ἀσίας ἕπεται / δειναῖς βασιλέως ὑπὸ πομπαῖς104, facendo

convergere l’intera fiumana dell’esercito persiano verso un’unica direzione105.

E’ interessante notare a tal proposito che questa rappresentazione ‘sovranocentrica’ dell’esercito persiano è riscontrabile nella concezione che i sovrani achemenidi avevano della propria regalità e del proprio impero. Le aree periferiche erano infatti viste come convergenti verso il cuore dell’impero, che coincideva con la Persia e con il Gran Re stesso; nelle

μένον ἔμπεδον οὐδὲ φέβοντο. / αὐτὰρ ὃ λαμπόμενος πυρὶ πάντοθεν ἔνθορ' ὁμίλῳ, / ἐν δ' ἔπεσ' ὡς ὅτε κῦμα θοῇ ἐν νηῒ πέσῃσι / λάβρον ὑπαὶ νεφέων ἀνεμοτρεφές· ἣ δέ τε πᾶσα >ἄχνῃ ὑπεκρύφθη, ἀνέμοιο δὲ δεινὸς ἀήτη / ἱστίῳ ἐμβρέμεται, τρομέουσι δέ τε φρένα ναῦται / δειδιότες· τυτθὸν γὰρ ὑπ' ἐκ θανάτοιο φέρονται· / ὣς ἐδαΐζετο θυμὸς ἐνὶ στήθεσσιν Ἀχαιῶν. Saïd 1988, 327-29. 104 Aesch.Pers.14-58. 105 Saïd 1988, 327-9.

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iscrizioni achemenidi i popoli assoggettati sono infatti elencati in un ordine che va dal centro verso la periferia, e gli atti di conquista sono presentati come frutto di un movimento che dalla Persia si protende verso l’esterno106. E’

certamente difficile pronunciarsi in merito alla conoscenza di Eschilo di questa come altre caratteristiche dell’impero persiano. Eppure vale la pena osservare che questa visione persocentrica dell’impero è presente anche in Erodoto e Senofonte107; anche sulla base di questo non sembra impossibile che

un’informazione del genere facesse parte di quell’insieme di conoscenze e curiosità sulla Persia in circolazione nel mondo greco di cui si è detto nel paragrafo §1.1. Ciononostante, la possibilità di un riferimento di Eschilo a questa caratteristica della visione achemenide dell’impero rimane soltanto a un livello speculativo, in quanto questa tendenza sovranocentrica espressa nella parodo può spiegarsi semplicemente per via degli obiettivi drammatici del poeta che stiamo mettendo in evidenza in questo paragrafo.

Questo movimento di convergenza verso un unico punto sottolinea infatti che Serse è unico capo della spedizione e insieme unico responsabile degli

106 Briant 1996 (trad. ing. 2002, 180-3), Kuhrt 2007, 469s, Lincoln 2007, 22-5. DZc§3 (trad.

Brosius 52): «King Darius proclaims: I am a Persian; from Persia, I seized Egypt. I ordered this canal to be dug, from a river called Nile, which flows in Egypt, to the sea which goes to Persia. So this canal was dug as I had ordered, and ships went from Egypt through this canal to Persia, as was my desire.», DPe§2 (trad. Brosius 133): «King Darius proclaims: By the favour of Auramazda, these (are) the countries of which I took possession together with these Persian people; these feared me (and) brought me tribute: Elam, Media, Babylonia, Arabia, Assyria, Egypt, Armenia, Cappadocia, Lydia (Sardis), Ionians of the mainland and (those) by the sea, and the countries beyond the sea, Sagartia, Parthia, Drangiana, Areia, Bactria, Sogdiana, Chorasmia, Sattagydia, Arachosia, India, Gandara, Scythians (Saca), Maka».

107 Hdt.I.134: Τιμῶσι δὲ ἐκ πάντων τοὺς ἄγχιστα ἑωυτῶν οἰκέοντας μετά γε ἑωυτούς, δεύτερα δὲ τοὺς δευτέρους, μετὰ δὲ κατὰ λόγον προβαίνοντες τιμῶσι· ἥκιστα δὲ τοὺς ἑωυτῶν ἑκαστάτω οἰκημένους ἐν τιμῇ ἄγονται, νομίζοντες ἑωυτοὺς εἶναι ἀνθρώπων μακρῷ τὰ πάντα ἀρίστους, τοὺς δὲ ἄλλους κατὰ λόγον τὸν λεγόμενον τῆς ἀρετῆς ἀντέχεσθαι, τοὺς δὲ ἑκαστάτω οἰκέοντας ἀπὸ ἑωυτῶν κακίστους εἶναι. Ἐπὶ δὲ Μήδων ἀρχόντων καὶ ἦρχε τὰ ἔθνεα ἀλλήλων, συναπάντων μὲν Μῆδοι καὶ τῶν ἄγχιστα οἰκεόντων σφίσι, οὗτοι δὲ αὖ τῶν ὁμούρων, οἱ δὲ μάλα τῶν ἐχομένων, κατὰ τὸν αὐτὸν δὴ λόγον καὶ οἱ Πέρσαι τιμῶσι· προέβαινε γὰρ δὴ <πᾶν> τι ἔθνος ἄρχον τε καὶ ἐπιτροπεῦον, Xen.Cyr.I.1.15: ἀνηρτήσατο δὲ τοσαῦτα φῦλα ὅσα καὶ διελθεῖν ἔργον ἐστίν, ὅποι ἂν ἄρξηταί τις πορεύεσθαι ἀπὸ τῶν βασιλείων, ἤν τε πρὸς ἕω ἤν τε πρὸς ἑσπέραν ἤν τε πρὸς ἄρκτον ἤν τε πρὸς μεσημβρίαν.

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avvenimenti; sarà inoltre ripreso nella quinta strofe della parodo dall’efficace similitudine di reminiscenza omerica dello sciame d’api che vola dietro al sovrano108, peraltro arricchita dal vagheggiamento della formula omerica

ὄρχαμος ἀνδρῶν/λαῶν109 attraverso la forma ὄρχαμος στρατοῦ. In Omero

questa similitudine è usata per descrivere la folla di soldati che dalle navi e dalle tende accorre all’assemblea dei comandanti achei in cui Agamennone prenderà la parola per primo, dopo una significativa divagazione sul suo scettro, simbolo del suo potere regale110 forgiato da Efesto e reso da Zeus alla

stirpe di Pelope111. Di nuovo, il modo in cui i guerrieri asiatici seguono il

proprio condottiero e obbediscono ai suoi ordini viene mediato da un’immagine epica che poteva esemplificare per gli spettatori il tipo di rapporto gerarchico e militare che si stava presentando. Se Serse infatti è unico sovrano e centro nevralgico dell’esercito a cui tutti i guerrieri sono direttamente sottoposti, nella similitudine iliadica i soldati accorrono invece all’assemblea in cui Agamennone parla sì per primo perché detentore del potere e a capo della spedizione, ma alla presenza degli altri sovrani achei, a

108 Aesch.Pers.126-9: πᾶς γὰρ ἱππηλάτας καὶ πεδοστιβὴς λεὼς / σμῆνος ὣς ἐκλέλοιπεν μελισσᾶν σὺν ὀρχάμῳ στρατοῦ, cf.Il.II.84-94: Ὣς ἄρα φωνήσας βουλῆς ἐξῆρχε νέεσθαι, / οἳ δ' ἐπανέστησαν πείθοντό τε ποιμένι λαῶν / σκηπτοῦχοι βασιλῆες· ἐπεσσεύοντο δὲ λαοί / ἠΰτε ἔθνεα εἶσι μελισσάων ἁδινάων / πέτρης ἐκ γλαφυρῆς αἰεὶ νέον ἐρχομενάων, / βοτρυδὸν δὲ πέτονται ἐπ' ἄνθεσιν εἰαρινοῖσιν· / αἳ μέν τ' ἔνθα ἅλις πεποτήαται, αἳ δέ τε ἔνθα· / ὣς τῶν ἔθνεα πολλὰ νεῶν ἄπο καὶ κλισιάων / ἠϊόνος προπάροιθε βαθείης ἐστιχόωντο / ἰλαδὸν εἰς ἀγορήν· μετὰ δέ σφισιν ὄσσα δεδήει / ὀτρύνουσ' ἰέναι Διὸς ἄγγελος· οἳ δ' ἀγέροντο.

109 Il.II.837, VI.99, XIV.102, XVII.12, etc; quest’espressione formulare non è presente nella

similitudine citata in Il.II., ma è comunque significativo che Eschilo rievochi un elemento della dizione epica nel momento in cui si serve anche dell’espediente omerico della similitudine dello sciame d’api.

110 Detienne 1967 (trad. it. 1977, 26s); Gernet 1968 (trad. ing. 1981, 98s, 165, 188s).

111 Il.II.95-109: τετρήχει δ' ἀγορή, ὑπὸ δὲ στεναχίζετο γαῖα / λαῶν ἱζόντων, ὅμαδος δ' ἦν· ἐννέα δέ σφεας / κήρυκες βοόωντες ἐρήτυον, εἴ ποτ' ἀϋτῆς / σχοίατ', ἀκούσειαν δὲ διοτρεφέων βασιλήων. / σπουδῇ δ' ἕζετο λαός, ἐρήτυθεν δὲ καθ' ἕδρας / παυσάμενοι κλαγγῆς· ἀνὰ δὲ κρείων Ἀγαμέμνων / ἔστη σκῆπτρον ἔχων τὸ μὲν Ἥφαιστος κάμε τεύχων. / Ἥφαιστος μὲν δῶκε Διὶ Κρονίωνι ἄνακτι, / αὐτὰρ ἄρα Ζεὺς δῶκε διακτόρῳ ἀργεϊφόντῃ· / Ἑρμείας δὲ ἄναξ δῶκεν Πέλοπι πληξίππῳ, / αὐτὰρ ὃ αὖτε Πέλοψ δῶκ' Ἀτρέϊ ποιμένι λαῶν /Ἀτρεὺς δὲ θνῄσκων ἔλιπεν πολύαρνι Θυέστῃ, / αὐτὰρ ὃ αὖτε Θυέστ' Ἀγαμέμνονι λεῖπε φορῆναι / πολλῇσιν νήσοισι καὶ Ἄργεϊ παντὶ ἀνάσσειν. / τῷ ὅ γ' ἐρεισάμενος ἔπε' Ἀργείοισι μετηύδα.

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loro volta portatori di scettro112 e con i quali condivide la conduzione

dell’esercito. L’analogia mette in risalto l’autorità e la legittimità del comando, ma le differenze di contesto puntualizzano nello specifico il potere assoluto del Gran Re rispetto a quello dei sovrani achei.

Prima di concludere il nostro ragionamento sulla rappresentazione dell’esercito persiano nella parodo, bisogna notare che la magniloquente descrizione dell’eccezionale quantità di risorse umane al seguito di Serse sottintende una sorta di contromovimento poi espresso dalle parole angosciate del coro, che è consapevole del rischio che un giorno sia κένανδρον μέγ᾽ ἄστυ Σουσίδος113. Tragedia che inizia all’insegna di un trono

vacante e con la sola presenza maschile degli anziani Fedeli del re, i Persiani si possono dire anche dramma dell’ansiosa attesa e del dolore di coloro che sono rimasti in Persia, rappresentati in primo luogo dai Fedeli del coro114. Il

rischioso sforzo bellico di Serse ha infatti prosciugato di uomini la terra asiatica, tema che torna insistentemente nel corso della tragedia115 e che

dall’annuncio del messaggero si trasforma da motivo di angoscia in motivo di dolore e paura per il futuro dell’impero116, e che trova la sua

esemplificazione visiva, alla fine del dramma, nell’immagine della faretra quasi vuota di Serse117; la paura del coro si è ormai avverata, e tutta la città di

Susa piange la città completamente priva di uomini118. Quest’inquietudine è

legata all’angoscioso presentimento che più grandi sono la potenza e la

112 Il.I.233-46; Achille parla all’assemblea dei capi della spedizione tenendo in mano lo scettro

su cui giura che un giorno gli Achei rimpiangeranno la sua assenza sul campo di battaglia, per poi gettarlo a terra alla fine del suo alterco con Agamennone. Achille peraltro specifica che νῦν αὖτέ μιν υἷες Ἀχαιῶν / ἐν παλάμῃς φορέουσι δικασπόλοι, οἵ τε θέμιστας / πρὸς Διὸς εἰρύαται.

113 Aesch.Pers.115-8.

114 Di Benedetto-Medda 1997, 241.

115 Aesch.Pers.8-15, 59-64, 115-39, 165-7, 245, 249-55, 445s, 508-13, 669-80, 730, 796-800, 918-30

e il κομμός finale nella sua interezza, in particolare v.1024.

116 Aesch.Pers.532-97. 117 Aesch.Pers.1020-4. 118 Aesch.Pers.730.

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