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4. Troiane

4.5 La guerra e i rituali

Nel prologo delle Troiane Posidone, dopo aver parlato degli effetti materiali della distruzione di Troia, informa anche della rottura delle pratiche religiose: la guerra ha lasciato deserti i sacri boschi, ha macchiato di sangue i templi degli dei fino al punto da uccidere il vecchio re Priamo sull’altare sacro a Zeus (vv. 15-17). Vinto da Era e da Atena, a Posidone non resta che lasciare Troia e i suoi altari visto che la guerra ha irrimediabilmente alterato la dimensione religiosa. (vv. 26-7 «Quando la desolazione si impossessa, funesta, della città, le cose degli dei ne soffrono, né osano fruire di onori»). Tale opera di violazione e distruzione dei templi di Troia non resterà impunita: Atena entra in scena e chiede a Posidone una alleanza per colpire i Greci, colpevoli per non aver punito Aiace quando ha oltraggiato il tempio trascinando via la profetessa Cassandra (vv. 69-70).

Lo stretto rapporto tra guerra e apparato religioso si manifesta in relazione ai rituali e coinvolge sia i vinti che i vincitori tanto che, se nel suo discorso Cassandra prova a dimostrare che la guerra difensiva dei Troiani offre condizioni migliori di quella offensiva dei Greci, il suo tentativo risulta vano. Per quanto affermi che, al contrario degli aggressori Greci, i Troiani hanno avuto la sepoltura e la vicinanza dei parenti, in realtà le donne del coro ricordano che i loro mariti sono morti senza onori funebri e senza sepoltura (v. 1085) e Cassandra stessa predice che il suo corpo sarà preda per le onde (vv. 448-50). Infine il rito per Astianatte, con il quale muore qualunque speranza di riscatto e di futura ricostruzione di un nucleo familiare, è reso peculiare e irregolare a causa della guerra.

L’interdipendenza tra la dimensione rituale e il tessuto sociale è stata evidenziata da studi che hanno indagato i rituali nei sistemi religiosi152 e che

152 Foley 1985 offre un’ampia panoramica dei principali studi sui rituali in genere e sul sacrificio in particolare e questa introduzione teorica è preliminare all’esplorazione del rapporto tra rito e tragedia. Foley delinea due principali gruppi di studiosi: strutturalisti ed evoluzionisti. I primi (possiamo annoverare Rudhart, Vernant, Detienne, Durant) vedono nel rituale un insieme di simboli che funzionano come un linguaggio e i cui gesti vanno messi in relazione sia l’uno all’altro sia al contesto sociale. Gli evoluzionisti (si pensi a Meuli, Bataille, Burkert, Girard, Guépin) pongono l’attenzione in particolar modo sugli effetti sociali e psicologici che il rito ha sui partecipanti. A parere degli strutturalisti dunque il rituale offre al poeta una sorta di grammatica fatta di termini che possono essere impiegati per esprimere

hanno mostrato che una corretta esecuzione di un rituale diviene segno di una regolare civilizzazione. Il ruolo centrale rivestito nella società dai rituali li rende un utile e produttivo simbolo per la descrizione e l’esplorazione della crisi sociale che è alla base di molte trame di opere tragiche: nelle tragedie i rituali mostrano numerose irregolarità che sono segno di violenza o disordine sociale, di alterazione nel rapporto con la sfera divina, o anche di alienazione psicologica o sociale di un individuo dalla comunità153.

Il fatto che nelle Troiane i rituali siano alterati è rivelatore di una frattura del vecchio apparato sociale e di una crisi nella relazione tra uomini e dei. In effetti nei lamenti delle donne troiane è contenuta l’idea, che spesso accomuna i vinti, che gli dei non li abbiano supportati e non lo stiano facendo tuttora (vv. 596-7; vv. 612-613, vv. 845-846).

Per concludere, se le Troiane appaiono come un pianto corale, alle donne in realtà non resta neppure la consolazione del lamento perché la guerra, oltre ad averle private delle case e dei mariti, ha anche sottratto loro la possibilità di svolgere il ruolo consueto all’interno delle cerimonie rituali per cui, man mano che la tragedia si sviluppa, vediamo il Coro ed Ecuba alle prese con un insieme di attività rituali che risultano minate dalla guerra.

in maniera simbolica la natura della relazione tra gli uomini oppure tra gli uomini e gli dei o, ancora, tra gli uomini e il mondo animale. In effetti la partecipazione al sacrificio lega il partecipante alla comunità, sancisce il suo ruolo all’interno di questa e fa sì che il partecipante si confronti con la violenza nelle modalità previste dal rituale. Anche gli evoluzionisti ritengono che il rituale permetta un confronto con la violenza che è di fatto necessario a garantire la sopravvivenza di una forma di civiltà e a stabilirne norme e natura. Una comunità infatti attraverso i rituali espelle o regola la violenza, definisce i suoi rapporti con comunità differenti (anche animali e dei), effettua secondo precise regole le transizioni (matrimonio, morte...) e delinea i limiti entro cui iscrivere le proprie azioni.

153In merito all’alterazione della corretta procedura di un rituale, Foley 1985 evidenzia che è «symptomatic of a social environment in which violence is proliferating uncontrollably and cultural distinctions are collapsing. Proper procedures are violated, animal sacrifices become human, man aspires to become god, sacrificial gifts become unjust bribes, men eat their children» (p. 40). Inoltre menziona Tucidide che ha ritratto la rottura del rituale e in special modo del rituale di sepoltura durante la peste di Atene come sintomatico di una più generale crisi di disgregazione sociale (Hist. 2.51-52). Foley ritiene che l’analisi degli strutturalisti mostri bene come la metafora del sacrificio rituale sia illuminante in merito alla lettura delle opere tragiche dato che illustra perché la distruzione del matrimonio di Elena e Menelao conduce al ‘sacrificio preliminare’ di Ifigenia e perché il matrimonio fallito di Clitemestra conduce al ‘sacrificio’ di Agamennone. L’analisi spiega inoltre perché la violazione delle procedure sacrificali nella morte di Ifigenia può esprimere contemporaneamente sia una corruzione psicologica dell’individuo sia un’inversione dell’intero ordine sociale: per il pensiero greco, come mostra Platone (Rep. 8), la struttura della psyche dell’individuo e della società si riflettono spesso l’uno nell’altra.

Come osserva bene Croally 2008 «Ritual practice as it appears in the play is either possibly improper (the sacrifice of Polyxena) or ironic (the burials of Polyxena and Astyanax), because the rite cannot perform its function when the ritual context, the city and the family, has been destroyed» (pag. 83). Nelle Troiane lo scontro con i Greci è descritto non tanto attraverso le sue conseguenze materiali sulla città di Troia ridotta a macerie, quanto mediante la rappresentazione dei suoi effetti sul tessuto sociale e, in particolare, mediante la rappresentazione della distruzione dell’oikos e dell’alterazione del gamos. Questa scelta di Euripide sembra intrecciarsi con il desiderio di rappresentare la situazione successiva alla presa di Troia, quando in città ci sono soltanto le donne; queste sono rimaste vedove, orfane o senza figli perché la guerra, combattuta dagli uomini, ha causato la morte dei loro mariti, padri o figli. Ne consegue che in una tragedia femminile –quale appunto è quella delle Troiane154- la guerra e i suoi effetti vengono presentati in termini domestici e specialmente in rapporto all’immaginario matrimoniale: la causa scatenante della guerra è stata un’unione illecita (quella tra Paride ed Elena) e le conseguenze si manifestano come alterazioni delle dinamiche familiari-matrimoniali155.

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Che le Troiane siano una tragedia femminile è reso evidente dal fatto che il Coro di donne ed Ecuba sono sempre presenti, ma anche dal fatto che Cassandra Andromaca ed Elena si succedono una dopo l’altra sulla scena. Interessante è che come conseguenza la tragedia offre eccezionalmente alle donne possibilità di espressione oltre la modalità del lamento, che era abilità pubblicamente concessa all’universo femminile. Sulla scena abbiamo dunque Cassandra che profetizza e argomenta, Andromaca che si fa portavoce dell’ideologia maschile del matrimonio ed Ecuba ed Elena che si confrontano facendo uso di tecniche di argomentazione tipiche degli agoni.

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Il matrimonio si presenta come rituale soprattutto femminile perché, sebbene costituisse una fase di transizione anche per l’uomo, per quest’ultimo non era l’unico telos. Infatti oltre che mariti e padri, gli uomini dovevano anche dar prova di essere buoni cittadini e guerrieri e questo è il motivo per cui l’imeneo si focalizza più sull’esperienza della moglie che del marito. Laddove i ragazzi partecipano ad un percorso di iniziazione da cittadini-soldato fino al loro inserimento in città, gli unici traguardi che attendono una ragazza sono la vita coniugale e la maternità. Questi le consentono un adeguato inserimento nell’oikos, nel quale riveste un ruolo centrale essendo unica responsabile della funzione riproduttiva e garante della continuità nel gruppo. Alla centralità della donna nella cura e nella continuità della casa si contrappone il ruolo maschile nella tutela dei rapporti della città verso l’esterno tramite guerre (che sono espressione e difesa dell’ideologia della polis). Del resto all’interno della tragedia troviamo numerose indicazioni sulla distanza che universo maschile e femminile, mondo esterno ed interno devono mantenere: cittadino-guerriero da un lato, moglie-madre dall’altro. Tra sfera di competenza maschile e femminile, cui corrispondono oikos e polis, si delinea un rapporto di opposizione che si mantiene ben equilibrato e bilanciato in tempo di

Un esempio ci è offerto dalle donne del Coro delle Troiane che, come ci informa Ecuba già prima del loro ingresso in scena, sono mogli (τῶν χαλκεγχέων Τρώων / ἄλοχοι μέλεαι vv. 143-144) che lamentano di non poter più svolgere le attività che caratterizzavano la loro vita domestica (οὑξ Ἰδαίοις ἱστοῖς κερκίδα/ δινεύουσ' ἐξαλλάξω vv. 199-200) e che piangono il destino che ha reso vuoti i loro letti e che ora le spinge verso quelli dei Greci. Per questo ricordano spesso con dolore i mariti e gli affetti familiari (βοῶσ'/ ἆι μὲν εὐνάς, ἆι δὲ παῖδας, / ἆι δὲ ματέρας γεραιάς ὦ φίλος vv. 830-832; ὦ πόσι μοι v. 1081)156.

La guerra distrugge la sfera privata e i rapporti creati attraverso il gamos, per cui potremmo tracciare una opposizione matrimonio - guerra157. Sullo stesso piano della guerra pare invece porsi l’eros che, con il suo gioco di seduzione- aggressione, va a minare allo stesso modo la struttura familiare creata dal

gamos158. In generale possiamo osservare che nell’ambito della produzione tragica le forme di trasgressione erotica sono presentate come appartenenti al dominio della guerra non solo a livello di repertorio espressivo159, ma pace Al contrario, quando sorge un conflitto o si origina una guerra, le precise funzioni che le donne rivestono all’interno della famiglia vengono meno, i valori familiari vengono sovvertiti e la sfera privata dell’oikos risulta minata. Per un’analisi più approfondita del rapporto tra i due mondi che è da un lato di opposizione, dall’altro di relazione e contatto, si consiglia lo studio di Humpreys 1979 (in particolare, pp. 545-563).

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La vita in un oikos non distrutto dalla guerra è tratteggiata da Andromaca nella rhesis in cui la donna afferma di aver incarnato l’ideale etico della σωφροσύνη femminile, restando a casa per evitare di attirare ciarle e mostrandosi silenziosa e serena con il marito. Ella contrappone dunque nel suo discorso la sfera pubblica che le è preclusa a quella privata che risulta invece essere il suo campo di azione (vv. 645-656).

157 Per un’analisi del rapporto tra matrimonio e guerra si veda Vernant 1974 (pp. 23-49) e l’ulteriore analisi di Loraux 1981 (pp. 47-67). La studiosa infatti dopo aver osservato le equivalenze tra il parto e la battaglia, passa ad osservare il valore simbolico del linguaggio che da un lato descrive il parto come una battaglia in cui è la donna a dar prova di areté, dall’altro espressioni legate al dolore femminile del parto vengono impiegate per esprimere il dolore dell’eroe ferito.

158 Il matrimonio si configura come un’istituzione volta a canalizzare le istanze potenzialmente sovversive e distruttrici dell’eros in una forma, quale è quella matrimoniale- familiare, gestita e controllata a livello sociale in modo tale da finalizzare la sessualità alla procreazione di nuovi cittadini dello Stato. Oikos e polis sono in equilibrio fino a che gamos e

polemos mantengono un rapporto di distanza ed opposizione. Per tale analisi dei rapporti di

causalità tra eros, gamos e polemos si veda Durup 1983 (e in particolare pp. 143-157). 159L’adulterio di Elena è causa di numerosi lutti (Aesch. Ag. vv. 710-716; Eur. Andr. vv. 105- 106; Hec. vv. 905-952; Hel. vv. 362 ss., vv. 1122 ss. vv. 1305-1310) e l’adulterio di Clitemestra determina l’uccisione di Agamennone e di conseguenza il matricidio di Oreste che vengono descritti come episodi di guerra, cf. Soph. El. 197 (uccisione di Agamennone);

anche sul piano contenutistico, per quanto concerne la costruzione drammaturgica: l’adulterio di Elena o l’amore per Iole determinano rispettivamente la guerra di Troia e la presa di Ecalia (cf. Trachinie).

La relazione tra eros e polemos (assieme ai suoi effetti sull’oikos) è resa decisamente esplicita dall’immaginario impiegato nella tragedia Troiane. Responsabili della guerra sono Elena e Paride con la loro unione illecita e il Coro offre un’interessante chiave di lettura ricordando che eros è giunto a Troia prima di Elena con l’amore dei celesti (Zeus e Eos) verso personaggi troiani, rispettivamente verso Ganimede e Titono (cf. vv. 841-842)160.

Cassandra ritiene causa della guerra di Troia e della conseguente alterazione del gamos una sola donna, Elena (v. 368 «διά μίαν γυναῖκα καì μίαν Κυπριν») fonte di un sentimento erotico concepito al di fuori del matrimonio.

Ecuba definisce Elena «στυγνάν ἄλοχον, Κάστορι λώβαν τῷ τ'Εὐρώτᾳ δυσκλείαν» (vv. 132-133), Cassandra ricorda la volontaria scelta del tradimento («γυναικòς οὔνεκα καì ταῦθ' ἑκούσης κοὐ βίᾳ λελῃσμένης» vv. 372-373) e Andromaca dipinge Elena come «figlia di tutti i mali della terra» (Ἀλαστορος μέν πρῶτον, εἶτα δέ Φθόνου/ Φόνου τε θανάτου θ' ὅσα τε γῆ Aesch. Ch. vv. 460-461; Soph.El. vv. 492-493, vv. 1384-1385, vv. 1422-1423 (guerra di Oreste) Aesch. Ch. vv. 478; 1052; Eur. Hel. vv. 762; 880 ss. (vittoria di Oreste). Altra forma di trasgressione che altera la dimensione dell’oikos è il rifiuto dell’unione tanto che Ippolito nell’omonima tragedia viene posto in relazione al mondo della caccia che in fondo è in stretta relazione con quello della guerra. Anche nelle Supplici il linguaggio è vistosamente militare: il coro di Danaidi è definito esercito (Aesch. Suppl. 933) e le loro cinture sono definite ottima arma nella guerra contro i cugini d’Egitto (vv. 459-462) e, per concludere, in seguito all’incesto compiuto da Edipo si scatena a Tebe una peste che viene descritta come opera di Ares (OT. v. 178).

160 Il ruolo centrale dell’eros nella tragedia Troiane è stato evidenziato da Massenzio nel suo lavoro del 1982 in cui l’autore evidenzia come l’episodio di Cassandra mostri la relazione tra l’eros di Paride che è stato causa della guerra di Troia e dell’infelice sorte dei Troiani e quello altrettanto sacrilego di Aiace e poi di Agamennone verso Cassandra che sarà causa del destino infelice dei Greci. L’autore sottolinea anche, ai versi 556; 1065; 1295 l’uso del termine «Pergamon» (nome dato all’acropoli troiana situata sopra il colle dove si erge il tempio di Pallade Atena, insieme con altri templi minori e con la casa del sovrano) che include il suffisso gamos. Euripide sembrerebbe giocare sulla relazione verbale tra il destino di Troia e il matrimonio proprio quando afferma: «per un amplesso odioso distrusse la rocca di Troia» (v. 598). Il tragediografo avrebbe dato voce alla rottura dell’equilibrio per dimostrare che, se la pace consente il controllo da parte della comunità politica sulla dimensione ndividuale e familiare, ovvero il controllo e la gestione del femminile da parte del maschile, la guerra al contrario sconvolge questi equilibri.

τρέφει κακά vv. 768-769). Perfino Menelao non riesce a definirla dolce sposa (οὐ γὰρ ἡδέως ὂνομα δάμαρτος ἥ ποτ'' ἧν ἐμὴ λέγω vv. 869-870) e ricorda poi la distruzione di Troia avvenuta a causa di Elena (διά γάμον μιᾶς ἕνα γυναικό v. 598; λεχέων στυγερῶν χάριν v. 781; μιᾶς γυναικòς καì λέχους στυγνοῦ χάριν vv. 498-499).

Elena è presentata come colpevole di aver alterato il proprio matrimonio (gamos) con Menelao macchiandosi della colpa di adulterio, colpita da un

eros che, in quanto lontano dall’istituto del matrimonio legittimo, è dipinto

nella sua connotazione bellica. Ecuba in effetti raccomanda a Menelao di evitare il suo sguardo che è foriero di una guerra «che distrugge città e case» (ἀνδρῶν ὄμματ', ἐξαιρεῖ πόλεις / πίμπρησιν οἴκους vv. 892-893) e che è presentato nella sua pericolosità anche da Andromaca (καλλίστων γὰρ ὀμμάτων ἄπο/ αἰσχρῶς τὰ κλεινὰ πεδί ' ἀπώλεσας Φρυγῶν vv.772-773). La guerra, combattuta per amore di una donna, Elena, genererà una serie di atti di violenza. Cassandra, sacerdotessa di Apollo alla quale il dio aveva destinato «una vita senza nozze» (v. 254) viene assegnata a letti illeciti (λέκτρων σκότια νυμφευτήρια v. 252) a causa dell’eros che ha colpito Agamennone (ἔρως ἐτόξευσ' αὐτòν ἐνθέον κόρης v. 255) e che risulta deviante rispetto all’istituzione matrimoniale. L’unione che attende Cassandra è effetto della guerra ed è sottolineato dalle parole di Ecuba ai versi 345-347: «οἴοι τέκνον ὡς οὐχ ὐπ' αἰχμῆς σ'οὐδ' Ἀεγείου δορòς γάμους γαμεῖσθαι τούσδ' ἐδόξαζόν ποτε» («Ohimè figlia, mai credevo che tu costretta da lancia argiva avresti un giorno contratto tali nozze»).

La forzatura bellica dell’unione tra Agamennone e Cassandra è ricordata ancora una volta da Ecuba quando, nel dialogo con Andromaca, definisce Agamennone «un altro Aiace» (vv. 618-619). Infine come ulteriore evidenza della natura bellica del rapporto si può annoverare la violenza del gesto con il quale Cassandra si strappa le bende del dio, abbandonando la sua condizione di vergine (v. 453).

L’unione con Agamennone sarà foriera di altra violenza, in quanto sarà causa della morte del re e della distruzione del suo oikos e questo è per Cassandra motivo di gioia. Come Ifigenia si era immolata per consentire alla flotta di partire e di far scontare ai barbari l’oltraggio subito da Elena, così Cassandra si immola per far scontare ai Greci le barbarie di cui si sono

macchiati e resi responsabili a Troia. Risultano simmetriche le efferatezze compiute dai Greci e dai Troiani e i sacrifici di Ifigenia e Cassandra che sono descritti come due matrimoni con la morte.

Calzante rispetto al contesto delle Troiane risulta l’osservazione di Segal 1990 a proposito dell’Ecuba: «The play combines the familiar Greek polarity of marriage versus war with the Greek analogy between marriage and sacrifice; and it explores the otherness of the female by combining it (as in the Medea) with the otherness of the barbarian» (pag. 109).

In effetti nella tragedia Troiane, descrivendo la situazione successiva alla caduta di Troia, Euripide restringe il campo di osservazione alle vittime femminili e lo focalizza in particolar modo sulle donne che si erano raccolte attorno al corpo di Ettore al termine dell’Iliade: Ecuba, Cassandra, Andromaca ed Elena.

Gli episodi centrali della tragedia sono costituiti dagli incontri -pieni di lacrime- di Ecuba con la figlia Cassandra e con le nuore Andromaca ed Elena, mentre un’altra figlia, Polissena, benchè non fisicamente presente in scena, risulta essere comunque motivo di pianto per la madre. Se Ecuba piange la sorte delle figlie è perché sono destinate a diventare schiave e concubine dei Greci e perché non potrà mai vederle raggiungere quei matrimoni onorevoli che aveva tanto sognato per loro («E le figlie che ho allevato per lo speciale onore dei loro sposi -per altri le ho allevate- mi sono state strappate dalle mani» vv. 484-486).

Ecuba e le altre donne in scena devono in un certo senso affrontare un matrimonio con la morte, ovvero un’unione con uomini che hanno ucciso quelli che erano o che dovevano diventare i loro mariti. Dall’araldo Taltibio apprendiamo che Cassandra diventerà «segreta unione» del letto di Agamennone (v. 252 λέκτρων σκότια νυμφευτήρια) e quando Ecuba chiede a chi Polissena sia stata «aggiogata» dalla sorte (v. 262 ταύταν ' τῷ πάλος ἔζευξεν), l’araldo risponde alludendo in maniera criptica al sacrificio della fanciulla sulla tomba dell’eroe greco (v. 263 τύμβῳ τέτακται προσπολεῖν Ἀχιλλέως). Tale sacrificio in una precedente tragedia euripidea (Ecuba) era stato presentato, non a caso, come un distorto matrimonio con il morto. Per finire, Andromaca è stata reclamata da Neottolemo, figlio dell’uomo che le ha ucciso il marito Ettore, mentre Ecuba, la regina di Troia, è stata

assegnata ad Odisseo, all’uomo che con la sua «duplice lingua» (v. 286) è stato responsabile della presa della città.

Per descrivere queste future relazioni che non sono delle regolari unioni nuziali vengono utilizzati termini tipici del matrimonio: Andromaca, pur dovendo diventare semplicemente concubina di Neottolemo, si definisce δάμαρ (v. 660), termine normalmente impiegato per indicare una sposa legittima e allo stesso modo Taltibio dice che Cassandra sarà σκότια νυμφευτήρια (v. 252) richiamando l’espressione utilizzata da Poseidone nel prologo (σκότιον λέχος v. 44).

Più in generale, al di là del lessico, elementi tratti dal repertorio della celebrazione nuziale sono utilizzati come simboli funzionali a sottolineare l’anomalia della situazione.

Nel momento in cui lamenta il perduto marito Ettore e si prepara ad essere concubina di Neottolemo, Andromaca viene trascinata su un carro che pare alludere a quello matrimoniale con cui la sposa veniva condotta nella sua nuova casa. Inoltre la donna afferma che la notizia dell’imminente morte del figlioletto si presenta più dolorosa del matrimonio con Neottolemo (v. 720) e conclude l’intervento così: «ad un bell’imeneo io vado, dopo aver perduto la mia stessa creatura» (vv. 778-779).

Nel compianto verso Astianatte anche la nonna Ecuba mescola temi