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4. Troiane

4.3 Cassandra sulla scena

4.3.5 Argomentazioni e profezie

In merito alla costruzione del personaggio di Cassandra, Di Benedetto 1998 evidenzia un rinnovamento del modello del personaggio tragico caratterizzato dal susseguirsi di un momento di esplosione emotiva e poi di uno caratterizzato da maggiore lucidità. Lo studioso osserva che nella produzione euripidea tale modello subisce una evoluzione diacronica che a suo parere si connette con la destabilizzazione sociale provocata dalla guerra del Peloponneso e con la progressiva dissociazione di Euripide dalla politica ateniese a partire dagli anni Venti133. Inoltre Di Benedetto osserva che l’innovazione del modulo modifica la struttura stessa del personaggio di Cassandra in quanto profetessa, dato che per una parte del discorso non fa profezie circa eventi ignorati dagli altri, ma articola una dimostrazione su fatti già noti134.

La prima parte della sezione in trimetri giambici contiene, come già osservato, profezie circa la morte di Agamennone e Clitemestra, mentre la seconda (vv. 365-405) offre una argomentazione lucida. Lo snodo tra le due parti è segnalato dalla stessa Cassandra che, ai vv. 366-367, dichiara che starà al di fuori del delirio profetico per dimostrare (cf. δείξω v. 365) che ai Troiani spetta un destino più felice di quello dei Greci.

Dal verso 365 al verso 405, Cassandra elabora un ragionamento che da un lato risulta nel pieno rispetto di regole retoriche e di strutture logiche di organizzazione del pensiero, dall’altro sembra invece minare il razionalismo stesso e rovesciare la communis opinio. Non si tratta di una profezia (τοσόνδε γ' ἔξω στήσομαι βακχευμάτων v. 367) perchè in effetti Cassandra non parla di futuro, come nei versi precedenti, ma argomenta razionalmente dei fatti noti.

πόλιν δὲ δείξω τήνδε μακαριωτέραν ἢ τοὺς Ἀχαιούς, ἔνθεος μέν, ἀλλ’ ὅμως

133

Per una analisi più approfondita delle posizioni assunte da Euripide nei confronti della politica ateniese, cf. Di Benedetto 1975.

134

Di Benedetto 1998 (p. 50) osserva che anche nell’Agamennone di Eschilo Cassandra si esprime dapprima in versi lirici e poi in trimetri giambici, ma la Cassandra dell’Agamennone, a differenza di quella delle Troiane, non ha dimostrazioni da offrire agli spettatori.

τοσόνδε γ’ ἔξω στήσομαι βακχευμάτων· οἳ διὰ μίαν γυναῖκα καὶ μίαν Κύπριν, θηρῶντες Ἑλένην, μυρίους ἀπώλεσαν. ὁ δὲστρατηγὸςὁσοφὸς ἐχθίστωνὕπερ τὰφίλτατ’ὤλεσ’, ἡδονὰςτὰςοἴκοθεν τέκνωνἀδελφῷ δοὺςγυναικὸςοὕνεκα, καὶ ταῦθ’ἑκούσηςκοὐβίᾳλελῃσμένης. ἐπεὶ δ’ἐπ’ἀκτὰςἤλυθονΣκαμανδρίους, ἔθνῃσκον, οὐγῆςὅρι’ἀποστερούμενοι οὐδ’ὑψίπυργονπατρίδ’· οὓςδ’ Ἄρηςἕλοι, οὐπαῖδαςεἶδον, οὐδάμαρτος ἐνχεροῖν πέπλοιςσυνεστάλησαν, ἐνξένῃδὲγῇ κεῖνται. τὰδ’οἴκοιτοῖσδ’ὅμοι’ἐγίγνετο· χῆραί τ’ἔθνῃσκον, οἳδ’ἄπαιδεςἐνδόμοις ἄλλοις τέκν’ἐκθρέψαντες· οὐδὲπρὸςτάφοις ἔσθ’ ὅστιςαὐτῶναἷμαγῇδωρήσεται. ἦ τοῦδ’ἐπαίνουτὸστράτευμ’ ἐπάξιον. — σιγᾶν ἄμεινον τᾀσχρά, μηδὲ μοῦσά μοι γένοιτ’ ἀοιδὸς ἥτις ὑμνήσει κακά. Τρῶες δὲ πρῶτον μέν, τὸ κάλλιστον κλέος, ὑπὲρ πάτρας ἔθνηισκον· οὓς δ’ ἕλοι δόρυ, νεκροί γ’ ἐς οἴκους φερόμενοι φίλων ὕπο ἐν γῆι πατρώιαι περιβολὰς εἶχον χθονός, χερσὶν περισταλέντες ὧν ἐχρῆν ὕπο· ὅσοι δὲ μὴ θάνοιεν ἐν μάχηι Φρυγῶν, ἀεὶ κατ’ ἦμαρ σὺν δάμαρτι καὶ τέκνοις ὤικουν, Ἀχαιοῖς ὧν ἀπῆσαν ἡδοναί τὰ δ’ Ἕκτορός σοι λύπρ’ ἄκουσον ὡς ἔχει· δόξας ἀνὴρ ἄριστος οἴχεται θανών, καὶ τοῦτ’ Ἀχαιῶν ἵξις ἐξεργάζεται· εἰ δ’ ἦσαν οἴκοι, χρηστὸς ὢν ἐλάνθαν’ ἄν. Πάρις δ’ ἔγημε τὴν Διός· γήμας δὲ μή, σιγώμενον τὸ κῆδος εἶχ’ ἂν ἐν δόμοις. φεύγειν μὲν οὖν χρὴ πόλεμον ὅστις εὖ φρονεῖ·

εἰ δ’ ἐς τόδ’ ἔλθοι, στέφανος οὐκ αἰσχρὸς πόλει καλῶς ὀλέσθαι, μὴ καλῶς δὲ δυσκλεές. ὧν οὕνεκ’ οὐ χρή, μῆτερ, οἰκτίρειν σε γῆν, σιγᾶν ἄμεινον τἀισχρά, μηδὲ μοῦσά μοι γένοιτ’ ἀοιδὸς ἥτις ὑμνήσει κακά. Τρῶες δὲ πρῶτον μέν, τὸ κάλλιστον κλέος, ὑπὲρ πάτρας ἔθνηισκον· οὓς δ’ ἕλοι δόρυ, νεκροί γ’ ἐς οἴκους φερόμενοι φίλων ὕπο ἐν γῆι πατρώιαι περιβολὰς εἶχον χθονός, χερσὶν περισταλέντες ὧν ἐχρῆν ὕπο· ὅσοι δὲ μὴ θάνοιεν ἐν μάχηι Φρυγῶν, ἀεὶ κατ’ ἦμαρ σὺν δάμαρτι καὶ τέκνοις ὤικουν, Ἀχαιοῖς ὧν ἀπῆσαν ἡδοναί. τὰ δ’ Ἕκτορός σοι λύπρ’ ἄκουσον ὡς ἔχει· δόξας ἀνὴρ ἄριστος οἴχεται θανών, καὶ τοῦτ’ Ἀχαιῶν ἵξις ἐξεργάζεται· εἰ δ’ ἦσαν οἴκοι, χρηστὸς ὢν ἐλάνθαν’ ἄν. Πάρις δ’ ἔγημε τὴν Διός· γήμας δὲ μή, σιγώμενον τὸ κῆδος εἶχ’ ἂν ἐν δόμοις. φεύγειν μὲν οὖν χρὴ πόλεμον ὅστις εὖ φρονεῖ· εἰ δ’ ἐς τόδ’ ἔλθοι, στέφανος οὐκ αἰσχρὸς πόλει καλῶς ὀλέσθαι, μὴ καλῶς δὲ δυσκλεές. ὧν οὕνεκ’ οὐ χρή, μῆτερ, οἰκτίρειν σε γῆν, οὐ τἀμὰ λέκτρα· τοὺς γὰρ ἐχθίστους ἐμοὶ καὶ σοὶ γάμοισι τοῖς ἐμοῖς διαφθερῶ.

«Dimostrerò invece che questa città è più felice degli Achei, certo (sono) invasata dal dio, ma tuttavia per quanto basta starò al di fuori del delirio; questi per una sola donna e una sola Cipride, ricercando Elena, diedero morte a innumerevoli uomini. Il comandante, il saggio, per le cose più odiose fece perire quelle più care, dando al fratello, dalle risorse di casa, la gioia che provava per i suoi figli, a causa di una donna e questa era consenziente e non rapita a forza.

Quando giunsero presso le rive dello Scamandro, non perché privati dei confini della terra né della patria dalle alte torri, morivano. Quanti Ares afferrò, non videro i figli, non furono avvolti con pepli nelle mani della moglie, ma giacciono in terra straniera. In patria accadevano cose simili a queste: (le spose) morivano vedove, (morivano) nelle case i (genitori) senza figli avendo allevato per altri i figli; né c’è chi sulle loro tombe offra del sangue alla terra. Davvero una spedizione degna di questo elogio. Meglio tacere le cose turpi, la musa non sia per me cantatrice che celebra cosa brutte. I Troiani invece per prima cosa morivano per la patria, (cosa che è) la gloria più bella; quanti invece prese la lancia, cadaveri, portati nelle case dai cari nel suolo patrio avevano la protezione della terra e erano avvolti dalle mani di quelli a cui spettava; poi quanti dei Frigi non morivano in battaglia, sempre giorno dopo giorno abitavano con la moglie e i figli, gioie di cui gli Achei erano privi. La sorte di Ettore, per te misera, ascolta come risulta; essendo morto se ne è andato, con la fama dell’uomo più valoroso e questo lo procura l’arrivo degli Achei; se invece fossero rimasti a casa il valore infatti sarebbe rimasto nascosto. Paride poi ha sposato la figlia di Zeus, se non l’avesse sposata, nella casa avrebbe un’unione passata sotto silenzio. Deve dunque evitare la guerra chi ha giudizio, ma se giunge a questo, una corona non turpe per la città è morire degnamente, (farlo) non degnamente invece è disonorevole. Per questi motivi, o madre, non devi piangere la terra e il mio letto; distruggerò con le mie nozze quelli che sono per me e per te i più odiosi».

Il ragionamento è diviso in due parti: una riservata agli Achei vincitori (vv. 368-382) l’altra ai Troiani sconfitti (vv. 386-399). L’obiettivo di Cassandra è quello di dimostrare che in realtà coloro che sono comunemente ritenuti vincitori hanno sofferto le pene maggiori, in quanto combattendo per una sola donna sono morti numerosissimi (μίαν …μίαν/ μυρίους vv. 368-369) senza poter ricevere gli onori funebri da familiari che nel frattempo in patria restavano e morivano orfani, vedovi o privi di figli. Al contrario i vinti durante i dieci anni di guerra hanno goduto del conforto dei familiari e, se morti, sono stati seppelliti con i dovuti riti nella propria terra. Cassandra afferma infine che le vicende di Ettore e di Paride devono essere motivo di gioia piuttosto che di dolore, dal momento che entrambi hanno conseguito fama e hanno ottenuto una morte gloriosa.

Sempre nel rispetto di una struttura argomentativa perfettamente organizzata, Cassandra al termine della disamina riprende quod erat

demostrandum e ripropone il motivo delle nozze regali come gioia perché

strumento di vendetta.

La dimostrazione che ruota attorno alla scomposizione e messa in discussione delle ragioni della guerra e della felicità dei Greci vincitori sconfina, come evidenzia Di Benedetto 1998, «fino al limite del paradossale: c’è in questo il gusto tragicamente euripideo della provocazione intellettuale, ma c’è anche -nel caso specifico di Cassandra- l’intento di dare il più possibile consistenza alla operazione di smontaggio delle ragioni dei vincitori, degli artefici della guerra» (p.52).

In effetti l’assurdità della guerra è evidenziata da Cassandra attraverso un’articolazione del discorso che considera il rapporto impari tra il numero dei responsabili della guerra (v. 368 μίαν γυναῖκα καὶ μίαν Κύπριν) e quello delle vittime (v. 369 μυρίους ἀπώλεσαν). Insensato risulta anche il sacrificio della figlia Ifigenia da parte di Agamennone necessario per la partenza della flotta greca alla volta di Troia135.

Tuttavia i ragionamenti condotti attorno alla possibilità di essere seppelliti in patria ricevendo gli onori funebri dai propri familiari (possibilità negata ai Greci) risulta una forzatura che non tiene conto del fatto che per i Greci la tomba in terra troiana era motivo d’onore136. Analogamente, le considerazioni sulla gloria che la guerra ha procurato a Paride ed Ettore, sembrano quasi tradire la linea di discorso seguita nella trilogia e nel corso delle profezie di

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In merito al giudizio espresso circa le ragioni della guerra e il sacrificio di Ifigenia, Di Benedetto 1998 osserva che questo ricalca un’argomentazione del discorso all’insegna del razionalismo più stretto che poi nel Protagora troverà espressione nella ἀριθητικὴ τέχνη (riferita in campo morale).

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Di Benedetto 1998 (p.53) analizza il discorso di Cassandra alla luce dei poemi omerici. Nota che Cassandra non tiene conto del fatto che per i Greci era motivo di vanto morire in terra straniera, come mostrato dall’Odissea (cf. Od. I 231-241; XIV 367-371 e anche V 307- 312). Inoltre Cassandra evidenzia la mancanza delle mogli durante il rito funebre, ma non prende in esame analoghe mancanze nella compagine troiana. Eppure in Il. XXIV 742 ss. la moglie di Ettore è presente al rito funebre, ma lamenta la sua assenza al momento della morte del marito. Per concludere, sempre per quanto riguarda i Greci, il discorso di Cassandra sembra ignorare il fatto che in Od. XXIV vv. 36 ss. il rito funebre di Achille non vede la presenza della moglie (l’eroe non l’aveva), ma si sottolinea la presenza della madre Teti. Inoltre al di là dei poemi omerici si può ricordare il contenuto del discorso di Pericle per i caduti ateniesi nel primo anno di guerra, riportato da Tucidide (II 34-36).

Cassandra nell’Alessandro, in modo particolare nella presentazione del matrimonio di Paride con Elena come un evento unicamente positivo (cf. Di Benedetto 1998, p. 54).

Conseguentemente, quanto sostenuto dalla profetessa può ricevere credito soltanto su un piano filosofico astratto, ma risulta inaccettabile per Ecuba e per il Coro che avvertono il passato come un insieme di dolorosi e strazianti ricordi e il presente come totale distruzione e lutto che non lascia intravedere nessuna speranza futura. Le idee di Cassandra in merito alla gloria e alla condizione dei vinti risultano parziali rispetto all’intera opera e si rivelano una breve parentesi che verrà più avanti smontata: Ecuba (vv. 1230 ss) e poi il Coro (vv. 1323 ss) porranno l’accento sulle sofferenze dei Troiani e sullo scomparire della città senza ricordo e senza nome137.

I contenuti del discorso di Cassandra risultano inaccettabili poiché rovesciano morale e certezze tradizionali proponendo un nuovo metro di giudizio che risulta deviante rispetto al parametro di normalità adottato da vinti e vincitori. Per tale motivo le reazioni del Coro e del messaggero Taltibio (dal verso 406 al 423) sono di evidente dissociazione rispetto a quanto espresso da Cassandra: Χο. ὡς ἡδέως κακοῖσιν οἰκείοις γελᾶις μέλπεις θ’ ἃ μέλπουσ’ οὐ σαφῆ δείξεις ἴσως. Τα. εἰ μή σ’ Ἀπόλλων ἐξεβάκχευσεν φρένας, οὔ τἂν ἀμισθὶ τοὺς ἐμοὺς στρατηλάτας τοιαῖσδε φήμαις ἐξέπεμπες ἂν χθονός. ἀτὰρ τὰ σεμνὰ καὶ δοκήμασιν σοφὰ οὐδέν τι κρείσσω τῶν τὸ μηδὲν ἦν ἄρα. ὁ γὰρ μέγιστος τῶν Πανελλήνων ἄναξ, Ἀτρέως φίλος παῖς, τῆσδ’ ἔρωτ’ ἐξαίρετον μαινάδος ὑπέστη· καὶ πένης μέν εἰμ’ ἐγώ, 137

In merito a questo aspetto Di Benedetto 1998 sottolinea che le considerazioni al limite del paradossale fatte da Cassandra, vanno considerate nel quadro più ampio dell’intera tragedia, per cui non bisogna dimenticare il «sovrapporsi della strategia dell’autore sul personaggio: il quale viene fatto esporre e poi la sua linea di discorso nel prosieguo della tragedia viene corretta» (p.52).

ἀτὰρ λέχος γε τῆσδ’ ἂν οὐκ ἠιτησάμην. καὶ σοῦ μέν (οὐ γὰρ ἀρτίας ἔχεις φρένας) Ἀργεῖ’ ὀνείδη καὶ Φρυγῶν ἐπαινέσεις ἀνέμοις φέρεσθαι παραδίδωμ’· ἕπου δέ μοι πρὸς ναῦς, καλὸν νύμφευμα τῶι στρατηλάτηι. σὺ δ’, ἡνίκ’ ἄν σε Λαρτίου χρήζηι τόκος ἄγειν, ἕπεσθαι· σώφρονος δ’ ἔσηι λάτρις γυναικός, ὥς φασ’ οἱ μολόντες Ἴλιον.

«C.: Come ridi con piacere dei nostri mali, tu canti ora, ma dimostrerai probabilmente che questo canto non era degno di fede.

T.: se non fosse Apollo ad eccitare la tua mente al delirio, non impunemente accompagneresti via dalla terra i miei comandanti con tali presagi. Ma ciò che è venerando e all’apparenza saggio non è per nulla migliore di ciò che era da nulla. Infatti il sommo sovrano di tutti i Greci, il caro figlio di Atreo, si è assoggettato all’amore scelto per questa menade; e io sono un poveraccio, ma non mi sarei mai procurato il letto di questa. E quanto a te -non hai infatti la mente sana- gli insulti per gli Argivi e le lodi per i Frigi le do da portar via ai venti. Seguimi alle navi, bella sposa per il comandante. Tu invece qualora il figlio di Laerte desideri prenderti, seguilo; sarai serva di una donna saggia, così dicono quelli che sono venuti ad Ilio».

In risposta a questo discorso con cui Cassandra ribalta l’ottica di vincitori e vinti, Taltibio afferma che Apollo eccita al delirio la sua mente (ἐξεβάκχευεν φρένας v. 408) e la definisce menade (μαινάδος ὑπέστη v. 415). Alle orecchie di un Greco le parole suonano quasi come minaccia, ma la sua qualifica di pazza non la rende degna neppure di essere punita: il Coro al v. 407 afferma μέλπεις θ' ἄ μέλπουσ' definendo le parole di Cassandra in riferimento ai nemici οὐ σαφῆ in quanto suonano come minaccia (vv. 404- 405). Il concetto è ripreso subito dopo da Taltibio quando afferma che le φῆμαι (v. 410) di Cassandra che sono ὀνείδη (v. 418) non resterebbero

ἀμισθί se non si sapesse che è pazza (v. 409) e che quindi le sue parole sono vane e neppure degne di essere punite138.

Ecuba sposa il medesimo giudizio sulla non lucidità della figlia quando, nel lamentare la sorte sua e delle figlie, afferma che «Cassandra si unisce agli dei nel delirio» (σύμβακχε Κασάνδρα θεοῖς v. 500).

Se al termine della monodia Cassandra è definita folle perché agisce come una menade in preda ad una eccessiva ed incomprensibile gioia, al termine di questo intervento in trimetri viene definita da Taltibio menade perché fa discorsi percepiti come folli (cf. Άπόλλων ἑξεβάκχευσεν φρένας v. 408; μαινάδος v. 415). Il giudizio su Cassandra resta dunque costante non solo prima e dopo la monodia, ma anche successivamente ai suoi interventi in trimetri giambici (vv. 354-443) e in tetrametri trocaici catalettici (vv. 444-461). Il risultato è che nel primo caso (monodia) Cassandra si ritrova senza seguaci nel tentativo di realizzazione dell’imeneo e nel secondo il contenuto dei suoi discorsi e delle sue profezie non è neppure preso in considerazione. Gli appelli alla danza e al canto che Cassandra rivolge nel corso del canto rimangono senza effetto, tant’è che al termine della monodia il portavoce del Coro, cui Cassandra aveva rivolto l’ultimo invito (vv. 338-339), lo lascia cadere nel vuoto e rivolge piuttosto la parola ad Ecuba. Quest’ultima, per tutta risposta, sottolinea lo stato di follia della figlia (vv. 341-342), invoca Efesto e, solo alla fine del verso 345, cerca un contatto con Cassandra, ma in un atteggiamento di distanza e dissociazione, al punto che chiede al Coro di prendere la fiaccola dalle mani della figlia e di replicare con lacrime al tentativo di questa di intonare il canto nuziale (vv. 350-51). Analogamente nella successiva parte in trimetri non si origina nessun dialogo tra Cassandra e gli altri personaggi in scena e il fatto che la profezia sia espressa per la maggior parte in trimetri giambici invece che in metro lirico non fa che aggravare un senso di distanza e di incomunicabilità tra lei e i suoi ascoltatori determinato dal contenuto inaccettabile dei suoi discorsi139.

138 Cf. Taltibio vv. 408-10 e scolio al v. 408 πᾶς γάρ τις τοῖς μαινομένοις συμπεριφέρεται. Se non fosse ritenuta pazza, Cassandra verrebbe punita e questo non può non richiamare alla memoria il fatto che nell’Ecuba Agamennone punisce Polimestore poiché questo ha profetizzato il suo assassinio (vv. 1280-1284).

139

Appare degno di nota che Ecuba, sollecitata dal Coro a fermare la figlia (vv. 341 ss.) si rivolga prima ad Efesto e solo in un secondo momento alla figlia, evidenziando una difficoltà

Rispetto al modello di costruzione del personaggio tragico seguito da Euripide per Alcesti, Medea e Fedra, ulteriore elemento di novità è il procedimento per cui dopo un primo discorso in trimetri giambici si ha un secondo discorso di Cassandra (vv. 421-461). Di questo, la prima parte (vv. 424-443) è in trimetri giambici e la seconda (vv. 444-461) in tetrametri trocaici catalettici.

Nella sezione in trimetri, dopo una critica alla categoria degli araldi, Cassandra rivela le difficili prove che attendono Ulisse, con un recupero dello

status di profetessa in linea con la parte iniziale del precedente discorso in

trimetri (vv. 353-364).

Quando, ai versi 421-423, Taltibio accena al destino di Ecuba come schiava di Penelope nella casa di Odisseo, Cassandra, riacquistando il proprio statuto di profetessa di Apollo (Ἀπόλλωνος λόγοι εἰς ἔμ ' ἡρημηνευμένοι vv. 428-429), passa dalle valutazioni razionali di fatti storici alle profezie sul futuro. Vaticina sulla morte della madre a Troia e sulle peregrinazioni di Odisseo note dalla tradizione omerica, soffermandosi rapidamente su luoghi, personaggi ed eventi (Cariddi, Ciclope, Circe, naufragi, fiore di loto, vacche del Sole, Ade, Itaca) con uno stile tipicamente oracolare e dunque molto conciso, ma, al contempo, chiaro nei contenuti (vv. 424-443):

Κα. ἦ δεινὸς ὁ λάτρις. τί ποτ’ ἔχουσι τοὔνομα κήρυκες, ἓν ἀπέχθημα πάγκοινον βροτοῖς, οἱ περὶ τυράννους καὶ πόλεις ὑπηρέται; σὺ τὴν ἐμὴν φὴις μητέρ’ εἰς Ὀδυσσέως ἥξειν μέλαθρα; ποῦ δ’ Ἀπόλλωνος λόγοι, οἵ φασιν αὐτὴν εἰς ἔμ’ ἡρμηνευμένοι αὐτοῦ θανεῖσθαι; τἄλλα δ’ οὐκ ὀνειδιῶ. nella comunicazione con Cassandra. Inoltre alla fine degli interventi di Cassandra sulla scena Ecuba cade a terra (come si era presentata all’inizio della tragedia). Tramite le scelte gestuali Euripide evidenzia l’impossibilità di un dialogo tra mamma e figlia, al punto che Cassandra apostrofa più volte la madre, che non risponde. A differenza di quanto accadrà nel II episodio, al termine dell’incontro con Andromaca, Ecuba non saluta la figlia neppure quando questa si allontana dalla scena. Sul particolare rapporto tra Ecuba e Cassandra, che sembra riproporre tensioni già evidenziate nell’Alessandro, cf. Di Benedetto 1998 (p.161, n. 93).

δύστηνος, οὐκ οἶδ’ οἷά νιν μένει παθεῖν· ὡς χρυσὸς αὐτῶι τἀμὰ καὶ Φρυγῶν κακὰ δόξει ποτ’ εἶναι. δέκα γὰρ ἐκπλήσας ἔτη πρὸς τοῖσιν ἐνθάδ’ ἵξεται μόνος πάτραν < > †οὗ δὴ στενὸν δίαυλον ὤικισται πέτρας† δεινὴ Χάρυβδις ὠμοβρώς τ’ ὀρειβάτης Κύκλωψ Λιγυστίς θ’ ἡ συῶν μορφώτρια Κίρκη θαλάσσης θ’ ἁλμυρᾶς ναυάγια λωτοῦ τ’ ἔρωτες Ἡλίου θ’ ἁγναὶ βόες, αἳ σαρξὶ φοινίαισιν ἥσουσίν ποτε πικρὰν Ὀδυσσεῖ γῆρυν. ὡς δὲ συντέμω, ζῶν εἶσ’ ἐς Ἅιδου κἀκφυγὼν λίμνης ὕδωρ κάκ’ ἐν δόμοισι μυρί’ εὑρήσει μολών.

«Ca: davvero terribile il servitore! Perché mai hanno nome di araldi –un odio comune a tutti gli uomini- i servitori dei tiranni e delle città? Tu dici che mia madre andrà nella casa di Odisseo; dove (andranno) allora gli oracoli di Apollo a me esposti che dicono che lei morirà qui? Le altre cose non le rinfaccerò. Povero, non sa quante cose gli restano da soffrire, come un giorno gli sembreranno oro le sventure mie e dei Frigi. Dopo aver navigato per dieci anni in aggiunta a quelli (trascorsi) qui, giungerà solo in patria…là dove la tremenda Cariddi abita lo stretto angusto della rupe, e il Ciclope carnivoro che vaga per le montagne e la Ligustica Circe che trasforma in porci, il desiderio di (mangiare) loto, e le vacche sacre del Sole, le cui carni un giorno emetteranno suoni, voce amara per Odisseo. E così dico in breve, vivo andrà nell’Ade e, fuggendo l’acqua del mare, arrivato a casa troverà innumerevoli mali».

Nuovamente le parole di Cassandra non ricevono credito: se l’imeneo le era valso l’appellativo di folle e se la successiva argomentazione risultava

inaccettabile poiché non in linea con i soliti criteri di valutazione, la sua finale profezia non riceve reazione alcuna140.

Nella parte in tetrametri (vv. 444 a 461) Cassandra evoca ancora una volta la morte di Agamennone e predice la propria morte e sepoltura per poi liberarsi delle bende sacre ad Apollo prima di salire sulla nave. Nel momento in cui si dipinge cadavere tra i dirupi ed esposto pasto per le fiere, il ritmo dei trimetri giambici sfocia dunque in quello più vivace dei tetrametri trocaici catalettici:

ἀλλὰ γὰρ τί τοὺς Ὀδυσσέως ἐξακοντίζω πόνους; στεῖχ’ ὅπως τάχιστ’· ἐν Ἅιδου νυμφίωι γημώμεθα. ἦ κακὸς κακῶς ταφήσηι νυκτός, οὐκ ἐν ἡμέραι, ὦ δοκῶν σεμνόν τι πράσσειν, Δαναϊδῶν ἀρχηγέτα. κἀμέ τοι νεκρὸν φάραγγες γυμνάδ’ ἐκβεβλημένην ὕδατι χειμάρρωι ῥέουσαι νυμφίου πέλας τάφου θηρσὶ δώσουσιν δάσασθαι, τὴν Ἀπόλλωνος λάτριν. ὦ στέφη τοῦ φιλτάτου μοι θεῶν, ἀγάλματ’ εὔια, χαίρετ’· ἐκλέλοιφ’ ἑορτὰς αἷς πάροιθ’ ἠγαλλόμην. ἴτ’ ἀπ’ ἐμοῦ χρωτὸς σπαραγμοῖς, ὡς ἔτ’ οὖσ’ ἁγνὴ χρόα δῶ θοαῖς αὔραις φέρεσθαι σοὶ τάδ’, ὦ μαντεῖ’ ἄναξ. ποῦ σκάφος τὸ τοῦ στρατηγοῦ; ποῖ πόδ’ ἐμβαίνειν με χρή; οὐκέτ’ ἂν φθάνοις ἂν αὔραν ἱστίοις καραδοκῶν, ὡς μίαν τριῶν Ἐρινὺν τῆσδέ μ’ ἐξάξων χθονός. χαῖρέ μοι, μῆτερ· δακρύσηις μηδέν· ὦ φίλη πατρίς, οἵ τε γῆς ἔνερθ’ ἀδελφοὶ χὠ τεκὼν ἡμᾶς πατήρ, 140

Al contrario, la Cassandra dell’Agamennone eschileo arriva in scena e prorompe in grida (vv. 1072 -1076) che al coro sembrano essere una sorta di threnos non adatto ad invocare Apollo, ma che Cassandra trova adeguate per esprimere la sua condizione di mantis non creduta di un dio che la annienta. Cassandra dunque è presentata come mantis veggente grazie al dono della profezia ricevuto da Apollo e, al contrario della Cassandra delle Troiane, riesce a catturare l’attenzione degli interlocutori con i quali arriva ad un dialogo sticomitico serrato a riprova del fatto che, benchè la maledizione le impedisca di essere creduta, le sue parole vengono perlomeno recepite come messaggio profetico.

οὐ μακρὰν δέξεσθέ μ’· ἥξω δ’ ἐς νεκροὺς νικηφόρος καὶ δόμους πέρσασ’ Ἀτρειδῶν, ὧν ἀπωλόμεσθ’ ὕπο.

«Ma perché prendo di mira le pene di Odisseo? Avanza quanto più velocemente possibile, diamoci in moglie allo sposo nell’Ade. Davvero miserabile miseramente sarai sepolto di notte, non di giorno, proprio tu che credi di compiere qualcosa di insigne, o sovrano dei Danai. E quanto a me, certo, cadavere, gettata nuda, i dirupi percorsi da acque impetuose presso la tomba dello sposo daranno in pasto alle belve me, sacerdotessa di Apollo. O corone del più caro a me fra gli dei, ornamenti bacchici, addio. Ho abbandonato le feste per cui prima mi rallegravo. Via dal mio corpo, a pezzi, fino a che il corpo è ancora puro, alle rapide brezze li do da portare a te, o profetico sovrano. Dove (è) la nave del condottiero? Per dove mai devo imbarcarmi? Non tardare più ad aspettare brezza per le vele, per portare via da questa terra una delle tre Erinni. Gioisci per me, madre; non piangere; o cara patria, e fratelli sottoterra e tu o padre che ci hai generato non mi aspetterete a lungo. Vittoriosa giungerò tra i morti dopo aver rovinato la casa degli Atridi, dai quali siamo stati distrutti».

La sacerdotessa ripropone ancora una volta la profezia sulla distruzione della casa degli Atridi e sul proprio ruolo in essa (vv. 457-461), tanto che si presenta come artefice di vendetta definendosi μίαν τριῶν Ἐρινύν (vv. 457) per poi ribadire la propria imminente morte da vittoriosa (v. 461).

Prima di lasciare la scena, si libera con violenza delle infule e delle stole del dio, affidandole alla brezza affinchè questa le riconsegni ad Apollo141

141 Si può osservare che il motivo della svestizione è differente da quello dell’Agamennone eschileo: non vi è rabbia verso il dio che l’ha condannata a vaticinare senza essere creduta, ma, al contrario, traspaiono profondo rispetto e un forte legame: la donna si libera delle insegne del dio soltanto perché riconosce l’inconciliabilità del suo ruolo di vergine sacerdotessa con il destino di concubinaggio che la attende (vv. 1256-1276).