Passiamo dunque all'episodio di Pilo del 425 a. C., episodio che sancisce l'acme della "carriera militare" di Brasìda:
Οἱ δὲ Λακεδαιμόνιοι ἄραντες τῷ τε κατὰ γῆν στρατῷ προσέβαλλον τῷ τειχίσματι καὶ ταῖς ναυσὶν ἅμα οὔσαις τεσσαράκοντα καὶ τρισί, ναύαρχος δὲ αὐτῶν ἐπέπλει Θρασυμηλίδας ὁ Κρατησικλέους Σπαρτιάτης. Προσέβαλλε δὲ ᾗπερ ὁ Δημοσθένης προσεδέχετο. Καὶ οἱ μὲν Ἀθηναῖοι ἀμφοτέρωθεν ἔκ τε γῆς καὶ ἐκ θαλάσσης ἠμύνοντο· οἱ δὲ κατ’ὀλίγας ναῦς διελόμενοι, διότι οὐκ ἦν πλέοσι προσσχεῖν, καὶ ἀναπαύοντες ἐν τῷ μέρει τοὺς ἐπίπλους ἐποιοῦντο, προθυμίᾳ τε πάσῃ χρώμενοι καὶ παρακελευσμῷ, εἴ πως ὠσάμενοι ἕλοιεν τὸ τείχισμα. Πάντων δὲ φανερώτατος Βρασίδας ἐγένετο. Τριηραρχῶν γὰρ καὶ ὁρῶν τοῦ χωρίου χαλεποῦ ὄντος τοὺς τριηράρχους καὶ κυβερνήτας, εἴ που καὶ δοκοίη δυνατὸν εἶναι σχεῖν, ἀποκνοῦντας καὶ φυλασσομένους τῶν νεῶν μὴ ξυντρίψωσιν, ἐβόα λέγων ὡς οὐκ εἰκὸς εἴη ξύλων φειδομένους τοὺς πολεμίους ἐν τῇ χώρᾳ περιιδεῖν τεῖχος πεποιημένους, ἀλλὰ τάς τε σφετέρας ναῦς βιαζομένους τὴν ἀπόβασιν καταγνύναι ἐκέλευε, καὶ τοὺς ξυμμάχους μὴ ἀποκνῆσαι ἀντὶ μεγάλων εὐεργεσιῶν τὰς ναῦς τοῖς Λακεδαιμονίοις ἐν τῷ παρόντι ἐπιδοῦναι, ὀκείλαντας δὲ καὶ παντὶ τρόπῳ ἀποβάντας τῶν τε ἀνδρῶν καὶ τοῦ χωρίου κρατῆσαι. Καὶ ὁ μὲν τούς τε ἄλλους τοιαῦτα ἐπέσπερχε καὶ τὸν ἑαυτοῦ κυβερνήτην ἀναγκάσας ὀκεῖλαι τὴν ναῦν ἐχώρει ἐπὶ τὴν ἀποβάθραν· καὶ πειρώμενος ἀποβαίνειν ἀνεκόπη ὑπὸ τῶν Ἀθηναίων, καὶ τραυματισθεὶς πολλὰ ἐλιποψύχησέ τε καὶ πεσόντος αὐτοῦ ἐς τὴν παρεξειρεσίαν ἡ ἀσπὶς περιερρύη ἐς τὴν θάλασσαν, καὶ ἐξενεχθείσης αὐτῆς ἐς τὴν γῆν οἱ Ἀθηναῖοι ἀνελόμενοι ὕστερον πρὸς τὸ τροπαῖον ἐχρήσαντο ὃ ἔστησαν τῆς προσβολῆς ταύτης451.
451 THUC. IV, 11,2-12,1: "i Lacedemoni si mossero e attaccarono la fortificazione con le truppe di terra e contemporaneamente con le navi, che erano quarantré: vi era a bordo lo spartiata Trasimelìda, figlio di Cratesìcle. Questi attaccò nel punto stesso che Demostene si aspettava. Gli Ateniesi si
A 6 anni dall'intervento a Metone e dopo 4 anni di sperimentazione e di accumulo d'esperienza sui mari in qualità di consigliere, Brasìda divenne trierarco, ossia il comandante di una trireme. Come si diceva poco fa, l'episodio appena riportato mostra una modifica nella "carriera militare" di Brasìda. Il trierarca, consapevole della situazione negativa che avrebbe comportato la presa sicura di Pilo da parte ateniese, si impegnò con tutte le proprie forze affinché la cittadina tornasse in mano agli Spartani. Il risparmiare le navi, secondo Tucidide, non sarebbe stata un'opzione valida per Brasìda, se davvero i Lacedemoni avessero voluto recuperare la cittadina. Purtroppo però l'unico modo per prendere Pilo sarebbe stato quello di obbligare gli Ateniesi alla resa dopo averli impegnati in una lotta estenuante. Come scrive Tucidide, le navi potevano attaccare a turno e poche per volta a causa dell'asperità del terreno. Lo Spartiata Brasìda, educato da un paidonomos (magistrato cittadino) e frustato all'uopo, posto continuamente in competizione coi propri compagni in età adolescenziale, educato al pudore, sorvegliato dall'intera comunità, abituato a ricevere ordini e ad eseguirli nel miglior modo possibile, sottoposto a continue punizioni corporali in caso di insubordinazione, osservato e punito da qualsiasi altro cittadino di Sparta in età giovanile, abituato a non tradire la fiducia negli altri, a proteggerli ed allontanare da sé la vergogna dimostrandosi onorevole nel servire la costituzione, costituzione che di fatto
difendevano da entrambe le parti, sia sulla terra sia sul mare: i nemici, dividendosi in piccoli gruppi di navi, poiché non era possibile approdare con un numero maggiore, e facendo riposare a turno gli equipaggi di ogni nave, lanciavano i loro attacchi; dimostravano tutto il loro ardore e in tutti i modi incoraggiavano gli uomini nel loro tentativo di spingere indietro gli avversari e prendere così la fortificazione. Ma Brasìda fu quello che si distinse più di tutti. Era trierarco, e poiché vedeva che, a causa della difficoltà del terreno, i Trierarchi ed i piloti, anche dove sembrava fosse possibile approdare, esitavano e si preoccupavano di non fracassare le navi, gridava dicendo che non era ragionevole, per risparmiare le travi delle navi, rimaner indifferenti quando il nemico si era costruito una fortificazione nella loro terra, ma li invitava a demolire le proprie navi, pur di effettuare uno sbarco con la forza; ed esortava gli alleati a non esitare, in cambio dei grandi benefici che avevano ricevuto, a sacrificare nel momento presente le loro navi ai Lacedemoni, a farle arenare e sbarcare in qualsiasi modo per impadronirsi del nemico e della posizione. Incalzava gli altri con tali parole, e dopo aver costretto il proprio pilota a far incagliare la nave, si avviava verso la scala: mentre tentava di sbarcare fu spinto indietro con forza dagli Ateniesi, poi fu ferito ripetutamente e perdette i sensi, e mentre cadde nello spazio tra i rematori e il bordo della nave, il suo scudo gli scivolò dal braccio nel mare. Esso fu sospinto a terra, e gli Ateniesi lo raccolsero, e più tardi se ne servirono per il trofeo che eressero a ricordo di questo attacco". Hornblower fa notare come "no patronymic or designation as Spartan of Spartiate by contrast wjth the beginning of all the other Brasidas episodes"; s.v. HORNBLOWER 1996, p. 164. Riguardo allo scudo, invece, commenta: "a bronze shield has been found in the Athenian agora, with an inscription showing that it was dedicated 'from the Spartans at Pylos'; s.v. HORNBLOWER 1996, p. 166. Gomme commenta "perhaps it was this brave action as much as any other in his career, as well as his early death, which made men liken him to Achilles" basandosi sul paragone fra Brasìda e l'eroe omerico in PLAT. Symp. 221c (s.v. supra, nota n°16); s.v. GOMME 1966, III, p. 448. Oltre agli scudi utilizzati per comporre il trofeo eretto in loco, altri furono portati ad Atene ed esposti nella Stoa poikile, informazione ricavata da PAUS. I, 15, 4.
annullava l'espressione della propria volontà con lo scopo di plasmare in lui un magnifico combattente, rispettoso e ciecamente ubbidiente, in questa occasione accantonò temporaneamente tali insegnamenti. Brasìda pose dinnanzi a tutto i propri impulsi personali, impulsi giustificati dal tentativo di proteggere Sparta dai nemici, la città che lo aveva allevato ed alla quale avrebbe dovuto sempre rivolgere la sua attenzione. Da tale paradosso scaturì il seguente giudizio: Brasìda fu troppo audace. Diede il comando al suo pilota di sospingere la nave a riva fino a farla incagliare e, intenzionato a sbarcare, si slanciò pericolosamente sul ponte nel tentativo di scendere dalla stessa, ma fu ferito e perse lo scudo452. È probabile che su tale episodio sia stato
costruito, per affinità tematica, l'aneddoto giunto a Plutarco e tramandato da quest'ultimo negli Apophthegmata:
Ἐν δέ τινι μάχῃ διὰ τῆς ἀσπίδος ἀκοντισθεὶς καὶ τὸ δόρυ τοῦ τραύματος ἐξελκύσας αὐτῷ τούτῳ τὸν πολέμιον ἀπέκτεινε καὶ πῶς ἐτρώθη ἐρωτηθείς 'προδούσης με' ἔφη 'τῆς ἀσπίδος'453.
Rileggendo i precetti costituzionali e confrontando l'azione di Brasìda con gli episodi esemplari riportati nelle pagine precedenti, risulta chiaro quale funzione abbia la prima parte di questa tesi: è molto probabile, in definitiva, che Brasìda, a causa della sua azione sconsiderata ed eccessivamente audace, azione che ha il sapore dell'eccessiva ed insensata ambizione, azione sicuramente dettata dalla circostanza straordinaria della presa ateniese di Pilo, e dunque portata avanti con ardore per proteggere la sacra Sparta, incorse in una punizione. Altri studiosi hanno espresso posizioni diverse a riguardo454,
ma dalle pagine successive risulterà chiaro come la colpa di Brasìda, ossia quella di aver agito di propria volontà, di non aver consultato il suo superiore e di aver potenzialmente messo in pericolo il proprio equipaggio e, per estensione, l'intera flotta, sia stata successivamente punita dalla città di Sparta attraverso l'onta del disonore e probabilmente con un'accusa vera e propria taciuta, con intenzione, da Tucidide. Un
452 Riguardo alla fattura dello scudo vedi: DUCREY 1985, p. 49; HANSON 2007, p. 97; SNODGRASS 1991, p. 66; SCHWARTZ 2013, pp. 157-176; Secondo G. Daverio Rocchi Brasìda fu punito dal governo spartano per aver perso lo scudo, ipotesi formulata a partire dalle innumerevoli informazioni presenti nella tradizione letteraria antica: "il disonore e le sanzioni punitive conseguenti alla perdita dello scudo in combattimento sono altrimenti attestate e si inseriscono nel contesto della tradizione spartana di aristeìa, militare". S.v. DAVERIO ROCCHI 1985, p. 69 e relativa nota.
453 PLUT. Apophth. lac., Brasida 219c 2: "In una battaglia fu raggiunto da un colpo di lancia, che lo scudo non era riuscito a parare; si strappò l'arma dal corpo e la usò per uccidere il suo nemico. Quando gli chiesero come mai era stato ferito, rispose: «È stato lo scudo a tradirmi»".
tentativo riuscito, infatti, avrebbe condotto i compagni e gli altri trierarchi ad agire nello stesso modo e, in questo frangente, l'audacia sarebbe stata premiata. Ma Brasìda agì da solo e il suo esempio d'insuccesso spinse probabilmente i colleghi delle altri navi ad essere più cauti e quindi a non tentare ulteriori sbarchi ed azioni risolutive e troppo rischiose455: infatti i Lacedemoni, nei giorni seguenti si limitarono all'inattività, sia per
terra che per mare, forse su indicazione di Trasimelìda456.
L'audacia mostrata da Brasìda a Metone (431 a. C.) venne premiata. A Pilo siamo di fronte al secondo episodio in cui lo Spartano ebbe un comando ufficiale e, dal punto di vista dello svolgimento della guerra, un ruolo importante. La sua intempestiva audacia, seppur motivata dalla situazione eccezionale della presa ateniese di Pilo, fu il motivo per il quale, successivamente, egli propose al governo spartano la temeraria impresa dell'intervento in Calcidica e Tracia. Al premio per un'azione audace e ben riuscita dovrebbe corrispondere, di necessità, una punizione di qualche tipo, altrimenti di per sé il conferimento del medesimo premio non avrebbe alcun senso.
La conferma del dovere personale di Brasìda di riabilitarsi dalla pena per l'errore compiuto a Pilo, può essere rintracciata d'altronde nelle parole che Tucidide esprime nelle righe precedenti alla ratifica della pace di Nicia: "ἐτεθνήκει Κλέων τε καὶ Βρασίδας, οἵπερ ἀμφοτέρωθεν μάλιστα ἠναντιοῦντο τῇ εἰρήνῃ, ὁ μὲν διὰ τὸ εὐτυχεῖν τε καὶ τιμᾶσθαι ἐκ τοῦ πολεμεῖν [...]"457. Tucidide, seppur molto sintetico, è chiaro riguardo
agli intenti di Brasìda. Il kosmos culturale spartano, impartito dalla costituzione licurghea, costituzione che obbligava gli Spartiati al dovere, è il motivo, ormai palese, della decisione di Brasìda di tentare un'impresa così distante dalla propria patria. Così come per Agìde e per gli altri individui spartani da cui abbiamo tratto alcune importanti conclusioni, Brasìda, dopo aver agito con sconsideratezza nell'episodio appena riportato, dovette in qualche modo ripristinare il proprio onore agli occhi della
455 "Dopo gli attacchi di quel giorno e di gran parte del seguente i Lacedemoni avevano smesso". S.v. THUC. IV, 13, 1. Gomme commenta: "nor do we know why they should have stopped. He [Tucidide] tells us in fact no details of that fighting"; s.v. GOMME 1966, III, p. 450.
456 THUC. IV, 13, 4.
457 THUC. V, 16, 1: "erano morti Cleone e Brasìda, i quali dall'una e dall'altra parte erani i più contrari alla pace, quest'ultimo perché traeva successo ed onore dal fare la guerra [...]". Hornblower nota come il verbo εὐτυχεῖν ricorra anche in altre circostanze associate a Brasìda (oltre che a Nicia); inoltre, lo studioso definisce "purely personal" i motivi addotti da Tucidide per l'opposizione di Brasìda e Cleone alla firma della pace fra le due potenze; s.v. HORNBLOWER 1996, p. 462. Gomme commenta: "the motives attributed to Brasidas are, if more honourable, no less personal than Kleon's, even if τὸ εὐτυχεῖν means, as Stahl says, his own success but that of his country"; ritengo che il problema non dovrebbe porsi in quanto Tucidide ci informa della volontà di Atene e Sparta di giungere ad un accordo, accordo ostacolato appunto dai due comandanti. Essi, in sostanza, se non fossero caduti ad Anfipoli, avrebbero continuato a combattere e non avrebbero permesso gli accordi di pace. Per l'ultima citazione s.v. GOMME 1966, III, p. 660.
comunità, allontanando l'onta della vergogna di cui si macchiò a Pilo e proponendo un'azione molto più audace, un'azione che dovette suonare agli occhi dell'esecutivo spartano come superiore alle possibilità dell'oramai degradato trierarca.