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Argomentazioni a favore dell’intassabilità della cessione

Result 2. — The optimal tax rate is increasing in the per capita au

4.5. Argomentazioni a favore dell’intassabilità della cessione

gratuita traibili dall’evoluzione normativa post riforma:

costanza e consapevolezza legislativa dei richiami espressi all’onerosità quale presupposto di tassazione delle cessioni di beni nell’i.v.a. e nelle imposte sui redditi.

Esaminate le argomentazioni a favore dell’intassabilità della cessione gratuita ancora oggi traibili dal dibattito ante riforma, si tenterà, ora, di sottolineare le principali cosiderazioni che nello stesso senso, la successiva evoluzione legislativa, fino alle attuali formulazioni, rende possibili.

In primo luogo, riprendendo in parte quanto già sinteticamente evidenziato con riferimento alla sistematica fiscale degli atti di ces­ sione dei beni di impresa, è opportuno considerare il ruolo che il le­ gislatore tributario ha volutamente ed espressamente attribuito alla qualificazione giuridica degli atti di cessione, ai fini della definizio­ ne dei presupposti di imponibilità, sia nell’i.v.a. che nelle imposte sui redditi.

Si è visto che, a fronte di possibili peraltro prospettate norme omnicomprensive aventi riguardo a tutte le cessioni, nel cui ambito poi, eventualmente, distinguere con ulteriori specificazioni, il legi­ slatore della riforma ha, invece, optato per un espresso riferimento alla onerosità, o, comunque, alla corrispettività, prevedendo poi, ma solo ai fini i.v.a., un particolare regime per determinate cessio­ ni gratuite.

(125) Fa l s it t a, <>p. ult. cit., 267.

Peraltro, l’evoluzione della normativa, già sintetizzata, dimo­ stra che i riferimenti espressi all’onerosità non solo sono costanti, ma anche consapevolmente disposti; particolari disegni di legge che prevedevano riferimenti generali alle « cessioni di beni », in effetti, non ebbero seguito.

Né può attribuirsi alcun valore interpretativo alla Relazione ministeriale al D .p.r. n. 597/1973 che, ricomprendendo le cessioni gratuite nell’ambito della previsione dedicata alla destinazione a fi­ nalità estranee all’esercizio dell’impresa sembrava implicitamente ritenere che, in tal modo, tutte le possibili cessioni, indipendente­ mente dalla loro qualificazione civilistica, fossero state assoggetta­ te (127). A parte le già indicate considerazioni sugli elementi di- storsivi che probabilmente ne hanno influenzato i contenuti (128), rimane ancora oggi da chiedersi quale sarebbe il senso, o meglio la funzione, della posizione discriminante attribuita all’onerosità dal primo comma dell’art. 53 e dai primo e quinto comma dell’art. 54. Se, in definitiva, ogni tipo di cessione fosse potenzialmente atta a produrre ricavi o plusvalenze, i citati riferimenti sarebbero palese­ mente inutili.

Né, d’altro canto, muovendo dal disposto del quarto comma dell’art. 54 (129), potrebbe a ciò obiettarsi che, comunque, le indi­ cate formule servirebbero a discriminare i presupposti per attribui­ re ad essi differenti discipline. Tale argomentazione non potrebbe, infatti, condividersi non solo e non tanto perché attiene agli effetti e non alla definizione dei presupposti, su cui invece si indaga, quanto perché, comunque, non potrebbe assolutamente giustificare ciò che risulta disposto in materia di ricavi.

Va infine considerato che il richiamo all’onerosità, oltreché per le cessioni di beni, è stato particolarmente sottolineato dal legislato­ re tributario nella disciplina delle plusvalenze derivanti dalla ces­ sione d’azienda. Il quinto comma dell’art. 54, deificato esclusiva- mente alla fattispecie, prevede in modo espresso che siano tassabili le — sole — plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso. Se ci

(1 27) C o n fo r m e m e n te Fa l s it t a, La tassazione delle p lusvalen ze, c it., 61, nota 57.

(128) Si veda in precedenza la nota 55.

(129) Tale disposizione prevede che solo le plusvalenze realizzate concor­ rono a formare il reddito, a scelta del contribuente, per l’intero ammontare nell’e­ sercizio in cui sono state realizzate o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto.

si limitasse ad una interpretazione letterale della disposizione, non si avrebbe modo di vedere esteso all’azienda il referente, previsto per i singoli beni d’impresa, alla destinazione a finalità estranee, cosicché, indipendentemente da quanto è stato finora osservato, si potrebbe ritenere che non costituisca presupposto di tassazione del­ le plusvalenze la fattispecie della donazione d ’azienda; conclusione, questa, che trova peraltro conforto in alcune recenti posizioni della giurisprudenza (130).

È naturale pertanto che, se così fosse, potrebbe disporsi di un ulteriore elemento testuale a favore dell’intassabilità della cessione gratuita visto che non esisterebbero giustificazioni plausibili per differenziare il trattamento fiscale applicabile ad un singolo bene relativo all’impresa da quello riferibile all’azienda unitariamente considerata.

4.6. (Segue) l’affermarsi di un sistema di imposizione sui red­

diti « chiuso » rende marginali le tradizionali questioni sui concetti generali coinvolti dalla tematica e impedisce una « soluzione di principio ».

Esaminando i contributi dottrinali e giurisprudenziali del pe­ riodo ante riforma si è visto che, non potendosi far univoco riferi­ mento al dato positivo, spesso, le soluzioni interpretative venivano fatte discendere da una preventiva definizione dei concetti di « reddito » e di « realizzo delle plusvalenze », ovvero dall’esame dell’evoluzione legislativa in tema di presupposti di imponibilità delle plusvalenze.

Al riguardo, sembra in primo luogo che, l’esclusività della fat­ tispecie cui fa riferimento la norma tributaria, in generale, e la analitica previsione dei presupposti di imponibilità di ricavi e plu­ svalenze, in particolare, eliminino ogni possibilità di attribuire un ruolo essenziale nello schema di indagine sia alla preventiva defini­ zione degli indicati concetti, sia anche, all’esame dell’evoluzione le­ gislativa in tema di presupposti di tassabilità delle manifestazioni reddituali.

Infatti, da un lato, tali caratteristiche fanno per sé stesse de­ gradare la rilevanza di principi generali, per di più ricostruibili solo

(130) Comm. trib. cent., 30 giugno 1988, n. 5354. in II fisco, 1988, 5170; Comm. trib. II di Treviso, 24 giugno 1988, n. 841, in II fisco, 1988, 5693. In senso contrario, Comm. trib. cent., 4 giugno 1991, n. 4639, in II fisco, 1991, 6799.

in via interpretativa; nello stesso senso, dall’altro lato non sembra che spunti decisivi possano trarsi, come già non poterono evincersi, dal progressivo allargamento dei presupposti di imponibilità dei ri­ cavi e delle plusvalenze disposto nel tempo dal legislatore tributa­ rio; non sembra, insomma, ancora oggi, che la previsione della tas­ sabilità di fattispecie reddituali non connese a cessioni onerose pos­ sa costituire un argomento dirimente per dedurne la tassabilità, in via di principio, delle cessioni gratuite (131).

Va inoltre considerato che attualmente l’inammissibilità di una « soluzione di principio », cioè non necessariamente connessa al dato positivo, risulta, a fortiori, pregiudicata anche dalle caratteri­ stiche proprie dell’intero sistema di imposizione sui redditi.

In effetti, come si ritiene unanimemente, il sistema compreso nella normativa del T .U .I.R . costituisce un insieme « chiuso » di manifestazioni reddituali imponibili (132); oltre quelle espressa- mente previste, salvo marginali eccezioni, comunque qui irrilevan­ ti, non è possibile individuarne ulteriori sulla base di concezioni ge­ nerali peraltro prive di specifici referenti normativi.

Quanto appena concluso non vuole naturalmente escludere l’u- tilizzabilità in via interpretativa dei principi generali che la legge dispone in modo espresso; anzi, come si vedrà, è proprio esaminan­ do gli effetti della tesi della tassabilità delle plusvalenze da dona­ zione in relazione ad uno di essi (133), che potranno individuarsi, sia, ulteriori argomentazioni contro la suddetta tesi, sia le linee strutturali di conforto alla ricostruzione complessiva della fattispe­ cie della cessione gratuita dei beni di impresa.

4.7. (Segue) le modifiche normative in terna di erogazioni libe­

rali rendono impossibile impostare la tematica come se non esistesse una disciplina espressa della posizione fisca­ le del cedente.

In ogni caso, ciò che comunque, nelle attuali disposizioni di legge rende assolutamente marginali le irrisolte questioni sui temi generali tradizionalmente coinvolti negli approcci alla problematica

(131) Conformemente a quanto sostenuto da Fa n t o z z i, Ancora,cit., 431 ss. (132) Fa n t o z z i, Diritto tributario, cit., 579-581; De Mi t a, Appunti di diritto

tributario, II, I , Milano, 1988, 7 ss.; Te s a u r o, Istituzioni di diritto tributario, cit., 25; Tin e l l i, Il reddito di impresa nel diritto tributario, cit., 50 ss.; Lu p i, Le impo­

ste sui redditi, sul valore aggiunto e sui trasferimenti,cit., 19-20. (133) Si intende far riferimento al principio del ne bis in idem.

è la presenza nell’ordinamento giuridico di una espressa disciplina fiscale delle cessioni gratuite da parte di imprenditori.

Si è visto, in precedenza come, anche quando il legislatore tri­ butario disponeva solo con riferimento alle erogazioni liberali in denaro, fosse concettualmente contraddittorio sostenere contempo­ raneamente la tassabilità delle plusvalenze sulle donazioni di beni e la deducibilità degli oneri connessi a tali atti liberali.

Ora, però, il legislatore tributario non limita più la deducibilità dal reddito di impresa di particolari erogazioni liberali alla condi­ zione che siano realizzate in denaro e d’altro canto ulteriori consi­ derazioni, oltre la lettera della disposizione, portano alla conclusio­ ne per cui la norma contempla anche le « erogazioni liberali di beni ».

Innanzitutto, un primo evidente argomento è dato dalla modi­ ficazione stessa apportata dal D .p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 alla precedente normativa che faceva riferimento alle erogazioni libera­ li in denaro. In secondo luogo, la lett. f) del secondo comma dell’art 48 lascia ritenere che, quando il legislatore tributario richiama le sole « erogazioni liberali », come avviene nell’ambito dell’art. 65, secondo e quarto comma, intenda far riferimento a tutte, indipen­ dentemente dal loro oggetto; infatti, la disposizione collega ad esse, il concetto di valore, proprio cioè, delle fattispecie in cui sono coin­ volti beni in natura. Inoltre il primo comma dell’art. 62 riconosce espressamente come deducibili dal reddito le spese in natura soste­ nute a favore dei dipendenti a titolo di liberalità. Infine, le disposi­ zioni contenute nelle lett. p) ed r) del primo comma dell’art. 10, ri­ chiamate dall’art. 65, terzo comma, testimoniano che, nei casi in cui la norma abbia ad oggetto solo un tipo di erogazioni liberali, quelle cioè in denaro, esistano espressi riferimenti limitativi.

La considerazione poi, che per il disponente la erogazione libe­ rale siano previsti regimi fiscali diversificati, non consente certo di poter prevaricare a priori il dato positivo, poiché, come si. vedrà, in esso è probabilmente rinvenibile il principio generale in materia.

In definitiva, pertanto, la contraddizione concettuale cui avrebbe condotto la tesi della tassabilità delle plusvalenze da dona­ zione nel periodo ante riforma diviene, nell’attuale stato della legi­ slazione, un significativo ostacolo giuridico alla proponibilità della stessa.

4.8. (Segue) la necessità di evitare la doppia imposizione cui le

nuove disposizioni condurrebbero nel caso di trasferimen­ to a titolo gratuito effettuato a soggetto esercente attività commerciale.

A conclusione di questa rassegna delle argomentazioni che di­ mostrano come non possa essere accettata la tesi della tassabilità delle plusvalenze (e dei ricavi) da donazione di beni d impresa, è infine, essenziale verificarne gli attuali effetti alla luce del divieto della doppia imposizione.

L’art. 127 del T .U .I.R ., come già l’art. 67 del D .p.r. n. 600/1973, afferma espressamente che « la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure in relazione a soggetti diversi ».

In effetti, è indubitabile che tale « principio », oggi previsto nell’ambito della normativa sostanziale, oltreché nell’ambito della normativa d ’accertamento, costituisca, anche (134), se non soprat­ tutto, un importante canone interpretativo della norma tributaria in materia di imposizione sui redditi (135).

Pertanto, si ritiene necessario valutare, nell’ottica di tale crite­ rio interpretativo, le conseguenze della tesi che qui si contesta nel­ l’ipotesi in cui beni relativi all’impresa vengano erogati liberamente ad un soggetto esercente attività commerciale.

Come si è visto in premessa, la normativa contenuta nell’art. 55 del T .U .I.R . che, pur con qualche variazione letterale, confer­ ma sostanzialmente quella della previgente disposizione, assimila alle sopravvenienze attive i proventi in natura conseguiti a titoli di liberalità. Considerando che quest’ultima disposizione è posta nel­ l’ambito di quelle relative alla determinazione del reddito d’impre­ sa, è opportuno porre alcune precisazioni a carattere soggettivo per valutarne gli effetti.

(1 34) Ar d i z z o n e, Il principio « del ne bis in idem » nell’imposizione diretta,

in q u esta Rivista, 1978, I , 875 ss.; Id., voce Doppia imposizione-interna, in Dige­ sto IV ,Torino, 1990, 175 ss.

(1 3 5 ) Sul tema, in tal senso, si veda anche Ad o n n i n o, voce Doppia imposi­ zione (dir. tnb.), in Enc. dir., voi. XIII, Milano, 1964, 1015 ss.; Be r l i r i A . , Il Testo Unico delle imposte dirette, Milano, 1969, 15; Tr e m o n t i, Imposizione e de­ finitività nel diritto tributario, Milano, 1977, 133 ss. e 341 ss.; He n s e l. Diritto tri­ butario, Milano 1956, 6 ss.; Bl u m e n s t e i n, Sistema del diritto delle imposte, cit., 10 ss.

In primo luogo non v ’è dubbio che per le società di persone commerciali regolari e per i soggetti i.r.pe.g. previsti nelle lett. a) e è) dell’art. 87 del T .U .I.R . (136) l’acquisizione di un bene a titolo gratuito, connessa alla presunzione fiscale della relatività dello stesso all’esercizio dell’impresa, ne faccia conseguire l’assoggetta­ mento all’imposizione sul reddito.

Con riferimento, invece, agli imprenditori individuali, alle so­ cietà di fatto e agli enti di cui alla lett. c) dell’art. 87 del T.U .I.R . (137) sono necessarie ulteriori distinzioni.

Quanto agli imprenditori individuali, l’assoggettamento del provento in esame alle imposte sul reddito è condizionato all’esi­ stenza di alcuni elementi atti a qualificare la relatività del bene ri­ cevuto dall’impresa; in tal senso sarà necessario che si tratti o di uno dei beni di cui all’art. 53, lett. a) e 6), o di un bene strumentale o che, comunque, tale bene, venga iscritto tra le attività indicate nell’inventario redatto e vidimato a norma dell’art. 2217 c.c. (138).

Per le società di fatto, in parte analogamente, sarà necessario o che il bene ricevuto sia uno di quelli di cui alle lett. a) e b) del- l’art. 53, o uno strumentale all’esercizio dell’impresa o, se iscritto in pubblici registri a nome di uno dei soci, uno esclusivamente stru­ mentale a detto esercizio (139).

Infine, per gli enti non commerciali che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, l’applica­ bilità dell’art. 55 sarà condizionata dal tipo di destinazione che l’en­ te attribuirà al bene al momento del ricevimento gratuito, di modo che l’acquisizione produrrà una sopravvenienza attiva in tutti i casi in cui l’ente « adibisca » il bene in oggetto all’esercizio dell’attività commerciale eventualmente svolta a latere (140). In altri termini,

(136) Le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a respon­ sabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione resi­ denti nel territorio dello Stato, gli enti pubblici e privati diversi alle società, resi­ denti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’eser­ cizio di attività commerciali.

(137) Gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.

(138) Art. 77, primo comma, D .p.r. 22 dicembre 1986, n. 917. Nella ver­ sione novellata dall’art. 58, primo comma della L. 30 dicembre 1991, n. 413 an­ che gli immobili strumentali per destinazione per poter essere considerati relativi all’impresa devono essere inseriti nell’inventario.

(139) Art. 77, terzo comma, D .p.r., 22 dicembre 1986, n. 917.

(140) In tal senso, espressamente, R.M . 18 aprile 1975, n. 11/1639, in Boll, trib., 1975, 1434.

tentando di esemplificare, l’acquisto a titolo gratuito, da parte di una fondazione, di un immobile adibito alla gestione di un ricovero per anziani svolta con specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che eccedono i costi di diretta imputazione, produr­ rà una sopravvenienza attiva tassabile in capo alla fondazione, pur priva di finalità lucrative.

Pertanto, come si è potuto constatare, in tutti questi casi, se­ guendo la tesi della tassabilità delle plusvalenze (e dei ricavi) da donazione, si perverrebbe, in contrasto al divieto espresso, ad una palese doppia imposizione su uno stesso reddito. In dipendenza di uno stesso presupposto, la cessione gratuita di un bene, si avrebbe, infatti, una duplice applicazione della stessa imposta, seppur nei confronti di soggetti diversi, dato che da un lato, in capo all’im­ prenditore donante, la tassazione colpirebbe il ricavo o la plusva­ lenza e, dall’altro, in capo al donatario esercente attività commer­ ciale, l’imposizione avrebbe ad oggetto la sopravvenienza attiva.

In definitiva è anche sulla base dell’indirizzo interpretativo traibile, per ora in negativo, dal divieto della doppia imposizione che non può accogliersi la tesi della imponibilità degli atti di dona­ zione dei beni di impresa e sembra possibile pervenire alla conclu­ sione per cui la cessione gratuita non costituisce presupposto di tas­ sabilità di ricavi e plusvalenze.

Resta ora, per ultimo, da individuare, in positivo, le linee di ri- costruzione della disciplina fiscale complessiva della fattispecie ai fini delle imposte sui redditi e dell’i.v.a.

5. Ilicostruibilità della disciplina fiscale complessiva della cessio­

ne gratuita nel quadro della normativa delle erogazioni libera­ li, ai fini delle imposte sui redditi e, secondo le disposizioni

espresse, ai fini dell’i.v.a.: