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L’ ESERCIZIO DEL POTERE : PADRI E FIGLI

3. D ARIO E S ERSE

3.2. L’ ESERCIZIO DEL POTERE : PADRI E FIGLI

Il giudizio negativo espresso da Dario nei confronti del figlio sarebbe pertanto da considerare circoscritto al modo in cui Serse esercita il proprio potere: padre e figlio risultano infatti contrapposti in quanto il primo è rappresentato come sovrano idealizzato e modello, il secondo come monarca assoluto e irresponsabile389. L’inizio del terzo stasimo è particolarmente significativo in

quanto offre una descrizione del potere esercitato da Dario nella rievocazione fatta dai Fedeli:

Χο. ὦ πόποι ἦ μεγάλας ἀγαθᾶς τε πο- λισσονόμου βιοτᾶς ἐπεκύρσαμεν, εὖθ᾽ ὁ γηραιὸς πανταρκὴς ἀκάκας ἄμαχος βασιλεὺς ἰσόθεος Δαρεῖος ἆρχε χώρας. [στρ. α 855

In questa strofe si condensano i caratteri specifici del modo in cui Dario intendeva il proprio potere e lo applicava per garantire prosperità all’impero, e di conseguenza la spiegazione per cui viene descritto dai Fedeli come un sovrano modello. πολισσονόμος è infatti neoformazione eschilea che anche nella sua unica altra ricorrenza è accostata alla nozione di ἀρχή390; questo

nesso descrive il potere esercitato da Dario, con una forzatura non indifferente e per noi ancor più significativa, come capace di garantire agli abitanti dell’impero quel tipo di vita solitamente garantito dalle istituzioni politiche

389 Parara 2010, 93-8.

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della πόλις. L’ἀρχή che prende forma nella πόλις si direbbe caratterizzata dall’essere attuabile in uno spazio fisico definito in cui si riunisce una collettività che trae vantaggio da questo stesso stare insieme391. Tutte queste

condizioni si trovano espresse in questa strofe: la collettività rievocata in prima persona dal coro si dice esser stata partecipe di una vita giusta e πολισσονόμος (con il notevole uso della reggenza del genitivo da parte del verbo), quando Dario esercitava il suo potere sul territorio dell’impero; come conseguenza di questo modo di gestire il potere il sovrano viene elogiato come perfetto e invincibile. Questa descrizione del resto è coerente con i titoli e le caratteristiche riferiti al sovrano defunto su cui ci siamo soffermati finora, che nell’insieme tratteggiano un sovrano virtuoso capace di garantire protezione e prosperità al suo impero. Un altro indizio verso questa grecizzazione del tipo di potere esercitato da Dario potrebbe trovarsi anche alla fine del riepilogo dei predecessori del vecchio sovrano: nel descrivere il momento in cui questo ottiene il potere Eschilo fa infatti ricorso al sostantivo πάλος392, alludendo probabilmente alla pratica ateniese per cui le

magistrature venivano assegnate a sorteggio. Quello che si può osservare a partire da queste considerazioni è che il poeta definisce Dario come sovrano virtuoso anche attraverso il filtro delle istituzioni politiche ateniesi. Secondo un procedimento che abbiamo più volte riscontrato nei Persiani, egli si serve dunque della mediazione di pratiche note al suo pubblico per presentare un modello di monarchia positivo e ben diverso da quello rappresentato da Serse. Con questo non si vuole ovviamente suggerire che Eschilo stia cercando

391 Marrucci 2010b, 138, 206-11.

392 Aesch.Pers.774-9: πέμπτος δὲ Μάρδος ἦρξεν, αἰσχύνη πάτρᾳ / θρόνοισί τ᾽ ἀρχαίοισι:

τὸν δὲ σὺν δόλῳ / Ἀρταφρένης ἔκτεινεν ἐσθλὸς ἐν δόμοις, / ξὺν ἀνδράσιν φίλοισιν, οἷς τόδ᾽ ἦν χρέος / κἀγὼ: πάλου τ᾽ ἔκυρσα τοῦπερ ἤθελον. Per lo stesso uso del sostantivo in Eschilo cff.Sept.55s: κληρουμένους δ’ ἔλειπον, ὡς πάλωι λαχὼν / ἕκαστος αὐτῶν πρὸς πύλας ἄγοι λόχον, 124-6: ἑπτὰ δ’ ἀγήνορες πρέποντες στρατοῦ / δορυσσοῖς σαγαῖς πύλαις †ἑβδόμαις† / προσίστανται πάλωι λαχόντες, 458s: λέξω· τρίτωι γὰρ Ἐτεόκλωι τρίτος πάλος / ἐξ ὑπτίου ’πήδησεν εὐχάλκου κράνους.

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di mostrare ai suoi spettatori un esempio realistico di monarchia positiva; ciò che gli interessa è piuttosto definire i due personaggi in merito al loro rapporto con il potere per i suoi fini drammaturgici. Quello che si rivela altrettanto interessante è che nello stesso tempo il poeta conduce attraverso la sua poesia una più ampia riflessione sui modi in cui le istituzioni democratiche ‒ e più generalmente politiche ‒ possono declinarsi, e che lo fa anche attraverso il confronto tra due diverse rappresentazioni del potere monarchico393. In questo modo tenderei a leggere anche l’ultima coppia

strofica del primo stasimo, in cui i Fedeli manifestano le proprie preoccupazioni per la caduta dei νόμοι persiani nei territori dell’impero394. Se

molti hanno visto una prospettiva ateniese nelle parole usate dal coro, questo accade perché la tragedia ateniese è espressione di un discorso civico al quale partecipa attivamente, ma attraverso la propria forma drammatica; nel portare avanti questo processo di scomposizione e analisi delle forme del potere non ha bisogno di ricorrere a un’interruzione della finzione nello svolgimento della vicenda rappresentata, né, allo stesso tempo, al tentativo di mascherare la propria prospettiva ateniese; le due componenti possono convivere anche in un dramma ambientato e incentrato sulla Persia perché il codice tragico lo consente.

Inoltre, nel trattare il personaggio di Serse Eschilo può analizzare come un certo modo di esercitare il potere può rivelarsi fallimentare non solo per chi lo detiene, ma anche per la comunità intera, avendo per questa conseguenze catastrofiche395. Com’è evidente, quest’operazione non costituisce una

divagazione dalla vicenda rappresentata, ma è anzi richiesta dallo stesso

393 Marrucci 2010b, 2-11, 41-5, 52-9, Kennedy 2013, 64s, 76-81. 394 §2.4.

395 Paduano 2013, 7: «I Persiani riportano la vicenda a una responsabilità individuale che per

di più, in un regime assolutistico, sembra invertire a proprio vantaggio i condizionamenti che nella civiltà greca il singolo subisce dall’insieme: la sua volontà coincide infatti senza riserve con la politica nazionale e sovranazionale, cioè imperiale».

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svolgimento del dramma; il fatto che a trascinare con sé l’impero nella rovina sia Serse piuttosto che Dario, che esprime una condanna così netta del modo in cui il figlio gestisce il potere, richiede che il personaggio di Serse sia caratterizzato come un modello di sovrano particolarmente negativo e fallimentare. Per fare ciò, Eschilo allude agli estremi a cui può portare il tipo di potere del Gran Re, ricorrendo al rovesciamento di alcuni elementi tratti dalla democrazia ateniese e noti al suo pubblico. Si è già ricordata la puntualizzazione della regina sul fatto che Serse non deve render conto del proprio potere: è vero che la donna sembra pronunciare quella frase più per cercare conforto dopo la rievocazione del suo sogno e del presagio che per affermare la posizione di Serse, ma rimane comunque il fatto che, a meno che non intervengano sciagure straordinarie ‒ come quella che porterà infine il sovrano a riconoscere la propria colpa davanti all’atteggiamento inquisitorio dei Fedeli ‒ Serse è davvero ἀνυπεύθυνος, contrariamente a quanto previsto per i magistrati ateniesi in base alle istituzioni politiche democratiche. Inoltre, attraverso le parole del messaggero veniamo a sapere che il sovrano non si astiene dal minacciare di morte i suoi soldati per esortarli ad adempiere con maggiore zelo alle sue istruzioni396; l’opposizione con Dario, che viene

descritto come un padre privo di mali dedito al benessere degli abitanti dell’impero, non potrebbe essere più netta. Tuttavia, l’elemento su cui si dovrebbe porre la nostra attenzione in tal proposito è proprio quello che nella parodo e nel discorso di Dario viene indicato come il momento in cui l’azione del giovane sovrano si accompagna all’intervento del dio, provocando la rovina per i Persiani: l’aggiogamento dell’Ellesponto. Se infatti sono persuaso che sia il motivo dello φθόνος divino a percorrere l’intera tragedia, d’altro canto credo che Eschilo richiami la nostra attenzione sul mare e sull’atto di aggiogarlo come elementi quantomeno evocativi della rovina di Serse e

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quindi dell’impero persiano. Al di là della descrizione del passaggio dell’esercito presente nella parodo, è infatti significativo che il coro accosti l’avanzata inarrestabile dell’esercito all’impeto invincibile del mare:

Χο. δόκιμος δ᾽ οὔτις ὑποστὰς μεγάλωι ῥεύματι φωτῶν ἐχυροῖς ἕρκεσιν εἴργειν ἄμαχον κῦμα θαλάσσας· ἀπρόσοιστος γὰρ ὁ Περσᾶν στρατὸς ἀλκίφρων τε λαός.

[ἀντ. β 90

Secondo quel modulo che abbiamo riscontrato spesso nel corso di questo lavoro, a questa potenza corrisponderà, dopo la rovinosa battaglia di Salamina, una marea di mali per tutti gli abitanti dell’impero397. Anche nella

prima coppia strofica del primo stasimo il coro pone la significativa corrispondenza anaforica tra Serse e le navi in quanto responsabili della rovina dell’esercito e dell’impero:

Χο. νῦν γὰρ δὴ πρόπασα μὲν στένει γαῖ᾽Ἀσιὰς ἐκκεκενωμένα. Ξέρξης μὲν ἄγαγεν, ποποῖ, Ξέρξης δ᾽ ἀπώλεσεν, τοτοῖ, Ξέρξης δὲ πάντ᾽ ἐπέσπε δυσφρόνως βαρίδεσσι ποντίαις. τίπτε Δαρεῖος μὲν οὐ καὶ τότ᾽ ἀβλαβὴς ἐπῆν τόξαρχος πολιήταις, Σουσίδος φίλος ἄκτωρ; πεζούς γὰρ τε καὶ θαλασσίους λινόπτεροι κυανώπιδες νᾶες μὲν ἄγαγον, ποποῖ, νᾶες δ᾽ ἀπώλεσαν, τοτοῖ, νᾶες πανωλέθροισιν ἐμβολαῖς. διὰ τ᾽ Ἰαόνων χέρας τυτθὰ δὴ ᾽κφυγεῖν ἄνακτ᾽ αὐτὸν εἰσακούομεν Θρήικας ἂμ πεδιήρεις δυσχίμους τε κελεύθους. [στρ. α 550 555 [ἀντ. α 560 565 397 Aesch.Pers.433s: αἰαῖ, κακῶν δὴ πέλαγος ἔρρωγεν μέγα / Πέρσαις τε καὶ πρόπαντι βαρβάρων γένει.

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Il riferimento è senz’altro a Salamina, dei cui eventi sono appena diventati consapevoli gli abitanti dell’impero; ma mi sembra plausibile pensare che nello stesso tempo vengano evocate anche le barche con cui viene aggiogato l’Ellesponto, specialmente per il fatto che Eschilo usa prima il sostantivo βᾶρις e poi il più usuale ναῦς. Sulla base dei passi già citati nel paragrafo §2.1 si era concluso che il termine βᾶρις sembra riferirsi a imbarcazioni egiziane per il trasporto, e specificamente nilotiche in Erodoto; quest’ultimo si direbbe anche il significato da intendere in questa strofe, dal momento che l’uso dell’aggettivo πόντιος si potrebbe spiegare come necessario alla puntualizzazione che le barche vengono utilizzate in modo diverso da quello a cui sono normalmente destinate398. Sono d’accordo con Garvie nel sostenere

inoltre che la lezione con il dativo sia da preferire a quella che riporta il nominativo βάριδες τε πόντιαι399, in quanto a differenza di quanto accade

nell’antistrofe le barche rappresentano qui lo strumento dell’azione di Serse, sul quale l’anafora fa ricadere l’intera responsabilità di quanto descritto nella strofe. Ritengo infatti che la strofe alluda esattamente al momento in cui Serse, servendosi delle barche ‒ che non sono la causa della rovina connessa al suo gesto, ma lo strumento con cui Serse realizza l’inganno del dio ‒, aggioga l’Ellesponto, servendosi di un termine che si riferisce a delle imbarcazioni che hanno una funzione diversa da quella delle νᾶες da guerra dell’antistrofe. A questo si può aggiungere che nella στιχομυθία tra la regina e Dario, prima ancora che questo condanni apertamente l’aggiogamento dell’Ellesponto effettuato da Serse, il vecchio sovrano si informa subito sulle modalità di conduzione dell’esercito: Βα. Δα. Βα. διαπεπόρθηται τὰ Περσῶν πράγμαθ᾽, ὡς εἰπεῖν ἔπος. τίνι τρόπωι; λοιμοῦ τις ἦλθε σκηπτὸς ἢ στάσις πόλει; οὐδαμῶς: ἀλλ᾽ ἀμφ᾽ Ἀθήνας πᾶς κατέφθαρται στρατός. 715 398 Broadhead 1960, 147. 399 Garvie 2009, 239.

102 Δα. Βα. Δα. Βα. Δα. Βα. Δα. Βα. Δα. τίς δ᾽ ἐμῶν ἐκεῖσε παίδων ἐστρατηλάτει; φράσον. θούριος Ξέρξης, κενώσας πᾶσαν ἠπείρου πλάκα. πεζὸς ἢ ναύτης δὲ πεῖραν τήνδ᾽ ἐμώρανεν τάλας; ἀμφότερα: διπλοῦν μέτωπον ἦν δυοῖν στρατευμάτοιν. πῶς δὲ καὶ στρατὸς τοσόσδε πεζὸς ἤνυσεν περᾶν; μηχαναῖς ἔζευξεν Ἕλλης πορθμόν, ὥστ᾽ ἔχειν πόρον. καὶ τόδ᾽ ἐξέπραξεν, ὥστε Βόσπορον κλῆισαι μέγαν: ὧδ᾽ ἔχει: γνώμης δέ πού τις δαιμόνων ξυνήψατο. φεῦ μέγας τις ἦλθε δαίμων ὥστε μὴ φρονεῖν καλῶς. 720 725

Ovviamente è logico che venendo a sapere di una spedizione contro la Grecia, il sovrano chieda in che modo vi sia stato condotto l’esercito: ma non si direbbe per questo meno significativo il fatto che attraverso le sue domande il dialogo verte sin da subito sull’aggiogamento del mare. Si direbbe dunque che la tragedia sin dall’inizio predispone il pubblico a prestare una certa attenzione al mare e al suo aggiogamento, che costituirà poi il motivo centrale della condanna di Dario in merito al modo in cui Serse esercita il proprio potere. Nel descrivere l’atto compiuto dal figlio il vecchio sovrano specifica infatti che Serse, pur essendo mortale, esercitò il suo κράτος su Poseidone e gli altri dei400: l’uso di questa nozione in questo contesto caratterizza Serse in

un modo ben diverso da come Dario era detto regnare dai Fedeli. In primo luogo, dal momento che Poseidone è il dio del mare, aggiogandolo con il ponte di barche Serse va oltre il campo d’azione del κρατεῖν, che normalmente si definisce anche sulla base di delimitazioni spaziali che in questo caso vengono del tutto infrante401. In secondo luogo, Dario descrive il

gesto del figlio come portatore di un rovesciamento nel rapporto tra l’uomo e il dio, e nello specifico come un modo fortemente contraddittorio di esercitare il potere che il dio gli ha affidato. Il κράτος è infatti conferito all’uomo dalla divinità, e si caratterizza in quanto viene imposto da chi lo detiene su coloro

400 Aesch.Pers.749s: θνητὸς ὢν θεῶν τε πάντων ᾤετ᾽, οὐκ εὐβουλίᾳ, / καὶ Ποσειδῶνος

κρατήσειν.

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su cui viene esercitato, affermando una superiorità di tipo relazionale402; le

parole di Dario di conseguenza spiegano chiaramente che Serse compie l’assurda azione di esercitare il κράτος concessogli dagli dei contro gli dei stessi. Il successivo discorso del sovrano, incentrato sulla rievocazione dei re di Persia passati, serve proprio a differenziare Serse dai suoi predecessori sulla base di questa crisi creata dal giovane re, che ha provocato una rottura con il modo in cui fino a quel momento era stato esercitato il potere da chi era al comando: Zeus stabilì infatti che un solo uomo portasse lo scettro del potere sull’Asia; dopo un medo e suo figlio, Ciro regnò con giudizio, e per questo non fu inviso agli dei403; dopo il figlio di questo e l’assassinio di Mardo, lo

stesso Dario ottenne poi il potere per volere del fato, quindi nuovamente per elezione divina404. La stessa presenza del disonorevole Mardo serve a far

ricadere un discredito ancora più grande sulla condotta di Serse, dal momento che Dario specifica che nessuno prima di lui fu autore di una disgrazia tanto grande: Serse non potrebbe apparire più diverso, in quanto esercita il potere in modo del tutto discorde anche dal suo predecessore più disprezzabile405. 402 Id., 38-41.

403 Aesch.Pers.772: θεὸς γὰρ οὐκ ἤχθηρεν, ὡς εὔφρων ἔφυ. 404 Aesch.Pers.759-86.

405 E’ importante ricordare la vicinanza tra la genealogia dei sovrani di Persia evocata nella

tragedia e l’iscrizione di Bisitun, in cui il Dario storico si presenta come legittimo sovrano offrendo la sua versione del modo in cui prese il potere (Brosius 2000, 30). Le due versioni, pur differenziandosi relativamente al modo in cui Dario ottiene il potere, sono essenzialmente coerenti (Broadhead 1960, 192, 278s, Tourraix 1984, 134, Garvie 2009, xii-iv, 300, Kennedy 2013, 65) e hanno in comune l’insistenza sulla legittimità della successione monarchica. Il dato importante da sottolineare è che nella sua iscrizione Dario si presenta come legittimo non solo attraverso la sua ascendenza genealogica, ma soprattutto per mezzo della derivazione del suo potere da Ahuramazda (Briant 1996, trad. ing. 2002, 171; Wiesehofer 2009, 67). Eschilo sembrerebbe registrare questa caratteristica, in quanto nella tragedia le parole di condanna di Dario pongono un’enfasi particolare sul fatto che Serse ha calpestato proprio il favore divino che caratterizza il potere regale, rompendo nettamente con il modo di esercitare il potere dei propri predecessori. Ovviamente il fatto che anche presso i Greci il κράτος era concepito come oggetto di una concessione del dio ci porta ad esercitare cautela; eppure considerando che il poeta mette in risalto lo stesso nesso tra regalità, derivazione divina e ascendenza genealogica presente nell’iscrizione, vale quantomeno la pena di prendere in considerazione l’ipotesi che gli spettatori di Eschilo potessero conoscere questo aspetto della monarchia achemenide, e che il poeta l’abbia enfatizzato trovandovi un punto di incontro tra le due tradizioni, greca e persiana, per presentare negativamente Serse.

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Un’ultima considerazione andrebbe fatta prima di concludere questo capitolo. Sono del parere che questa rottura causata dal giovane sovrano sia da considerare insieme a quanto detto dalla regina sul fatto che Serse avviò la spedizione contro la Grecia perché accusato di non accrescere l’ὄλβος lasciatogli dal padre a causa della sua ἀνανδρία406. Lo stesso dialogo tra la

regina e Dario esorta a interpretare in tal senso, dal momento che il vecchio sovrano puntualizza che in seguito a queste accuse Serse con le sue azioni ha perduto la prosperità dell’impero achemenide. Da un punto di vista bisogna riconoscere che questa motivazione viene introdotta improvvisamente nella tragedia407, e che viene peraltro presentata come una giustificazione della

donna per il tentativo fallito del figlio. Tuttavia, ritengo che sia da tenere in seria considerazione per via della sua vicinanza con lo stasimo immediatamente successivo, in cui i Fedeli si soffermano sui territori conquistati da Dario e oltre i quali Serse non è riuscito a spingersi, rievocando dunque l’opposizione tra padre e figlio così ingombrante per il giovane sovrano. In questa stessa direzione andrebbero del resto le parole della regina che descrivono la spedizione di Serse come un desiderio di rivalsa contro la Grecia per la precedente sconfitta di Maratona408. Dando infatti un giusto peso

a questi passi del dramma, Serse risulta effettivamente schiacciato dalla memoria del padre al punto da essere stato quasi costretto a tentare l’impresa contro la Grecia, in quanto non farlo avrebbe significato riconoscere a priori la propria inadeguatezza rispetto al padre, non cercando di accrescerne l’ὄλβος. Del resto questa lettura si direbbe in linea con l’enfasi che nel corso della tragedia viene posta sulla grande quantità di risorse impiegate e poi

406 Aesch.Pers.754-8: ταῦτά τοι κακοῖς ὁμιλῶν ἀνδράσιν διδάσκεται / θούριος Ξέρξης: λέγουσι δ᾽ ὡς σὺ μὲν μέγαν τέκνοις / πλοῦτον ἐκτήσω ξὺν αἰχμῇ, τὸν δ᾽ ἀνανδρίας ὕπο / ἔνδον αἰχμάζειν, πατρῷον δ᾽ ὄλβον οὐδὲν αὐξάνειν / τοιάδ᾽ ἐξ ἀνδρῶν ὀνείδη πολλάκις κλύων κακῶν / τήνδ᾽ ἐβούλευσεν κέλευθον καὶ στράτευμ᾽ ἐφ᾽ Ἑλλάδα. 407 Michelini 1982, 149s. 408 Aesch.Pers.472-9.

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perdute da Serse, e soprattutto trova un riscontro nelle parole intonate dal sovrano che danno inizio al κομμός finale: ὅδ᾽ ἐγών, οἰοῖ, αἰακτὸς, / μέλεος γένναι γᾶι τε πατρωιαι / κακὸν ἄρ᾽ ἐγενόμαν409. Un elemento che potrebbe

costituire un problema per questa interpretazione è il fatto che questa particolare condizione in cui si trova Serse, di dover tentare l’impresa per dimostrare di essere all’altezza del padre, viene rivelata solo dopo che la sciagura si è abbattuta sulla Persia, cioè dopo che l’impresa si è già rivelata catastrofica: la condizione in cui si trova Serse si direbbe essere insomma un’insolita impasse a posteriori. Eppure in una tragedia come i Persiani, che come abbiamo visto riserva particolare attenzione alle aspettative del pubblico e all’elemento sorpresa, una rivelazione del genere a questo punto della tragedia non risulta fuori luogo. Poco prima dell’entrata in scena del sovrano sconfitto doveva intervenire infatti una spiegazione del suo comportamento che doveva suscitare nel pubblico reazioni ambivalenti e difficili da immaginare. Considerando infatti che Serse con le sue azioni tenta di difendersi da un’accusa di ἀνανδρία, questo tentativo probabilmente poteva essere condiviso da buona parte degli spettatori di Eschilo; ma la prova di coraggio di Serse implica proprio la conquista della Grecia. Dei commentatori cui ho fatto ricorso l’unico che si sofferma su questa tematica è Rosenbloom, il quale però si concentra sul fatto che il dovere di Serse di espandere l’ὄλβος paterno costituisce a suo dire una maledizione ereditata, dal momento che il giovane sovrano si ritrova bloccato tra ἀνανδρία e ὕβρις410. Tuttavia, per via del momento dello svolgimento drammatico in cui

viene rivelata questa informazione, non mi sembra il caso di spingersi a tanto, ma di soffermarsi semmai sul fatto che questa interviene a porre Serse sotto una luce diversa subito prima del suo ingresso. Dopo che la regina aveva rivelato le intenzioni del giovane sovrano, e che il successivo stasimo aveva

409 Aesch.Pers.931-3. 410 Rosenbloom 2006, 94-7.

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rievocato le conquiste di Dario oltre cui Serse non era riuscito a spingersi, nel successivo cambio di scena questo doveva risultare sovrastato dal padre anche a livello visivo; inoltre, come abbiamo visto, il sovrano sconfitto non doveva nemmeno reggersi sulle proprie ginocchia una volta riavuto il ricordo del padre alla vista dei Fedeli411: lo svolgimento drammatico si direbbe

rovesciare la presentazione mostruosa del Gran Re presente nella parodo, probabilmente non senza suscitare una certa compassione nei confronti di Serse412. Non ci si addentrerà nel merito della questione, ma è ragionevole

immaginarsi che le reazioni a questa tragedia fossero varie e diverse413. Eschilo

ha del resto portato sulla scena il responsabile di un conflitto che aveva appena causato vittime e distruzione in Grecia e ad Atene, e con cui ancora il mondo greco era chiamato a confrontarsi, mostrando le conseguenze catastrofiche della sua disfatta avvenuta per meriti soprattutto ateniesi. Nello stesso tempo, senza suggerire quale fosse il motivo per cui il suo personaggio fosse incorso nella rovina, doveva lasciare alla sua audience un senso di instabilità della condizione umana che difficilmente avrebbe potuto far estinguere le reazioni dei suoi spettatori nella propria autocelebrazione di cittadini ateniesi e nella ridicolizzazione del nemico sconfitto. Nel rievocare la sconfitta persiana il poeta presenta infatti un personaggio che venendo colpito dall’inganno divino ha perduto tutto, trascinando con sé nella rovina l’impero ereditato e dimostrandosi non solo inadeguato rispetto al padre, ma un fallimento nei confronti della sua intera stirpe. Se a questo si aggiungono, come visto nel precedente capitolo, il modo in cui la regina e i Fedeli si dibattono nel corso della tragedia tra la preoccupazione e il dolore per il sovrano e i guerrieri asiatici caduti, preparando l’arrivo di Serse che poi culmina nel particolare θρῆνος con cui infine si concludeva la tragedia, risulta

411 Aesch.Pers.913s.

412 Broadhead 1960, xv-viii, xxivs, Taplin 1977, 127. 413 Goldhill 1988, 192, Pelling 1997, 14s.

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quantomeno plausibile immaginare che buona parte dell’audience di Eschilo fosse portata a rivivere anche i propri dolori legati alle guerre, in una comune rievocazione del dolore che doveva sfumare almeno per qualche ora le contrapposizioni percepite con i nemici sconfitti.

Per concludere, si può dire che le nostre posizioni avanzate nel precedente capitolo sulla rappresentazione dell’alterità persiana risultano comprovate dal modo in cui il contrasto tra Dario e Serse viene tematizzato nel corso della tragedia. In primo luogo risulta infatti evidente che la morale di cui è depositario Dario non viene presentata come una morale tipicamente greca che colpisce i Persiani in quanto di per sé predisposti agli eccessi, dal momento che viene già anticipata dalle parole e dai comportamenti della