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I NTERVENTO DIVINO E RESPONSABILITÀ UMANA

3. D ARIO E S ERSE

3.1. I NTERVENTO DIVINO E RESPONSABILITÀ UMANA

Nel paragrafo §2.5 si è osservato che le parole della regina relative al contrasto tra πλοῦτος e ὄλβος, così come il suo cambio d’abito, che allude alla necessità di mostrare morigeratezza in mezzo alle sciagure, vengono sviluppati e chiariti da Dario nel suo ultimo discorso. Dopo che si è venuti a sapere del disastro dell’esercito, ciò che prima era un presentimento viene infatti presentato come una legge certa, dal momento che il vecchio sovrano esprime il principio soloniano per cui i mortali devono esercitare misura. Un elemento su cui bisogna porre attenzione è che Dario pronuncia il suo discorso sulla pericolosità insita nell’eccesso e la necessità di volgersi a σωφροσύνη ben dopo aver additato Serse come colpevole e diverso da tutti i suoi predecessori. Tra i due discorsi del sovrano si inserisce infatti significativamente il primo intervento dei Fedeli, finora rimasti in disparte, che chiedono cosa debbano fare i Persiani nella presente situazione380; a quel punto Dario li esorta a non

attaccare più la Grecia e, in generale, a non volgersi a dismisura. Si direbbe pertanto che il terzo discorso di Dario sia da considerare per come è presentato, cioè come una risposta strettamente collegata al dialogo da cui prende avvio, che allarga effettivamente l’oggetto della conversazione da Serse a tutti i Persiani. Infatti, se il contenuto dei vv.820-31 viene posto come valido per tutti, i motivi maggiormente presenti nei due discorsi precedenti, quelli relativi nello specifico al comportamento di Serse, sono altri: la realizzazione degli oracoli381, l’intervento del dio nell’azione dell’uomo382, la

mancanza di giudizio del figlio legata alla sua giovane età e al suo non

380 Aesch.Pers.786-799. 381 Aesch.Pers.739, 744.

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attenersi ai precetti paterni383. Le prime due motivazioni sono riconducibili al

motivo dello φθόνος degli dei, le altre due al rapporto tra i due sovrani; l’unico elemento che consentirebbe di individuare un nesso con il terzo discorso di Dario sarebbe l’aggiogamento dell’Ellesponto compiuto da Serse e il suo tentativo di esercitare il κράτος su Poseidone, il mare e gli dei; ma questo gesto è a sua volta presentato come una conseguenza dell’intervento del dio e di un morbo impadronitosi della mente del giovane sovrano:

Δα. φεῦ, ταχεῖά γ᾽ ἦλθε χρησμῶν πρᾶξις, ἐς δὲ παῖδ᾽ ἐμὸν Ζεὺς ἀπέσκηψεν τελευτὴν θεσφάτων: ἐγὼ δέ που διὰ μακροῦ χρόνου τάδ᾽ ηὔχουν ἐκτελευτήσειν θεούς: ἀλλ᾽ ὅταν σπεύδηι τις αὐτός, χὠ θεὸς συνάπτεται. νῦν κακῶν ἔοικε πηγὴ πᾶσιν ηὑρῆσθαι φίλοις. παῖς δ᾽ ἐμὸς τάδ᾽ οὐ κατειδὼς ἤνυσεν νέωι θράσει: ὅστις Ἑλλήσποντον ἱρὸν δοῦλον ὣς δεσμώμασιν ἤλπισε σχήσειν ῥέοντα, Βόσπορον ῥόον θεοῦ: καὶ πόρον μετερρύθμιζε καὶ πέδαις σφυρηλάτοις περιβαλὼν πολλὴν κέλευθον ἤνυσεν πολλωι στρατωι, θνητὸς ὢν θεῶν τε πάντων ὤιετ᾽ οὐκ εὐβουλίαι, καὶ Ποσειδῶνος κρατήσειν. πῶς τάδ᾽ οὐ νόσος φρενῶν εἶχε παῖδ᾽ ἐμόν; 740 745 750

Il celebre mesodo della parodo, che introduce il motivo dell’ἀπάτη del dio, non sembra contraddire quest’interpretazione: il modo in cui è formulato e contestualizzato nella sequenza di pensiero espressa dai Fedeli fa pensare che questi manifestano la loro preoccupazione per la persistente possibilità che il mutamento della disposizione divina sconvolga la vita di un mortale. Dopo la rievocazione del passaggio straordinario dell’esercito persiano, che è invincibile per qualsiasi uomo (vv.73-92), interviene l’ansiosa consapevolezza che un mortale non può sfuggire all’ἀπάτη del dio (vv.93-101); dal dio infatti dipendono (v.102 θεόθεν γὰρ) il successo dei Persiani in guerra (vv.102-7) e il loro apprendere (v.108 ἔμαθον δέ) a contemplare il mare (vv.108-14); per

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questo motivo (ταῦτα, riferito ai vv.93-114) si teme per il futuro della Persia (v.115-39). Il linguaggio usato da Eschilo sembra dunque indicare che anche il volgersi dei Persiani verso il mare si conforma al volere divino384 (v.102

θεόθεν γὰρ… v.108 ἔμαθον δέ, peraltro posti in corresponsione strofica, che come abbiamo visto è usata spesso nei Persiani per enfatizzare dei concetti particolarmente significativi), ma mette nello stesso tempo in risalto l’azione compiuta dai Persiani; finora infatti questi sono stati oggetto delle prescrizioni divine, ma dal v.108 diventano soggetto dell’azione espressa dal verbo, peraltro enfatizzata nella sua puntualità per via dell’aoristo; il senso sarebbe pertanto lo stesso espresso dalle parole di Dario, quello di una concomitanza delle due componenti umana e divina: ὅταν σπεύδῃ τις αὐτός, χὠ θεὸς συνάπτεται385. Si potrebbe obiettare che δέ al v.108 possa avere un valore

avversativo più che connettivo (per quanto sarebbe necessaria una congiunzione avversativa più forte386), e che ταῦτα del v.115 sia da riferire ai

soli vv.108-114; la sequenza di pensiero diverrebbe: a) i Persiani sono invincibili, b) ma nessun mortale può sfuggire all’inganno del dio, c) infatti gli dei stabilirono che i Persiani avessero sorte favorevole in battaglia d) ma poi questi appresero a contemplare il mare e) e per questo siamo pieni d’angoscia; ma con questa interpretazione non è chiaro in che modo possa intervenire l’inganno del dio. Se infatti l’interessarsi dei Persiani alle spedizioni marittime non è da intendersi come parte di quanto prescritto dagli dei, la loro azione risulta deliberatamente in contrasto con le prescrizioni divine: ma non è questo il contenuto dei vv.93-101, dove si parla esplicitamente di un dio che irretisce e poi rovina. Questa incongruenza non si direbbe risolvibile nemmeno ricorrendo alla controversa trasposizione del mesodo dopo la terza coppia strofica, ponendo dunque b) dopo d); l’azione

384 Medda 2010, 280s. 385 Aesch.Pers.742.

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dei Persiani rimarrebbe una violazione di quanto prescritto dagli dei, e la successiva considerazione sull’inganno divino non renderebbe questa sequenza di pensiero preferibile, perché nemmeno in questo caso sarebbe chiaro in che modo possa intervenire l’inganno. Sarei pertanto incline a mantenere il testo tradito e a interpretarlo come proposto poco sopra, vista la coerenza tra la sequenza di pensiero espressa dal testo e le parole di Dario. Oltre a quanto osservato, in questo modo risulta posta infatti una certa enfasi sull’attraversamento del mare (e l’aggiogamento dell’Ellesponto) come significativo della rovina dei Persiani: non nel senso che a causa di questo gesto Serse attira la malevolenza degli dei, ma in quanto questo gesto rappresenta il momento in cui le due componenti si incontrano, azione umana e intervento divino; concetto espresso anche da Dario quando afferma che la stoltezza dell’aggiogamento dell’Ellesponto è frutto di un morbo impadronitosi della mente di Serse e della partecipazione di un dio alle sue azioni. Questa ipotesi risulta ulteriormente confortata dal fatto che anche nel κομμός finale quella che prevale è l’insistenza sul fatto che un δαίμων, colpendo i Persiani, ne ha provocato la rovina387, senza alludere al motivo per

ciò accade. Si direbbe pertanto che quello che provoca la rovina dei Persiani è il mutamento della disposizione divina nei loro confronti; il discorso moraleggiante di Dario appare dunque più come un monito rivolto al proprio popolo a non commettere empietà come quelle effettuate contro i templi greci, e come un generale invito a praticare moderazione nei tempi difficili che si presentano, perché il futuro ha in serbo altre sciagure388. Non sembra dunque

che Dario accusi il figlio perché questo ha commesso una determinata azione che lo ha portato alla rovina; tutto quello che può dire sul suo comportamento è che non si è attenuto ai suoi consigli e che è caduto vittima dello φθόνος degli dei. Sarei dunque propenso a ritenere che la tragedia non suggerisca una

387 Aesch.Pers.909-12, 918-21, 941-3, 1005-15. 388 Aesch.Pers.814s.

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motivazione chiara per la rovina di Serse, e che sia lo φθόνος degli dei che il motivo della ὕβρις sembrano volutamente lasciati coesistere per suscitare una maggiore riflessione e probabilmente, come vedremo, una maggiore empatia nei confronti del sovrano sconfitto. Da ὕβρις, infatti, devono guardarsi tutti gli uomini, ma Serse per primo è stato colpito dallo φθόνος degli dei.