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Bibliografia

Nel documento Il labirinto della dislessia (pagine 40-100)

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Allegati

Allegato I: intervista al pediatra

Allegato II: intervista al genitore con figlio con DSA 1 Allegato III: intervista al genitore con figlio con DSA 2 Allegato IIII: intervista al genitore con figlio con DSA 3 Allegato V: intervista ad un docente di scuola elementare 1 Allegato VI: intervista ad un docente di scuola elementari 2 Allegato VII: intervista al capogruppo del sostegno pedagogico

Allegato I

Intervista al pediatra

Data dell’intervista: la prima metà dell’intervista il 31.05.2021 e la seconda metà il 16.06.2021

Sigla del partecipante: Ped. 1 Genere: uomo

Impiego: pediatra

1. Le chiedo di presentarsi brevemente.

Quale è il suo ruolo? Quali sono i suoi compiti?

Mi chiamo Valdo Pezzoli, sono un pediatra. Ho 35 anni di pediatria alle spalle, mestiere che faccio con molto piacere e molto volentieri. Avendo una formazione approfondita anche nella pediatria dello sviluppo mi occupo come vedremo dopo nel resto dell’intervista, anche di quelli che noi chiamami i disturbi del neuro-sviluppo, che sono i disturbi che in un qualche modo fanno si che un bambino non acquisisce quelle capacità che acquisisce la media dei bambini per cui esce in un qualche modo dalla media. Forse prima di entrare nel merito specifico dell’intervista bisogna ricordare che noi viviamo in un contesto culturale particolare.

Se vivessimo in una giungla, dove ci sarebbero le liane, le piante ecc, probabilmente non ci sarebbero bambini dislessici perché nessuno leggerebbe e scriverebbe e magari tanti disturbi che noi consideriamo problematici non lo sarebbero proprio perché ogni disturbo è da inserire e diventa disturbo, o più disturbo o meno disturbo, a seconda dell’inserimento del contesto anche sociale dove il bambino o la persona è inserita.

Io qui, all’ospedale civico, sono primario da 19 anni, il mio ruolo è quindi quello di dirigere un team di in tutto una cinquantina di persone. Quello che si è chiamato servizio di pediatria fino a 3 anni fa, adesso facciamo parte dell’Istituto Pediatrico della Svizzera Italiana. In tre parole, il servizio di pediatria all’ospedale regionale di Lugano è composto da quattro ambiti di azione. C’è un reparto di degenza, quindi con dei letti ospedalieri, un pronto soccorso pediatrico, una neonatologia di maternità che si rivolge ai neonati e poi, ambito collegato al tema che le interessa, c’è un ambulatorio. Nell’ambulatorio fanno parte una decina di persone, di specialisti di diversi ambiti che collaborano insieme e una delle tipologie di pazienti che abbiamo nell’ambulatorio, che chiamiamo CSC (crescita sviluppo e comportamento) sono proprio i pazienti con i disturbi specifici dell’apprendimento.

2. Come mai lei si occupa di disturbi di apprendimento?

La pediatria è una disciplina che si occupa dell’età evolutiva, quindi quello che è lo sviluppo delle persone ed evidentemente l’interesse per lo sviluppo che ha come due facce: la prima faccia è quella che cerchiamo di vedere le caratteristiche tipiche di uno sviluppo normale, sano e armonico e allo stesso tempo l’altra facciata è quella di vedere cosa non è conforme con questo sviluppo. Quindi, i disturbi dell’apprendimento sono un po’ una particolarità per un pediatra, perché fondamentalmente quando io studio lo sviluppo del bambino, quindi

guardo se il bambino è nomale oppure devo diagnosticare qualcosa che è anomalo o patologico, in entrambi i casi mi occupo di aspetti del neurosviluppo che sono degli aspetti proprio legati al funzionamento del bambino nel contesto della vita normale, quindi lo sviluppo motorio, lo sviluppo del linguaggio, lo sviluppo della socializzazione, lo sviluppo dell’autonomia ecc..

Gli apprendimenti sono piuttosto legati al contesto scolastico educativo, però visto che l’intelligenza di un individuo è qualcosa che lo porta ad imparare e ad apprendere, evidentemente se ci sono delle aree dell’apprendimento che risultano non normali, allora questo è un tema anche pediatrico e non solo educativo.

Il disturbo dell’apprendimento proprio per queste ragioni è qualcosa che in un certo senso è di primaria competenza di chi insegna, di chi porta il bambino ad apprendere, quindi il contesto scolastico. Per contesto scolastico bisogna dire forse che bisogna allargarlo al contesto educativo che inizia naturalmente nell’ambito famigliare. Ci sono degli inserimenti negli asili nido e in altre strutture simili che già mettono alla prova il bambino quello che è il suo confrontarsi con il mondo poi dei codici perché l’apprendimento di una parte di quelle che sono le future competenze passa da una serie di codici. I numeri, che riflettono quella che è la matematica e il ragionamento matematico e il ragionamento del calcolo e le lettere che riflettono invece lo sviluppo di quella parte del linguaggio che noi codifichiamo con dei simboli.

3. Qual è la rete con cui solitamente collabora?

La rete con la quale noi collaboriamo, la rete che ci chiede delle valutazioni è ovviamente il sistema scolastico. Ma la rete in realtà è quella dove è inserito il bambino, quindi a cominciare dalla famiglia che si accorge per esempio che il bambino ha delle difficoltà o ha uno scarso interesse o disinteresse o repulsione per quello che sono alcune delle strutture simboliche di cui parlavamo prima.

4. Che tipo di presa a carico offre l’IPSI4 per i bambini con DSA?

La scuola ci domanda una valutazione formale di capacità di decodificazione di interazione con il linguaggio scritto, con la lettura, con il calcolo e via dicendo. Quindi, il formale deriva dalla possibilità di fare dei test, di fare delle valutazioni. Dicendo test si intende tutto quello che è il confrontare il bambino interessato a una serie di soggetti paragonabili, quindi se io ho una femmina di 6 anni, la confronto con una bambina di 6 anni nello stesso contesto culturale. Questo è un po’ il principio dei test. Quindi, la richiesta di una valutazione è un qualcosa che viene poi standardizzata in una procedura. C’è il primo passo che è la richiesta che può essere scritta o orale, abbiamo poi una valutazione della richiesta, se entriamo in materia convochiamo il bambino o la bambina, effettuiamo a seconda della domanda una serie di valutazioni e di test, analizziamo questi risultati, li contestualizziamo nel resto dello sviluppo del bambino e poi facciamo quello che si chiama una restituzione che è un dare dei risultati interpretati.

4 Isituto Pediatrico della Svizzera Italiana

5. In che modo la pediatria dell’Ospedale Civico è diventato un punto di riferimento per questi pazienti?

La pediatria dell’Ospedale Civico è diventato un punto di riferimento per questi pazienti, uno dei vari punti di riferimento, per un’evoluzione storica. Nel senso che si incomincia a lavorare su un certo tipo di paziente e quindi si richiede ed è necessario avere delle figure professionali che poi abbiamo a poco a poco assunto e hanno aumentato la loro percentuale e quindi adesso abbiamo un piccolo team.

6. In che modo i bambini con DSA arrivano da voi? Da chi vengono segnalati?

La segnalazione avviene tramite i genitori direttamente, tramite i pediatri e tramite (la maggior parte delle segnalazioni) la scuola. C’è da dire che non tutti i bambini con un sospetto di disturbo specifico dell’apprendimento viene segnalato qui.

Ci sono dei pediatri che fanno queste valutazioni, la scuola stessa fa delle valutazioni e ci sono poi vari ordini di valutazione. Per esempio se pensiamo ad una discalculia, quindi un bambino che ha effettivamente, a fronte di una lettura normale, delle difficoltà di calcolo e di memorizzazione dei numeri, la valutazione viene fatta con un test di intelligenza e una batteria di test per la discalculia che può essere fatta anche a scuola o in altri contesti.

Io penso che sia buona cosa che ci sia un centro di competenza o dei centri di competenza che collaborino tra loro, uguale dove, perché c’è un continuo rinnovarsi delle tecniche di valutazione. Quindi più si acquisisce esperienza meglio è.

7. Mi spieghi cosa è il disturbo specifico di apprendimento.

Adesso entriamo nella parte più tecnica. Parlando di specifico si intende che c’è un’area particolare che, a confronto di altre aree dello stesso individuo, è in un qualche modo limitata e quindi sono limitati tutti i processi che fanno si che si acquisiscano delle competenze.

Questo avviene di fronte ad un’intelligenza normale (c’è una comprensione per il contesto), ma vi è poi una difficoltà specifica a incorporare una competenza particolare.

8. Che cosa è la dislessia? In che modo si manifesta?

La dislessia è una difficoltà che un bambino ha a decodificare delle lettere, dei simboli che rapidamente acquisiscono poi una relazione con qualcos’altro. Per esempio a quella lettera che sembra un po’ un albero di natale io dò l’attributo “A” e ogni volta che vedo questo simbolo io lo vedo come “A”. La lettura è fatta anche da associazioni di simboli e questi simboli vengono poi, nel processo di apprendimento, letti in modo sempre più fluido e con sempre meno difficoltà, per cui di per sè basta uno sguardo ad un testo e chi ha delle competenze di lettura ben acquisite riesce a districarsi e muoversi molto agilmente da una riga all’altra o da una parola all’altra. Gli occhi sono coordinati in modo corretto, la eventuale verbalizzazione e pronuncia avviene anche in modo corretto.

Chi soffre di dislessia ha una difficoltà proprio in questo processo di acquisizione e quindi si dice che è un disturbo dell’apprendimento e quindi questo apprendimento avviene in modo stentato o rallentato e un bel momento ci sono delle competenze che sono insufficienti, come

la lentezza esecutiva della lettura o la decodifica di un testo di lettere. Magari la stessa cosa non avviene nell’ambito dei numeri o nell’ambito di quello che i numeri rappresentano.

In Italia usano delle terminologie un pochino diverse rispetto il contesto ticinese. Cosa importante da dire, che nessuno legge o sente, ma che sentono solo le persone che vedono i pazienti dislessici, che la dislessia è una grande tortura e un gran tormento perché il paziente dislessico ha una difficoltà che percepisce e che vede, con il confronto di altre persone, e quindi si trova nella situazione di una persona che porta gli occhiali per qualche tipo di difetto visivo e che trovandosi senza occhiali vede delle cose ma non le vede bene.

Quindi il dislessico vede i codici ma non li può riattivare così come vorrebbe.

9. Come vengono diagnosticati i DSA?

Sulla diagnostica, quello che forse è più importate da sapere sui test, è capire il concetto. Noi cerchiamo, quando sospettiamo un disturbo dell’apprendimento, di capire dove è il bambino e quindi cerchiamo di fare una valutazione delle tappe evolutive fino a quel punto. Questo avviene mediante delle tappe di valutazione che sono in parte dei test e in parte delle valutazioni di tipo neurologico o di tipo clinico, per fare in modo di collocare il bambino nella sua età evolutiva che dovrebbe corrispondere all’età cronologica. Esempio, un bambino di 8 anni che dovrebbe avere uno sviluppo di un bambino di 8 anni a livello di linguaggio, di motricità ecc. Una volta fatto questo inquadramento e fatto un test intellettivo, il test del QI è infatti un punto di riferimento per poter vedere se le difficoltà di lettura sono dovute ad una difficoltà di comprensione che è molto di più di una dislessia o è legato a qualcosa di più specifico come potrebbe essere la dislessia, i bambini vengono sottomessi a delle prove o a dei test che vedono un confronto con un collettivo di coetanei che sono allo stesso sviluppo, vedono come il bambino riesce o non riesce ad effettuare questi processi di decodificazione, che sono molto diversi di età a età. A un bambino di 8 anni si chiedono cose completamente diverse rispetto ad un 15enne.

10. In che modo vengono classificati i DSA? Vi sono delle controversie o delle difficoltà in questo?

Per quanto riguarda le classificazioni, nel passare da un termine che era utilizzato fino agli anni novanta era quello della legastenia, si è passato ad usare dei termini che utilizzano il prefisso “dis” (disgrafia, discalculia, dislessia, disortografia) e quindi le categorie sono più o meno quelle che ho appena menzionato. Ovvio che ci sono delle controversie; ogni scuola, ogni gruppo di studi si focalizza su degli aspetti e ha delle pretese, anche giustificate, di definire le cose in un certo modo. Per me non è così importante che ci sia una definizione universalmente valida, ma è molto importante per noi che studiamo questo fenomeno capire bene e avere delle definizioni ben chiare e poi bisogna relativizzarle e saper dire che forse una determinata definizione non va così bene. Per esempio noi utilizziamo l’espressione

“dislessia” per coloro che utilizzano il vocabolario romano (il nostro alfabeto). Calcoliamo che per esempio la lingua araba o le lingue dell’est asiatico sono delle lingue che utilizzano delle simbologie molto diverse e quindi anche in questo caso ci sono dei disturbi degli apprendimenti ma per gioco-forza le loro definizioni sono per forza diverse.

11. Chi fa la diagnosi della dislessia? Ci vuole una determinata specializzazione per farlo?

Qui è importante che se parliamo di diagnosi parliamo di qualcosa di medico. Quindi se qui ci fossero degli insegnanti direbbero che loro valutano la difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo di un allievo secondo dei criteri. Se chiedo ad un medico o ad un contesto di tipo diagnostico di fare questa valutazione allora il responsabile deve utilizzare dei criteri medici e clinici. Avvalendosi anche del codice di classificazione delle malattie ICD -10, ogni professionista utilizza le sue categorie. Se si utilizza il termine “diagnosi” bisogna dire che la diagnostica la può fare chi è nel contesto sanitario-medico, psicologo oppure neuropsicologo o logopedista. Di solito è un team di questi professionisti che può fare questa diagnosi. È importante che sia limitato a dei professionisti che concordano anche sulla definizione di disturbi specifici dell’apprendimento, altrimenti c’è una svendita della diagnosi.

In Svizzera c’è una formazione di approfondimento della pediatria che si chiama pediatria dello sviluppo e sono circa 100 gli specialisti in tutta la Svizzera su 4000 pediatri (in Ticino sono in 4), quindi molto pochi, che fanno della loro specialità o oggetto della loro attenzione i disturbi specifici di apprendimento. Però di per sé ogni pediatra è in grado di diagnosticare con i test idonei i DSA.

12. Quali sono i principali indicatori di rischio di DSA?

Sono dei segnali che i bambini danno, dimostrando un disinteresse o un interesse strano per quello che è il leggere, il fare i calcoli o nello scrivere o farsi leggere. Per esempio ci sono dei bambini che guardano il libro, guardano le immagini, si lasciano trascinare dalla storia letta ad alta voce, ma non sono interessati in un qualche modo a capire cosa ci sta dietro alla scrittura. Per gli indicatori di rischio, ci sono tanti fattori che avvengono prima della fase

Sono dei segnali che i bambini danno, dimostrando un disinteresse o un interesse strano per quello che è il leggere, il fare i calcoli o nello scrivere o farsi leggere. Per esempio ci sono dei bambini che guardano il libro, guardano le immagini, si lasciano trascinare dalla storia letta ad alta voce, ma non sono interessati in un qualche modo a capire cosa ci sta dietro alla scrittura. Per gli indicatori di rischio, ci sono tanti fattori che avvengono prima della fase

Nel documento Il labirinto della dislessia (pagine 40-100)

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