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Il canto imeneo nel teatro di Euripide: proposte di lettura della monodia di Cassandra nelle Troiane.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ... 1

1. Premesse ... 5

1.1 Generi lirico-corali in tragedia ... 5

2. Canti nuziali ... 12

2.1 Struttura e canti delle cerimonie nuziali ... 12

2.2 Come riconoscere un canto nuziale: caratteristiche formali ... 17

2.3 Canti di nozze in tragedia ... 24

2.3.1 Canti nuziali in un presente di morte. ... 26

2.3.2 Marriage to death ... 26

2.3.3 Canti nuziali per relazioni disfunzionali ... 30

3. Canti di nozze in Euripide. ... 31

3.1 Ciclope ... 34 3.2 Alcesti ... 38 3.3 Eracle ... 40 3.4 Elena ... 42 3.5 Supplici ... 44 3.6 Ifigenia in Aulide ... 48

3.7 Tentativi di realizzazione: Fetonte e Troiane ... 53

3.7.1 Fetonte ... 54

4. Troiane ... 57

4.1 Struttura della tragedia ... 57

4.2 Cassandra vergine sposa ... 60

4.3 Cassandra sulla scena ... 69

4.3.1 Monodia (vv. 308-341) ... 69

4.3.2 Realizzazione di un canto nuziale ... 79

(2)

4.3.4 Relazione disfunzionale, marriage to death e coloriture bacchiche ... 83

4.3.5 Argomentazioni e profezie ... 96

4.4 Riduzione monodica di un canto corale ... 108

4.5 La guerra e i rituali ... 116

(3)

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare la monodia intonata da Cassandra nelle Troiane di Euripide (vv. 308-341), riconoscendo in essa una anomala sfumatura di genere nuziale e confrontandola con analoghi passi di tragedie euripidee. L’analisi è articolata in quattro capitoli: a premesse riguardanti il rapporto fra la tragedia e le forme lirico-corali esterne al dramma fa seguito un capitolo dedicato alla cerimonia nuziale, al canto imeneo ad essa associato e alla presenza di questo in tragedia. La terza sezione restringe l’analisi al recupero dell’immaginario nuziale in otto opere euripidee: Ciclope, Alcesti, Eracle, Elena, Supplici, Ifigenia in Aulide, Fetonte

e Troiane. Nell’ultimo capitolo viene trattata in maniera più approfondita la

tragedia Troiane, con una particolare focalizzazione sulla monodia intonata da Cassandra.

Nel secondo capitolo sono brevemente tracciate la struttura della cerimonia nuziale e le principali caratteristiche del canto imeneo che accompagnava il rito, desumibili dalle fonti letterarie che ci sono pervenute. L’individuazione, nella monodia di Cassandra, di caratteristiche tipiche del canto nuziale, non limiterà la disamina al collocamento della monodia entro le griglie di genere e alla messa in luce di costanti e varianti rispetto al genere stesso.

C’è da dire che, cosa si debba intendere per genere, cosa si possa ritenere canonico nelle categorie della poesia greca, quale sia il contesto di esecuzione del canto e quali caratteri formali (metrico-musicali e contenutistico-lessicali) lo caratterizzino, sono argomenti complessi e largamente dibattuti. Non si intende in questa sede prendere una posizione o fornire una risposta a tali quesiti, anche perché lo impediscono la scarsità di materiale di confronto, il rapporto di difficile definizione fra identità autoriale e identità di genere, l’evoluzione diacronica del genere stesso e, per finire, le variazioni dovute al mutare del contesto esecutivo.

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Ne consegue una difficoltà nel tentativo di riconoscimento nella tragedia, «genere tra i generi1», di ciò che è ripresa di una tipizzazione e ciò che ne costituisce una variazione consapevole (sul piano sitilistico, contenutistico o di occasione).

Le difficoltà evidenziate non fanno desistere da un approccio che consideri la tragedia in rapporto alla poesia lirica greca di età arcaica e classica, le cui forme si erano codificate e definite nel tempo prima di giungere sulla scena del teatro. Ammettendo confini non rigidi tra i vari generi, si intende valorizzare la possibilità di modulazione offerta al tragediografo e salvaguardare l’unicità della singola opera.

La monodia di Cassandra sarà esaminata non solo attraverso un confronto con le forme di lirica greca sviluppatesi al di fuori del contesto drammatico, ma anche in rapporto all’intera produzione tragica di Euripide.

La rimodulazione del repertorio del canto nuziale viene effettuata nel teatro euripideo attraverso il riutilizzo di elementi formali in condizioni opposte rispetto a quanto previsto da una celebrazione matrimoniale: in un presente scenico di morte o di relazione irregolare, l’imeneo viene evocato come paradigma positivo che evidenzia l’anomalia della condizione rappresentata. Nel caso specifico delle Troiane, l’imeneo contrasta con il rapporto di schiavitù che legherà Cassandra ad Agamennone e sembra motivare le reazioni (da parte di Ecuba e del Coro) di aperta dissociazione dalla mainas Cassandra.

I personaggi in scena ignorano tuttavia che, prevedendo la sua morte imminente ad Argo assieme ad Agamennone, Cassandra intende celebrare con gioia, attraverso il canto, l’unione con lo sposo «nell’Ade» (cf. vv. 442) che le offre occasione di vendetta.

Per quanto il recupero del canto nuziale nelle Troiane dal punto di vista della funzione drammatica sembri perfettamente in linea con il resto della produzione tragica in generale ed euripidea in particolare, dal punto di vista formale-funzionale risulta invece un unicum. In Alcesti, Eracle, Elena e

Supplici viene ricordato il canto eseguito in occasione di un matrimonio

celebrato in passato, nell’Ifigenia in Aulide il coro esegue sulla scena il canto

1

(5)

per le nozze mitiche di Peleo e Teti. Solamente nel Fetonte e nelle Troiane l’imeneo è eseguito nell’hic et nunc della scena tragica in funzione della situazione drammatizzata. Unica differenza sostanziale è che mentre nel

Fetonte l’ἔξαρχος Merope è seguito e accompagnato dal Coro, nelle Troiane

Cassandra non riesce a coinvolgere la madre Ecuba e il Coro di prigioniere. Nell’imeneo di Cassandra Euripide trasferisce nello spazio del canto di un solo personaggio le caratteristiche di un’esecuzione corale (quali autoreferenzialità e struttura antistrofica) e concentra su Cassandra una pluralità di azioni che normalmente sarebbero distribuite tra vari personaggi. Accanto ad una lettura di tipo filologico e metrico-ritmico si intende valorizzare un approccio critico che evidenzi la funzione drammatica della monodia e che ponga la tragedia in relazione sia al contesto festivo-cultuale delle celebrazioni in onore di Dioniso, sia al contesto politico-sociale cui appartenevano committenti e fruitori dell’opera.

Tale approccio consente di interpretare la scelta della forma monodica alla luce non solo delle innovazioni del nuovo ditirambo, ma anche di una strategia drammatica più ampia adottata da Euripide nelle Troiane e con la quale il tragediografo intende mostrare gli effetti della guerra mediante la rappresentazione dell’alterazione della normalità rituale e coreutico-musicale frigia ad opera dell’invasore greco.

Nota al testo:

Ove non diversamente indicato, per il testo greco delle opere tragiche presenti all’interno di questo lavoro ho fatto riferimento all’edizione di J. Diggle (Euripidis fabulae I, II, III, Oxford: Clarendon Press, 1994) mentre la relativa traduzione italiana è da me curata.

(6)

«οὔποτε φήσω γάμον εὐφραίνειν

πλέιν ἤ λυπεῖν […]»

Alcesti, vv. 238-239

1. Premesse

1.1 Generi lirico-corali in tragedia

Numerosi sono i lavori che negli ultimi anni hanno indagato la presenza di specifici generi lirico-corali all’interno del teatro tragico2 e il legame tra le parti liriche in tragedia e le tipologie meliche esterne al dramma era riconosciuto già dagli antichi; nelle Rane di Aristofane (vv. 1280-1295) Euripide accusa Eschilo di aver ripreso i suoi μέλη dalla tradizione del canto citarodico3

.

Il rapporto tra la tragedia e la precedente tradizione poetica è stato oggetto di molteplici attenzioni da parte della critica secondo svariati approcci4. Ad Herington indubbiamente va il merito di aver riconosciuto che tragedia e forme meliche extra-drammatiche condividono alcuni aspetti formali e di aver inserito entrambe nella categoria di «performing arts»5 .

2

Tra gli altri, cf. Rutherford 1994-1995 per il peana; Furley-Bremer 2001 per l’inno agli dei, Rodighiero 2012 per lo specifico della produzione tragica sofoclea.

3

Nello specifico Aristofane nelle Rane cita alcuni versi tratti dall’Agamennone (vv. 109; 111s.) e da altre tragedie che ci sono tuttavia pervenute in forma frammentaria (ffr. 84, 236, 282 TrGF). A proposito della critica dei lyrica di Eschilo e di Euripide nelle Rane di Aristofane cf. Di Marco 2009 e 2011.

4

Importanti contributi sono quelli raccolti nelle miscellanee curate da Golder – Scully 1994-1995 e da Perusino – Colantonio 2007, ma si ricordano anche la sintesi di Hutchinson 2001, 427-39 e la monografia di Swift 2010 all’interno dei quali è possibile reperire bibliografia esaustiva in merito all’argomento.

5

Herington 1985 ha il merito di aver evidenziato gli aspetti comuni tra melica corale e dramma. Nel sottolineare che vi è «no unbridgeable gap between the poetry and the drama of the Greeks, as there is between our poetry and our drama» afferma che ciò si deve al fatto che «both were performing arts». Lo studioso prosegue osservando che la melica corale non solo utilizza le stesse modalità artistico-espressive del dramma (testo poetico,

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Lo studioso inglese ha offerto un terreno fertile per i successivi studi sulla presenza e sulla funzione di tipologie ben riconoscibili di poesia melica in ambito tragico, ma, per quanto abbia individuato somiglianze formali e di contesto di fruizione, un limite che si può riscontrare nella sua impostazione è quello di aver trascurato la dimensione rituale delle forme corali (siano esse drammatiche o extra - drammatiche)6.

Tale dimensione è stata invece riconosciuta e valorizzata dalla critica soprattutto a partire dagli studi di Gentili 1965-2006 e Calame 1977 e risulta importante non solo per comprendere appieno la melica corale extra-drammatica, ma anche per apprezzare il suo inserimento nel contesto drammatico, dato che le sequenze coreutico-musicali eseguite dal coro tragico assumevano di fatto efficacia cultuale7.

Del resto, la tragedia si inseriva nella cornice religioso-rituale delle Grandi Dionisie ed era percepita come una particolare forma corale, come ha ben musica e danza), ma presenta essa stessa una tendenza a diventare dramma: «notably in Alcman’s hands had a strong tendency to become a kind of drama itself» (p.40). In più, oltre alle caratteristiche formali, l’attenzione di Herington si posa sulle occasioni di composizione e lo studioso nota che anche in questo caso si possono tracciare molte somiglianze tra melica e poesia drammatica: «the tragedies, like […] several kinds of coral lyric, were performed in officially organized contest, agones mousikoi» (ibid.). Tra i vari studi in materia che precedono le osservazioni di Herington vanno menzionati i lavori di Adami 1900, Panagl 1971, Fleming 1977 e Davidson 1986.

6Il fatto che l’analisi di Herington trascuri la dimensione rituale si spiega alla luce di una sua reazione negativa all’approccio ritualistico alla tragedia, similmente alle posizioni espresse da Else 1957 - 1965 che aveva reagito ai tentativi di connettere la tragedia e i suoi aspetti formali a determinate pratiche rituali. Per comprendere quali siano le teorie da cui Else prende le distanze, si legga Else 1957 (pp. 1-8) e 1965 (pp. 26-31). Al contrario, per studi che tengano conto dell’aspetto performativo, si rimanda a Easterling 1988; Bierl 1991-2009; Calame 1994-1995; Heinrichs 1994-1995 e 1996.

7

Nel corso di un seminario tenutosi ad Urbino nei giorni 21-23 settembre 2005 (i cui interventi sono raccolti in Perusino-Colantonio 2007) Claude Calame (2007, p. 67) ha sottolineato una ‘delega corale’ che il pubblico conferisce al coro tragico e che si realizza di fatto attraverso l’istanza enunciativa ed identificativa «dell’io/noi con il quale si esprimeva anche la melica corale». In merito ad una riflessione sull’interazione tra funzione drammatica e dimensione cultuale del coro tragico rimando anche a Henrichs 1994-1995 e in particolare si veda p.59: «the external setting in the sanctuary of Dionysos Eleuthereus and the distinctly cultic ambience of the City Dionysia reinforces the ritual function of choral dances in tragedy» e anche p. 68 ss. «the dramatic role of the chorus is acted out in the highly ritualized realm of myth, a world inhabited by gods and mortal who interact through the medium of cult; […] throughout tragedy, ritual and cult function as common denominators which mediate between the dramatic past and the present [...] as a performance of the ritual dance, the chorus exists simultaneously inside the dramatic realm of the play and outside of it in the political and cultic realm of the here and now».

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evidenziato Wilson 2000: «well into the later classical period, drama was conceived of as a choral form»8.

Anche Bierl 2009 segue questa corrente interpretativa e, nel sottolineare che il coro costituiva l’elemento centrale nel Gesamtkunstwerk del teatro antico, ricorda che quando un poeta faceva richiesta di partecipazione al concorso drammatico, si diceva che “aveva richiesto un coro” (χορòν ᾔτησεν)9. In più uno tra i cittadini privati più facoltosi in qualità di χορηγός si assumeva il prestigioso onere di sostenere l’ingente costo dell’allestimento del coro10. Se la tragedia stessa è connessa al rito, che può costituire occasione per il canto o per l’agone poetico, potremmo leggere ogni canto in tragedia come una espressione propria della tragedia stessa, senza ravvisare alcuna forma di Kreuzung11 tra generi (è quanto osserva Rodighiero 2012, p. 10).

Anche Calame 2017, p. 104 scrive: «[…] il est vain de tenter d’interpréter l’apparente présence des formes du mélos traditionnel dans l’orchestra du théâtre en termes de référence et d’allusion (à des genres «lyriques» autonomes!)» e in nota aggiunge che questo è un approccio che è stato adottato da Swift 2010 (pp. 29-34 e 367-371) che esplora il fenomeno della

generic interaction nella lirica tragica analizzando la produttività dei vari

generi (peana, epinicio, partenio, imeneo, treno) in tragedia12.

8

Cf. Wilson 2000 p.2 e, sulla stessa linea, si vedano Foley 2003 (pp. 2-12); Kowalzig 2007 (p. 221-26) e Kitzinger 2012 (p.385).

9Cf. Cratin. fr. 17, 1 PCG. riguardo l’arconte a cui il poeta presenta domanda: ὃς οὐκ ἔδωκ’ αἰτοῦντι Σοφοκλέει χορόν; on χορὸν αἰτεῖν cf. Ar. Equ. 513; on χορὸν διδόναι cf. Plat. Rep. 383c2, Leg. 817d7, and Arist. Poet. 1449b1–2; on χορὸν λαμβάνειν cf. e.g. Ar. Ran. 94; χορὸν εἰσάγειν col valore di “iniziare l’opera” in Ar. Ach. 11; cf. Thesm. 390–391 ὅπουπερ ἔμβραχυ | εἰσὶν θεαταὶ καὶ τραγῳδοὶ καὶ χοροί. Qui χοροί assume significato tecnico: la tragedia è costituita da tre corpi, spettatori, attori e coro, ma spesso l’espressione χοροί significa semplicemente “teatro” o “spettacolo teatrale” con procedimento sineddotico; cf. Ar.

Ach. 628, Equ. 521, Eccl. 1160, and Men. Sam. 737 (commedia), Ar. Av. 787, and Ran.

1419 (tragedia). Nel corso del mio lavoro utilizzerò l’iniziale minuscola in riferimento al coro come istituzione o ad un generico coro tragico e la maiuscola per un determinato Coro di una tragedia.

10

Cf. Csapo - Slater 1995 (pp. 139–157). Sulla pratica della khorêgia in generale cf. Wilson 2000.

11

Per Kreuzung secondo la classica definizione di Kroll 1924 (pp. 202-224) si intende la creazione di nuovi generi a partire dall’incrocio di quelli preesistenti.

12

È bene precisare tuttavia che Swift 2010 non ha la pretesa di prendere una posizione netta in merito al complesso problema di definizione dei generi lirici. La studiosa parte dall’assunto che, poiché i generi della lirica greca svolgono ciascuno una funzione sociale, saranno identificabili attraverso la loro esecuzione di quella funzione, mentre attributi formali come metro e linguaggio ricevono un ruolo importante ma non definitivo ai fini

(9)

In più un’esegesi del testo tragico che vada alla ricerca dei vari generi lirici si scontra con la difficoltà di riconoscimento degli stessi a causa della mancanza di un indicatore (tematico, di lessico o di carattere) che permetta di classificarli con esattezza.

È vero che alcuni canti eseguiti sulla scena dal coro della tragedia sono stati individuati attraverso un confronto con le forme meliche che nel corso del tempo si erano andate definendo e codificando al di fuori del contesto drammatico; tra questi una preghiera a Zeus, un canto nuziale per la sposa e un peana per Apollo (si vedano rispettivamente Aesch. Ag. vv. 160 ss.; Eur.

Phaëth. vv. 227-244; Soph. O.T. vv. 151-215).

È vero anche che buona parte della critica è concorde nel qualificare inno, peana, ditirambo, imeneo, treno, nomo o iporchema come «generi lirico-corali», ma la distinzione tra le varie tipologie va operata con le dovute cautele e in maniera non rigida13, tanto più che bisogna tenere in considerazione anche la loro mutazione nel tempo in virtù della non fissità delle loro forme.

Di questo avviso è Rodighiero che nel suo volume Generi lirico corali nella dell’identificazione. Obiettivo di Swift non è quello di costruire una teoria per il riconoscimento di un preciso genere nel mondo letterario greco, ma piuttosto quello di esplorare gli usi per cui possono essere impiegati tipologie di canzoni al di fuori dei loro contesti più tipici. La studiosa mostra del resto consapevolezza della sostanziale polifonia nell’espressione dei vari generi all’interno del teatro tragico e, tra l’altro, sottolinea come la tragedia stessa sia un “genere corale”.

13 Cf. Cerri 2007 (pp. 179 ss.) che critica l’idea dell’esistenza di vere e proprie leggi del genere. Del medesimo avviso è Carey 2009, p. 22 che scrive: «Whatever discriminators we use – verse form, civic or individual, solo or group, spoken or sung, religious or secular- we find overlaps and imprecisions. Peans are most commonly performed by groups but are sometimes perfomed by individuals; hymns to the gods can be performed in large civic celebrations but also at symposia. ‘Secular’ forms such as the victory ode inevitably have a religious content in a society were sacred and secular always to some degree coexist». Anche Neri 2010 (pp. 34-38) invita, sulla scia di Cingano 1998 (pp. 101-104), a considerare in maniera più sfumata i contorni tra i vari generi che sembrano essere declinazioni di un comune patrimonio poetico-musicale (fatto di miti, motivi tematici, ritmi, melodie e figure orchestriche) determinate in maniera comunque flessibile dai vari contesti esecutivi. Ultima in ordine cronologico l’analisi di Iannucci 2011, pp. 75-77 e l’interessante conclusione a p. 89: «la poesia greca arcaica - esametrica, melica, elegiaca e anche corale – si profila come un genere unitario, prodotto di un’unica dizione comune che si articola su diversi codici linguistici e metrico-musicali: per comodità e continuità rispetto a una terminologia tradizionale possiamo anche continuare a chiamare ‘generi’ tali codici, ma occorre sempre tenere nella dovuta considerazione il fatto che almeno per quanto riguarda l’età arcaica e classica si tratta di declinazioni di una stessa, comune e unitaria forma di comunicazione letteraria: la performance poetica».

(10)

produzione drammatica di Sofocle14 fornisce un importante contributo alla

problematica del rapporto tra forme meliche extradrammatiche e i lyrica del dramma; attraverso una analisi stilistica e metrica del testo mostra come vi sia una sostanziale ‘fluidità’ e commistione di generi lirici e di scenari cultuali. In merito al concetto di ‘genere’ nell’ambito della poesia greca arcaica e classica, Rodighiero 2012 seguendo Calame (1974, p. 124) e Swift (2010, pp. 16ss.) pensa al genere come ad un’istituzione «in grado di orientare […] le pratiche di composizione e di scrittura attraverso una serie di competenze e di regolarità formali riconosciute e condivise – da poeta e comunità – in maniera più o meno esplicita» (p.11).

Ciò vuol dire che nella definizione di genere vengono tenuti in considerazione sia il criterio (esterno e funzionale) del tipo di occasione e della fruizione del componimento, sia il criterio (interno e formale) della struttura del discorso e delle sue caratteristiche formali15.

In effetti il forte legame tra una tipologia di canto e l’occasione per cui è stato composto (aspetto caratteristico di quella che da Herington è stata definita «song culture»16), fa sì che la presenza di uno specifico canto in tragedia sia in grado di richiamare negli spettatori anche una precisa occasione di composizione ed esecuzione e, di conseguenza, le atmosfere e le attese ad essa connesse. A rendere possibile ciò è il fatto che il pubblico della tragedia era lo stesso che partecipava alle esecuzioni corali extra-drammatiche e che condivideva con il poeta tragico lo stesso orizzonte religioso e rituale17. Rodighiero dunque non vuole negare l’importanza di rintracciare in tragedia

14 cf. Rodighiero 2012 nel suo volume dedicato all’esame dei generi lirico-corali nella produzione drammatica di Sofocle concentra l’attenzione sul secondo stasimo dell’Aiace (vv. 693-718), sul primo stasimo delle Trachinie (vv. 497-530), sulla parodo e sul quinto stasimo dell’Antigone (vv. 100-161, 781-800, 1115-1154). Lo studio intende evitare una eccessiva rigidità che limiti la lettura nelle griglie di una individuazione del genere poetico ravvisabile nei passi analizzati, tanto che nel primo stasimo delle Trachinie vv. 497-530 l’autore sottolinea una «confluenza di generi lirici» (pp. 61 e 101).

15

Per la distinzione tra criterio esterno (funzionale) e criterio interno (formale) si vedano Gentili – Cerri 1983 (pp.103-109) e Ford 2008 (pp. 8-22).

16 Sempre ad Herington va il merito di aver introdotto l’espressione «song culture», largamente impiegata in riferimento alla cultura greca arcaica e classica (cf. Herington 1985, pp. 3-5).

17

A tale proposito è opportuno ricordare che Sofocle oltre che autore di drammi fu anche compositore di canti per altre occasioni corali, basti pensare al peana che compose per la vittoria di Salamina (737b PMG). Allo stesso modo, Frinico fu compositore di peani menzionati da Timeo di Tauromenio (566 f. 32, 6-13 FGrHist).

(11)

forme del repertorio melico extradrammatico, ma, partendo dal presupposto che «non siamo in grado di individuare un solo passo lirico di una tragedia di V secolo che possa genuinamente essere scambiato per un esempio di un determinato genere»18, pone l’accento sulla forte componente di contaminazione e rielaborazione cui il poeta tragico (nel suo caso l’attenzione è rivolta a Sofocle) sottopone le tipologie meliche tradizionali in virtù delle esigenze drammatiche19.

Poiché «ogni volta che vengono innestati dentro la tragedia, i potenziali codici di un genere risultano per forza decontestualizzati» (Rodighiero 2012, p.9) bisognerà considerarli in relazione al testo, agli esecutori, al luogo e al tempo di esecuzione (chiaramente luogo, tempo ed esecutori sono da considerare su un duplice piano, quello della finzione scenica e quello della sua esecuzione). In definitiva, l’approccio suggerito da Rodighiero è quello di cercare di stabilire la distanza alla quale i canti in tragedia si pongono, per affinità o per contrasto, rispetto al repertorio con cui di volta in volta si misurano.

Sembra giusta sintesi a questa disamina l’osservazione di Calame 201720:

18

Rodighiero 2012 (p.11) sulla scia di Swift 2010 (p. 369). 19

Cf. Rutherford 1994-1995: «more often than not, tragedy distorts and subverts the conventions of choral lyric for literary effect» (p.112).

20

Per comprendere bene il senso delle parole dello studioso è opportuno inquadrare il lavoro di Calame 2017 all’interno di una prospettiva di indagine della tragedia greca che ne consideri il valore rituale. Già Bierl 2009 aveva criticato il metodo dei Ritualisti di Cambridge contestando il presupposto della filiazione del teatro dal rito e aveva proposto una relazione di interdipendenza e simultaneità tra i due prodotti della cultura greca. Calame 2017 (p. 93-94) afferma che alla soglia del XIX sec. il coro ha catturato l’attenzione di studiosi della tragedia attica, soprattutto all’interno del dominio anglosassone e osserva che dal punto di vista dell’antropologia culturale, un ruolo di rilievo lo ha avuto Victor Turner nello sviluppare il concetto di «theatrical performance». Partendo dal concetto di esperienza inteso come «Erlebnis» Diltheyano, Turner ha elaborato l’idea di cultura come insieme di esperienze individuali rese disponibili per la società mediante un’esperienza sia verbale che corporale di esse. Dietro questa idea di performance come «messa in scena ritualizzata di un dramma sociale» (cf. Turner, 1982 pp. 12-19) Calame riconosce l’influenza di Schechner, creatore del «Performing Garage» nel quartiere di SoHo a New York e uno dei creatori dei «Performing Studies» che hanno contribuito al fiorire di un interesse sugli aspetti di coralità della tragedia. Calame dunque recupera questi contributi e alla luce di tali presupposti teorici va letta l’espressione «tragédie comme rituel» tanto che a pagina 94, recuperando il titolo del lavoro di Turner (From ritual to theatre) scrive «Non pas From ritual to theatre comme le propose l’intitulé du recueil de Turner, mais le théâtre comme rituel!». Da qui anche a pag. 95: «Ainsi donc la tragédie est à considerer comme performance rituelle et musicale; et les chants de la tragédie sont à envisager en tant que performances poétiques chantées et dansées sur le modèle des formes de le groupe choral mais parfois aussi par les acteurs du

(12)

«De fait, qu’ils soient monodiques ou choraux, les chants méliques de la tragédie d’Euripide reprennent des formes cultuelles et poétiques traditionnelles (hymnes, péans, formes méliques tel l’hyménée). Les poètes de la tragédie les réorientent, du point de vue formel et du point de vue pragmatique, sur l’action héroique représentée sur la scène; mais la tragédie peut aussi les soumettre, occasionnellement, à l’acte cultuel que constitue la performance tragique elle-même. Du rituel dans la tragédie, nous voici renvoyés à la tragédie comme rituel!» (p.65).

drame […]».

(13)

2. Canti nuziali

2.1 Struttura e canti delle cerimonie nuziali

Fonti antiche sulle nozze greche sono molto varie, sia sul piano tipologico che cronologico, ma si può comunque notare una certa continuità delle caratteristiche a partire da Omero fino agli autori tardoantichi.

I testi greci che ci sono pervenuti presentano la cerimonia matrimoniale -o perlomeno il suo nucleo centrale- come scandita in un iter che, a quanto pare, doveva essere ben radicato nella tradizione per presentarsi pressoché invariato dall’età arcaica a quella imperiale fino alla tarda antichità21.

La struttura essenziale del γάμος si può schematizzare nella successione di un banchetto (generalmente presso il padre della sposa) e di un corteo che al calare della sera accompagnava i νυμφίοι all’οἶκος dello sposo, dove era allestito il θάλαμος. Spesso in occasione di tale processione, definita νυμφαγωγία22

, la sposa sedeva su un carro, preceduto da una processione di parenti e amici che sollevavano torce e seguito da gruppi di giovani (chiamati παῖδες προπέμποντες) che intonavano inni. Un ruolo importante era rivestito dalla madre della sposa che guidava la processione sollevando torce le quali, oltre a testimoniare la legittimità dell’unione, simboleggiavano la continuità della vita familiare, dal momento che con queste stesse torce veniva acceso il fuoco in casa dello sposo.

Nei testi pervenuti si può inoltre osservare che la cerimonia nuziale è spesso descritta con presenza di canti intonati durante il suo svolgimento, spia del fatto che l’associazione tra canto e cerimonia doveva essere talmente forte da far sì che spesso i canti fossero menzionati come caratteristica centrale23. Un esempio è fornito dal libro XXIII dell’Odissea in cui Odisseo, volendo evitare che gli abitanti di Itaca si rendano conto dell’avvenuta strage dei

21

È bene sottolineare che la maggior parte delle fonti è attica o comunque influenzata dalla tradizione ateniese Per un’idea delle differenze della tradizione rituale beotica o spartana si consiglia la lettura di Plut. Lyc. 4-6.

22 Un’interessante descrizione ci è fornita da Timeo (FGrHist F26). Per una trattazione più approfondita del rituale matrimoniale in generale si rimanda a Rehm 1994 (in particolare, cf. pp. 11-21).

23

Al di là delle fonti letterarie si può osservare che lebētes gamikoi attici spesso ritraggono la sposa con uno strumento musicale in mano, con allusione ai canti che formavano una parte del rituale nuziale. Si veda Oakley-Sinos 1993, figure 36-8.

(14)

Proci, ordina a Telemaco di organizzare canti e danze in modo tale da far pensare che nel palazzo si stiano celebrando le nozze tra Penelope ed uno dei pretendenti24 .

Ancora nell’Odissea (IV, vv. 3-19) si fa menzione di festeggiamenti nuziali all’interno del palazzo di Menelao alla presenza di un cantore e due danzatori e nell’Iliade abbiamo canti e danze associati ad un banchetto nuziale (Il. XXIV, vv. 62-63) o ad una νυμφαγωγία (Il. XVIII, vv. 490-496). Per la rappresentazione del γάμος sullo scudo di Achille viene scelto il momento dell’ἀγωγή, probabilmente avvertito come il più emblematico della cerimonia e vengono presentati, in occasione di tale corteo, canti imenei, torce, danze e suono di flauti e di cetre (ὐμέναιος, λαμπομενάων, φόρμιγγες, αὐλοι, φόρμιγγες, Il. XVIII vv. 490-496).

Un'altra descrizione di νυμφαγωγία, in occasione della quale viene intonato il canto, si ritrova nuovamente associata ad una descrizione di uno scudo nel cosiddetto Scudo di Eracle, tramandato sotto il nome di Esiodo (Cf. Hes. fr. 211 M.W., vv. 274-280) 25.

Il fatto che antichi scrittori per riferirsi all’intera cerimonia menzionassero canzoni nuziali dimostra che queste erano un elemento ben radicato nel rituale matrimoniale: nell’Oreste euripideo Pilade, per esprimere il desiderio di sposare Elettra, dice di sperare che la donna possa giungere nella Focide celebrata con canti imenei (Φωκέων δ ̓ ἔλθοι πόλιν / καλοι̑σιν ὑμεναίοισιν ἀξιουμένη, vv. 1209–1210) e similmente Antigone, nell’omonima tragedia, lamenta la mancanza di canti imenei per sottolineare il fatto che non contrarrà mai un matrimonio (οὔθ ̓ ὑμεναίων / ἔγκληρον vv. 813–814)26

. I passi menzionati, oltre ad evidenziare il ruolo centrale rivestito dai canti

24 Cf. vv. 130-150 e, in particolare 130.136: «αὐτὰρ θεῖος ἀοιδὸς ἔχων φόρμιγγα λίγειαν

ὑμῖν ἡγείσθω πολυπαίγμονος ὀρχηθμοῖο, ὥς κέν τις φαίη γάμον ἔμμεναι ἐκτὸς ἀκούων,

ἢ ἀν’ ὁδὸν στείχων ἢ οἳ περιναιετάουσι». 25

Secondo Reitzenstein 1900 l’autore del primo epitalamio sarebbe proprio Esiodo, come ci testimonierebbe la citazione ad opera di Tzetzes di parte di un frammento sulle nozze di Peleo e Teti (Hes. Fr. 211 M.W.) ma Fedeli 1972 (n. 9) precisa che il frammento di Esiodo al quale Reitzenstein fa riferimento farebbe parte della narrazione di una cerimonia di mitico matrimonio, non di un canto di nozze.

26 Ancora possiamo cogliere questa sineddoche del canto in riferimento all’intera cerimonia in Pindaro (Pitica 3, vv. 15-19) Eschilo (Prometeo incatenato, vv. 556-57), Euripide (Fenicie, vv. 344-49), Callimaco (75; 43 Pfeiffer), Plutarco (Moralia 138B) o Luciano (Dialoghi con gli

(15)

all’interno delle cerimonie nuziali, ci mostrano che spesso, in relazione a questi, veniva utilizzato il termine imeneo27 per indicare la celebrazione matrimoniale nel suo complesso.

Muth 1954 suggerisce che il termine ὑμέναιος sia derivato dal grido rituale ὑμήν (o ὑμέν) levato dal corteo che accompagnava la sposa a casa dello sposo durante la νυμφαγωγία e sostiene che probabilmente in origine si riferiva ai canti intonati durante quello specifico momento della cerimonia (cf. pp. 7-22).

Tuttavia, come osserva Swift 2010, nel tentativo di definire ὑμέναιος come uno specifico genere riscontriamo problemi (cf. p. 243). I canti infatti erano eseguiti in vari momenti e situazioni del rituale nuziale: durante il banchetto, nel corso della processione fino alla casa dello sposo, davanti alla stanza nuziale per celebrare la consumazione del matrimonio e anche la mattina seguente, per risvegliare la giovane coppia28.

27La critica non è concorde sul problema dell’origine del nome del canto e del dio Imeneo: alcuni sostengono che il nome greco del dio Ὑμέναιος derivi da ὑμέναιος, dal canto intonato durante la νυμφαγωγία, altri invece ritengono che la divinità debba essere considerata primaria e il canto secondario. A sostegno della teoria secondo cui la divinità sarebbe personificazione del canto (la prima personificazione la troviamo nelle Troiane di Euripide al v. 311 o forse in Saffo, fr. 111 V) si può osservare che la sua origine -per così dire- poetica sembra confermata dal fatto che viene descritto come figlio di Apollo e di una Musa (Calliope, Urania o Terpsicore cf. Catull. IXI,2; Nonn. Dionys. XXXIII 67) e menzionato insieme ai figli delle Muse (Lino, Ialemo e Orfeo). Da altri è invece descritto come il prediletto amato da Apollo o da Tamiri e ritenuto figlio di Magnes (re di Magnesia) e di Calliope oppure figlio di Dioniso e Afrodite (cf. Sud. s.v. Thamurris; Serv. Ad Aen. IV 127, ad Virg. Eclog. VIII 30). L’altro filone della tradizione non lo ritiene personificazione del canto matrimoniale, ma lo ritrae come un mortale che ha dato nome al canto. Nello specifico, secondo la tradizione Argiva Imeneo era un giovane di Argo che, mentre stava navigando lungo la costa Attica, salvò un gruppo di donne ateniesi dalla violenza di alcuni pirati pelasgici e fu poi ringraziato nei loro canti matrimoniali chiamati, in suo onore, Imenei. Leggende attiche lo descrivono invece come un giovane di una bellezza così delicata da risultare quasi femminile, il quale si innamorò di una fanciulla e, non ricambiato, si travestì da donna e la seguì ad Eleusi in occasione delle feste in onore di Demetra. Ad Eleusi venne rapito assieme alle donne partecipanti e condotto in una regione isolata e deserta, ma riuscì ad uccidere i rapitori nel sonno e chiese agli Ateniesi di poter sposare l’amata in cambio della riconsegna delle donne rapite. Il permesso gli venne accordato e, poiché il suo fu un matrimonio molto felice, prese ad essere invocato nei canti di nozze. Secondo altri invece era un giovane che trovò la morte il giorno delle sue stesse nozze e per questo, con scopo propiziatorio, verrebbe invocato il giorno del gamos (Per le due tradizioni di veda Serv. Ad Aen. I. 655; Ad. Virg.

Eclog. VIII, 30).

28

Per esempi di canti in occasione della festa, cf Luciano, Symp. 41; Aristox. 125. Per canti davanti alla camera nuziale cf. Pind. P. III.16-19; Theocr. Id. XVIII; Longus 4.40; Himer. Or. 1.1. Per una panoramica, cf. Oakley and Sinos 1993, pp. 23-38 e Rehm 1994, pp. 14-18 che offre una rappresentazione del rituale matrimoniale e delle occasioni per la performance

(16)

L’approccio tradizionale è quello di separare queste categorie di canti e di usare una differente terminologia, ad esempio ὑμέναιος in riferimento ai canti intonati alla processione e ἐπιθαλάμιος per quelli eseguiti fuori dalla camera nuziale, ma, come accade per molte delle categorizzazioni dei generi antichi, la possibilità di una rigida classificazione viene meno quando si osservano nel dettaglio testi arcaici e classici. In effetti se da un lato il termine epitalamio non è usato nella letteratura pre-ellenistica che ci è pervenuta e quindi sembra poco probabile che fosse stato concepito come genere distinto dall’imeneo29, dall’altro lato ὑμέναιος risulta avere un impiego più ampio e non limitato al solo momento della processione30. Nella Pitica III di Pindaro ὑμέναιος indica il rituale matrimoniale e il momento della cerimonia maggiormente sottolineato dal componimento è quello del canto al di fuori della casa e non quello della processione31 e nell’Idillio XVIII di Teocrito è definita imeneo la canzone intonata fuori dalla stanza nuziale (v. 8 ὑπò δ' ἴαχε δῶμ ' ὑμεναίῳ) sebbene il componimento sia presentato nel titolo come epitalamio per Elena32.

Convincente è la posizione di Muth 1954 (pp. 43 ss.) secondo cui ὑμέναιος sarebbe il termine scelto in ambito cultuale per denotare il canto nuziale e non soltanto quello eseguito durante la νυμφαγωγία, mentre ἐπιθαλάμιος sarebbe formazione artificiale di epoca alessandrina funzionale ad indicare in particolare il canto nuziale intonato davanti al talamo33. Lo studioso poi aggiunge che probabilmente il canto indicato col termine “epitalamio” non presentava particolari differenze rispetto ad un comune imeneo (se non una maggiore staticità dovuta all’esecuzione in uno spazio chiuso) e che per questo motivo il vocabolo venne impiegato senza la sua valenza specifica a musicale.

29

Cf. Contiades-Tsitsoni 1990, p.31. 30

Per ὑμέναιος come equivalente di γάμος cf. Soph. Oed. Tyr. 422-23; Eur. Hel. 722-25; Iph.

Aul. Ἐπιθ εἰς Προκ 123 mentre per un impiego del termine in riferimento a canti eseguiti fuori

dal θάλαμος cf. Him. Or. 9, 10, 21; Men. Rh. Περì ἐπιδ. 409, 10; Choricius 46.

31 Cf. vv. 17-19 «ἄλικες οἶα παθένοι φιλέοσιν ἐταῖραι / ἐσπερίαις ὐποκουρίζεθ ' ἀοιδαῖς». 32

Lo scoliasta a Theoc. Id. XVIII divide epithalamia in ulteriori sottocategorie in base al momento in cui i canti erano intonati: κατακοιμητικά la sera e διεγερτικά la mattina seguente. Tuttavia questa definizione non è riflessa nel linguaggio del canto stesso.

33Muth 1954 (p.43): «Hymenaios […] verhält sich zu Epithalamion wie das ligische Genus zur Species» Sul problema della distinzione fra i due termini, oltre a Muth 1954, Horstmann 2004, 14-18. In particolare, per opinioni discordanti da quelle di Muth si legga Keydell 1962.

(17)

partire già dall’epoca alessandrina. Conseguentemente l’accezione più ampia di ἐπιθαλάμιον e quella più generica di imeneo come ‘canto nuziale’ furono confusi già anticamente.

Circa il particolare impiego del termine imeneo in riferimento al canto durante il corteo, Swift 2010 (p. 243) osserva che ciò è da porre in riferimento alla percezione che i Greci avevano del rituale matrimoniale e non è segnale di una specifica categorizzazione delle tipologie musicali: la processione con il suo carattere pubblico rappresentava il momento più importante, in cui la coppia e i rispettivi parenti si mostravano all’intera comunità ed era per questo stesso motivo il momento maggiormente descritto nei testi letterari, rappresentato sui vasi34 e utilizzato per simboleggiare la cerimonia nuziale nel suo insieme.

Del medesimo avviso è Maria Gilda Lyghounis che, nel suo articolo “Elementi tradizionali nella poesia nuziale greca”35

, fa notare che nelle fonti più tarde si osserva una maggiore frequenza di canti intonati fuori dal θάλαμος e, parallelamente, l’estensione del termine ἐπιθαλάμιος ad indicare i canti nuziali in genere e non soltanto quelli ἐπι τòυ θάλαμον.

La studiosa conclude la disamina ipotizzando che probabilmente il termine che indicava la parte preferita della cerimonia si estendeva ad indicare poi tutto l’insieme dei canti di nozze36.

Alla luce di tali premesse sarebbe poco prudente tentare di assegnare tipologie e tematiche di canto alle varie fasi del rituale (del resto i testi non ci sono pervenuti in quantità tale da poter operare in questa direzione) per cui

34

Di questa idea Swift 2010 e in particolare pag. 24: «The procession is only one element of wedding ritual but the significance it takes on is a broader one, for it is used to symbolize the ceremony as a whole and so stand for the institution of marriage. Thus the connection between the word ὑμέναιος and the procession may not indicate a subcategory of song defined by its performance context, but rather be a way of summing up the wedding as a whole. Given the breadth of the way ὑμέναιος is used, and the absence of any classical evidence for alternative categories of wedding song, it seems most likely that ὑμέναιος was a general term for music performed at a wedding. A classical Greek would probably have regarded wedding songs as belonging to a single broad grouping, even if he was aware of subdivisions in style and content according to the moment in the ritual at which the song took place. In this chapter I will therefore use the term hymenaios as a catch-all term to refer to any kind of wedding song»

35

Cf. Lyghounis 1991, 159-198. 36

Cf. Lyghounis 1991, pag. 180 «Come se, dalla parte della cerimonia allora preferita, prendesse nome tutto l’insieme dei canti di nozze». Circa la preferenza, registrata dopo l’età classica, dei canti fuori dal θάλαμος si veda Muth 1954, p. 35

(18)

in nel corso di questo lavoro si eviteranno rigide divisioni terminologiche e si adotterà la più generica definizione di imenei come carmina nuziali37 (come suggerisce Swift 2010, p.244: «[…] I will therefore use the term hymenaios as a catch-all term to refer to any kind of wedding song»).

37

(19)

2.2 Come riconoscere un canto nuziale: caratteristiche

formali

Rinunciando ad una rigida suddivisione e classificazione è possibile fare alcune considerazioni in merito alle tematiche e agli elementi formali che possono essere ritenuti caratteristici delle canzoni nuziali, anche se pochi testi del genere imeneo sono sopravvissuti e molti in forma frammentaria. La conoscenza del rituale matrimoniale greco supplisce infatti alla difficoltà creata dalla penuria di esempi di canto nuziale di cui disponiamo38.

Stando alla testimonianza di Servio39, Saffo scrisse un intero libro dal titolo Έπιθαλάμια e, volendo prestar fede alle attestazioni di Leonida di Taranto, nel VII sec. a.C. anche Alcmane scrisse imenei, tanto da essere denominato ὑμνητήρ ὑμεναίων; ma nessuno dei suoi frammenti sembra classificabile con sicurezza come imenaico ad eccezione di uno40 che potrebbe essere parte di una canzone nuziale, in quanto menziona una tavola imbandita con pane ai semi di papavero e di lino che, come apprendiamo dalla commedia, era un tipico cibo nuziale41

Per il resto, se si escludono questo e gli imenei di Saffo42, sono stati tramandati l’inizio di un canto nuziale di Filosseno e un frammentario

38

Lo studio di canti legati all’occazione nuziale non si limita ad una loro cristallizzazione letteraria, ma resta consapevole della loro origine rituale e cultuale. Per un’idea del canto di nozze tradizionale al di là delle rapide pennellate nelle descrizioni dei poemi omerici (Il.18.491-6; Od. 4.17-19 e 23.131-47) si considerino le testimonianze di ritornelli e formule augurali nella sezione dei canti popolari della raccolta curata da Page 1962 (in particolare si vedano PMG fr. 855; 881 a, c; 881b). Infine forme popolari del carme nuziale sembrano essere riprodotte in commedia da Aristofane nel canto da intonato dal Coro per il -matrimonio tra Trigeo e Opora alla fine della Pace (1332-59). Circa il rapporto tra la dimensione rituale dei canti e la loro canonizzazione lirica, cf. Pordomingo 1996; Lambin 1992; Neri 2003; Yatromanolakis 2009.

39 Cf. Servio in Thilo – Hagen 1887, p. 139.

40Si tratta del frammento 19 nell’ed. Page, 1962. Per le attestazioni di Leonida di taranto cf.

AP 7.19.1-2 = HE 2321-2. Per una discussione di Alcmane come poeta autore di canti

imenei cf. AP VII, 19 e Contiades – Tsitsoni 1990, pp. 46-63. 41

Cf. Aristofane Uccelli 156-61, Pace 868-70; Menandro fr. 908 PCG. 42

Cf. frr. 103b, 107, 108, 109, 110a, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117 V e probabilmente anche 104ab, 105ac V. A causa dell’esiguità dei frammenti non abbiamo elementi sufficienti per stabilire se già prima di Saffo i canti di accompagnamento alla celebrazione nuziale fossero divenuti un fatto letterario o se va attribuita alla poetessa di Lesbo la creazione e la codificazione di uno specifico genere.

(20)

Ἐπιθαλάμιος εἰς Πηλέα καì θέτιν43

(che l’erudito bizantino Tzetzes riferisce ad Esiodo) la cui natura imenaica è tuttavia oggetto di discussione tra gli studiosi.

La scarsità di canti nuziali pervenuti (specie per quanto riguarda il periodo anteriore al V sec. a. C.) ci spinge a cercare di delineare le caratteristiche delle composizioni matrimoniali attingendo esempi anche al di fuori dello specifico ambito del canto imeneo. Tra i componimenti che non sono stati pensati per una reale occasione nuziale, ma che ricalcano il modello del canto imeneo, va menzionato il teocriteo Ἑλένης Ἐπιθάλαμιος (Id. XVIII) che contiene la canzone cantata fuori dalla camera nuziale durante il matrimonio di Elena con Menelao, o Catullo (Carm. 62), un poema che celebra, sulla base dei modelli greci, un non specificato matrimonio. In aggiunta, in tragedia e commedia o in opere di altro genere (come il Συμπόσιον ἤ Λαπίθαι di Luciano) vi sono dei componimenti che, confrontati con canti nuziali, sembrano essere in linea con questi ultimi44.

È vero che la panoramica appena tracciata è molto ampia e che include esempi provenienti da periodi anche distanti nel tempo, ma, come nota Swift 2010, nei rituali matrimoniali la spinta alla convenzionalità è stata più forte dell’istanza innovatrice (al punto che Luciano, che scrive nel II secolo, ci offre parodie di elementi imenaici che si rintracciano nei componimenti di Saffo). Per tale motivo i testi indicati possono essere usati per colmare le lacune di una tradizione, quella dei canti matrimoniali, che sembra essersi mantenuta inalterata a partire dall’antichità o che, al massimo, ha subito nel corso del tempo delle modifiche non radicali45. Ai fini di una ricostruzione delle

43

Cf. Hes. fr. 211 M.-W., vv. 7-13. 44

A questi si può aggiungere un testo papiraceo anonimo di probabile natura imenaica (P. Ryl. 17 = Pack n. 1456) e l’orazione nuziale Έπιθαλάμιος εἰς Σεβῆρον di Imerio Per le fonti, cf. Maas 1914.

45

Dello stesso avviso è Swift 2010, pp. 245-246: «There are of course problems in building a case derived from sources from widely differing time periods. […] When we look at Greek accounts of wedding songs, we see a striking level of continuity: for example Lucian, writing in the second century AD, parodies features of the wedding song which we are familiar with from Sappho and from other hymeneal sources (Symp. 41). Later sources therefore seem to be drawing on a shared awareness of a hymeneal tradition, and so, as long as we are careful, it seems possible to accumulate a picture of the Greek wedding song». A p. 245 in effetti riassume: «However, wedding rituals in many cultures tend to be conservative in nature, and the pressure to remain conventional would be greater than any pressures to innovate».

(21)

caratteristiche peculiari dei componimenti di nozze, Maria Gilda Lyghounis46 ha dunque utilizzato testi tratti da vari periodi temporali isolando dei passi in cui si narra la relazione fra un uomo e una donna e in cui appaiono termini come γάμος, γαμβρός, ἅκοιτις, ἄλοκος, πόσις, δάμαρ o verbi come μνηστεύω, ὀπυίω, γαμέω.

La studiosa ha così osservato che i canti nuziali si configuravano come attività corale e che le ricorrenze di verbi come δινεύω o ελίσσω, in unione a determinazioni quali περì κύκλον, εὔκυκλος, χορεία, κύκλια, suggeriscono l’accompagnamento di movimenti di danza circolari che ben si accordavano con la natura corale dell’esecuzione, dato che la disposizione a cerchio è uno dei motivi più frequenti nelle descrizioni di attività corale greca47. Inoltre l’accompagnamento musicale era fornito da strumenti a corde come φόρμιγξ o κίθαρις, oppure a fiato, come l’αὐλός48

(a suonarli a volte era la stessa persona che cantava e che condivideva o meno l’attività con un coro, oppure vi erano più strumentisti49).

46

Cf. Lyghounis, 1991, 159-198.

47 Per i verbi si veda Il. 18.494; Od. 4.19; Eur. IA 1056; Ap. Rh. 4.1198. Per l’elemento di circolarità delle esecuzioni corali si suggerisce invece la lettura di Calame 1977, 34-38. 48

Cf. Lyghounis 1991, 180.

49

Caso di performance corale è Od. XXIII, 133-35; Ap. Rh. 4, 1155 ss. Performance di un solista invece si trova in Od. IV, 3-19, mentre per esempi di più strumentisti cf. Il. XVIII.491-5

(22)

Al di là di occasione e tipologia di esecuzione, per quanto concerne contenuti e aspetti formali dei testi cantati in occasione della cerimonia, si può osservare la ricorrenza dei seguenti elementi:

-ritornello con invocazione rituale ad Imene50 nella forma Ὑμήν o nell’estensione aggettivale Ὑμέναιος.

Si tratta di un ritornello che troviamo a partire da Saffo. In Saffo fr. 111 V il ritornello ὐμήναον compare a versi alterni generando un senso di ripetizione rituale, mentre Teocrito presenta una versione un po’ più estesa (̔Υμὴν ὠ̑ ̔Υμέναιε 18.19) e ancora in Catullo 61 molte stanze terminano con l’invocazione ripetuta e invertita (o Hymenaee Hymen / o Hymen

Hymenaee)51;

-invocazione a molteplici divinità.

Oltre che ad Imene abbiamo invocazioni ad Afrodite celebrata come protettrice delle nozze nel Fetonte euripideo (vv. 229-230) e nell’idillio teocriteo (Id. XVIII, 51) in cui ad Afrodite si affiancano le figure di Latona e di Zeus (vv. 50-52). Spesso le divinità invocate sono legate alla vicenda personale di uno o di entrambi gli sposi52;

50

Mentre il Carme 62 di Catullo non accenna a nozze reali, ma sembra un mero esercizio letterario, il Carme 61 è invece scritto per le nozze di Manlio Torquato (amico di Catullo) con Vinia Aurunculea e pensato per il corteo che accompagnava la sposa dalla casa paterna a quella dello sposo. Il componimento si apre con un inno al dio Imeneo cui fanno seguito l’invito alla sposa a uscire dalla casa paterna e, per finire, il saluto agli sposi e il congedo. Per l’invocazione a Imeneo, cf. Swift 2010, 245 «the most obvious identifying feature is the ritual refrain to Hymen, which […] immediately marks out a piece as hymeneal». L’invocazione rituale è attestata ad esempio in Sapph. fr. 111.2-4 V. in Ar. Pax 1332-56 e in Ar. Av. 1736-54 e si trova in forma di semplice ripetizione (Ύμὴν Ύμὴν come in Eur. Phaëth. 227[=TrGF V.2 F781.14]) o ampliata (ὐμήναον in Sapph. fr. 111.2 e 4, 117Ba V.; ὐμήναιος in Callim. fr. 75.43 Pfeiffer) o modificata (Ύμὴν ὦ Ύμέναι', Ύμὴν Eur. Tr.331; Ύμὴν ὦ Ύμέναι'Theocr.18.58; Ύμὴν Ύμέναι ὦ Ar. Pax 1332 ss.; Ύμὴν ὦ Ύμέναι’ ὦ Av. 1736 ss.). Per un elenco più approfondito delle attestazioni non solo greche, ma anche latine, cf. Maas 1914 o Muth 1977.

51

Si tratta di un ritornello che probabilmente derivava da una più antica canzone matrimoniale, dal momento che nei componimenti saffici si presenta metricamente identica al ritornello del Canto di Adone. Questo aspetto non va interpretato come una semplice coincidenza visto che, come il canto nuziale, così quello di Adone è collegato a culti femminili che riflettono -e, cristallizzandole, aiutano ad affrontare- preoccupazioni femminili circa l’intero ciclo di vita (matrimonio, nascita, morte) e quello della fertilità naturale che ne è specchio.

52

(23)

-μακαρισμός, un modulo bipartito attraverso il quale sposo e sposa vengono proclamati felici e beati.

Nei componimenti la presenza degli aggettivi μάκαρ e μακάριος o μάκαιρα e μακαρία (forme femminili) rientra nella figura stilistica del μακαρισμός, tipica dei generi celebrativi. Nell’incipit di quello che potrebbe essere il primo canto nuziale pervenutoci, ovvero quello per le nozze di Peleo e Teti (probabilmente esiodeo, fr. 211 M-W), troviamo un esempio di μακαρισμός che è un elogio in forma indiretta, realizzato attraverso un paragone con gli dei, i μάκαρες53

.

Alla base della celebrazione della felicità della coppia e del motivo dell’elogio vi può essere l’imparentarsi con un γένος prestigioso, magari di stirpe divina54;

-riferimenti alla cerimonia nuziale in corso.

In particolare si trovano elementi linguistici che alludono alla cerimonia dell’ἀγωγή, come i verbi στείχω e ἄγω che indicano rispettivamente l’avanzare in processione nuziale e l’accompagnamento della sposa al θάλαμος allestito in casa dello sposo;

-riferimenti al letto nuziale mediante i termini λέχος, εὐνή e λέκτρα;

-riferimenti alle fiaccole nuziali indicate con i termini δαΐς o λαμπάς, le quali erano solitamente sorrette dalla madre della sposa a testimonianza della legittimità dell’unione matrimoniale;

di fare profezie senza essere creduta, mentre Ecate, come suggerisce lo scolio, è invocata per il suo legame con l’ambito funebre, dato che il destino di Cassandra è quello di morire assieme ad Agamennone. Aristofane poi negli Uccelli con l’invocazione «al più potente fra gli dei» si rivolge a Psistetero, paragonato qui a Zeus e per finire, laddove Filosseno invoca Γάμος, Imerio invita la donna a venerare Hera.

53 τρìς μά] καρ Αἰακίδη καì τετράκις ὄλβιε Πηλεῦ, fr. 211.7 M-W. Similmente, il fr. 112V di Saffo si rivolge, in apertura, ad uno sposo che viene definito beato (ὄλβιε) per via della strordinaria bellezza della sposa.

54 L’onore di imparentarsi con un γένος divino è spesso espresso da una proposizione in cui compaiono μάκαρ o ὄλβιος più il nesso μόνος θνητός (θνητῶν) cf. Theocr. Id. XVIII,16 ss. o tragedie euripidee Troiane e Fetonte (cf. Eur. Tr. 311-312; Phaëth. 240 ss). Per esempi di

(24)

-apostrofe in forma diretta ad uno o ad entrambi gli sposi55;

-saluto alla coppia mediante il χαῖρε χαίροις seguito dal vocativo dello sposo o della sposa56;

-exempla mitici. Alla fine degli Uccelli Aristofane include un imeneo che descrive il matrimonio di Zeus ed Era (vv. 1731-44) e Saffo fr. 44 V descrive il matrimonio di Ettore e Andromaca. Il valore dell’inserimento di questi racconti mitici accanto alla celebrazione oggetto del canto è ben descritto da Swift 2010: «Here too we see myth used to mirror real-life ritual, as the praise-songs are validated by their inclusion in the mythological paradigm» (p. 247).

-encomio57.

Dei due membri della coppia vengono celebrate qualità differenti: bellezza (attraverso il sostantivo κάλλος e l’aggettivo καλός), eccellenza nei lavori della tessitura e cura dedicata alla famiglia per quanto concerne la νύμφη; mentre prestanza fisica, onore guerriero, nobiltà di nascita e ricchezza in relazione allo sposo.

Il secondo termine di paragone è spesso una divinità e dunque viene istituito un parallelo tra la novella coppia di sposi e unioni mitiche quali quelle di Peleo e Teti o di Ettore e Andromaca58. Oppure singolarmente la donna viene paragonata ad Elena o Ermione e l’uomo, ad esempio, ad Ares. In altri casi il secondo termine di confronto è costituito da un animale o da un

55

Cf. Sapph. frr. 112,115,116,117 V.

56 Cf. Sapph. frr. 116 e 117 V.; Theocr. XVIII,49. L’apostrofe in forma diretta si può trovare alternata a periodi in terza persona, ma, quando questi ultimi costituiscono la sola forma presente, si ha una spia del fatto che non si tratta di un vero e proprio canto nuziale, ma della narrazione di una cerimonia;

57

La celebrazione delle qualità della coppia come parte caratteristica di un canto di nozze è un topos che compare a partire dai primi componimenti sumeri di matrimonio sacro ed è una caratteristica trattata anche da Menandro Retore e dallo Pseudo-Dioniso nei loro trattati retorici del III sec. d. C.

58

Per Peleo e Teti si veda Il. XXI, .62-6; Hes. fr. 211 M-W; Pind. N. 5.22-5; Aesch. TrGF III f 350. Per Ettore e Andromaca si veda Sapph. fr. 44 V.

(25)

elemento vegetale59 (come i cavalli, simbolo di bellezza, forza ed eleganza o i fiori) che concorrono ad assimilare la fertilità umana e quella naturale e a dare l’immagine del delicato periodo di transizione e di trasformazione della donna (aggiogata come un cavallo o colta come un fiore)60.

L’immagine del cavallo aggiogato o del fiore colto suggeriscono che i componimenti nuziali al di là del carattere gioioso e celebrativo potevano assumere vari toni. Da un lato, la presenza di elementi volgari nei testi è segnale di uno spirito di allegria e scherzo che punta l’attenzione sul momento della consumazione del matrimonio61, dall’altro lato nei testi trovano spazio anche note di pathos. In Teocrito (Id. XVIII) ad esempio, le ragazze implicitamente criticano Menelao per aver sottratto la sposa alla compagnia della madre e delle ragazze coetanee e anche nei frammenti di Saffo l’attenzione è spesso rivolta in particolar modo alla separazione della fanciulla dalla precedente condizione. Nello specifico, Saffo fr. 114 V offre uno scambio tra la Parthenia personificata e una sposa che lamenta di essere abbandonata dalla verginità (la Parthenia in effetti replica che non tornerà mai più) e analogamente il frammento 107 V descrive una donna che

59

Per il paragone con personaggi mitici si veda Saffo, fr. 23 V o fr. 111.5-6 V, mentre per metafore tratte dal mondo vegetale si prendano ad esempio i frammenti di Saffo 105 a V, 105 b V in cui la sposa è confrontata rispettivamente con una mela e con un giacinto e il frammento 115 V in cui lo sposo è paragonato ad un giunco. Si tratta di un topos ripreso anche da Teocrito che in XVIII, vv. 29-30 paragona Elena ad un cipresso. Del resto fiori e boccioli primaverili erano simbolo di vigore giovanile ed erano associati sia a uomini che a donne mentre cavalli erano simbolo di bellezza forza ed eleganza per cui si trovano impiegati in immaginari di celebrazione e in particolare in contesti erotici.

60

Esempi di celebrazione della bellezza della sposa e virilità dello sposo e in generale di desiderabilità dell’unione matrimoniale si trovano in Saffo (ffr. 108, 111, 112, 113 V). Spesso questo elogio è ottenuto mediante un confronto con qualcosa convenzionalmente considerato degno di lode, si tratta di una tecnica nota come eikasia. I frammenti di Saffo che ci sono pervenuti ce ne danno conferma e nel fr. 115 V il procedimento è sottolineato dalla ripetizione del verbo ἐικάσδω mentre il frammento 111 V paragona lo sposo ad Ares. Similmente il coro di fanciulle in Teocrito XVIII paragona Elena alla primavera, ad un albero di cipresso e ad un cavallo da corsa. Nel suo Simposio Luciano ottiene un effetto comico manipolando l’eikasia tanto che non compara sposo e sposa a eroi della mitologia, ma afferma che sono addirittura migliori di questi (41.4-11). Per una trattazione più approfondita delle tecniche di celebrazione tipiche del canto imeneo rimando a Hague 1983.

61

Saffo fr. 110aV per esempio si prende gioco del portiere per la taglia dei suoi piedi e fr. 111 V elogia lo sposo paragonandolo ad Ares ma aggiunge che a causa della sua altezza probabilmente bisognerebbe alzare il tetto della casa. Ancora Teocrito 18 prende in giro Menelao suggerendo che probabilmente è troppo stanco e ubriaco per consumare il suo matrimonio.

(26)

esprime nostalgia per la perduta verginità. In Catullo (Carm. 62) l’elemento negativo prevale al punto tale che il matrimonio della ragazza viene paragonato al rapimento che segue il saccheggio di una città («quid faciunt capta crudelius urbe?» v. 25).

All’interno dello spirito di gioiosa celebrazione della canzone nuziale si trovano dunque delle immagini (come il fiore strappato o l’animale aggiogato) che veicolano emozioni negative e che si legano alla paura e all’ansia con cui la sposa viveva la delicata fase di transizione, segnata dall’allontanamento dai genitori e dagli amici e dall'ingresso in un nuovo nucleo familiare.

Tale compresenza di caratteri positivi e negativi in un contesto nuziale non è da ritenere una anomalia e le motivazioni sottese si legano alla funzione stessa del rituale matrimoniale che, in maniera analoga ad altri riti di passaggio, agisce facendo affrontare le paure legate alla transizione.

Una chiara spiegazione è fornita dall’antropologo van Gennep che, ne Les

rites de passage62, ,ha evidenziato la struttura tripartita dei cosiddetti riti di passaggio (che si articolano nella separazione dalla vecchia fase fino all’aggregazione in una nuova passando per un periodo definito «liminale») e ha osservato che la loro funzione si esplica nell’incoraggiamento di una risposta sana piuttosto che distruttiva al cambiamento mediante la rappresentazione di paure reali in una forma regolata e controllata.

62

Cf. van Gennep 1909 e in particolare, a proposito di matrimonio e fidanzamento, pp. 116-145.

(27)

2.3 Canti di nozze in tragedia

Diversi studiosi hanno osservato che la tragedia fa largo uso del rituale matrimoniale, incluse allusioni specifiche al canto imeneo63.

Una valida indagine dei valori che il rituale nuziale riveste in tragedia è quella condotta da Seaford 1987 nell’articolo ‘The Tragic Wedding’. Lo studioso ha evidenziato che elementi nuziali in tragedia tendono ad essere sovvertiti in quanto sulla scena tragica il rituale di nozze non è più espressione del prevalere della tendenza positiva sulla negativa, ma esplora il fallimento di una corretta transizione matrimoniale. In particolare, le cause del fallimento sono da ricercare nella morte che precede il conseguimento del matrimonio, nella morte di un partner che interrompe una felice unione terrena oppure nell’ostilità nei confronti dello sposo o, ancora, nell’alterazione dell’unione a causa di relazioni extra-matrimoniali.

Nel primo caso, la morte viene immaginata come una sorta di matrimonio con Ade, nel secondo come «re-enactment» del matrimonio, nel terzo si dà risalto alle componenti negative delle nozze e, per finire, l’unione illegittima è sottolineata, per contrasto, con impiego dell’immaginario matrimoniale64.

63

Tra gli altri, segnalo Seaford 1987, Loraux 1985 e Rehm 1994 64

Per «re-enactment» cf. Seaford 1987, p.120. L’autore indaga l’alterazione

dell’immaginario matrimoniale in tragedia suddividendo le tragedie in tre gruppi. Nel primo osserva che la morte di Antigone nell’omonima tragedia è presentata come matrimonio sia con Ade che con Emone e che il sacrificio della vergine Ifigenia (in entrambe le tragedie che da lei prendono il nome) è descritto come matrimonio. Sia perché effettivamente era stata preparata all’unione con Achille, sia perché come sacrificio precedente il matrimonio (προτέλεια) è presentata la sua morte, tanto che il sacrificio non vede la sposa figurare tra i partecipanti, ma sostituire di fatto l’animale sacrificale. Per quanto concerne il secondo gruppo, lo studioso osserva casi di ostilità nei confronti dello sposo. Emblematica Medea che, nell’omonima tragedia, fa dono a Glauce di πέπλοι e στέφανος che si rivelano poi essere oggetto di morte e vesti funebri. Nelle Supplici di Eschilo poi, le Danaidi mostrano avversione verso il matrimonio con i cugini e per questo l’unione nuziale è descritta con accenti negativi che ne esplorano la brutalità in termini di rapimento e di distruzione fisica. Nel terzo gruppo l’autore focalizza l’attenzione sulla morte come «re-enactment» del matrimonio e menziona le figure di Deianira (Trachinie di Sofocle), di Edipo (Edipo re di Sofocle), di Evadne (Supplici di Euripide) e Medea (omonima tragedia euripidea). In conclusione di questa analisi delle molteplici rappresentazioni del rituale matrimoniale in tragedia (durante il quale l’elemento positivo è pervertito in negativo), vengono esplorate le rappresentazioni di unioni illegittime mediante impiego dell’immaginario matrimoniale. Figurano in quest’ultimo gruppo le seguenti tragedie: Agamennone, Elettra, Troiane,

(28)

Restringendo l’analisi allo specifico del canto nuziale e tralasciando riferimenti e allusioni al rito in generale, sintetica e lucida analisi è quella condotta da Swift 2010 che in particolare rivolge l’attenzione a «mixed choral performance» (specialmente nell’Ippolito di Euripide e nelle Supplici di Eschilo) e all’impiego del canto imeneo in riferimento a relazioni disfunzionali o a contesti funebri. La studiosa dunque esamina rapidamente opere di Eschilo (Prometeo incatenato e Agamennone), Sofocle (Antigone e

Trachinie) ed Euripide (Alcesti, Fetonte, Ifigenia in Aulide, Supplici e Troiane)

prendendo in esame, oltre alle parti liriche, anche quelle dialogate.

Dopo aver individuato allusioni al genere imeneo attraverso la presenza (nelle opere indicate) di alcuni fra gli elementi caratteristici del genere (nello specifico: μακαρισμός, ritornello con invocazione rituale ad Imene e torce), Swift osserva che l’evocazione del genere celebrativo delle nozze si pone in contrasto con la situazione drammatica rappresentata sulla scena65.

Recuperando l’articolazione di un genere lirico in criterio interno e criterio esterno (cf. Gentili-Cerri 1983) si può notare che in tragedia si trovano elementi caratteristici del canto nuziale in contesti anomali. In effetti sulla scena tragica il canto imeneo non si lega mai alla funzione pragmatica della celebrazione di nozze (né reali né fittizie) tanto che una sua evocazione genera uno scollamento tra il tempo della sua realizzazione e quello del racconto.

L’esecuzione del canto può infatti collocarsi nel passato o nel futuro rispetto al momento della finzione drammatica presentata sulla scena. Nel primo caso, l’imeneo appartiene al tempo del racconto di nozze passate, mentre nel secondo risulta proiettato, sotto forma di speranza, in un tempo futuro ideale (che tuttavia, come avremo modo di osservare, non giungerà mai). Ne deriva che il canto di nozze diventa espediente letterario funzionale a drammatizzare il destino di morte o di sofferenza che ha colpito o che colpirà il protagonista, la cui triste sorte si contrappone alla felicità di nozze che sono già state celebrate nel passato o che si sarebbero potute festeggiare in futuro. Nell’Alcesti Admeto ricorda il matrimonio con la donna che ha sacrificato la sua stessa vita per amore e nell’Eracle Megara contrappone i

65

cf. Swift 2010, p. 256: «Hymenaeal motifs in tragedy provide a rich seam of material, then. But it is one which has been extensively mined».

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