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L’area genitoriale

Nel documento Il labirinto della dislessia (pagine 20-27)

5. Dissertazione, risultati e analisi dei dati raccolti e riflessioni

5.1 L’area genitoriale

5.1.1 La conoscenza rispetto al disturbo

In genere, il genitore si ritrova totalmente sprovveduto e impreparato rispetto ad una possibile diagnosi di DSA o rispetto a difficoltà scolastiche significative (Stella, 2011).

Come afferma una mamma (Gen.1, 2021) la dislessia è stata una vera e propria sorpresa.

Dai vissuti dei genitori emerge infatti, quanto in realtà la tematica della dislessia non sia pienamente conosciuta, almeno che non ci siano già casi in famiglia. La prima mamma (Gen.

1, 2021) si è dovuta documentare in merito a questo una volta che il percorso fatto a scuola lasciava presagire la possibilità di un disturbo specifico. Il suo obbiettivo è stato quello di poter capire come aiutare suo figlio. La seconda mamma (Gen. 2, 2021), ha una conoscenza verso questo tema dovuta al fatto che suo marito è dislessico e conoscendo il problema sapeva già come attivarsi e muoversi. La terza mamma (Gen. 3, 2021) afferma invece di non essere stata assolutamente al corrente di cosa significasse soffrire di DSA e di cosa si trattasse.

Da ciò ne deriva l’importanza di capire quanto realmente il genitore è informato rispetto a questo tema. Avere delle conoscenze rispetto al tema permetterebbe di poter essere fin da subito più comprensivi riguardo le difficoltà scolastiche del figlio e quindi di affrontare al meglio questa sfida.

Sicuramente, avere in famiglia delle persone che conoscono bene il tema può essere vantaggioso poiché si potrebbe intervenire sul problema in maniera più efficace e prematura.

Tutte le mamme a cui ho rivolto l’intervista, si sono poi documentate riguardo questo tema spinte dalla volontà di poter essere maggiormente di sostegno per il figlio. Una di queste ultime (Gen. 1, 2021), afferma di aver in seguito letto molti libri e di aver poi parlato con tante persone per raccogliere informazioni. L’associazione Ticinese ADAT le ha permesso di migliorare le sue conoscenze. La seconda mamma (Gen, 2, 2021), oltre ad avere informazioni che arrivavano dal marito dislessico, si è comunque documentata in seguito per saperne di più, anche attraverso congressi di associazioni Italiane. Anche la terza mamma (Gen. 3, 2021) afferma di aver partecipato a molti congressi per potersi avvicinare maggiormente a questo tema.

I congressi e le associazioni rappresentato quindi, da quello che emerge, un punto di incontro fondamentale per i genitori che vogliono approfondire l’argomento, chiedere consigli e condividere i loro vissuti.

5.1.2 Difficoltà iniziale da parte del genitore a capire il disturbo

I genitori di solito sostengono i propri figli nelle attività extra-scolastiche, quali compiti e consegne. Quando si registrano però le prime difficoltà nell’affrontare questi esercizi, il genitore, generalmente, non comprende il motivo di tali problematiche scolastiche e tende ad attribuire a suo figlio l’etichetta di nulla facente: “non si impegna abbastanza”, “non è motivato abbastanza” (Stella, 2004).

Una mamma (Gen. 1, 2021) a cui ho sottoposto l’intervista ha riferito che inizialmente, di fronte alle difficoltà di suo figlio si sentiva spazientita e presa in giro. Nonostante questa mamma adesso sappia che cosa è la dislessia, fatica ancora a comprendere questo disturbo. Lei è a conoscenza che suo figlio ha delle difficoltà, ma ciò non le permette di immedesimarsi appieno nella situazione del figlio. Riferisce che il ragazzo usa tante strategie scolastiche per compensare il disturbo, nonostante ciò lei fatica a capirlo appieno. Questo genera in lei, ancora adesso, un po’ di impazienza con lo svolgimento dei compiti scolastici, benché sia a conoscenza che questo comportamento non è di aiuto al figlio. (Gen. 1, 2021).

Comprendere infatti il problema che sta a fondo può diventare un percorso lungo, poiché si fa fatica ad abbandonare il pensiero o l’idea diversa da quelle che sono la mancanza di motivazione o di impegno. Fondamentalmente richiede tempo e conoscenza capire quale sia realmente il problema che sta a fondo (Stella, 2004).

Nel mentre, il genitore deve continuare a sostenere suo figlio nei compiti scolastici e questo può portare ai primi conflitti famigliari. Il genitore si vede frustrano e privo di pazienza nell’aiutare suo figlio perché gli è difficile capire per quale motivo egli non riesca ad apprendere nonostante gli sforzi insistenti del genitore. Il bambino risponde con crisi di pianto, frustrazione e non si sente capito neanche dai suoi genitori. Quello che succede a casa diventa a lungo andare la fotografia di quello che il bambino vive anche a scuola e diventa in breve tempo una sofferenza e un supplizio sia per i genitori che per il bambino dislessico. Il soggetto affetto da dislessia, se non capito o se la natura delle sue difficoltà non viene riconosciuta, può diventare un vero e proprio problema (Stella, 2004).

Se l’idea sovrastante del genitore rimane quella della mancanza di voglia o di impegno, il bambino si sente svalutato e poco riconosciuto rispetto alle attese e le aspettative che la famiglia ha verso di lui, di conseguenza perde la fiducia in sé stesso e verso i genitori che

non lo vedono più come un bambino capace e pieno di potenzialità. Essere riconosciuto come un individuo valido e pieno di qualità era forse quello che si sentiva dire prima e adesso non più. In questa casistica, il genitore che aiuta il proprio figlio a fare i compiti vive una vera e propria sfida e sofferenza. Un possibile risvolto potrebbe essere l’adozione di strategie non ottimali quali castighi e minacce (Stella, 2004).

Alle prime difficoltà dell’alunno, la scuola richiama i genitori a dover dedicarsi maggiormente alle attività extra-scolastiche e sollecitati a prendersi più tempo per aiutarlo a fare i compiti.

Spesso vengono invitati a riflettere e valutare se i problemi scolastici non siano collegati ad un malessere famigliare.

Una docente intervistata afferma che quando ci sono difficoltà scolastiche, l’istituto lo segnala ai genitori chiedendo loro di lavorare maggiormente a casa con il figlio (Doc. 2, 2021). Il genitore quindi si ritrova a vivere questa situazione in modo negativo e sfiancante, data dai conflitti con il figlio nello svolgere i compiti a casa e dalla pressione dell’istituto.

Quest’ultimo insiste nel lavorare maggiormente con il figlio negli orari extra-scolastici (Stella, 2004).

“Insomma, il problema di apprendimento del proprio figlio si trasforma spesso in un problema relazionale e sociale che coinvolge tutta la famiglia” (Stella, 2004, p.62).

Quando la scuola entra in contatto con la famiglia per annunciare le prime difficoltà evidenti, lo si fa tramite la docente di sostegno che indirizza la famiglia verso delle prime ipotesi (Doc.

1, 2021).

Il primo approccio con l’esperta in materia, può essere delicato, poiché iniziano le prime ipotesi che il proprio figlio possa essere diverso dagli altri. La richiesta del sostegno arriva dopo una serie di fallimenti scolastici e può essere percepito dai genitori come una disgrazia.

Può succedere che, quest’ultimi, rifiutino questa figura di aiuto poiché vogliono proteggere il proprio figlio, temono le frustrazioni sociali legate a questo tipo di sostegno (Stella, 2004). In realtà, secondo la docente intervistata, spesso i genitori si rivelano molto collaborativi e confermano le difficoltà evidenti del figlio (Doc.1, 2021). A lungo andare i genitori, chi prima chi dopo, capiscono l’effettivo problema del figlio e si sforza maggiormente nella comprensione della problematica. Una volta che la spiegazione a queste difficoltà emerge, il genitore sa dunque comprendere la frustrazione e il malessere del figlio e si attiva poi a trovare delle strategie per colmare le difficoltà. Questo avviene una volta che si prende consapevolezza o si viene a conoscenza del problema, anche grazie a specialisti in grado di individuare i disturbi specifici di apprendimento (Stella, 2004).

Da questo nasce la riflessione che il docente di sostegno svolge un ruolo essenziale al fine di informare e appoggiare i genitori su questa problematica. Una volta che quest’ultimi prendono conoscenza del problema, potranno vedere il figlio con altri occhi e capire effettivamente le difficoltà del figlio. Questo può dunque generare maggiore benessere all’interno della famiglia. Prima il genitore capisce cosa sta succedendo, prima può capire il disturbo, evitando etichette che portano il bambino a non essere appoggiato e compreso e intervenire sull’autostima. Il capogruppo di sostegno intervistato afferma infatti che il docente di sostegno, oltre che mettere al centro il bambino, ha una stretta collaborazione anche con la famiglia. Ne deriva infatti una necessaria partecipazione dei genitori durante tutto il progetto che si crea per il bambino e un’adeguata informazione per i genitori. I genitori infatti, a dipendenza della situazione, occupano un posto di qualità all’interno del progetto (SosPed 1., 2021)

5.1.3 Il dispendio di energie e tempo per i genitori

Dai genitori intervistati emerge molto la dimensione del tempo. Un genitore (Gen. 3, 2021) ha espresso il fatto che seguire il proprio figlio a livello scolastico risulta impegnativo. Questo influenza particolarmente la famiglia sul carico di lavoro. Esprime però la sua fortuna nell’avere una famiglia unita, il marito è sempre stato presente e di supporto nel gestire queste difficoltà riscontrare. Non è il caso di una mamma con famiglia monoparentale (Gen.

1, 2021) che afferma di non avere avuto nessun tipo di aiuto da parte del padre che non dava importanza al problema. Avendo un lavoro in proprio, è riuscita a gestire le ore di lavoro per dedicare il suo tempo libero a suo figlio, ricevendo anche sostegno dai figli maggiori.

Un’altra mamma (Gen. 2, 2021) invece, esprime di avere avuto fortuna poiché è riuscita a dedicare molto tempo a suo figlio dislessico e ha deciso di farlo in maniera intensiva, tanto da farne una professione. L’impegno e il tempo investito sono sicuramente tanti. Inoltre, afferma di aver sofferto con il figlio quando aveva delle delusioni scolastiche oppure era logorato o esaurito. Lei afferma che ci sono varie forme di reazione rispetto a queste difficoltà, si può diventare aggressivi, chiudersi in sé stessi o rassegnarsi davanti al problema. Secondo lei le problematiche del figlio hanno un grande influsso sulle dinamiche famigliari e vanno perciò sostenute maggiormente (Gen. 2, 2021).

Spesso ci sono anche delle accuse che arrivano dall’esterno rispetto alla poca dedizione e impegno a seguire il proprio figlio nelle questioni scolastiche. Lei afferma che è evidente la differenza tra un bambino non dislessico e uno dislessico. Il tempo e l’impegno da dedicargli è sicuramente molto più significativo.

Una docente (Doc. 2, 2021) esprime anche il fatto che non sempre i genitori sono pienamente in grado di poter sostenere i propri figli nella vita scolastica. Non solo per la mancanza di tempo per i genitori che lavorano a tempo pieno, ma anche dovuto ad una questione di multiculturalità sempre più presente in Svizzera. Non tutti sul nostro territorio hanno le capacità linguistiche italiane sufficienti per poter sostenere il figlio e non tutti hanno le conoscenze o le facoltà mentali o cognitive per farlo. La scuola però richiede, soprattutto agli inizi, un forte impegno da parte dei genitori. Ciò che non viene fatto dai genitori a casa, sta poi al docente recuperarlo, ma anch’essi faticano a trovare il tempo necessario in situazioni problematiche.

5.1.4 La dislessia come sofferenza indiretta del genitore

Il genitore si trova in prima linea insieme alla scuola coinvolti in questo disturbo. Il disturbo della dislessia può avere delle ripercussioni a livello psicologico e sociale sul figlio, così come sul benessere del genitore (Marzocchi & Tobia, 2011). Gli adulti che osservano i bambini con DSA si rendono ben presto conto delle notevoli difficoltà riscontrate su più fronti:

spesso appaiono demotivati, frustrati dall’insuccesso scolastico e disinteressamento nella scuola e nei compiti. Queste emozioni negative vissute dai bambini con DSA inevitabilmente influenzano anche i genitori che vengono emotivamente coinvolti in questo (Chitiyo &

Wheeler, 2006).

Infatti, il vissuto dei genitori rispetto a questo disturbo esprime un certo smarrimento iniziale e preoccupazione. Una mamma (Gen. 2, 2021) esprime il fatto di essere inizialmente

disorientata e che non sapeva ancora bene cosa significasse essere dislessici, nonostante suo marito lo fosse. Ha espresso anche una certa paura o spavento quando ha iniziato a documentarsi, poiché si è ritrovata davanti a lei un grosso ostacolo. Un’altra mamma (Gen.

1, 2021) invece esprime il fatto che è stata una dura guerra in solitaria, molto faticosa affrontare sola. Da parte sua si era presentata molta ansia e paura. Prima di ricevere la diagnosi non sapeva cosa stesse succedendo, era confusa e non sapeva come muoversi.

Inoltre, si sentiva come abbandonata poiché riteneva che nessuno la capiva a pieno. L’ultima madre (Gen. 3, 2021) afferma che per lei dipende come si affronta la situazione, bisogna logicamente rimboccarsi le maniche. Esprime il fatto di essere fortunata poiché ha una famiglia unita e che quindi sono riusciti ad essere di sostegno alla figlia. Non hanno vissuto tutto questo come un problema.

Prendendo atto che il bambino fa parte di un contesto dinamico, il quale può influenzarlo indirettamente o direttamente e allo stesso tempo ne viene influenzato, affiora la necessità di prendere in considerazione il vissuto dei genitori che percepiscono indirettamente la sofferenza e lo stato d’animo del proprio figlio dislessico. Questo può condizionare la risposta e l’atteggiamento verso essi (Marzocchi & Tobia, 2011).

Il rapporto genitore-figlio va sicuramente al dì la degli aspetti scolastici benché abbiano un’importante incidenza. Il vissuto scolastico comincia ad avere un impatto sulla famiglia già a partire dalla prima elementare, quando il tema della scuola può creare discussioni. Da uno studio che ha approfondito il livello di ansia nelle mamme di bambini con DSA condotto da Karande e altri collaboratori (Karande at al., 2009) è emerso quanto questo fattore abbia una grande incidenza. Tre quarti delle mamme soffre di ansia già prima della diagnosi. Essa è provata dalle mamme con figli con DSA e emergeva sotto forma di tre aspetti: la preoccupazione rispetto al futuro lavorativo e scolastico del figlio, il basso rendimento scolastico e l’atteggiamento del proprio figlio quale aggressività, frustrazione, pigrizia.

Un esperimento condotto da Dyson (1996) prende in esame diciannove famiglie di bambini con disturbi specifici e difficoltà, analizzandone lo stress dei genitori e il funzionamento del nucleo famigliare. I risultati dimostrano ed evidenziano un particolare stress all’interno delle famiglie di bambini con difficoltà. Quello che spaventa di più la famiglia è dunque l’insuccesso scolastico ed accademico e le difficoltà emotive e relazionali che ne derivano.

Il risultato di un’altra ricerca afferma invece che un genitore ben incluso in una rete sociale, emotivamente e psicologicamente sano, tenderà ad avere un figlio maggiormente soddisfatto delle sue relazioni amicali e famigliari, sentendo meno il peso degli insuccessi scolastici.

Infatti, il benessere del genitore sembra fronteggiare il benessere e la stabilità emotiva del figlio (Ginieri-Coccossis et al., 2012).

Questi risultati sono sicuramente significativi per i clinici e le figure che si dedicano al trattamento dei DSA, perché dimostrano quanto sia essenziale ed importante la presa a carico della famiglia e il sostegno della funzione genitoriale (Ginieri-Coccossis et al., 2012).

5.1.5 L’importanza della diagnosi

Un altro aspetto che emerge è sicuramente la questione della diagnosi. La docente di scuola elementare (Doc. 2, 2021) ritiene che i bambini con DSA vengono diagnosticati tardi, quindi nel mentre c’è molta frustrazione sia per i genitori che per gli alunni. Ritiene però sia normale poiché solo a fine seconda o terza elementare si può appurare se si tratta di un ritardo dell’apprendimento o di un disturbo più specifico. Rimane comunque un lungo percorso in cui la diagnosi arriva tardi. Anche l’altra docente (Doc.1, 2021) afferma che prima si ha la diagnosi meglio è. Questo permette al bambino e alla famiglia di capire dove sta il problema e come intervenire, anche come genitore è più semplice iniziare a lavorare prima.

Secondo una mamma (Gen. 1, 2021) la diagnosi ha significato molto e ha permesso di avere un punto di svolta. A suo modo di vedere, la diagnosi permette di fare chiarezza e capire come muoversi e comportarsi rispetto al figlio. Sempre questa mamma ha lottato molto al fine di poter avere una diagnosi e un nome del problema e sempre secondo la sua esperienza, chi era specializzato nel trattare i DSA si era attivato lentamente nel portare una diagnosi.

Secondo il capogruppo del sostegno pedagogico (SosPed. 1, 2021) le competenze della lettura e della scrittura, prima di arrivare ad una diagnosi, devono essere esercitate e allenate, è sempre per questo che la scuola insiste molto sulla pratica degli esercizi extra-scolastici per l’alunno in difficoltà (Doc. 2, 2021). Una prima diagnosi per i soggetti dislessici viene effettuata intorno al secondo anno di scuola elementare.

Il capogruppo del sostegno pedagogico (SosPed. 1, 2021) vuole sottolineare che non si vuol semplicemente aspettare il danno, ma lavorare comunque sul problema attraverso l’osservazione e su un allenamento più costante e mirato. Nel caso in cui l’accompagnamento non dovesse funzionare, chiamatosi resistenza al trattamento, si potrebbe ipotizzare un disturbo specifico di apprendimento. C’è piuttosto un lavoro costante di accompagnamento della difficoltà, una volta diventata una problematica durevole non evolutiva, ne segue la diagnosi. Egli afferma quanto menzionato con lo scopo di ribadire la presenza di prevenzione in questo ambito, spesso sottovalutata da un immaginario collettivo.

Il capogruppo intervistato espone inoltre il fatto che per lui, come professionista, tende a porre la diagnosi come punto finale del percorso intrapreso e come elemento di passaggio verso le medie. Alle elementari non è necessaria la diagnosi per lavorare con il bambino ma si ha bisogno di comprendere le problematiche, le difficoltà e il suo funzionamento.

Una mamma (Gen.1, 2021) però comunica un certo malessere nel dover attendere una spiegazione al problema. Inizialmente, notando le difficoltà di suo figlio a livello scolastico, si era confrontata con la docente titolare, la quale l’aveva ravvisata di dover prima valutare e monitorare la situazione, poiché si poteva trattare di un ritardo dell’apprendimento. In quel frangente la mamma ha iniziato ad informarsi maggiormente rispetto all’argomento e suo figlio è stato preso a carico dalla docente di sostegno. In seguito, ha chiesto di poter avere una valutazione più concreta rispetto al motivo per cui suo figlio avesse difficoltà. L’obbiettivo era quello di meglio comprender la causa, come aiutarlo e come muoversi, purtroppo gli esperti le riferivano che era troppo presto effettuare una diagnosi. La risposta data alla madre non era per lei soddisfacente, la quale riteneva che sarebbe stato opportuno avere una diagnosi il prima possibile, sentendosi così disorientata e poco compresa.

Lei afferma che i primi due anni di elementari erano stati dedicati all’osservazione di suo figlio ma che il giudizio scolastico era sempre negativo e questo creava malessere e caduta

dell’autostima al bambino. A fronte di questo malessere, la madre insistette per avere una diagnosi. A suo modo di vedere, i problemi scolastici che aveva suo figlio andavano oltre ad una semplice difficoltà scolastica. L’incapacità di poter aiutare suo figlio causava in lei una forte angoscia. A fronte di questa situazione decise di scavalcare la scuola. (Gen. 1, 2021) Secondo Marzocchi però, è importante durante il processo della diagnosi comunicare ai genitori quanto in realtà il docente possa essere utile nella raccolta di informazioni, per poi coinvolgerlo anche nella diagnosi e nel percorso che si evolverà in seguito (Marzocchi, 2011) Questa mamma si è prima recata all’ospedale Civico di Lugano per avere una diagnosi, ma dati i lunghi tempi di attesa, si è riferita ad uno specialista in Italia che nel giro di poche settimane le ha dato la diagnosi di dislessia grave, discalculia, disgrafia e disortografia. Ciò non era pagato dalla cassa malati ma per lei era di fondamentale importanza e urgenza sapere la causa delle difficoltà di suo figlio (Gen. 1, 2021).

Infatti, sono i genitori a richiedere una consulenza da uno specialista, spinti dalla necessità di approfondire e da un forte malessere nel vivere la situazione del figlio (Marzocchi, 2011).

La restituzione dei risultati della diagnosi è molto importante, poiché lo specialista rende al bambino e alla famiglia i risultati emersi dalla valutazione e dai test. Lo scopo è quello di rispondere alle domande riportare già nel primo colloquio, quindi chiarire e dare una definizione alle problematiche che sono state riportare dai genitori o dalla scuola. I risultati che emergono sono basati sulla valutazione della gravità del problema e l’impatto che questo ha sul bambino, sulla famiglia e sul contesto di vita (Marzocchi, 2011).

La diagnosi è sicuramente un avvenimento importante poiché permette di dare un nome a quello che prima non si riusciva a definire e che recava sofferenza e malessere.

Per i genitori e i bambini è cruciale prendere consapevolezza rispetto a questo problema, in quanto possono influire sullo stile di vita, l’approccio alla scuola, all’apprendimento e altre

Per i genitori e i bambini è cruciale prendere consapevolezza rispetto a questo problema, in quanto possono influire sullo stile di vita, l’approccio alla scuola, all’apprendimento e altre

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