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I L K OMMÒS DI S ERSE E LA REALIZZAZIONE DELLE ASPETTATIVE

2. L A RAPPRESENTAZIONE DELL ’ ALTERITÀ NEI P ERSIANI

2.7. I L K OMMÒS DI S ERSE E LA REALIZZAZIONE DELLE ASPETTATIVE

rappresentazione eschilea del sovrano di Persia: la sua presentazione mitologica tratteggiata nella parodo, che gli conferisce tratti insieme divini e terrificanti; la concezione assolutistica e accentratrice che i Fedeli hanno del potere del giovane sovrano, esplicitata dalla metafora dello sciame d’api; la sua caratterizzazione di figlio inesperto e privo di giudizio, in contrapposizione alla virtuosa gestione del potere da parte del padre. A ciò si può aggiungere la sua roboante titolatura (αὐτὸς ἄναξ Ξέρξης βασιλεὺς Δαρειογενής313, βασιλεὺς μέγας314) e in generale la terminologia con cui

313 Aesch.Pers.5s. cf.144: Ξέρξης βασιλεὺς Δαρειογενὴς. 314 Aesch.Pers.24: βασιλῆς βασιλέως ὕποχοι μεγάλου.

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viene descritto (θούριος ἄρχων315, ἰσόθεος φώς χρυσογόνου γενεᾶς316,

ὄρχαμος στρατοῦ317, ποιμάνωρ318). Una tale enfasi sulla sua caratterizzazione

doveva rendere il Gran Re tutt’altro che assente dalla mente degli spettatori nel corso della tragedia: sin dalla parodo infatti i Persiani si presentano come un dramma incentrato sull’angosciosa attesa per il νόστος del Gran Re e dell’esercito319; un’attesa che rende l’entrata in scena del sovrano nello stesso

tempo sorprendente ma anche la realizzazione di un evento progressivamente preparato dai personaggi che si sono avvicendati sulla scena320, dunque il compimento di una vera e propria climax321. L’apparizione

di Serse doveva risultare sorprendente in primo luogo perché più volte sospirata, allusa e rimandata nel corso della tragedia322; di conseguenza la

reiterata procrastinazione dell’avvenimento doveva frustrare l’aspettativa dell’audience al punto che alcuni spettatori avrebbero potuto plausibilmente iniziare a nutrire dubbi sulla sua effettiva realizzazione. In secondo luogo, perché infine si realizza contravvenendo alle istruzioni date da Dario alla regina e alla conseguente dichiarazione della donna di farsi incontro al figlio per aiutarlo a cambiarsi d’abito323; considerando l’autorità di Dario e il ruolo

fondamentale avuto dalla sua scena nello svolgimento della vicenda drammatica, doveva sembrare molto probabile che i personaggi intendessero uniformarsi ai suoi precetti, specialmente dopo l’ulteriore conferma data dalla regina in tal senso. L’ingresso del sovrano disarmato, senza scorta, in stracci e a piedi324 subito dopo il terzo stasimo doveva dunque giungere piuttosto

315 Aesch.Pers.74. 316 Aesch.Pers.81. 317 Aesch.Pers.130. 318 Aesch.Pers.241. 319 Aesch.Pers.8-20, 59-64, 133-9. 320 Saïd 1988, 339.

321 Broadhead 1960, xxiii, xxxiv, Garvie 2009, 337.

322 Aesch.Pers.8-20, 59-64, 133-9, 299, 465-70, 527-31, 737s. 323 Aesch.Pers.832-8, 845-51.

324 Così anche Taplin 1977, 121-7 e Garvie 2009, 338-40. Diversamente Broadhead 1060, 223 e

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inaspettato. D’altro canto, lo stesso fatto che il νόστος del re venisse ripetutamente menzionato doveva rendere la sua realizzazione una sorpresa quantomeno non assoluta. Dall’inizio della tragedia infatti pur essendo fisicamente assente il sovrano è continuamente presente nei pensieri dei Fedeli e dalla regina, che contribuiscono a prepararne l’arrivo. Come si è visto, sia i coreuti che la donna manifestano infatti il presentimento e poi la consapevolezza che la grandezza, la ricchezza e l’abbondanza dell’impero persiano equivarranno a una rovina altrettanto grande325, e attraverso i loro

rispettivi punti di vista si precisa l’idea che la rovina attirata su di sé dal Gran Re avrà delle conseguenze su tutto l’impero326. A partire da queste loro

caratteristiche in comune, tuttavia, si distinguono i loro modi specifici di proiettare l’attenzione e le aspettative del pubblico su Serse e sul suo arrivo: la regina infatti appare mossa soprattutto dalla preoccupazione per l’assenza del figlio e dalla necessità di limitare le conseguenze della catastrofe, cercando di mantenere saldo il potere del Gran Re finché questo non potrà tornare a vigilare sul suo οἶκος327; i Fedeli, invece, esprimono in modo più diretto lo

stato d’animo degli abitanti dell’impero in seguito alla sciagura328, e fanno

ricadere sul giovane sovrano il peso dei gloriosi tempi passati di Dario, di cui il figlio non si dimostra all’altezza329. Conseguentemente a quest’ultimo

sarebbe indicato dai vv.1000s: ἔταφον ἔταφον οὐκ ἀμφὶ σκηναῖς / τροχηλάτοισιν ὄπιθεν δ᾽ἑπομένους. Ma come si cercherà di mostrare a breve, il tono e il senso delle immagini evocate nel resto della tragedia per preparare l’arrivo di Serse suggeriscono di leggere il riferimento al carro in linea con il mancato arrivo dei guerrieri persiani: non sono tornati né i guerrieri, né il carro, perché la disfatta è stata totale. Inoltre, l’eventuale contrasto visivo tra le vesti stracciate di Serse e il suo carro non si direbbe significativo quanto lo è quello tra la roboante e magnifica marcia dei guerrieri asiatici partiti con carri a doppio e triplo timone (vv.45s) e l’arrivo del sovrano, alla fine della tragedia, sconfitto, solo, in stracci e a piedi.

325 Aesch.Pers.8-20, 56-54, 115-39, 532-97, 918-30 e il κομμός finale nella sua interezza (Fedeli),

vv.161-9, 245, 433s, 438-40, 476s, 730, 732 (regina); v.§2.2, §2.4, §2.5. 326 Aesch.Pers.59-64, 120-5, 133-8, 532-47, 579-83 (Fedeli), vv.331s, 433s, 714, 718, 730, 732 (regina). 327 Aesch.Pers.161-9, 176-211, 226-30, 517-31, 845-51; §2.5. 328 Aesch.Pers.59-64, 120-5, 133-8, 532-47, 579-83; §2.4. 329 Aesch.Pers.548-97, 653-80, 852-907; §2.4.

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aspetto, un tratto che i Fedeli sembrano avere in comune con Dario piuttosto che con la regina è la consapevolezza della responsabilità avuta dal giovane sovrano in merito alla spedizione330.

Prima di dedicarci all’analisi del κομμός vero e proprio è opportuno fare una precisazione: non tutti gli interpreti sono infatti concordi quanto al modo in cui il sovrano doveva presentarsi sulla scena. Innanzitutto, mi direi d’accordo con Garvie a ritenere «out of the question331» l’ipotesi di coloro che vorrebbero

che la tragedia prevedesse una simbolica riabilitazione di Serse per mezzo di un cambio d’abito del sovrano, verificatosi o per via di un incontro con la regina avvenuto fuori scena, oppure davanti agli spettatori, con l’aiuto della regina o di soldati entrati assieme a lui332. Quest’interpretazione non risulta

credibile sulla base del testo, in quanto presenta una conclusione della tragedia incoerente con lo svolgimento drammatico della vicenda e con le tematiche da questa affrontate. Infatti, l’immagine delle vesti stracciate di Serse e il tema della sua pressoché totale solitudine nel tornare in patria fanno evidentemente parte di quegli espedienti con cui Eschilo rappresenta il passaggio dallo stato di grandezza dell’impero alla sua totale rovina333; un

cambio d’abito o la presenza di accompagnatori contrasterebbero dunque con l’andamento generale della tragedia, assumendo una tale rilevanza che richiederebbe quantomeno che fossero segnalati dal testo334. Nella quinta

coppia strofica del κομμός Eschilo sembra infatti servirsi della polisemia della lingua per descrivere Serse come contemporaneamente vestito di stracci e privo di scorta militare, e dunque nudo e senza difese:

330 Aesch.Pers.59-64, 120-5, 133-8, 548-97, 673-80, 918-30; §2.4. 331 Garvie, 2009, 338s.

332 Arnott 1989, 176s, Harrison 2000, 91.

333 Aesch.Pers.197-9, 468-70, 796-802, 832-8, 845-51, 1014-36.

334 Taplin 1977, 30 è categorico nel sostenere che gli elementi legati alla performance davvero

significativi per lo svolgimento della vicenda drammatica sono sempre segnalati dal testo. Si noti tra l’altro il v.1036: γυμνός εἰμι προπομπῶν, che sembra confermare proprio quanto detto sul significato evocato dalle immagini e dagli espedienti di cui Eschilo si serve nel corso della tragedia.

78 ΞΕ πῶς δ᾽ οὔ; στρατὸν μὲν τοσοῦτον [τάλας πέπληγμαι. ΧΟ τί δ᾽ οὔκ ὄλωλεν, μεγάλατε335 [Περσᾶν. ΞΕ ὁρᾶις τὸ λοιπὸν τόδε τᾶς ἐμᾶς [στολᾶς; ΧΟ ὁρῶ ὁρῶ. ΞΕ τόνδε τ᾽ ὀιστοδέγμονα ΧΟ τί τόδε λέγεις σεσωμένον; ΞΕ θησαυρὸν βελέεσσιν; ΧΟ βαιά γ᾽ ὡς ἀπὸ πολλῶν. ΞΕ ἐσπανίσμεθ᾽ ἀρωγῶν. ΧΟ Ἰάνων λαὸς οὐ φυγαίχμας. [στρ. ε 1016 1020 1025 ΞΕ ἀγαν ἄρειος: κατεῖδον δὲ πῆμ᾽ [ἄελπτον. ΧΟ τραπέντα ναύφρακτον ἐρεῖς [ὅμιλον; ΞΕ πέπλον δ᾽ ἐπέρρηξ᾽ ἐπὶ [συμφοᾶι κακοῦ. ΧΟ παπαῖ παπαῖ. ΞΕ καὶ πλέον ἢ παπαῖ μὲν οὖν. ΧΟ δίδυμα γάρ ἐστι καὶ τριπλᾶ. ΞΕ λυπρά, χάρματα δ᾽ ἐχθροῖς. ΧΟ καὶ σθένος γ᾽ ἐκολούθη. ΞΕ γυμνός εἰμι προπομπῶν. ΧΟ φίλων ἄταισι ποντίαισιν: [ἀντ. ε 1030 1035

Le corrispondenze tra strofe e antistrofe, poste in parallelo per il beneficio dell’analisi, sono evidenti: l’idea della grande rovina espressa al v.1016 corrisponde infatti nell’antistrofe alla rotta delle navi del v.1029, che è stata già additata dalla regina come responsabile di aver causato poi la disfatta dell’intero esercito336. Ma quello che più ci interessa mettere in rilievo è che

alla στολή del v.1017 corrisponde il πέπλος del v.1030; questo potrebbe

335 Con Page 1972, West 1990, Belloni 19942,, 283, Hall 1996, 174, Garvie 2009, 361 mantengo il

sospetto μεγάλατε, per quanto la sua unica altra ricorrenza, nella forma μεγάλατοι (Aesch.Eum.791, 821) è posta tra cruces da Sommerstein 1989, 242, ma accolta da Page. Si può osservare tuttavia che nel κομμός l’idea della rovina è tutt’altro che assente, ed è esplicitata ai vv.1007 (Ἄτα) e 1037 (ἄταισι). Inoltre, considerata l’importanza avuta del contrasto tra Dario e Serse nella tragedia, mantenendo μεγάλατε si instaurerebbe una significativa opposizione con il già citato vocativo ἄκακε, con cui era appellato Dario dai Fedeli nella scena della sua invocazione (vv.663, 671).

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portare a intendere il primo termine come ‘veste’ piuttosto che come ‘scorta’, se non fosse che l’atto di stracciarsi le vesti del v.1030 viene spiegato da Serse come una reazione alla catastrofe delle navi menzionata nel verso precedente: alla perdita della scorta, il sovrano si mostra visivamente indifeso attraverso la sua nudità. Sembra probabile dunque che la vaghezza semantica del sostantivo στολή sia volutamente ricercata, perché Eschilo se ne serve in un contesto in cui sta mettendo in rilievo entrambe le tematiche: la mancanza di difese del sovrano e il suo gesto di stracciarsi le vesti. Allo stesso modo, al v.1024 Serse si riferisce al momento in cui i superstiti rimasero senza la flotta, servendosi del perfetto ἐσπανίσμεθα; a questa espressione corrisponde nell’antistrofe il v.1036, in cui il sovrano dice, al tempo presente, di essere ‘nudo’ di scorta. Come conseguenza dell’esser rimasto privo della flotta durante la battaglia, adesso il sovrano è privo di difese: attraverso il termine γυμνός viene reso esplicito quello che era già alluso dall’ambiguità semantica del v.1017, esprimendo dunque il concetto che alla mancanza di scorta militare si accompagna la sua fragilità fisica, figurativamente rappresentata dalle sue vesti stracciate. Anche l’immagine della faretra partecipa a questo gioco di corrispondenze, visto che viene menzionata subito dopo il riferimento alla veste stracciata, e prima che venga specificato di esser rimasti in pochi e dunque senza difese (vv.1020-4); a questo corrisponde nell’antistrofe gioia per i nemici e disperazione per i Persiani, in quanto lo σθένος di questi ultimi è stato spezzato (1034s): anche la faretra quasi vuota esprime dunque la ‘nudità’ e la mancanza di scorta del sovrano e del suo impero. Questa coppia strofica, che è significativamente l’ultima prima del passaggio a un uso prevalente del giambo lirico, sviluppa un concetto di cui si è già parlato nel corso di questo lavoro. Ci si riferisce alla corrispondenza tra il corpo del re e l’impero, e alle loro condizioni strettamente legate; quest’immagine è peraltro già allusa nella parodo dalla descrizione mitologica di Serse, in cui questo viene detto πολύχειρ καὶ πολυναύτας

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(v.83), accostando dunque strettamente il suo corpo e l’esercito da lui guidato337. A sostegno di ciò si può inoltre osservare che prima dell’inizio del

κομμός il testo ci offre un ulteriore indizio: al suo ingresso Serse dice infatti che gli si scioglie la forza dalle ginocchia338, e nell’antistrofe i Fedeli evocano

l’immagine della terra asiatica piegata sulle proprie ginocchia339. Le due

espressioni suggeriscono che come a Serse viene meno la forza di stare in piedi, lo stesso impero persiano, sfiancato, è sulle proprie ginocchia: non solo dunque le vesti dilaniate del sovrano rappresentano le condizioni in cui versa l’impero, ma il territorio dell’impero corrisponde al corpo del Gran Re. Ipotizzando che le parole di Serse fossero accompagnate dall’atto di inginocchiarsi dell’attore, e che questo fosse rimasto in ginocchio fino all’immagine evocata dai Fedeli, possiamo inoltre immaginare una scena dalla grande potenza espressiva in cui la corrispondenza tra il sovrano e il suo impero doveva essere ancora più evidente agli occhi del pubblico. Purtroppo non possiamo avere la conferma che alle parole dell’attore si accompagnasse anche il suo gesto di mettersi in ginocchio. Eppure si può osservare che un eventuale inginocchiamento di Serse subito dopo il suo ingresso sarebbe funzionale all’opposizione tra i diversi piani d’altezza su cui è articolata la tragedia, e particolarmente efficace per il contrasto visivo con la precedente scena, in cui Dario appariva in alto sul suo tumulo, mostrando dunque il giovane sovrano in una posizione subalterna340.

Passando al κομμός, si può dire che da un punto di vista sia formale che contenutistico questo consiste in un θρῆνος riconducibile alle forme reali di lamentazione rituale ‒ con corrispondenze e ripetizioni di parole e suoni tra strofe e antistrofe, antifonalità, inviti a piangere, gridare e battersi sul petto ‒ in cui il sovrano e i Fedeli, che rappresentano tutti i Persiani, esprimono il loro

337 Rosenmeyer 1982, 139, Saïd 1988, 327.

338 Aesch.Pers.913: λέλυται γὰρ ἐμοὶ γυίων ῥώμη.

339 Aesch.Pers.929s: Ἀσία δὲ χθών, βασιλεῦ γαίας, / αἰνῶς αἰνῶς ἐπὶ γόνυ κέκλιται. 340 Di Benedetto-Medda 1997, 71.

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dolore in un crescendo emotivo interamente lirico di cui Serse si pone come ἐξάρχων341. Come già anticipato durante questo paragrafo, con l’arrivo del

sovrano il coro poteva finalmente chiedergli conto dell’accaduto. Questo risulta essere infatti l’atteggiamento dei Fedeli sin dall’introduzione del κομμός, in cui, senza indugiare in saluti ossequiosi, non mancano di far notare a Serse verso quale catastrofe egli abbia trascinato la Persia, ridotto in ginocchio tutta la terra asiatica e ucciso il fiore dei suoi uomini, privando l’impero dell’onore e dello splendore dei tempi passati342; anche se Dario non

è nominato esplicitamente, la menzione dell’antica gloria è sufficiente per mantenere vivo il contrasto del giovane sovrano con il padre. Inoltre, il riconoscimento dell’intervento di un δαίμων nel trascinare la Persia nella rovina non fa comunque desistere i Fedeli dal porre Serse davanti alle proprie responsabilità; il coro assolve dunque a tutte le funzioni che abbiamo riepilogato poco sopra. Si è già notato nel paragrafo §2.4 che questo atteggiamento parresiastico doveva apparire più consono a un Greco che a Persiani cui è imposto dal potere di tenere a freno la lingua343; l’impressione

che ne deriva è che la sciagura è così grande che l’ossequio verso il Gran Re può essere messo da parte, perché l’Asia intera adesso ha diritto a esprimere tutto il proprio dolore davanti al responsabile. Del resto, la prima coppia strofica comincia con il riconoscimento da parte del sovrano di esser stato motivo di rovina per l’impero: ὅδ᾽ ἐγών, οἰοῖ, αἰακτὸς / μέλεος γέννᾳ γᾷ τε πατρῴᾳ / κακὸν ἄρ᾽ ἐγενόμαν344; un’ammissione che doveva risultare

sorprendente quanto l’atteggiamento dei Fedeli se si considera la caratterizzazione di Serse nel corso della tragedia, ma assolutamente non fuori posto in questo θρῆνος. Questo andamento prosegue nella seconda

341 Broadhead 1960, 313-7, Di Benedetto 1978, 29, Medda 1997, 401, 409, Di Benedetto-Medda

1997, 270, Garvie 2009, 338-41.

342 Aesch.Pers.918-30.

343 Aesch.Pers.591-4. Broadhead 1960, xxv-xxvi, Hopman 2013, 66s, 70s. 344 Aesch.Pers.931-4.

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coppia strofica, dove i Fedeli cominciano a chiedere esplicitamente al Gran Re che ne è stato dei guerrieri persiani345; se il primo catalogo di guerrieri si

caratterizzava dunque per la sua maestosità, e il secondo in quanto catalogo di morte, questo nuovo elenco di nomi persiani si esprime invece nel lutto e nel tentativo di ottenere informazioni sull’accaduto dal diretto responsabile e unico superstite. In modo significativo, proprio in questi versi agli anapesti lirici si aggiunge un uso notevole del metro ionico a minore insieme al docmio e al coriambo346; lo scambio tra i Fedeli e Serse assume dunque il carattere di

un confronto dal grande trasporto emotivo, caratterizzato dalla sollecitazione a rivelare quanto successo e dal dolore provato nel rievocare le perdite e le sofferenze subite. Questo confronto appare tanto più sorprendente se si considera quanto detto dalla regina al termine del racconto del suo sogno, cioè che Serse non è ὑπεύθυνος347; sebbene il sovrano non appaia direttamente

sottoposto a un processo di revisione del proprio operato come avveniva in Atene al termine delle magistrature348, il riferimento esplicito a quella pratica

all’inizio della tragedia doveva far risaltare per contrasto il confronto ora mostrato sulla scena. Questo atteggiamento inquisitorio del coro è particolarmente rilevante per la nostra analisi sulla rappresentazione dell’alterità: oltre ad apparire come una forma di grecizzazione dei Fedeli, si direbbe infatti contraddire la presunta indecenza che si è voluta vedere come costitutiva in questo lungo lamento. Secondo Hall infatti questo θρῆνος doveva risultare insolito in quanto messo in atto da uomini, mentre in Atene i lamenti rituali erano riservati alle donne e comunque banditi nei loro eccessi; di conseguenza sia i Fedeli che Serse dovevano risultare ridicolizzati per il loro abbandonarsi a un lamento eccessivo e percepito come caratteristico di

345 Aesch.Pers.955-61, 967-73. 346 Broadhead 1960, 295. 347 Aesch.Pers.213.

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orientale effeminatezza349. A questo si potrebbe obiettare in primo luogo che

nelle Coefore Oreste intona assieme alla sorella e al coro un θρῆνος che non ha nulla di indecente, di conseguenza la partecipazione di un uomo a una lamentazione rituale rappresentata in una tragedia non doveva essere recepita necessariamente come una forma di ridicolizzazione350; in secondo

luogo, che ad Atene sembra fosse consentito un certo abbandono emotivo per gli anziani, come del resto sono i membri del coro dei Persiani351; in terzo

luogo, il fatto che questo lamento rituale condivide con la forma reale del θρῆνος diverse caratteristiche. Infatti, come si è già ricordato con Di Benedetto nel precedente paragrafo, il ricorrere alla rappresentazione di certe pratiche rituali tradizionali e dunque riconoscibili, per quanto mediate dalla forma tragica, doveva consentire di guidare la ricezione degli spettatori352. Nel

caso dell’invocazione di Dario la commistione di diverse forme rituali era sfruttata in modo evidente per destare lo stupore degli spettatori ma nello stesso tempo suggerire che si stava presentando una pratica estranea, in quanto evocatrice di un uomo divino. In questo caso, l’aderenza di questo lamento alle forme reali del θρῆνος doveva essere tale da consentire agli spettatori di comprendere senza troppe difficoltà quanto rappresentato da Eschilo: una grande manifestazione di dolore in risposta a una grande catastrofe. Inoltre, dal momento che l’intero svolgimento drammatico converge evidentemente verso la scena di Serse, questa avrebbe stonato con il resto del dramma se avesse previsto una ridicolizzazione dei personaggi partecipanti alla lamentazione rituale; per questo motivo in questo paragrafo si è molto insistito sull’aderenza della scena finale ai toni e alle immagini del resto della tragedia, anche se non appare una questione direttamente correlata alla rappresentazione dell’alterità.

349 Hall 1989, 83s, 131, Georges 1994, 102s. 350 Griffith 1999, 50.

351 Garvie 2009, 340. 352 Di Benedetto 1978, 29.

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Il riferimento all’alterità orientale è comunque evidente da due espressioni presenti nel κομμός che potrebbero alludere a forme di lamentazione rituale anatoliche. Nel paragrafo §2.1 si è accennato infatti alle espressioni Μαριανδυνὸς θρηνητήρ353 e στέρν᾽ ἄρασσε κἀπιβόα τὸ Μύσιον354, che

potevano mediare per gli spettatori di Eschilo l’alterità del popolo persiano; informazioni sulle pratiche di questi popoli potevano essere infatti note ai Greci attraverso l’opera di Ecateo e l’intensità di contatti culturali all’interno del mondo greco e dell’Egeo355. Si può aggiungere adesso che i Mariandini

erano una popolazione della Bitinia nota per una particolare forma di θρῆνος incentrata sulla morte o la scomparsa del giovane Bormio, eseguito con un tipo di αὐλός secondo la modalità ionica; in particolare, era usuale che colui che dava avvio a questo tipo di lamentazione fosse un uomo, e che durante il lamento i partecipanti al rito rievocassero la catastrofe in cui era scomparso il giovane simulandone la ricerca356. Queste lamentazioni dovevano dunque

esprimere il tentativo da parte dei sopravvissuti di risolvere attraverso il rito gli effetti di un disastro recente, cercando e piangendo i compagni perduti; i punti di contatto con il θρῆνος finale dei Persiani sono evidenti357. Anche

questo infatti è messo in atto da un coro di uomini e guidato da un uomo, con un accompagnamento musicale che si caratterizzava per un crescendo emotivo e la presenza del metro ionico a minore, e soprattutto prevedeva, a partire dalla coppia strofica successiva a quella in cui si fa riferimento al lamento dei Mariandini, un’insistente serie di espressioni che chiedono dove si trovano i guerrieri caduti. D’altro canto, si è già detto che questo θρῆνος presenta tutte le caratteristiche di una forma di lamentazione rituale

353 Aesch.Pers.939. 354 Aesch.Pers.1054.

355 FGrH I F 198 (Steph. Byz.): Στεφανίς· πόλις Μαριανδυνῶν. Ἑκαταῖος Ἀσίαι. τὸ ἐθνικὸν

Στεφανίτης. I Mariandini sono menzionati anche in Hdt.I.28, III.90, VII.72, v.§2.1., n.51.

356 Bachvarova-Dutsch 2016, 95-7. 357 Ib.

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tipicamente greca; eppure questo dato non risulta necessariamente in contraddizione con l’ipotesi di un’allusione di Eschilo a una specifica forma trenodica orientale. L’invocazione di Dario del resto presentava elementi riconducibili non soltanto a una, ma a diverse forme rituali; inoltre, nel corso di questo lavoro si è visto che il metodo usato più di frequente da Eschilo per rappresentare l’alterità persiana sia proprio quello di ricorrere a un compresenza di elementi greci e orientali, spesso per mezzo della mediazione di elementi anatolici. Non avendo ulteriori dati è dunque fondamentale fermarsi al campo delle ipotesi, ma è comunque significativo che un’allusione a questa forma trenodica orientale nel contesto della performance del κομμός dei Persiani non sembra in contraddizione con il modo di procedere del poeta. Per quanto riguarda il lamento misio, gli indizi che indurrebbero a supporre che Eschilo stesse evocando forme di lamentazione rituale anatoliche sono meno consistenti. Timoteo nei suoi Persiani si sofferma effettivamente sulle lamentazioni misie conseguenti alla sconfitta subita a Salamina358, la cui

descrizione sembra tenere presente quella del messaggero nella tragedia di Eschilo359; lo stesso soffermarsi di Timoteo sul motivo e la descrizione del

lamento misio è per noi degno di nota, in quanto potrebbe costituire un indizio del fatto che nei Persiani di Eschilo il riferimento al lamento misio fosse