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Rispetto agli Spartiati incontrati finora, il destino di Aristodemo sarà diverso. Nei tre casi precedenti, bisogna ribadirlo, Otriade, suicidandosi sul campo di battaglia, prese la decisione di non recarsi in città per evitare di incorrere nel disonore, Eurito decise di sacrificarsi per onorare i propri compagni d'armi e Pantite, tornato in città dopo aver obbedito ad un ordine regale, non sopportò l'onta della vergogna per essere sopravvissuto e si impiccò. Aristodemo, invece, subì il giudizio disonorevole di Sparta, ma riuscì a sopportare quel giudizio tanto infamante da spingere gli altri al suicidio o al sacrificio. Dovremmo domandarci dunque: come mai Aristodemo non seguì l'esempio degli altri Spartani? L'unica risposta plausibile è contemporaneamente confermata delle parole di Senofonte, parole che recitano: "E, a dire la verità, conservarsi alla lunga è un qualcosa che si accompagna alla virtù piuttosto che alla viltà"321.

Secondo Senofonte "conservarsi alla lunga" ( "<τὸ> σῴζεσθαι εἰς τὸν πλείω χρόνον") ossia il tenersi in vita per il maggior tempo possibile, è virtuoso più che infamante. Il principio di autoconservazione non è qui inteso come una giustificazione ad abbandonare i compagni, ossia come una legittimazione di viltà, ma come principio attraverso il quale riuscire a riscattare la vergogna assuntasi responsabilmente agli occhi della comunità. Conservare la propria vita è un gesto di virtù. Da una parte c'è dunque la volontà individuale, il diritto alla salvezza del singolo, dall'altra c'è una comunità che amministra una giustizia invisibile e cieca: giudica onorevole o disonorevole la condotta del singolo. L'unico modo per superare quest'impasse morale è attendere il momento migliore (conservandosi "alla lunga") per poter riabilitare la propria immagine all'interno del kosmos culturale spartano. Ecco il seguito delle parole di Senofonte: "è chiaro che anche la buona fama segue di più la virtù: tutti vogliono combattere al fianco

degli uomini valenti [...]. Visto che una tale perdita dei diritti civili grava sulle persone vili, non mi stupisce che in quella città si preferisca la morte a una vita tanto disonorata e disdicevole"322. Il ripristino del proprio onore può essere ottenuto soltanto attraverso il valore. È con la dimostrazione del proprio valore che lo Spartano, caduto precedentemente in disgrazia, riacquisisce l'onore perduto. Sono questi i due modi in cui può essere affrontato il disonore a Sparta: perdere la vita oppure riscattare il proprio onore, attraverso il valore dimostrato in battaglia. Purtroppo però le cose non sono così semplici. Cosa fece Aristodemo, soprannominato "il disertore", dopo essere tornato a Sparta?

Per trovare nuovamente Aristodemo bisognerà attendere l'anno successivo. Nel 479 a. C. si disputò fra Greci e Persiani la battaglia di Platea. L'esercito panellenico era composto dai residui stati greci non ancora assoggettati dai Persiani ed suo il comandante in capo fu Pausania, reggente di Sparta al posto del re Plistarco, non ancora in età per poter governare. Erodoto, descrivendo gli eventi precedenti e successivi alla battaglia, riporta informazioni importanti. Dopo un anno dall'accusa di disonore ritroviamo a Platea, e nei ranghi militari, lo Spartiata Aristodemo. È bene ricordare inoltre le parole di Erodoto riportate sopra: "ma nella battaglia di Platea, poi, [Aristodemo] riscattò completamente ciò di cui veniva accusato323".

Nelle considerazioni finali riguardo all'evento, Erodoto riporta informazioni interessanti che ci consentono di farci un'idea, a seconda delle opinioni espresse dallo storico e dai contingenti militari, quali fossero i migliori soldati sul campo di battaglia. Riguardo ai migliori a Platea, lo storico riporta la propria preferenza e quella degli Spartani: Καὶ ἄριστος ἐγένετο μακρῷ Ἀριστόδημος κατὰ γνώμας τὰς ἡμετέρας, ὃς ἐκ Θερμοπυλέων μοῦνος τῶν τριηκοσίων σωθεὶς εἶχε ὄνειδος καὶ ἀτιμίην. Μετὰ δὲ τοῦτον ἠρίστευσαν Ποσειδώνιός τε καὶ Φιλοκύων καὶ Ἀμομφάρετος ὁ Πιτανήτης. Καίτοι γενομένης λέσχης ὃς γένοιτο αὐτῶν ἄριστος, ἔγνωσαν οἱ παραγενόμενοι Σπαρτιητέων Ἀριστόδημον μὲν βουλόμενον φανερῶς ἀποθανεῖν ἐκ τῆς παρεούσης οἱ αἰτίης, λυσσῶντά τε καὶ ἐκλείποντα τὴν τάξιν ἔργα ἀποδέξασθαι μεγάλα, Ποσειδώνιον δὲ οὐ βουλόμενον ἀποθνῄσκειν ἄνδρα γενέσθαι ἀγαθόν· τοσούτῳ τοῦτον εἶναι ἀμείνω. Ἀλλὰ ταῦτα μὲν καὶ φθόνῳ ἂν εἴποιεν· οὗτοι δὲ τοὺς κατέλεξα πάντες, πλὴν Ἀριστοδήμου, τῶν ἀποθανόντων ἐν ταύτῃ τῇ μάχῃ τίμιοι ἐγένοντο, Ἀριστόδημος δὲ βουλόμενος ἀποθανεῖν διὰ τὴν προειρημένην αἰτίην οὐκ ἐτιμήθη324.

322 XEN. Lak. pol. 9, 1-6; s.v. supra, nota n° 289. 323 HDT. VII, 231.

324 HDT. IX, 71: "Il migliore in campo, fu di gran lunga, secondo il mio modo di vedere, quell'Aristodemo, il quale per esser scampato, unico fra i Trecento, alla strage delle Termopìli, ne aveva avuto vergogna e disonore. Dopo costui si distinsero in modo particolare gli Spartiati

Secondo lo storico di Alicarnasso, lo Spartiate migliore sul campo di battaglia a Platea fu Aristodemo, il quale dimostrò di sprezzare la morte, fuoriuscire dai ranghi militari e combattere da solo contro molti, perdendo infine la vita: attraverso queste azioni e questa volontà, secondo Erodoto, lo Spartano riacquisì l'onore perduto. A noi però non interessa il punto di vista dello storico, anche perché, a quanto può essere letto dal passo precedente, esso appare tutt'al più come una pura e semplice opinione personale. Le azioni compiute da Aristodemo, infatti, per quanto possano essere elogiate da Erodoto, sono altamente biasimate dagli Spartani. Anche gli Spartani, a quanto pare, dovettero "stilare" una sorta di classifica ideale nella quale elencare i caduti di Platea, pratica squisitamente greca. Secondo gli Spartani, Aristodemo gettò via la sua vita compiendo un gesto estremo di disperazione ("volendo ad ogni costo morire") a causa del disonore che lo opprimeva da un anno e, in preda ad un ardore smisurato, si staccò dal lòchos per gettarsi in mezzo ai nemici dove, seppur combattendo gloriosamente, morì. La vergogna, dunque, è il motivo principale dell'azione di Aristodemo. Il soldato decise di non suicidarsi a Sparta, opzione ritenuta migliore da altri individui, ma di conservarsi fino alla prima occasione "pubblica" in cui mostrare che il disonore non gli sarebbe potuto appartenere per sempre. Da questo discorso riusciamo facilmente ad intuire come la vergogna sia un disvalore che può essere allontanato attraverso scelte che tendono alla valorizzazione del singolo ed alla fiducia, riposta nella città, di poter modificare l'opinione del singolo, e dunque il suo status civile, agli occhi della medesima comunità. Però Aristodemo attese invano. Lo Spartiata infatti cercò di ripristinare la propria immagine commettendo una serie di errori imperdonabili, tre per l'esattezza: per prima cosa pensò e decise di voler morire; successivamente fu colto da furore, da follia; infine si separò dai ranghi militari e combattè da solo in mezzo ai nemici.

La decisione del compiere un sacrificio (per mano di un nemico) non è di per sé un'opzione che porterebbe l'individuo ad essere disonorato; il problema reale, almeno per quanto riguarda Sparta, è che non vi può essere il sacrificio individuale. Poiché ogni atteggiamento personale viene subordinato all'obbedienza ed alla condotta

Posidonio, Filocione ed Amonfareto di Pitane. Eppure, essendo caduto il discorso su chi si fosse fra loro comportato più valorosamente, gli Spartani che erano presenti riconobbero che Aristodemo, volendo ad ogni costo morire, per il biasimo che gli si infliggeva, come forsennato e perfino fuori dalla schiera, aveva dato meravigliose prove di valore; ma Posidonio, pur non desiderando morire, s'era comportato da prode, per questo il migliore era lui. È vero che potevano parlare così anche per invidia, ma è certo che, fra i caduti di questa battaglia, tutti costoro che ho nominato, eccetto Aristodemo, ebbero pubblici riconoscimenti di onore; mentre Aristodemo, che aveva voluto morire per la colpa di cui s'è parlato, non ricevette onore alcuno".

costituzionale, così come dicevamo prima a proposito della rhetra licurghea, sia esso ambizione, sentimento o qualsiasi decisione assunta dal singolo dopo aver accantonato temporaneamente ed inconsciamente i precetti costituzionali e gli ordini dei superiori, la ponderazione e l'atto del sacrificio determinano la disobbedienza e l'empietà del singolo nei riguardi dell'ordinamento cittadino. Il sacrificio acquisisce valore redentivo o glorioso nel momento in cui, come accadde alle Termopìli, gli Spartani decisero all'"unanimità", previo ordine di Leonida, tale condotta bellica. L'utilità del sacrificio collettivo non fu alle Termopìli solo di tipo pratico (tardare l'avanzata nemica). Il re così come gli altri soldati che decisero di rimanere insieme a lui e morire per la difesa della Grecia erano 300 Spartiati325 addestrati sin da piccoli a stare insieme, a sopportare le

fatiche, ad obbedire agli ordini, ad essere disciplinati, a condividere i pericoli e le privazioni, a rispettare i propri commilitoni, a competere e migliorarsi reciprocamente coi propri compagni, a proteggersi a vicenda nello schieramento, a non dimostrare viltà ed ad allontanare a tutti i costi il disonore dalla propria esistenza. Come potevano persone di tal sorta esimersi dalla decisione regale? Volentieri, gli Spartiati delle Termopìli, rimasero al loro posto e decisero di affrontare la morte per la fama eterna (salvo Aristodemo e Pantite). La decisione di Aristodemo, ossia morire a tutti i costi, fu assunta autonomamente ed in maniera autoreferenziale, per cui non poté essere considerata come un gesto virtuoso. Vedremo fra un po', ossia nel terzo ed ultimo errore compiuto da Aristodemo, l'implicazione che questo pensiero ed azione avrebbe comportato.

Il secondo errore che commise Aristodemo fu quello di farsi prendere dal furore. Questo elemento si collega in parte a quanto detto poc'anzi, in parte ad altro. Dal punto di vista spartano, il furore non è altro che uno stato di perdita temporanea della cognizione da parte dell'individuo. Perdere il senno vuol dire non essere più in grado di ottemperare all'ordine dei superiori, così da non osservare i precetti insegnati durante la lunga e faticosa educazione spartana. Così come l'ira, descritta da Senofonte, perdere la ragione ed entrare in uno stato di trance istintiva avrebbe portato l'individuo ad agire per sé stesso e non nell'interesse della comunità, rinunciando dunque aprioristicamente al benessere collettivo per concentrarsi su di sé. Anche l'uscire dai gangli della ragione potrebbe essere considerato un modo per ergere il sé al di sopra del "noi" comunitario. D'altra parte, la virtù della stabilità (di mente, d'animo e del proprio posto sul campo di battaglia) è uno dei valori più importanti dell'etica bellica oplitica. L'esempio più

famoso da cui possiamo comprendere quanto successivamente il furore fosse considerato negativo dai Greci ci proviene ovviamente dall'epos: l'episodio di Aiace326.

Aiace Telamonio, dopo aver difeso il corpo di Achille, ne reclamò la panoplia, ma, non riuscendo a riceverla, fu indotto alla pazzia da Atena. Egli, in preda al furore sterminò il gregge di pecore, bottino della guerra troiana, credendo che fosse la famiglia degli Atridi e quando tornò cosciente si trovò davanti a quello scempio. Per la vergogna di aver commesso un tale atto in preda al furore, si suididò immolandosi sulla spada che Ettore gli aveva consegnato in dono dopo aver pareggiato con lui in un singolar tenzone. Riguardo ad Aristodemo potremmo credere dunque che il disvalore della follia fosse penetrato a fondo negli usi e costumi non solo degli Spartani, ma di tutti quei greci che fossero educati alla grammatica ed ai valori contenuti nel testo omerico. L'eccessivo ed immotivato impeto, disvalore dapprima iliadico e dunque storico, non si adatta né all'etica oplitica, né tantomeno riesce ad uniformarsi allo stile di vita spartana. Il perdere la ragione è, infatti, il contraltare del rimanere saldi nell'animo, affrontare le situazioni in maniera razionale e rimanere al proprio posto sul campo di battaglia. Un animo in preda a sé stesso non può essere controllato e quindi non può costituire una sicurezza per l'esercito, sia riguardo alla natura dell'arte della guerra greca (di cui si parlerà fra poco) sia riguardo al mancato adempimento dei comandi dei superiori. Ritorniamo dunque a quanto detto prima. Perdere il senno per gli Spartani potrebbe voler dire dare priorità a sé stessi non adempiendo ai propri compiti e, come abbiamo visto in Senofonte, in tempo di pace, qualora l'ira avesse colto per strada due giovani, ira che sarebbe sfociata in colluttazione, il compito del passante prima e del paidonomos poi sarebbe stato quello di separare i due e di condurli dagli efori, la magistratura suprema di Sparta, a rendere conto della disubbidienza e imporre una pena corporale ai contendenti. Vedremo quale altra implicazione, non secondaria, avrebbe comportato il disvalore del furore in battaglia.

Il terzo ed ultimo errore compiuto da Aristodemo, nel tentativo di liberarsi dal disonore delle Termopìli durante la battaglia di Platea, fu quello di fuoriuscire dai ranghi militari e di combattere individualmente in mezzo ai nemici. Bisogna appronfondire la questione per chiarire definitivamente l'implicazione che tale azione avrebbe comportato. Abbiamo già anticipato che il combattere fuori dai ranghi è un errore imputabile alla condotta di Aristodemo, una scelta dettata in parte dalla disperazione, in parte dall'improvviso ardore bellico. L'individuo, al contempo proprietario terriero e

soldato, era importante per le città dell'antica Grecia, da sempre in guerra fra loro per la supremazia, da sempre in cerca di un esercito più numeroso da poter schierare in battaglia, da sempre alle strette nella produzione agricola. Preservare la vita del singolo assunse tutto un significato preciso sul campo di battaglia. L'hoplon del soldato a destra copriva il corpo del soldato posto subito alla sinistra del primo. Questa è la pietra angolare dell'etica militare oplitica e del codice militare comunitario sui campi di battaglia. I soldati, posti in successione uno di fianco all'altro, si proteggevano a vicenda e componevano la famosa falange. Uscire dai ranghi militari avrebbe voluto dire lasciare un pericoloso vuoto in prima linea, punto nel quale i nemici avrebbero potuto trovare un varco per incunearsi ed infrangere la compattezza dell'intero lòchos o falange. Dunque, il singolo soldato, abbandonando lo schieramento ordinato razionalmente, avrebbe messo in pericolo non solo la propria vita ma anche quella dei compagni. Tornando ad Aristodemo, appare ora ovvio quale fu il suo errore secondo gli Spartani. Erodoto, in quanto storico, loda quell'atteggiamento, ossia il sacrificio del singolo che si getta nella mischia ed uccide molti nemici per poi perire gloriosamente, ma l'etica spartana è chiara: Aristodemo, in preda alla follia, ha abbandonato lo schieramento, non ha ubbidito alla logica del rispetto dei propri compagni in una situazione in cui la protezione del prossimo era prioritaria e sancita non solo a livello legale e sacrale dalla costituzione licurghea, ma anche a livello etico dai valori oplitici. Aristodemo ha agito egoisticamente mettendo a repentaglio la vita dei suoi commilitoni, stravolgendo l'idea stessa della ricerca dell'onore a tutti i costi senza badare al bene degli altri ed agli ordini della costituzione, poiché la prima legge di Licurgo, come abbiamo visto, è quella di ottemperare sempre agli ordini subordinando le aspirazioni dei singoli che avrebbero potuto mettere a rischio l'ordine spartano precostituito.

Subito dopo la battaglia di Platea, riguardo alla vicenda di Aristodemo, vi fu il verdetto finale da parte degli Spartani. Lo Spartiata, cercando di redimersi dal disonore di essere tornato incolume dalle Termopìli, tentò il tutto per tutto a Platea, ma lo fece nella maniera peggiore possibile: la sentenza finale fu la negazione alla memoria dell'esistenza di Aristodemo (tentata ma non avvenuta) da parte degli Spartani sopravvissuti; il soldato agì individualisticamente mettendo sé stesso davanti agli altri. Per questo motivo, lo Spartiata "non ricevette onore alcuno" e fu escluso definitivamente, possiamo dirlo senza ombra di dubbio, dalla comunità. Per concludere riguardo alla vicenda di Aristodemo è importante notare come l'autoconservazione del singolo sia sì contemplata come un modo per redimersi dal disonore, ma la

riabilitazione deve necessariamente compiersi secondo modalità consone alle regole imposte a priori dalla comunità e previa valutazione della stessa da parte della città, sia essa in armi o meno. La redenzione passa per il grado della decisione singola per poi sfociare in quello della valutazione collettiva: l'una non può esistere senza l'altra; la decisione del singolo e la valutazione della medesima da parte della comunità compongono una complementarietà inscindibile.

Amonfareto

Ultimo episodio erodoteo degno di nota, riguardo alle decisioni ed alle azioni di alcuni Spartani, è quello di un comandante spartano di nome Amonfareto durante la medesima battaglia di Platea. Riporterò qua di seguito le parole di Erodoto:

Παυσανίης δὲ ὁρῶν σφεας ἀπαλλασσομένους ἐκ τοῦ στρατοπέδου παρήγγελλε καὶ τοῖσι Λακεδαιμονίοισι ἀναλαβόντας τὰ ὅπλα ἰέναι κατὰ τοὺς ἄλλους τοὺς προϊόντας, νομίσας αὐτοὺς ἐς τὸν χῶρον ἰέναι ἐς τὸν συνεθήκαντο. Ἐνθαῦτα οἱ μὲν ἄλλοι ἄρτιοι ἦσαν τῶν ταξιάρχων πείθεσθαι Παυσανίῃ, Ἀμομφάρετος δὲ ὁ Πολιάδεω λοχηγέων τοῦ Πιτανήτεω λόχου οὐκ ἔφη τοὺς ξείνους φεύξεσθαι οὐδὲ ἑκὼν εἶναι αἰσχυνέειν τὴν Σπάρτην, ἐθώμαζέ τε ὁρέων τὸ ποιεύμενον ἅτε οὐ παραγενόμενος τῷ προτέρῳ λόγῳ. Ὁ δὲ Παυσανίης τε καὶ ὁ Εὐρυάναξ δεινὸν μὲν ἐποιεῦντο τὸ μὴ πείθεσθαι ἐκεῖνον σφίσι, δεινότερον δὲ ἔτι κείνου ταῦτα νενωμένου ἀπολιπεῖν τὸν λόχον τὸν Πιτανήτην, μὴ ἢν ἀπολίπωσι ποιεῦντες τὰ συνεθήκαντο τοῖσι ἄλλοισι Ἕλλησι, ἀπόληται ὑπολειφθεὶς αὐτός τε Ἀμομφάρετος καὶ οἱ μετ’αὐτοῦ. Ταῦτα λογιζόμενοι ἀτρέμας εἶχον τὸ στρατόπεδον τὸ Λακωνικὸν καὶ ἐπειρῶντο πείθοντές μιν ὡς οὐ χρεὸν εἴη ταῦτα ποιέειν327.

La prima considerazione è la seguente: la costituzione di Sparta poteva ingenerare, in determinate circostanze, delle ambiguità portando all'incomprensione ed alla collisione fra comandanti e subalterni, e fra questi ed i precetti dell'etica guerriera. Abbiamo visto infatti come il metodo educativo spartano imponesse al singolo di rispettare gli altri

327 HDT. IX, 53: "Pausania, appena li aveva visti allontanarsi dal campo, convinto che essi si dirigessero verso il luogo che s'era stabilito, diede ordine anche agli Spartani di prendere su le armi e mettersi in marcia seguendo gli altri che precedevano. Ma allora, mentre tutti gli altri capi erano pronti ad ubbidire a Pausania, Amonfareto, figlio di Poliade, capitano della schiera pitanate, dichiarò che egli non sarebbe fuggito davanti al forestiero; né, per quello che dipendeva dalla sua volontà, avrebbe disonorato Sparta; si stupiva molto nel vedere quello che succedeva, poiché egli non aveva partecipato al precedente convegno. Pausania ed Eurianatte ritenevano cosa indegna che egli non obbedisse ai loro comandi; ma più deplorevole ancora che, a causa del rifiuto di quello, si dovesse abbandonare la schiera pitanate, col pericolo che, se li avessero lasciati indietro per fare quanto con gli altri Greci avevano convenuto, rimasti soli, Amonfareto ed i suoi soldati venissero distrutti. In seguito a queste considerazioni, fecero fermare e truppe di Laconia e cercarono di persuadere Amonfareto che non doveva agire in quel modo".

cittadini, fossero essi superiori in grado o d'età, e come insegnasse la disciplina e l'obbedienza riguardo alle cariche ed alle leggi; ma abbiamo anche visto come per etica militare si dovesse necessariamente allontanare il disvalore della viltà avendo cura del soldato posto alla propria sinistra. Nel caso del passo erodoteo, Amonfareto non fu presente nella tenda del comandante per cui non avrebbe potuto conoscere la tattica militare da seguire. L'esercito greco si spostò verso una posizione più favorevole per sostenere un eventuale attacco persiano, ma Amonfareto, intriso di etica bellica e di valori educativi Spartani, attribuì a quello spostamento il significato di viltà, concetto lui più vicino e "familiare". Per cui Amonfareto si rifiutò di spostarsi; scambiò il riposizionamento tattico deciso dei suoi superiori per codardìa e per tutta risposta egli osservò dogmaticamente l'etica oplitica: rimase al suo posto. I comandanti supremi dell'esercito a loro volta, non comprendendo il rifiuto di Amonfareto, ritennero che lo Spartiata stesse compiendo un'insubordinazione e si sentirono in dovere di non lasciare da soli i soldati del comparto di Amonfareto, assolvendo in questo modo a loro volta all'etica oplitica e spartana della protezione dei sottoposti. In questo modo i due soggetti si trovarono, l'uno, il comandante, a dover persuadere un sottoposto, l'altro a dover comprendere per quale motivo l'esercito si stesse ritirando. Il livello d'incomprensione fu tale che i due individui dovettero discutere per comprendere meglio il punto di vista dell'altro, per lo più nell'occasione di quella che sarebbe divenuta la battaglia di terra più importante delle Guerre persiane. Proseguiamo con lo sviluppo della situazione:

Ὡς δὲ ἀπίκετο ὁ κῆρυξ [ateniese] ἐς τοὺς Λακεδαιμονίους, ὥρα τέ σφεας κατὰ χώρην τεταγμένους καὶ ἐς νείκεα ἀπιγμένους αὐτῶν τοὺς πρώτους. Ὡς γὰρ δὴ παρηγόρεον τὸν Ἀμομφάρετον ὅ τε Εὐρυάναξ καὶ ὁ Παυσανίης μὴ κινδυνεύειν μένοντας μούνους Λακεδαιμονίους, οὔκως ἔπειθον, ἐς ὃ ἐς νείκεά τε συμπεσόντες ἀπίκατο καὶ ὁ κῆρυξ ὁ τῶν Ἀθηναίων παρίστατό σφι ἀπιγμένος. Νεικέων δὲ ὁ Ἀμομφάρετος λαμβάνει πέτρον ἀμφοτέρῃσι τῇσι χερσὶ καὶ τιθεὶς πρὸ ποδῶν τοῦ Παυσανίεω ταύτῃ τῇ ψήφῳ ψηφίζεσθαι ἔφη μὴ φεύγειν τοὺς ξείνους {λέγων τοὺς βαρβάρους}. Ὁ δὲ μαινόμενον καὶ οὐ φρενήρεα καλέων ἐκεῖνον πρός τε τὸν Ἀθηναίων κήρυκα <τραπόμενος> ἐπειρωτῶντα τὰ ἐντεταλμένα λέγειν {ὁ Παυσανίης} ἐκέλευε τὰ παρεόντα σφι πρήγματα, ἐχρῄζέ τε τῶν Ἀθηναίων προσχωρῆσαί τε πρὸς ἑωυτοὺς καὶ ποιέειν περὶ τῆς ἀπόδου τά περ ἂν καὶ σφεῖς328.

328 HDT. IX, 55: "Quando l'araldo [ateniese] giunse tra gli Spartani, vide non solo che essi si trovavano in ordine allo stesso modo di prima, ma anche che i loro capi erano venuti in discordia. Infatti, nonostante Eurianatte e Pausania avessero un bell'esortare Amonfareto a non mettersi in pericolo coi suoi, soli fra gli Spartani, rimanendo lì sul posto, non riuscivano a convincerlo; ed erano ormai giunti ad un violento alterco, proprio quando era arrivato e stava davanti a loro l'araldo degli Ateniesi. Nel fervore della contesa, Amonfareto dié di piglio, con ambo le mani, una gran pietra e, gettandola ai piedi di Pausania, disse che con quel voto esprimeva la sua volontà di non fuggire davanti ai forestieri (con "forestieri" intendendo i Barbari). E Pausania, dandogli del pazzo e del frenetico, si rivolse all'araldo degli Ateniesi che l'interrogava su quanto gli era stato comandato e gli

Amonfareto è sicuro che l'ordine di Pausania sia dovuto alla vigliaccheria. Il comandante ormai in alterco col suo superiore prende un masso e lo scaglia ai piedi di