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4. Troiane

4.6 Messaggio antibellicista?

Seguendo come un filo di Arianna la tematica dell’imeneo e della distorsione del gamos delle donne troiane a causa della guerra, potremmo dare sostegno ad una interpretazione delle Troiane come veicolo di messaggio antibellicista.

A supporto di questa posizione si potrebbe citare il personaggio di Cassandra che nel discorso che segue la monodia formula un giudizio negativo sulla guerra (v. 400 φεύγειν μὲν οὖν χρὴ πόλεμον ὅστις εὖ φρονεῖ) e prosegue precisando che ad ogni modo è «una corona non turpe per la città morire degnamente, morire non degnamente è invece disonorevole» (vv.401-402).

Il giudizio di Cassandra va interpretato infatti alla luce del discorso precedente con il quale ha cercato di dimostrare che la città di Troia può essere considerata «più felice degli Achei» (πόλιν δὲ δεìξω τήνδε μακαριωτέραν ἤ τοὺς Ἀχαιούς vv. 365-366) poiché i Greci con la loro guerra di aggressione sono morti lontani dalle famiglie, senza poter rivedere i figli, senza poter essere avvolti dalle mogli nel peplo funebre o ricevere offerte (οὕς δ' 'Ἀρης ἔλοι / οὐ παῖδας εἴδον οὐ δάμαρτος ἐν χεροῖν /πέπλοις συνεστάλησαν ἐν ξένῃ δὲ γῇ /κεῖνται vv. 376-379) mentre nelle loro patrie le spose morivano vedove e i padri senza il conforto dei figli (χῆραί τ' ἔθνῃσκον οἴ δ' ἄπαιδες ἐν δόμοις ἄλλοις τέκν' ἐθρέψαντες vv. 380-381). Al contrario, i Troiani sono stati seppelliti nella loro terra e dai loro cari (vv. 386-390).

Nel momento in cui si esprime in merito alla guerra Cassandra sembra dunque operare un distinguo tra quella combattuta dai Troiani in difesa della loro terra e delle loro famiglie (guerra che regala una “bella morte”) e quella di aggressione che ha portato i Greci a morire in terra straniera.

Le parole di Cassandra vanno tuttavia maneggiate con accortezza nel tentativo di analizzare le Troiane: il punto di vista di Cassandra viene corretto e superato nel corso della tragedia e si rivela una breve parentesi che ribadisce la subordinazione del personaggio alla voce di un autore che tiene le fila dell’intera opera.

Una lettura complessiva della tragedia mostra l’inesattezza delle argomentazioni di Cassandra dato che lei stessa (vv. 444-461) profetizza la sua morte in terra straniera e senza onori funebri e Ecuba (vv. 1230 ss.) e poi il Coro (vv. 1323 ss.) pongono l’accento sulle sofferenze dei Troiani e sullo scomparire della città senza ricordo e senza nome.

Si può osservare tuttavia che, al di là dell’intervento del singolo personaggio, le Troiane mostrano una omogenea connotazione di lamento e dato che le donne troiane lamentano sofferenze provocate dalla guerra, gli Ateniesi che assistevano alla rappresentazione della tragedia non potevano non rapportare la vicenda tragica alla contemporanea situazione politico-militare ateniese.

Sembra plausibile che la spedizione militare ateniese contro l’isola di Melo (intrapresa nella primavera del 416) faccia da sfondo alle Troiane e chiaro sarebbe il giudizio euripideo sugli effetti di questa azione di conquista, tanto che Murray 2018 ha definito la tragedia «the first great denunciation of war in European literature» (p.20).

Gli abitanti di Melo, discendenti dei coloni spartani, si erano dichiarati neutrali nell’ambito dello scontro tra Atene e Sparta, ma l’isola venne infine invasa da forze ateniesi che trucidarono i maschi adulti e resero schiavi donne e bambini. Quando la tragedia fu rappresentata, nella primavera del 415, l’isola di Melo era già stata distrutta, ma con ogni probabilità ciò avvenne troppo tardi (nell’inverno) perché potesse precedere la composizione delle Troiane. Anche se ipotizziamo che Euripide non potesse ancora conoscere l’esito della spedizione, è comunque molto probabile che, data la disomogeneità di forza tra la piccola isola e la grande Atene, l’esito si potesse presupporre prima ancora di giungere alla presa della città.

Inoltre al di là del suo culmine violento, la spedizione doveva aver particolarmente colpito il tragediografo dato che si trattava della prima attività militare dopo la pace del 421 a.C. e Di Benedetto 1998 nella sua introduzione alle Troiane di Euripide conclude: «Non sembra che ci possano essere dubbi, perciò, sul fatto che la spedizione contro Melo sia stata presupposta da Euripide nella composizione delle Troiane» (p. 48)161. Il

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messaggio di Euripide potrebbe dunque essere interpretato come antibellicista162, anche se Perrotta 1952 mette in guardia -e a ragione- dal trasformare le parole di Cassandra in parole del poeta e dal vedere in Euripide «il nemico di ogni guerra di conquista, il precursore del pacifismo e dell’umanitarismo moderno» (pp. 242-43).

«What the assembled citizenry witnessed was its past political choices, institutional forms and cultural practices “problematized” in the situations, themes, and characters on stage» (pag. 51) e da Ober e Strauss 1990, che affermano che «Athenian political culture was created in part in the theater of Dionysos, theatrical culture on the Pnyx» (p. 270). Come fa osservare Calame 2017: «Le concours était placé sous le controle de l’archonte éponyme dont la fonction dit le caractère politique de la représentation des tragédies» (p. 71). Ad ogni modo, lo studio dell’opera letteraria in rapporto alla dimensione extraletteraria resta un argomento molto complesso e spinoso. In una nota all’introduzione delle Troiane, Di Benedetto 1998 (p. 48, n. 32) riassume in maniera concisa ma esaustiva le problematiche di indagine. Per quanto concerne i vari indirizzi di ricerca, si va dalle indagini che si concentrano sul vissuto dell’autore fino ad analisi più ampie che abbracciano l’intera ‘cultura del suo tempo’. Dal punto di vista della tipologia del rapporto, una tendenza diffusa è quella di preservare la specificità formale dell’opera letteraria sia che ci si limiti a cogliere nell’opera riferimenti o allusioni al contesto extraletterario sia che si ritenga quest’ultimo in grado di condizionare e determinare l’opera letteraria stessa. Nel ricordare che fino alla caduta del muro di Berlino si tendeva a separare i due ambiti e a relegare la poesia in una dimensione astratta di purezza incontaminata (a tal proposito in merito ad Euripide l’autore ricorda il lavoro di Zunt del 1955, The Political Plays of Euripides), Di Benedetto osserva: «E ancora oggi se nessuno –spero- negherà che nelle Eumenidi si alluda alla riforma dell’Areopago ad opera di Efialte, invece è presumibile che in una frase come quella di Cassandra […] non tutti saranno d’accordo nel vedervi un’allusione alla spedizione contro Melo. E pur tuttavia queste sono solo scaramucce» (p.49).

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Le Troiane rappresentate nella primavera del 415 assieme all’Alessandro e al Palamede sono state poste in relazione con la spedizione ateniese in Sicilia da cui Euripide avrebbe voluto dissuadere gli Ateniesi. Il legame tra il teatro euripideo e la spedizione ateniese in Sicilia sembra avvalorato da un interessante aneddoto. Secondo quanto riferisce Plutarco (Nic. 29, ma la notizia si trova già nella Vita di Euripide di Satiro del III a.C.), alcuni prigionieri ateniesi della spedizione in Sicilia dovettero la propria salvezza anche ad Euripide, perché ottennero acqua e cibo cantando i suoi versi. Così, tornati sani e salvi a casa, andarono ad abbracciare affettuosamente il poeta. Cf. Parmentier 1942 (p. 25). Si tratta di un’interpretazione difesa, tra gli altri, da Delebeque 1952 (pp. 245-262), da Ebener 1954 (pp. 691-722). In particolare, Murray 1979 (pp. 82-94) ritiene che in Euripide fosse ancora vivo il ricordo dell’eccidio di Melo compiuto ad Atene pochi mesi prima mentre Di Benedetto 1975 (pp. 184-192) ritiene non ci sia «nessun argomento che renda necessaria l’ipotesi che Euripide debba avere aspettato l’avvenuta distruzione di Melo per scrivere una tragedia come le Troiane»(p.187) e dopo aver ipotizzato che Euripide dovesse «avere presente il comportamento di Atene nei confronti di Scione e le minacce che nell’estate del 416 a.C. venivano rivolte contro i Meli» (p.191) conclude che l’autore non intendeva «esprimere delle precise valutazioni sui singoli fatti politici del suo tempo» e che «non aveva delle valide proposte politiche da offrire agli spettatori». Parmentier 1942 si è mostrato contrario ad un’interpretazione di stampo politico e Goossens 1962 (pp. 507-538) pone l’accento invece su una certa ambiguità di atteggiamento messa in luce dall’elogio della Sicilia dei vv. 220- 224. I versi in questione farebbero pensare al fatto che Euripide stia celando un entusiasmo per la spedizione che doveva essere condiviso dallo spettatore medio.

Pur non volendo delineare una precisa posizione politica di Euripide, è evidente che le Troiane ponevano gli spettatori di fronte alla brutalità della guerra, mostrando gli effetti che questa ha non solo sui vinti, ma anche sui vincitori163. Euripide descrive Greci che uccidono con la spada, altri che costringono con la forza delle donne a seguirli -come concubine o come schiave- come gli stessi Ateniesi avevano fatto, l’anno precedente, a Melo. Aiace rapisce Cassandra trascinandola via dal tempio «con forza» (v. 70) e anche Agamennone la sposa con la stessa forza (v. 44) diventando un secondo Aiace (vv. 618-619)164.

Ma le Troiane mostrano anche che una distruzione come quella di Melo si sarebbe ripercossa sugli stessi uomini che l’avevano intrapresa, come accade sulla scena ai Greci distruttori di Troia: gli Ateniesi potevano rispecchiarsi nell’opera euripidea e nei personaggi Greci (quali l’Agamennone sposo di Cassandra e l’Achille sposo di Polissena) che sembrano legati ad un futuro di lamenti e di morte.

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E del resto in chiave politica sono spesso le riscritture della tragedia che sembrano ereditare l’antimperialismo euripideo per porre in luce il barbarismo dei loro giorni. Primi fra tutti la Beabeitung di Franz Werfel andata in scena a Berlino nel corso della I guerra mondiale. Ancora l’adattamento curato da Jean Paul Sartre e rappresentato a Parigi nel 1965 (Les Troyennes) e concepito come atto di denuncia contro le spedizioni coloniali dato che si era da poco conclusa la guerra in Algeria e che si stava intraprendendo quella in Vietnam. In ambito giapponese troviamo il lavoro di Tadashi Suzuki che nel 1974 racconta le sofferenze di un Giappone distrutto dalla bomba atomica americana. Per finire, lo spettacolo del 2011 scritto e diretto da Flora Sarubboc, Quando gli dei hanno sete, attraverso il quale viene raccontato il genocidio di Srebrenica con una commistione tra le Troiane euripidee e le testimonianze di donne bosniache.

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Cerbo 2009 osserva che la tragedia focalizza il suo sguardo non tanto sulle dinamiche della guerra (che risultano più congeniali agli ampi spazi della narrazione offerti dall’epica e dalla storiografia), ma sui suoi prodromi e su come vengono discussi e affrontati. Sulla scena del teatro assistiamo alla rappresentazione dei retroscena della guerra: voci di dissenso, sofferenze dei vinti e soprattutto delle donne ridotte in schiavitù e private del proprio oikos e gamos. È soprattutto la tragedia euripidea a rappresentare il tema della guerra, dato che il teatro di Euripide attraversa il periodo in cui la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) diventa particolarmente violenta. La lettura delle Troiane risulta particolarmente interessante se si pone l’opera a confronto con l’Ifigenia in Aulide, tragedia messa in scena da Euripide il giovane (figlio o nipote del poeta) e con cui si conclude il percorso tematico e teatrale che accompagna la guerra del Peloponneso e che ruota attorno ai temi del ciclo troiano. Nella tragedia Troiane, vengono rappresentati gli effetti disastrosi della guerra da chi l’ha subita. Nell’Ifigenia la guerra è giustificata da chi la promuove. Se nella prima si mette in discussione la concezione tradizionale che vede i Greci descritti positivamente e contrapposti ai Troiani vinti, nella seconda si rafforza tale punto di vista. In entrambe le tragedie tuttavia, la guerra ha l’effetto di scardinare le regole del gamos e di produrre il sacrificio di una giovane vittima (rispettivamente Astianatte e Ifigenia).

Le fiamme alla fine della tragedia dovevano richiamare alla memoria dei Greci anche un’altra invasione che aveva condotto alla distruzione di una grande città: 65 anni prima di Melo i Persiani avevano bruciato templi e altri edifici che si trovavano sull’Acropoli di Atene, giusto al di sopra del teatro che ospitava la rappresentazione della tragedia di Euripide.

Sulla scena delle Troiane veniva dunque riprodotto un atteggiamento che i Greci avevano da un lato subito e dall’altro perpetrato. Per quanto separate dal punto di vista storico-cronologico, le efferatezze compiute dai Persiani e dai Greci restano di pari livello e come i Persiani165 nell’omonima tragedia eschilea ricevono punizione per aver osato “aggiogare il mare”, così i Greci nelle Troiane euripidee sono puniti per aver assoggettato così tante vittime umane con estrema violenza.

Gli spettatori potevano rispecchiarsi nella vicenda riprodotta sulla scena e identificarsi con le vittime o con i vincitori. Se in generale, come osserva Croally 2008 (pag. 70), la tragedia esamina polarità interdipendenti quali possono esserlo uomini e dei, uomini liberi e schiavi, Greci e barbari, nelle opere euripidee che ruotano attorno alla Guerra di Troia queste polarità risultano essere prodotto della guerra stessa. A parere dello studioso l’effetto della rappresentazione è dunque da un lato quello della spinta alla conservazione di un ordine non alterato dalla guerra, dall’altro un incentivo a riconsiderare le polarità che sono messe in luce dal conflitto che dai rapporti di opposizione si origina e alimenta. Dopo la lettura delle Troiane, sostiene Croally, potremmo domandarci: le donne hanno davvero un ruolo subalterno? Chi sono i barbari? Chi ha davvero vinto?

Un contributo a sostegno dell’interpretazione di Croally si può rintracciare nel testo delle Troiane. Come fa notare Rehm 1994 (p. 210, n. 17) in risposta all’annuncio dell’imminente morte di Astianatte, Andromaca definisce i Greci «inventori di barbare crudeltà» (ὦ Βάρβαρ ' ἐξευρόντες 'Ἐλληνες κακά v. 764) e, dato che la crudeltà dei supplizi era un aspetto tipico delle popolazioni non greche166, tale giudizio affibiato ai Greci dalla barbara

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In merito a questo parallelismo risulta interessante la lettura di Connor 1984 che esplora i paralleli tra il ritratto che Tucidide fa degli Ateniesi nel dialogo del Meli e la descrizione dei Persiani nelle Storie di Erodoto (si vedano in particolare pp.155-157).

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Andromaca, vittima di barbarie civilizzata, assume un valore importante che può fornire spunti di riflessione.

Acuta la lettura di Rehm 1994 (p. 135) che conclude l’analisi dei riferimenti bellici nelle Troiane con una serie di interrogativi che invitano a riflettere sulle possibili reazioni dei fruitori: gli spettatori coglievano nei lamenti finali riferimenti a quelli che loro stessi avevano elevato nel conflitto con Sparta? E che effetto doveva fare ai coreuti indossare degli abiti femminili e intonare lamenti di donne vittime di invasione? Quanti di questi stessi coreuti sarebbero salpati alla volta dell’imminente spedizione in Sicilia rischiando di non tornare più? E quanti avrebbero pianto dei familiari non più tornati, morti o persi nel mare nel disastro navale con Siracusa?

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