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l’irrilevanza della disciplina fiscale dell’autoconsumo pone

Result 2. — The optimal tax rate is increasing in the per capita au

4.1. l’irrilevanza della disciplina fiscale dell’autoconsumo pone

la necessità di valutare gli esiti del dibattito anteriforma.

Come si è notato in sede di sintesi dell’evoluzione storico nor­ mativa della disciplina fiscale degli atti di cessione gratuita, la te­ matica connessa alla possibilità o meno di considerare tassabili, ai fini delle imposte sui redditi, gli atti di donazione di beni plusvalen­ ti, era stata principalmente trattata, nel periodo ante riforma, coin­ volgendo numerosi concetti, tra cui quello del « reddito » e quello del « realizzo delle plusvalenze ».

L ’avvento delle norme sul c.d. « autoconsumo » aveva in se­ guito spostato decisamente i termini del dibattito, trasferendoli sul piano del dato positivo che, per molti versi, appariva in grado di fugare ogni dubbio in ordine alla tassabilità delle plusvalenze (e dei ricavi) da donazione. D ’altro canto, pur intervenendo, in questa fa­ se, nuove posizioni dottrinali, mancarono, o comunque non assun­ sero i precedenti toni, le repliche di coloro che in precedenza tanto autorevolmente avevano sostenuto l’intassibilità delle fattispecie de

quo (99).

Insomma sembrava che, « difronte a testi così chiari ed inequi­ voci, lo sforzo di aggiramento e di neutralizzazione della forza pro­ bante che da essi » promanava « ordito dagli assertori della tesi » dell’intassabilità, fosse « di necessità votato all’insuccesso » (100).

Invece, le conclusioni finora evidenziate esaminando il dato positivo sotto i diversi profili interpretativi hanno posto in luce co­ me, ancora oggi, la posizione fiscale del soggetto che cede a titolo gratuito beni relativi all'impresa non possa essere semplicemente delineata attraverso le norme che disciplinano la destinazione extraimprenditoriale.

Tali conclusioni rivitalizzano gli schemi di indagine proposti dalla dottrina nel periodo ante riforma e pongono la necessità di

(99) Si intende far principale riferimento alla tesi di Fa n t o z z i, Contributo allo studio della realizzazione dell’avviamento quale presupposto dell'imposta di ricchezza mobile, cit., 24 ss.; Id., Ancora in tema di realizzazione delle plusvalen­ ze, cit., 430 ss.

( 1 0 0 ) Testualmente d a Fa l s i t t a, Il presupposto di imponibilità delle plu­ svalenzepatrimoniali, cit., 54.

valutare innanzitutto le argomentazioni addotte a supporto delle di­ verse tesi al fine di verificare quali sembrino maggiormente condi­ visibili.

4.2. (Segue) tendenziale prevalenza della tesi dell’intassabilità

delle plusvalenze da donazione.

Si è già accennato in premessa che, mentre gli indirizzi della giurisprudenza si sono mantenuti per tutto il periodo anteriforma pressoché univocamente determinati a favore deH’intassabilità del­ le plusvalenze da donazione, il dibattito dottrinale, invece, è rima­ sto influenzato in modo decisivo dalle disposizioni introdotte nel

1956 dalla legge Tremelloni.

Pertanto, l’analisi delle diverse posizioni andrà condotta indi­ viduando, rispetto a tale momento, due distinte fasi temporali.

Non vi è dubbio che, sotto il vigore della legge fondamentale, anche in dottrina fossero prevalenti le opinioni a favore dell’intas- sabilità delle plusvalenze da donazione; in effetti, anche chi più au­ torevolmente ha sostenuto la tesi contraria, ha riconosciuto che in questa prima fase fossero maggioritarie le argomentazioni traibili dalla disposizione dell’art. 8 (101) e dai principi generali in materia di operazioni speculative che escludevano la possibilità di tassare plusvalenze « non realizzate » (102); in sintesi, si affermava gene­ ralmente che, ai fini della tassazione del reddito, fosse necessaria la materiale percezione dello stesso (103).

Peraltro le tesi minoritarie, che ritenevano attuabile la realiz­ zazione del reddito anche attraverso atti di disposizione o destina­ zione privi di corrispettivo, pur ricomprendendo tra questi anche la cessione gratuita, avevano principale riferimento a fattispecie non facilmente assimilabili ad essa quali, ad esempio, quelle connesse alla permuta (104), al conferimento (105), all’assegnazione ai so­ ci (106) ed alla rivalutazione dei valori di bilancio (107).

(101) Tale disposizione prevedeva che l'imposta sarebbe stata applicata ai contribuenti « a norma dei redditi certi o presunti che essi percepiscono ogni anno ».

(102) Fa l s i t t a, Le plusvalenze nel sistema dell’imposta mobiliare, c i t . , 198-219.

(103) I riferimenti si vedano alla nota 14.

(104) Sa m p i e r i- Ma n g a n o, L ’imposta di ricchezza mobile e le società com­ merciali per azioni, cit., 191, 195 ss.

(105) Sa m p i e r i- Ma n g a n o, op. uìi. cit., 183 s s .

(106) Sa m p i e r i- Ma n g a n o, Se possa costituire reddito tassabile di ricchezza mobile al nome della società la differenza tra il valore di mercato e quello minore

D ’altro canto, infine, queste tesi, per sostenere la tassabilità delle donazioni, tendevano ad equiparare la cessione gratuita del bene a quella della vendita e successiva donazione del ricava­ to (108), ma tale argomentazione, come si vedrà nel prossimo para­ grafo, appare difficilmente accettabile.

Con l’entrata in vigore della legge Tremelloni, nuova e ben maggiore forza acquistò la dottrina che sosteneva l’imponibilità del­ le plusvalenze da donazione; tuttavia non sembra che tale indirizzo riuscì ad occupare la posizione prevalente neppure nel periodo in­ tercorso fino alla riforma tributaria. A tutt’oggi, infatti, appaiono maggiormente condivisibili le argomentazioni che allora venivano addotte dagli autori favorevoli all’intassabilità.

In primo luogo la lettera della legge, che pure introduceva a presupposti di imponibilità di talune plusvalenze la distribuzione ai soci e l’iscrizione in bilancio, non forniva riferimenti espressi utili a ritenere che nella formula del realizzo, accolta per indicare il mo­ mento di imponibilità di tutte le plusvalenze, fosse ricompresa la fattispecie della cessione gratuita. Né sembra che motivazioni deci­ sive in tal senso vennero individuate sotto il profilo che vide mag­ giormente svilupparsi la teoria della tassabilità: quello del significa­ to interpretativo attribuibile all’evoluzione legislativa dei presuppo­ sti di imponibilità delle plusvalenze.

In effetti questa teoria, in parte supportata da una particolare interpretazione della relazione ministeriale all’art. 20 della legge Tremelloni (109), sosteneva principalmente che da tale evoluzione dovesse evincersi il definitivo abbandono, da parte del legislatore del presupposto unitario del realizzo e la sua sostituzione con un presupposto, anch’esso unitario, delineabile in via interpretativa ma sottoponibile a fattor comune di tutti i presupposti espressa- mente previsti, che consisteva nella certa e definitiva acquisizione del plusvalore da parte dell’imprenditore. In altri termini, si affer­ mava che, venuta meno l’unitarietà del presupposto, prima

identi-d i a cq u isto o identi-d i bilan cio identi-d i titoli c h e la società stessa identi-d istribu isce gratu ita m en te ai p rop ri azionisti, c it., 1 ss.; Mir m i n a, Titoli distribuiti gratuitamente agli azionisti,

c it., 1 ss.

(107) Sa m p i e r i- Ma n g a n o, Di alcune questioni controverse, op. cit., 49 ss. e 71 ss.; Te r r a n o v a, Il concetto di reddito fiscale ed alcune sue applicazioni, c it ., 27.

(108) Gr i z i o t t i, Le imposte sugli incrementi di valore nei capitali e nelle rendite, c it., 26 9, 350.

(109) Riportata in Sp i n e l l i, Le leggi sulla perequazione tributaria e sulla dichiarazione unica annuale dei redditi, Roma, 1956, 162 ss.

ficato nel realizzo, il criterio interpretativo generale in tema di tas­ sazione delle plusvalenze dovesse essere individuato nei caratteri della certezza e definitività (110).

Dopo aver delineato questo principio unitario, a metà strada tra produzione e realizzo e dopo aver verificato che i caratteri co­ stitutivi potevano essere riscontrati anche nell’atto di cessione a ti­ tolo gratuito, era possibile includere quest’ultima fattispecie nel nuovo regime di imponibilità delle plusvalenze. In effetti si ritene­ va indubitabile che la donazione producesse una certa e definitiva acquisizione della plusvalenza da parte deH’imprenditore in quanto atto di disposizione del bene — e quindi del maggior valore in esso incorporato — cui consegue l’assoluta irrilevanza per il cedente delle successive vicende ad esso attinenti (111).

Conformemente alle prevalenti posizioni della dottrina e della giurisprudenza, non sembra che le considerazioni sopra estrema- mente sintetizzate possano essere appieno condivise; appaiono in­ fatti maggiormente convincenti le argomentazioni delle tesi che, in relazione all’evoluzione normativa apportata dalla legge Tremello- ni, ritennero che fosse ormai irrimediabilmente copromessa l’unità del presupposto di tassazione delle plusvalenze, che tale unità, non potesse essere ricostruita mutando il profilo di individuazione da quello della « produzione » a quello della « certezza e definitivi­ tà », che, inoltre, avrebbe dovuto continuarsi a riconoscere nel rea­ lizzo, tradizionalmente inteso, il presupposto principale anche se non unico, da cui la legge faceva dipendere l’imponibilità delle plu­ svalenze, che, infine, nell’ambito di questo presupposto, non potes­ sero certo essere ricompresi gli atti di cessione a titolo gratuito (112).

(110) Fa l s it t a, Le plusvalenze, op. cit., 220 ss.; tale au tore p era ltro c o n d i­ v id e e sv ilu p p a i con cetti espressi in relazion e al criterio d ella c e rte z za e d efin iti­ v ità an ch e d a Gu a r d in a, Alcuni problemi riguardanti la tassazione dei guadagni di capitale nella politica fiscale italiana, cit, 138 ss.

( 1 1 1 ) In t a l sen so Fa l s i t t a, Le plusvalenze, op. cit., 265 ss.; Gi a r d i n a, Al­ cuni problemi, op. cit., 138 ss.; Gr i z i o t t i, l*e imposte, op. cit., 269 e 350; Ru g g i e­ r o, Trattamento dei plusvalori di attività sociali nei casi di trasformazione e fusio­ ne di società, c it ., 43.

(1 12) Principalmente, con riferimento a queste conclusioni Fa n t o z z i, Con­ tributo, cit., 605-62 5; Id., Ancora, cit., 433 ss. Nello stesso senso, circa la necessi­ tà del realizzo e della onerosità dell’atto di trasferimento nelle ipotesi diverse da quelle espressamente previste, Za p p a l à- La n z a, L'imposta, cit., 125 ss.; Uc k m a r,

La tassazione, cit, 50 ss. spec. 57-60; Id., Osservazioni sull’attuale sistema di tas­ sazione delle plusvalenze patrimoniali, cit., 367 ss.; Gr i l l o, Le plusvalenze iscrit­ te in bilancio e l’art. 106 del T.U., cit., 1965 , 326 ss.; Ga l l i, La realizzazione co­ me requisito della produzione del reddito, in Giur. imp., 1957, 138 ss.; Pi c c a t t i,

A supporto di queste conclusioni poteva ragionevolmente evi­ denziarsi che contro l’asserita unità del presupposto giocasse un ruolo decisivo non solo e non tanto, la specifica disciplina contenuta nell’art. 81, secondo comma, T.U. n. 645/1958 che condizionava al realizzo e non già soltanto alla produzione, la tassazione delle plu­

svalenze da chiunque conseguite (113), quanto la previsione

espressa, per i soggetti tassabili in base a bilancio, di più presuppo­ sti distinti ed autonomi, nel cui ambito il ruolo centrale era occupa­ to da quello, tutt’altro che abbandonato, del realizzo (114).

Inoltre si contestava, anche qui probabilmente a ragione, che neppure dalla relazione ministeriale a commento dell’art. 20 della legge Tremelloni potevano esser tratte univoche indicazioni circa la eventuale sostituzione della tradizionale nozione del realizzo con quella legata al criterio della « certezza e definitività », peraltro difficilmente utilizzabile in ambito giuridico (115).

La circolazione, cit., 679 ss.; Ro m a n i, Contributo, cit., 727; Be r l i r i A ., il Testo

Unico, cit., 252 ss.; Mo n t u o r i, La determinazione dei redditi soggetti all’imposta di ricchezza mobile, Torino, 1963, 123; Ma f f e z z o n i, Recensione a Falsitta, Le plusvalenze nel sistema dell’imposizione mobiliare, in questa Rivista, 1967, 577-

579; Fe d e l e, Profili dell’imposizione degli incrementi di valore nell’ordinamento tributario italiano, cit., 158 ss.

(113) Si veda la nota 26.

(114) Sembra infatti, di poter condividere, soprattutto in relazione al pre­ supposto dell’iscrizione in bilancio, che i nuovi presupposti introdotti dalla legge Tremelloni avessero quasi un carattere di eccezionalità rispetto al criterio centrale e principale del realizzo. Del resto, a parte Falsitta, pure l’ altro autore che riten­ ne essenziali i caratteri della definitività e certezza, Gi a r d i n a, (Alcuni problemi,

op. cit., 131), considerava l’iscrizione in bilancio un presupposto del tutto partico­

lare in relazione al sistema tributario italiano, imperniato a suo dire sul concetto di reddito prodotto.

Nel senso che non possa ritenersi abbandonato il principio del realizzo, ma che esita una pluralità di presupposti autonomi, si vedano Uc k m a r, Osservazioni sull’attuale sistema di tassazione delle plusvalenze patrimoniali, in Temi trib.,

1964 , 369, nota 7 e analogamente Sc o t t o, La legge, cit., 1065; Cr o x a t t o, R Testo Unico delle imposte, cit.. 405.

(115) Secondo Fa n t o z z i, (Ancora, cit., 448-449) dalla Relazione ministeria­

le all'art. 20 non poteva evincersi che il criterio della « certezza e definitività » fosse l’unico applicabile a tutti i presupposti né, tanto meno, che potesse autoriz­ zare a ritenere realizzate le plusvalenze attraverso cessioni a titolo gratuito. Tale autore, con riferimento al dibattuto passo della relazione in cui veniva affermato che il presupposto della tassazione delle plusvalenze fosse il carattere certo della plusvalenza, argomentò che l’utilizzo dell’avverbio « esclusivamente » stesse a di­ mostrare che fino ad allora la tassazione si considerasse estesa ai soli trasferimenti a titolo oneroso e che quindi il carattere della certezza fosse utilizzabile solo per l’iscrizione in bilancio; tale conclusione avrebbe trovato peraltro riscontro in altre parti della relazione stessa in cui era detto, da un lato, che « le plusvalenze con­ corrono a formare il reddito imponibile non soltanto se vengono realizzate o distri­ buite, ma altresì se vegono iscritte in bilancio » e dall’altro, che « la tassazione

Sembra infine, che potevano essere particolarmente condivise le argomentazioni volte ad escludere la liceità del ragionamento lo­ gico per cui, in relazione ai soggetti tassabili in base a bilancio, l’ampliamento delle ipotesi di tassazione ad atti diversi da quelli di trasferimento a titolo oneroso potesse consentire di dedurne la im­ ponibilità, in via di principio, di tutte le cessioni gratuite di beni re­ lativi all’impresa con valore di mercato superiore al valore fiscal­ mente riconosciuto (116).

4.3. (Segue) inaccoglibilità delle tesi che tendevano ad equipa­

rare, a fini interpretativi, la donazione del bene con quella della vendita a terzi e successiva donazione del ricavato.

Dopo aver esaminato pur in estrema sintesi come, in relazione agli argomenti traibili esclusivamente dal dato positivo o, comun­ que, dall’evoluzione legislativa dei presupposti di imponibilità delle plusvalenze, esistesse, nel periodo ante riforma, una tendenziale prevalenza della tesi della non tassabilità delle plusvalenze da do­ nazione, sembra ora opportuno valutare anche le argomentazioni non tratte ex positivo iure, che venivano poste a fondamento della tesi contraria.

È naturale che l’attenzione andrà posta su concezioni generali che comunque possano ancora trovare cittadinanza nelle attuali strutture dell’ordinamento tributario.

In tal senso, non appare essenziale il principio della non tassa­ bilità per il donatario del bene ricevuto, ai fini delle imposte sui redditi; in effetti, da questo assunto veniva in parte dedotto il timo­ re che, mancando la tassazione in capo al donante, la plusvalenza sarebbe definitivamente sfuggita alla imposizione (117); in realtà, tale principio, come si vedrà meglio in seguito, oggi non può più ri­ tenersi, come in passato, « profondamente radicato nel nostro

siste-delle plusvalenze prima del realizzo rimane subordinata al fatto che la plusvalen­ za medesima venga iscritta dal contribuente di sua iniziativa in inventario o in bilancio ».

La relazione cioè, avrebbe sottolineato che l’iscrizione evidenziasse il cara- tere certo della plusvalenza allorché questa fosse stata tassata su iniziativa del contribuente con l'appostazione della stessa in documenti aventi efficacia probatoria.

(116) In tal senso, per tutti, si vedano Fa n t o z z i, op. ult. cit., 431 ss.; Fe d e­ l e, op. ult. cit., 160-162.

ma » (118) ed anzi, la valutazione della posizione fiscale del cessio­ nario a titolo gratuito in fattispecie tutt’altro che marginali può, vi­ ceversa, essere utilizzata in via interpretativa per sostenere la tesi opposta (119).

Ciò che invece, delle argomentazioni proposte nel periodo ante riforma, sembra meritare una valutazione più approfondita, è la considerazione per cui la tassabilità delle plusvalenze su beni dona­ ti dall’imprenditore fosse traibile sul piano economico (e non solo su esso) dalla constatazione che, « ove l’imprenditore avesse one­ rosamente ceduto a terzi il bene e poscia ne avesse donato il rica­ vato, di certo avrebbe subito la tassazione sul plusvalore » (120).

Peraltro, l'opportunità di quest’ultima valutazione non dipende tanto dalla forza insita nell’argomentazione in sé, quanto dalla cen­ tralità che la tesi della tassabilità delle plusvalenze da donazione le aveva, in sostanza, conferito. Infatti, la dottrina che la sosteneva, pur muovendo da una analisi prettamente economica, finiva poi con il rilevare, anche sul piano giuridico, che un’eventuale « esclu­ sione dall’imposta delle plusvalenze trasferite gratuitamente avreb­ be discriminato contro coloro che avessero realizzato gli incrementi di valore dei loro beni e che poi avessero destinato le somme in co- tal guisa percepite ai medesimi scopi di coloro che avessero tra­ smesso le loro plusvalenze non realizzate » (121).

Vari ordini di considerazioni non sembrano consentire, però, di poter accogliere, né con riferimento al dibattito anteriforma né, a posteriori, in relazione ai contenuti delle vigenti disposizioni di legge, la sintetizzata osservazione.

In primo luogo è indubbio che, almeno a prima vista, sul piano economico, l’imprenditore possa subire un analogo effetto patrimo­ niale negativo — cui del resto possa corrispondere un analogo ef­ fetto patrimoniale positivo per il donatario — sia che doni il bene, sia che ne ceda gratuitamente il ricavato, ma tutto ciò appare irrile­ vante al fine di individuare la disciplina fiscale della fattispecie in

(1 18) Fa l s it t a, op. alt. cit., 269, n ota 117.

(119) Si intende far riferimento alle donazioni di beni di impresa ad altri imprenditori o ad enti commerciali, che utilizzano i beni ricevuti per lo svolgi­ mento di attività commerciali svolte a latere di quelle istituzionali.

(1 20) La osservazione è del Gr iz io t t i, citato alla nota 16, ma conformente, si veda anche Gia r d i n a, Alcuni problemi, op. cit., 139-140.

esame; il diritto tributario, come è noto, è regolato da principi che non consentono di estendere le norme oltre le fattispecie da esse disciplinate in via esclusiva; sotto il profilo giuridico, pertanto, la donazione diretta da un lato e la donazione del ricavato della ven­ dita, dall’altro, rappresentano ipotesi differenti e non certo qualifi­ cabili identicamente ove la norma non lo preveda in modo espres­ so. La seconda fattispecie presuppone un ulteriore passaggio, la cessione onerosa ad un terzo, che manca nella prima e perciò stes­ so, senza null’altro dover aggiungere, ben può essere disciplinata in modo diverso, pur potendo la colleganza negoziale condurre a volte ad effetti economici analoghi a quelli ottenibili per altra via. In secondo luogo, la diversità del regime tributario si giustifica in relazione al principio della certezza del diritto e dei rapporti con l’Erario; non potendosi vincolare l’imprenditore che ha venduto il bene alla successiva donazione del ricavato, non si vede come po­ trebbero equipararsi le due fattispecie, nel momento in cui, mentre da un lato si dispone la liberalità, dall’altro si perfeziona solamente la vendita con realizzo del corrispettivo.

In terzo luogo, infine, sempre sul piano giuridico, non è certo inutile considerare anche la posizione del ricevente o cessionario, dato che, mentre nell’ipotesi della vendita con successiva donazio­ ne del ricavato, v ’è comunque un soggetto beneficiario di un costo fiscalmente riconosciuto (122), nell’ipotesi della liberalità diretta, non solo non si verifica ciò, ma addirittura, come si vedrà, in alcuni casi nei confronti del ricevente si realizza un presupposto di im­ posta.

A tutto ciò si aggiunga, inoltre, che, indipendentemente da quanto detto, le due ipotesi a ben vedere non sono necessariamente sovrapponibili neppure sotto profili diversi da quelli giuridici: la donazione può avvenire, infatti, non solo al fine di accrescere il pa­ trimonio del donatario considerato come « valore di mercato », quanto anche per consentire l’utilizzo diretto del bene di cui il ces­ sionario necessita per lo svolgimento della propria attività; in tal caso, entrando in gioco un « valore d ’uso », il « valore di mercato » del bene, da cui le plusvalenze dipendono essenzialmente, non rile­ va in alcun modo.

(122) In tale ipotesi il principio del ne bis in idem può dirsi rispettato dato che, a fronte di un soggetto imposto, il venditore (successivo donante), v ’è un sog­ getto (cessionario non donatario) che beneficerà di un costo fiscalmente riconosciuto.

Tentando di esplicitare in termini esemplificativi, si ipotizzi il caso dell’imprenditore proprietario da svariati decenni di un immo­ bile, già adibito all’attività industriale, sito in zona prossima all’in­ sediamento urbano ed ora non più utilizzato, in quanto non più con­ forme alle cresciute esigenze aziendali, peraltro sviluppatesi in al­ tro luogo, né più utilizzabile altrimenti sia per le particolarità strut­ turali, sia per le intervenute modificazioni al piano regolatore che non consentono più lo svolgimento di attività industriali in quella zona, divenuta inoltre non più edificabilc; continuando, si ipotizzi anche che nel quartiere operi un’associzione polisportiva, senza fini di lucro e che, per le particolari caratteristiche strutturali, quell’im- mobile possa essere utilizzato da tale associazione per la pratica della pallavolo o della pallacanestro che espressamente la stessa si propone di divulgare tra i giovani del quartiere.

In questo caso, come in tutti i casi del genere, la cessione gra­ tuita del bene dall’imprenditore all’associazione non sarebbe fun­