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La destinazione extraimprenditoriale come referente atto

Result 2. — The optimal tax rate is increasing in the per capita au

3.1. La destinazione extraimprenditoriale come referente atto

ad evitare la tassazione dell’autoconsumo interno negli scopi del legislatore delegante.

Nel tentativo di individuare la ratio delle disposizioni del T .U .I.R . che fanno riferimento alla destinazione extraimprendito­ riale dei beni di impresa, con il limitato scopo di valutare se in esse possano essere ricomprese le cessioni gratuite, è opportuno esami­ nare la normativa sotto diversi profili interpretativi facendo prece­ dere quello genetico a quello sistematico ed a quello letterale.

In tal senso, può osservarsi, esplicitando i precedenti cenni, che il referente de quo è stato introdotto dal decreto delegato i.r.pe.f. del '73 in assenza di specifici corrispondenti nella legge de­ lega per la riforma tributaria; questa, infatti, prevedeva come am­ bito di applicazione del principio che andava istituendo, quello del- l’i.v.a. (52). Pertanto, indipendentemente dalle ragioni che motiva­

dosi la indeducibilità dei costi relativi ai beni in questione ». Il testo della relazio­ ne è riportato in Corr. trib., 1986, 8103.

(51) Per le vicende relative alla reintroduzione della disposizione si veda D i Ta n n o, Destinazione a finalità estranee all'esercizio della impresa — un’ipotesi difficile da inquadrare, in Boll, trib., 1990, l i 11 ss.

(5i) Nessun riferimento alla destinazione a finalità estranee all'esercizio della impresa era contenuto infatti negli artt. 2 e 3 della legge delega dedicati ri­ spettivamente alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche.

In effetti il quadro dei presupposti di tassazione delle plusvalenze previsto dalle due disposizioni era limitato alle alienazioni, per gli imprenditori individua­ li, alle alienazioni e alla distribuzione ai soci per le società di persone, alla aliena­

rono tale estensione al settore delle imposte sul reddito, l’approccio interpretativo non può non valutare, in primis, il significato che la previsione della destinazione a finalità estranee assume nel campo dell’i.v.a.

D ’altro canto, tale valutazione è strettamente connessa con quella relativa alla disciplina della tassazione del c.d. « autoconsu­ mo », contenuta nelle direttive comunitarie per l’armonizzazione di questa imposta. In particolare, la 2* Direttiva CEL assimilava alle cessioni a titolo oneroso, preventivamente qualificate come imponi­ bili, sia « il prelievo compiuto da un soggetto passivo, nell’ambito dell’impresa, di un bene che destina ad uso privato o cede a titolo gratuito » — c.d. autoconsumo esterno (53) — , sia « l’utilizzazione da parte di un soggetto passivo, per bisogni della sua impresa, di un bene prodotto o estratto da lui stesso ovvero da un terzo per suo conto — c.d. autoconsumo interno (54) — .

Il testo definitivo della legge delega per la riforma tributaria, conservando il contenuto del disegno di legge presentato alla Ca­ mera il Io luglio 1969 e rettificando, quindi, quello del disegno pre­ sentato il 24 luglio 1967, ha però, solo parzialmente osservato la di­ rettiva comunitaria; infatti, mentre da un lato si è proceduto alla tassazione dell’autoconsumo esterno, dall’altro, è stato evitato ogni riferimento alla gratuità della cessione e, soprattutto, è stata intro­ dotta, tra i presupposti di imponibilità, l’ipotesi della destinazione del bene a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

La contestualità delle variazioni apportate potrebbe a prima vista lasciar ritenere, come è presumibile abbia fatto nei confronti dei compilatori della relazione governativa allo schema del decreto delegato i.r.pe.f. (55), che il riferimento introdotto, più ampio, avesse sostituito anche quello non adottato.

zione, distribuzione ed iscrizione in bilancio per le società di capitali e gli altri enti in relazione alle attività commerciali esercitate.

(53) La lett. a) dell’art. 5 par. 3 si giustifica con l’esigenza di evitare che per effetto dell’autoconsumo i beni avrebbero potuto non scontare la stessa impo­ sta che avrebbero scontato ove fossero stati acquistati sul mercato. In tal senso per tutti Fi l i p p i, Le cessioni di beni nell’i.v.a., Padova, 1984, 134-135.

(54) La disposizione dell’art. 5, par. 3, lett. 6), come si evince dall'Allegato A, punto 7, doveva essere applicata allo scopo di garantire la parità di imposizio­ ne fra i beni acquistati e destinati ai bisogni dell’impresa che non avessero dato diritto a deduzione immediata o completa ed i beni prodotti od estratti dal sogget­ to passivo o per suo conto da un terzo, anche essi utilizzati per le stesse necessità. Nello stesso senso Be r l i r i, L'imposta sul valore aggiunta, Milano, 1971, 23-24 e

Fi l i p p i, Le cessioni di beni nell'imposta sul valore aggiunto, cit., 135.

(55) In via di assoluta ipotesi potrebbe esser questa una giustificazione del contenuto della relazione governativa alla bozza del decreto i.r.pe.f. secondo cui

In realtà, sotto il profilo che si sta esaminando, un tale rappor­ to — genere/specie — non sembra in alcun modo sostenibile, per­ ché la previsione della destinazione a finalità estranee appare espressione soltanto della volontà di evitare, peraltro conforme­ mente a quanto era stato auspicato (56), che venisse tassato l’auto- consumo interno, cioè la destinazione del bene a finalità « pro­ prie » all’esercizio dell’impresa; in effetti tale presupposto di impo­ nibilità avrebbe condotto ad una, pressoché (57), inutile complica­ zione (58), soprattutto in un sistema, come quello che si stava per istituire, in Italia, ove l’imposta per l’acquisto di beni strumentali sarebbe stata immediatamente deducibile, per intero, in via di ri­ valsa (59).

In definitiva, da una valutazione della genesi dell’espressione normativa disposta, sembra pertanto, che l’intento perseguito dal legislatore delegante con l’introduzione della nuova fattispecie di tassazione, fosse unicamente determinato ad evitare l’imposizione dell’autoconsumo interno, senza alcun riferimento, cioè, alla gra­ tuità o meno degli atti di cessione; tanto più che tali atti erano già, in quella sede, tutti ricompresi nel riferimento alle « cessioni di be­ ni » posto a presupposto generale di imponibilità.

la cessione gratuita doveva ritenersi disciplinata dai referenti alla tassazione del- l’autoconsumo.

(56) La dottrina ( Co s c i a n i, L ’imposta sul valore aggiunto, Roma, 1968, 200; Be r l i r i, L ’imposta sul valore aggiunto, cit., 135) aveva infatti auspicato che la tassazione avrebbe dovuto limitarsi all'autoconsumo esterno. Del resto anche il Consiglio Nazionale dell’ Economia e del lavoro nel parere sulla delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria (Assemblea del 26 gennaio 1968, 101/70) parte Imposte indirette, i.v.a e i.c.o. punto A. 2. a, citato da Se s s a,

L ’imposta sul valore aggiunto, Roma. 1972, cap. X X , 381, nota 10, sembra abbia espresso un tale auspicio.

(57) Be r l ir i, L'imposta sul valore aggiunto, cit., 130 che rileva com e l’ uni­ co vantaggio realizzabile con la tassazione dell’autoconsumo interno fosse rappre­ sentato dagli interessi suH’am m ontarc d ell’ imposta afferente il bene prodotto.

(58) Nel senso che la tassazione dell’autoconsumo avrebbe condotto ad un inutile partita di giro opportunamente evitata dal legislatore, Pe r r o n e- Ca p a n o,

L'imposta sul valore aggiunto, Napoli, 1977, 313. In generale, che il legislatore italiano si sia voluto mantenere su posizioni più restrittive di quelle adottate dal legislatore comunitario, è affermato da Mi c h e l i, L'i.v.a.: dalle direttive comuni­ tarie al decreto delegato (considerazioni di un giurista), in questa Rivista, 1973, I, 431 ss. Conformemente a quanto sopra Fil ip p i, Le cessioni di beni, op. cit., 15, 148-149.

(59) In relazione alle particolarità del sistema dell’imposta che procede su base finanziaria ed al netto degli investimenti, nel senso del testo, si veda Co s c i a- n i, L ’imposta sul valore aggiunto, cit., 200.