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All'inizio della battaglia di Mantinea, poi, si verificò un altro episodio significativo. Durante le operazioni di schieramento della coalizione lacedemone, Agide notò una differenza nell'estensione del dispiegamento nemico rispetto al proprio. Il re ordinò dunque all'ala sinistra (gli Sciriti) e centrale (i soldati di Brasìda) di ridurre le fila ed allungare il fronte, al fine di equiparare l'estensione del proprio esercito a quella nemica: Δείσας δὲ Ἆγις μὴ σφῶν κυκλωθῇ τὸ εὐώνυμον, καὶ νομίσας ἄγαν περιέχειν τοὺς Μαντινέας, τοῖς μὲν Σκιρίταις καὶ Βρασιδείοις ἐσήμηνεν ἐπεξαγαγόντας ἀπὸ σφῶν ἐξισῶσαι τοῖς Μαντινεῦσιν, ἐς δὲ τὸ διάκενον τοῦτο παρήγγελλεν ἀπὸ τοῦ δεξιοῦ κέρως δύο λόχους τῶν πολεμάρχων Ἱππονοΐδᾳ καὶ Ἀριστοκλεῖ ἔχουσι παρελθεῖν καὶ ἐσβαλόντας πληρῶσαι, νομίζων τῷ θ’ἑαυτῶν δεξιῷ ἔτι περιουσίαν ἔσεσθαι καὶ τὸ κατὰ τοὺς Μαντινέας βεβαιότερον τετάξεσθαι. Ξυνέβη οὖν αὐτῷ ἅτε ἐν αὐτῇ τῇ ἐφόδῳ καὶ ἐξ ὀλίγου παραγγείλαντι τόν τε Ἀριστοκλέα καὶ τὸν Ἱππονοΐδαν μὴ’θελῆσαι παρελθεῖν, ἀλλὰ καὶ διὰ τοῦτο τὸ αἰτίαμα ὕστερον φεύγειν ἐκ Σπάρτης δόξαντας μαλακισθῆναι, καὶ τοὺς πολεμίους φθάσαι τῇ προσμείξει, καὶ κελεύσαντος αὐτοῦ, ἐπὶ τοὺς Σκιρίτας ὡς οὐ παρῆλθον οἱ λόχοι, πάλιν αὖ σφίσι προσμεῖξαι, μὴ δυνηθῆναι ἔτι μηδὲ τούτους ξυγκλῇσαι357.

357 THUC. V, 71,3-72,1: "Agide, temendo che la sua ala sinistra venisse circondata, e pensando che i Mantineesi si estendessero troppo oltre questa, diede agli Sciriti e alle truppe di Brasìda l'ordine di estendere la propria linea dal punto in cui si trovavano e di renderla eguale a quella dei Mantineesi; e trasmise ai polemarchi Ipponoida e Aristocle l'ordine di prendere due lochi dall'ala destra, spostarsi con essi fino allo spazio che si sarebbe creato ed entrarvi fino a riempirlo: pensava che la propria ala destra avrebbe ancora avuto la superiorità numerica e che quella che era di fronte ai Mantineesi avrebbe avuto uno schieramento più saldo. Ad ogni modo, poiché egli aveva dato l'ordine nel momento stesso dell'attacco e improvvisamente, successe che Aristocle ed Ipponoida si rifiutarono di spostarsi (e per l'accusa relativa a questo fatto furono in seguito perfino esiliati da Sparta, perché

Agide comanda ai due polemarchi, autorità più importanti nella conduzione dell'esercito subito dopo il re di Sparta, di effettuare uno spostamento dall'ala destra al centro. Siccome il comando fu dato "nel momento stesso dell'attacco e improvvisamente" (ξυνέβη [...] ἐν αὐτῇ τῇ ἐφόδῳ καὶ ἐξ ὀλίγου παραγγείλαντι), Aristocle ed Ipponoida si rifiutano di spostarsi. La prima considerazione che dovremmo fare in questo caso è la seguente: i due polemarchi non si muovono assolvendo così al dovere oplitico del rimanere saldi in un momento critico della battaglia358 ed al precetto licurgheo del

preservare la vita dei propri commilitoni, ma subendo la punizione dell'esilio per non aver ottemperato agli ordini di un superiore e non essersi spostati nel momento stesso del comando a causa della loro codardia. In realtà però un'ulteriore considerazione può aiutare a comprendere al meglio il motivo implicito della scelta di Ipponoida ed Aristocle, seppur secondo Tucidide i due vennero esiliati a causa della viltà di non essersi mossi al momento dell'ordine, comando avvenuto, secondo Tucidide stesso, in ritardo ed al momento del cozzo delle armate. Qualora volessimo comprendere al meglio la questione, un rimando ad Erodoto appare la soluzione migliore. Prima della battaglia di Platea (479 a. C.) vi fu la disputa fra Ateniesi e Tegeati per l'occupazione dell'ala sinistra dello schieramento, attrito che venne risolto tramite il giudizio dei Lacedemoni, i quali preferirono che fossero gli Ateniesi ad occupare quella posizione359.

Questo episodio ci mostra quanto dal punto di vista pratico, lo schieramento degli eserciti sui campi di battaglia non fosse casuale, ma funzionale. Alla forza di un determinato contingente era accostato l'onore derivante dell'occupazione di una determinata posizione all'interno dello schieramento. Le ali destra e sinistra di un esercito erano quelle dove si sarebbe concentrata maggiormente la pressione d'urto nemica. La destra, ricoperta tradizionalmente dai più forti, aveva il compito di premere sull'ala sinistra dell'esercito avversario, mentre specularmente, l'ala sinistra avrebbe avuto il compito di resistere maggiormente alla pressione nemica. L'ordine scandiva dunque la funzione, la forza di un contingente gli sarebbe valsa una delle due posizioni

si ritenne che si fossero comportati da codardi); poi i nemici ebbero il tempo di giungere fino allo scontro con il suo esercito, e quando egli ordinò agli Sciriti, poiché i lochi non si erano spostati fino a loro, di ricongiungersi a loro volta con lui, nemmeno queste truppe poterono più effettuare il collegamento".

358 Ὠθισμός, 'urto': impatto causato dal cozzo iniziale degli scudi delle due armate rivali. I soldati poco saldi sarebbero stati sbalzati indietro dai nemici infrangendo la continuità del fronte della falange. All'apertura del varco la pressione dell'armata arversaria avrebbe messo in fuga la precedente. Tutto ciò poteva svolgersi molto velocemente e la battaglia sarebbe potuta terminare nelle sue primissime fasi. S.v. LENDON 2005, p. 41.

sopracitate, la posizione garantiva l'onore derivante dalla forza e dalla fama di forza del contingente stesso. Per dirla in breve, i contingenti ritenuti più forti venivano posizionati a destra dello schieramento, i secondi a sinistra, mentre gli ultimi al centro. Ipponoida ed Aristocle si rifiutarono di passare dalla posizione ritenuta migliore (destra) alla posizione ritenuta universalmente peggiore (centro). È possibile che, dunque, il non assolvere al proprio dovere dopo aver ricevuto un ordine in ritardo rispetto all'ormai inevitabile cozzo, non fosse il motivo principale dell'accusa di codardia, a cui vennero sottoposti i due polemarchi. I due si rifiutarono di vedere degradato il proprio onore, a dover ricoprire un posto di minor prestigio all'interno dello schieramento complessivo e dunque di sentirsi considerati in qualche modo "inferiori". Il centro dello schieramento, d'altrone, come leggiamo in Tucidide, era occupato dai soldati di Brasìda, nello specifico dagli Iloti veterani della Tracia. Onore e disonore, come abbiamo oramai visto più volte in queste pagine, sono caratteristiche del kosmos culturale spartano, elementi distintivi che non possono essere ignorati ed ai quali gli Spartani credevano fermamente poiché il loro modus cogitandi, vivendi e operandi, edificati dall'educazione licurghea, si esprimevano continuamente nei contesti più disparati. Non aver ubbidito all'ordine provocò l'esilio per codardia dei due polemarchi. Lo spazio lasciato scoperto dapprima da coloro che fuggirono, in seconda istanza dai due polemarchi mise in pericolo l'intera coalizione lacedemone, ma la battaglia, alla fine, si risolse nella vittoria:

Καὶ [battaglia di Mantinea, 418 a. C.] τὴν ὑπὸ τῶν Ἑλλήνων τότε ἐπιφερομένην αἰτίαν ἔς τε μαλακίαν διὰ τὴν ἐν τῇ νήσῳ ξυμφορὰν καὶ ἐς τὴν ἄλλην ἀβουλίαν τε καὶ βραδυτῆτα ἑνὶ ἔργῳ τούτῳ ἀπελύσαντο, τύχῃ μέν, ὡς ἐδόκουν, κακιζόμενοι, γνώμῃ δὲ οἱ αὐτοὶ ἔτι ὄντες360.

360 THUC. V, 75, 3: "Con questa sola battaglia [Mantinea 418 a. C.] si erano liberati dall'accusa di viltà, che in quel tempo veniva loro rivolta dai Greci per via del disastro capitato loro nell'isola, e inoltre dall'accusa di indecisione e lentezza: a quanto sembrava, si era parlato male di loro a causa della sorte, ma nello spirito erano sempre gli stessi".

Conclusioni del capitolo

La costituzione spartana, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, plasmava un corpo civico estremamente riverente e solidale coi precetti della costituzione stessa, ma anche esclusivo e stigmatizzante verso sé medesimo. La riverenza per le magistrature e per i propri superiori e la solidarietà dei singoli nei riguardi della percezione dell'onore e dell'insubordinazione impartiti dalla costituzione, generavano spesso negli Spartani, di volta in volta responsabili all'estero di compiti militari e non ben precisi, una frattura insanabile fra il dover agire dietro un ordine ben preciso ed il poter agire secondo modalità prestabilite e ritenute corrette da parte dello stesso corpo civico e delle magistrature. Questa frattura, come abbiamo visto negli esempi summenzionati, era spesso insanabile: la cittadinanza e le magistrature erano sempre pronte a stigmatizzare l'individuo intentando l'accusa dell'insubordinazione o semplicemente ad attribuire l'onta della vergogna, qualora l'individuo stesso non sarebbe stato capace di condurre le azioni belliche secondo le modalità ritenute idonee da parte della città di Sparta (corpo civico e magistrature). L'esclusione per disonore o l'accusa d'insubordinazione erano spettri sempre presenti nella mente dello Spartano, re o Spartiata che fosse. Gli esempi riportati poco sopra hanno lo scopo di dimostrare quanto la costituzione spartana, la vergogna e l'opinione pubblica fossero largamente considerate da coloro che dovettero prendere delle decisioni sul campo di battaglia e non: l'opinione pubblica, le magistrature, e per estensione la costituzione ed il precetto dell'obbedienza, incutevano timore reverenziale e, tale timore, scaturito dal potenziale biasimo che ne derivava da parte delle prime due, spinse i comandanti spartani ad essere sempre sulla difensiva. L'opinione pubblica e le magistrature, attribuendo l'onta del disonore e sempre pronte ad accusare d'insubordinazione i comandanti ed i re, producevano una forte collisione fra il principio dell'obbedienza, sancito dalla costituzione, e quello della libertà d'azione militare dalla quale i comandanti stessi avrebbero dovuto ricavarne onore allontanando lo spettro della medesima vergogna. La città, in definitiva, forniva agli Spartiati un'educazione che si fondava sull'onore, ma l'onore poteva essere raggiunto solamente attraverso azioni lecite ed idonee a discrezione dell'interpretazione positiva che la medesima città avrebbe attribuito ad esse, altrimenti comunità ed esecutivo avrebbero ricorso all'utilizzo del disonore ed all'accusa d'insubordinazione. Allo Spartiata si dava la possibilità di agire liberamente ma, a Sparta, il libero arbitrio era fittizio: costretto sempre ad agire in nome e per la

gloria della città, l'individuo ricadeva molto facilmente nella vergogna o nell'accusa d'insubordinazione a prescindere dagli intenti benevoli e dai precetti della medesima costituzione.

Negli esempi erodotei Otriade si suicidò sul campo per essere sopravvissuto ai suoi compagni i quali perirono nella medesima battaglia dei campioni. Il superstite non ebbe il coraggio di tornare in città sapendo che sarebbe incorso nell'onta della vergogna.

Pantite invece, alle Termopìli (480 a. C.), fu incaricato da Leonida di recapitare personalmente un messaggio ai Tessali, ma al suo ritorno in città, non sappiamo se prima o dopo il sacrificio dei 300, lo Spartano incorse nell'onta della vergogna per essersi salvato e si impiccò.

Eurito ed Aristodemo invece furono reputati inutilizzabili alle Termopìli da parte di Leonida, a causa di una patologia oculare, il quale li congedò dalla battaglia. Seppur Eurito disobbedì all'ordine di Leonida (non sapremo mai cosa sarebbe accaduto a Sparta per dale disobbedienza), tornò insieme ai suoi compagni e morì. Il secondo, invece, seguì l'ordine del suo re ma, tornato a Sparta, incorse nell'onta della vergogna e resistette per un anno intero emarginato dalla società spartana. L'anno successivo, nel 479 a. C., cercò di riscattare il suo onore ma, contro le aspettative di Erodoto, non ricevette onore alcuno, in seguito alla sua morte, da parte degli Spartani. Egli agì mosso dalla brama di riconquista di quell'onore, ma ciò lo portò a commettere un errore dopo l'altro, abbandonando lo schieramento oplitico, mettendo in pericolo i soldati al suo fianco e spingendosi da solo in mezzo ai nemici in preda al furore. Gli Spartani non lo seppellirono insieme agli altri caduti e, così facendo, lo esclusero definitivamente dalla sacralità dei riti cittadini.

Amonfareto, poi, scambiò l'ordine di riposizionamento tattico di Pausania per una ritirata. Il giovane si oppose fermamente al reggente mettendo in pericolo non solo il proprio contingente ma anche il resto dell'esercito in quanto Pausania, per evitare di lasciare Amonfareto da solo non si distanziò molto dal riottoso subalterno. L'esito di tale episodio fu la battaglia di Platea, battaglia che i Greci vinsero. A scontro avvenuto, gli Spartani reputarono Amonfareto, il quale cadde in battaglia, degno di gloria e lo seppellirono, insieme ad altri individui che si erano distinti per valore, nella tomba più importante dei tre sepolcri che allestirono: quello degli Ireni. Forse Amonfareto fu un giovane dai 20 ai 29 anni, ma sia per il suo ruolo di comando, sia per aver procurato la vittoria della battaglia di Platea, egli fu premiato. Probabilmente la disobbedienza, in questo caso, non fu considerata un'infrazione in quanto i benefici che arrecò furono

molto più grandi.

Per quanto riguarda i casi riportati da Tucidide sembrerebbe che gli episodi dell'attribuzione della vergogna o dell'accusa d'insubordinazione proseguano con una certa continuità dall'episodio erodoteo di Otriade.

Nel caso di Archidamo abbiamo visto come la sua condotta bellica fosse biasimata dai compatrioti, concittadini ed esecutivo spartano che accusarono il re di 'mollezza' e di poca incisività dovuti ad una prudenza forse ritenuta eccessiva. Il pesante giudizio della società spartana coinvolgeva anche il re, seppur esso agì senza osare troppo, probabilmente con lo scopo di preservare l'integrità dell'esercito che condusse in Attica. La cautela di Archidamo, scambiata per codardia, e dunque per 'mollezza', e perciò biasimata dai sui soldati, era in linea con la pratica spartana di preservare al meglio il corpo degli Spartiati ed in generale le forze di terra peloponnesiache.

Timocrate, d'altra parte, per paura di essere messo in catene e dover presentarsi a Sparta, da disonorato, in seguito ad un possibile scambio di prigionieri, decise di suicidarsi, come nei caso di Otriade e Pantite riscontrati in Erodoto. Il timore del giudizio disonorevole di Sparta dovette essere molto forte nella mente di quegli individui.

Per quanto riguarda invece l'esempio dei prigionieri di Sfacteria del 425 a. C., tornati in patria successivamente, l'esecutivo spartano dopo aver impartito l'ordine di decidere per sé stessi, decisione che avrebbe dovuto evitare il disonore della città agli occhi degli altri Greci, ordine alquanto ambiguo come abbiamo avuto modo di vedere, punì quegli uomini revocando i loro privilegi con l'intento di prevenire un loro possibile moto rivoluzionario e credendo di anticiparne le mosse. Quei soldati, a Sfacteria, ebbero "carta bianca" riguardo all'atteggiamento da assumere, ma l'esecutivo spartano avrebbe di certo preferito il loro sacrificio, pur di tentare la vittoria o di non perdere la reputazione della città agli occhi degli alleati attuali e potenziali. Anche in questo caso, i 120 spartiati, dopo essersi arresi, salvarono la propria vita auspicando in futuro di poter tornare a combattere per la propria città, ma al loro ritorno furono privati delle cariche che detenevano in quel momento e della possibilità di accedere alla piazza pubblica per poter condurre i propri affari economici. Nel primo caso, il governo di Sparta, avrebbe evitato dunque che essi, detentori di una magistratura, avrebbero potuto sovvertire l'ordine vigente dall'interno, forzando o modificando la costituzione, mentre nel secondo caso, estromettendoli dalla possibilità di accedere all'agora, avrebbero evitato che quegli individui potessero diffondere idee rivoluzionarie durante il periodo di maggiore

criticità per Sparta.

Clearida, poi, in seguito alla Pace di Nicia, non fu d'accordo sulla cessione di Anfipoli, azione che lo portò a dover tornare urgentemente da Anfipoli stessa a Sparta per evitare che fosse accusato di insubordinazione. Seguire ciò che sarebbe stato giusto si rivelò spesso sbagliato per il kosmos culturale spartano: l'ubbidienza era un aspetto che gli Spartani non potevano trascurare, aspetto sul quale non ci sarebbe mai stata elasticità e duttilità. Archidamo e Clearida, per ottenere dei vantaggi dalla guerra incorsero il primo nell'accusa di viltà sul campo di battaglia, il secondo nel timore dell'accusa d'insubordinazione. Il primo cercò di ottenere il massimo vantaggio col minimo delle perdite, il secondo cercò di non cedere indietro l'importante località di Anfipoli agli Ateniesi. Nel caso di Timocrate, poi, la fretta di procurarsi forse onore, fretta che si mostrò nell'inseguimento individuale di una nave ateniese, lo portò a dover segliere fra il suicidio o il giudizio disonorevole della città, ma la prima opzione, per lui, fu la migliore.

Agide II, poi, concluse un patto privato con due ambasciatori argivi in cui stipulò una tregua di quattro mesi con Argo stessa. Il re aveva in pugno la situazione ed avrebbe potuto sconfiggere l'esercito argivo alleviando la pressione bellica dei nemici per la propria città. Alla notizia della perdita di Orcomeno, i magistrati spartani accusarono Agide di insubordinazione, disonorandolo e applicandogli una multa che egli non avrebbe potuto pagare, multa che esprimeva una pesante umiliazione per il re (100.000 dracme e la distruzione della sua abitazione). Egli cerco di trattare con la magistratura, impegnandosi a compiere un'azione che gli avrebbe permesso di riottenere l'onore perduto, ma in un primo momento, l'intempestivo ardore per riottenere la fiducia del governo lo espose pericolosamente ad una seconda azione bellica condotta in maniera sbagliata, mettendo in pericolo i propri sottoposti. A Mantinea, poi, riuscì ad ottenere una vittoria che lo riabilitò completamente dall'accusa dell'episodio di Argo. In questo caso, come vedremo in seguito, venne sancita una norma vera e propria che prevedeva l'affiancamento di alcuni individui per controllare meglio l'operato del re: un re di Sparta è accusato e letteralmente minacciato di essere umiliato e, forse, esiliato. Il timore del giudizio di Sparta, riusciva a far emergere la vera natura degli individui che di volta in volta dovettero confrontarsi con la propria città (magistrature e cittadinanza). Agide, riuscì a salvare l'immagine di sé e riuscì a mantenere la sua carica.

Durante la battaglia di Mantinea (418 a. C.), poi, due sottoposti di Agide non seguirono il comando del re. Per questo motivo essi furono esiliati, accusati di viltà,

poiché, all'ordine di Agide, essi non mossero dalla destra dello schieramento, posizione ritenuta migliore, al centro, posizione ritenuta peggiore, stando alla disputa fra gli Ateniesi ed i Tegeati svoltasi prima della battaglia di Platea e tramandata da Erodoto. Il comando, come ci informa Tucidide, giunse in ritardo, ma i due individui, per assolvere all'etica oplitica rimasero saldi al proprio posto poco prima del cozzo coi nemici. La loro decisione fu scambiata per insubordinazione ed essi, in seguito alla vittoria spartana, furono esiliati per codardia.

Ognuno di questi episodi mostra come, spesso, la decisione presa da alcuni individui riguardo ad un'azione da condurre avesse della ponderatezza, ma quella stessa ponderatezza – inutile spreco di risorse e vite nel caso di Archidamo; inseguimento dei nemici nel caso di Timocrate; resa degli Spartiati di Sfacteria, in seguito all'ordine del governo di decidere per sé stessi; volontà di mantenere Anfipoli da parte di Clearida; la volontà di concludere una tregua temporanea di Agide e l'impeto che mostrò nell'azione militare successiva al fine di sconfiggere i nemici al più presto e rifuggire dall'onta del disonore; il rimanere saldi al proprio posto da parte di Ipponoida ed Aristocle, assolvendo così all'etica oplitica – anticipò e produsse giudizi ed esiti a dir poco paradossali. Le decisioni prese da quegli individui in base alle mutevoli circostanze del momento non piacquero al governo ed alla comunità di Sparta, poiché esse mal si adattavano alla staticità della costituzione ed al viluppo di ideali che essa veicolava ed impartiva, attraverso l'educazione, ai propri cittadini. La rigidità della costituzione e dei suoi precetti plasmavano menti di potenziali uomini inflessibili, uomini che avrebbero dovuto adattarsi ad una guerra estremamente dinamica e plastica. Essi, dagli esempi che abbiamo potuto vedere, risultano frenati, nelle loro decisioni ed azioni, dai valori nei quali crebbero e dalla pesante presenza del giudizio della città. Quegli uomini, da quanto è possibile leggere da Tucidide, sembrano temere maggiormente la propria patria che le armi nemiche.

D'altro canto però la città di Sparta si rende presto conto che tale sistema non poteva giovare alla lunga. Vedremo infatti nel prossimo paragrafo come Sparta riuscì a rispondere efficacemente al dinamismo di questa guerra, cercando in parte di rispondere a due dei maggiori problemi che ebbe in guerra ossia all'operatività sui mari ed all'oliganthropia.

NOVITÀ SPARTANE NELLA CONDUZIONE