Parte 1. Dal Baltico a Israele
1.3 L’arrivo a Oxford e il viaggio in Palestina: gli anni Trenta
Ricordo che nel 1936 sulla nave per l’Irlanda mi dicesti: “Pensavo di stare parlando a un socialista e un positivista: ma ho scoperto che sei un sionista e un fenomenologo.” Lo ero e lo sono: ora e sempre.
Isaiah Berlin (1974)1
A Oxford
Berlin fece il suo ingresso a Oxford, l’istituzione inglese con cui maggiormente si sarebbe identificato2, all’inizio del Michaelmas Term del 1928. Nel 1931 avrebbe conseguito la laurea in Greats al Corpus Christi College, comprendente lo studio della storia e della filosofia antiche attraverso il più semplice sistema di Pass Mods, e nel 1932 la laurea in filosofia, politica ed economia (PPE)3. Nella storia di Oxford si potevano annoverare fino ad allora svariati ebrei giunti al livello di dons, ma pochi fellows: il primo era stato il matematico James Joseph Sylvester, nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, seguito dal filosofo Samuel Alexander e dal giurista Arthur Goodhart4. Il successivo, il primo ad All Souls, sarebbe stato Berlin stesso. Nell’ottobre del 1932, infatti, dopo la nomina a tutor di filosofia al New College grazie ai buoni uffici di Richard Crossman, futuro esponente di primo piano del Partito Laburista, superò gli esami per la fellowship ad All Souls, nonostante l’opposizione – che gli fu nota solo successivamente – di uno dei membri della commissione, il vescovo di Gloucester5. Nei primi anni oxoniensi, Berlin sia strinse amicizie durevoli con colleghi non ebrei, tra i quali Maurice Bowra, Sheila Grant Duff, Hampshire e Stephen Spender6, sia si inserì
1 Isaiah Berlin a Stuart Hampshire, 23 febbraio 1974, in I. Berlin, Building, cit., p. 563. «Ora e sempre» è in italiano anche nel testo originale.
2 «In fin dei conti», diceva Berlin a Michnik, «Oxford è l’essenza stessa del carattere inglese». A. Michnik, I. Berlin, È
la gente perbene a erigere le ghigliottine, cit., p. 108.
3 H. Hardy, Preface, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. xviii e n. 4 Cfr. I. Berlin, The Early Years, cit., p. 17.
5 La contrarietà fu probabilmente dovuta a sentimenti antiebraici. Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., pp. 70-72. Il «Jewish Chronicle» dedicò un articolo alla notizia e il rabbino capo gli inviò una lettera di congratulazioni, indicandolo erroneamente come Irving Berlin. Mendel Berlin, For the Benefit of My Son, cit., p. 309. In una svista simile sarebbe occorso, nel 1944, Winston Churchill che, credendo di trovarsi alla propria tavola con Isaiah Berlin, allora funzionario dell’ambasciata britannica negli Stati Uniti, interrogò uno stupefatto Irving Berlin, l’autore di White Christmas e di God
Bless America, sui prevedibili sviluppi della guerra. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., pp. 142-143.
6 Qesto il ricordo di Spender: «Uno dei miei migliori amici era Isaiah Berlin. Isaiah era originario di Riga. Nutriva un grande interesse verso la vita degli altri, rafforzato dalla convinzione di essere personalmente immune dalle passioni che li muovevano. Il comportamento umano era per lui il soggetto di una bizzarra indagine su moventi e azioni che mi ricordava le labirintiche teorizzazioni di Henry James sui personaggi dei suoi romanzi. Berlin eccelleva nella descrizione dei personaggi per metafore. […] Pur parlando incessantemente, in un monologo dove talvolta tutte le parole sembravano legate in un’unica interminabile parola, non era dogmatico». Cfr. S. Spender, Un mondo nel mondo (1951), Barbès, Firenze 2009, pp. 132 e 134.
nella comunità studentesca ebraica locale, aderendo subito alla Jewish Congregation, che lo avrebbe visto «frequentatore abbastanza abituale». Allora la scala sociale dei «non molti» ebrei dell’università vedeva in cima gli appartenenti a «famiglie indiscutibilmente ebraiche che non volevano in alcun modo essere identificate come tali». Al di sotto si trovavano i membri, in gran parte di origine tedesca, della classe media. Berlin, tra di essi, ricordava che erano saltuari frequentatori della sinagoga, ma coscientemente identificati nella «comunità ebraica, e nel mio caso habitué della Zionist Society». La struttura si concludeva con i giovani di provenienza yiddish che, per la pontente «spinta gravitazionale della loro yiddishkeit», formavano un gruppo a sé. Eppure, Berlin aveva legato con uno di loro, il futuro ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e preside dell’Università Ebraica, Avraham Harman7. La fellowship gli avrebbe poi aperto anche le porte dell’alta società ebraica: poté così conoscere e frequentare Victor Rothschild e il salotto della ricca famiglia Sieff8.
Al Corpus Christi, sotto la guida di Frank Hardie, Berlin aveva intrapreso lo studio dei filosofi della classicità – soprattutto Platone e Aristotele –, della modernità e degli esponenti dell’idealismo britannico, come F.H. Bradley e Bernard Bosanquet, il cui peso intellettuale a Oxford andava scemando. Illuminato dai Principia Ethica di G.E. Moore, si interessò al realismo filosofico e al positivismo logico, a Bertrand Russell e a John Cook Wilson e al Ludwig Wittgenstein del Tractatus logico-philosophicus9. Influenzato da Gilbert Ryle, a metà degli anni Trenta costituì con i giovani filosofi A.J. Ayer e J.L. Austin la cerchia dei Brethren10. Pur apprezzando la critica alla metafisica, Berlin riteneva fallimentare la pretesa del positivista logico Ayer di «stabilire una radicale, chiarificatrice e semplificante revisione del pensiero e del linguaggio umani» in base alla scoperta di «qualche infallibile criterio». Certamente era più in sintonia con le teorie non dottrinarie di Austin, attente al linguaggio ordinario e al senso comune, che aveva apprezzato anche nell’empirismo humeano, ma non condivideva la posizione apicale in cui era tenuto il principio della razionalità11.
7 Cfr. I. Berlin, The Early Years, cit., pp. 16-17. 8 Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., p. 76.
9 Si vedano op. cit., pp. 61 e 96, e R. Jahanbegloo, Conversations with Isaiah Berlin, cit., p. 153. Berlin avrebbe ricordato come illuminante la lettura dei Principia Ethica di Moore, dopo aver faticato sugli hegeliani inglesi. Pochi anni dopo concluse, però, che le tesi mooriane «erano completamente sbagliate, e lo credo ancora»: «trovo leggermente sconvolgente che un libro che ebbe un simile effetto su di me non contenga nulla di ciò con cui concordo ora». Cfr. I. Berlin, England’s Mistaken Moralist (G. E. Moore in Principia Ethica), contributo a Speaking Volumes, «Times Higher Education Supplement», 15 ottobre 1993, p. 20.
9 Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., p. 99.
10 Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., p. 99. Mario Ricciardi ha proposto un confronto molto interessante tra i divergenti atteggiamenti che Ayer e Berlin tennero nei riguardi della propria identità ebraica in M. Ricciardi, Identità nazionale e
pluralismo, in Pluralismo e libertà fondamentali, a cura di M. Ricciardi, C. Del Bò, Giuffrè, Milano 2004, pp. 136-139.
11 Cfr. J.L. Cherniss, A Mind and Its Time, cit., pp. 5 e 7-8. Berlin avrebbe spiegato: «Quello che ammiravo davvero di [Austin] era che era preparato a prendere ogni problema come veniva, e provare a risolverlo nei termini suoi propri, […] e non forzarlo in un letto di Procuste di un unico, onnicomprensivo sistema, e trasformare la sua formulazione in modo
Sostanzialmente non fu mai un membro organico della nouvelle vague filosofica, poiché paventava la riduzione della filosofia a «segretaria della scienza e necrologista della metafisica»12 e la ristrettezza di visuale provocata dallo scarso interesse per le questioni etiche e per il ruolo della storia13.
La consapevolezza di dover dare conto della dimensione storica, e dei mutamenti che da essa derivavano, della realtà umana, nel 1938 avrebbe tentato, senza successo, di coinvolgere nelle riunioni dei Brethren il filosofo della storia Robin G. Collingwood14, dalle lezioni del quale, seguite presumibilmente nel 192915, aveva ricavato la fascinazione per le più ampie prospettive che quell’approccio offriva e per l’influenza delle culture, alla cui varietà si andava interessando. In quell’occasione conobbe la formula kantiana per la quale «da un legno così storto come quello di cui è fatto un uomo, non si può costruire nulla di perfettamente dritto». La frase compare, forse per la prima volta negli scritti di Berlin, in una lettera del 1933, in cui è collegata – preannunciando la correlazione tra pluralismo dei valori e antiperfezionismo – all’affermazione di Nicolas de Malebranche, che lo sorprese, secondo cui la «semplicità» e la «bontà» erano «incompatibili»16. Grazie a Collingwood che ne aveva curato la traduzione in inglese, Berlin lesse la crociana Filosofia
tale che cessava di essere il problema che in effetti era, o altrimenti [era] rigettato quale pseudo-problema, poiché non si adattava, come alcuni positivisti (ad esempio Freddie [Ayer]) tendeva a fare». Cfr. Isaiah Berlin a Noel Annan, 2 ottobre 1978, in I. Berlin, Affirming, cit., p. 88.
12 B. Williams, Introduzione, in I. Berlin, Il fine della filosofia, Edizioni di Comunità, Torino, 2002, p. xviii.
13 M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., p. 101. Si veda inoltre I. Berlin, J.L. Austin and the Early Beginnings of Oxford
Philosophy (1973), in Id., Personal Impressions, cit., pp. 130-145. Berlin condivideva con Ryle e Austin la convinzione
che la soluzione dei problemi filosofici più che l’«analisi decompositiva» di Russell e Ayer implicasse una «chiarificazione del linguaggio ordinario», che non prescindesse dal «sapere pratico di esseri umani concreti, dai modi di vita in cui essi parlano e pensano, dalle diverse maniere in cui reagiscono alle sfide poste nell’ambiente in cui vivono». Gli scritti di H.A. Prichard e di W.D. Ross, due allievi di Cook Wilson, inoltre, lo avevano posto di fronte all’«esistenza di una pluralità di principi che possono confliggere generando direttive di comportamento incompatibili» nell’ambito morale, senza che vi siano «regole di priorità che consentano di stabilire quale dei principi che sarebbero rilevanti in astratto sia quello che ha il peso maggiore in una determinata situazione». Cfr. M. Ricciardi, Libertà, pluralismo e
liberalismo, in R.J. Bernstein, S. Veca, M. Ricciardi, Omnia mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo, prefazione
di G. Bosetti, Marsilio, Venezia 2014, pp. 93-94 e 111. 14 Cfr. A.M. Dubnov, Isaiah Berlin, cit., pp. 69-70.
15 La datazione si deve a Dubnov. Cfr. op. cit., p. 69. Si veda anche Isaiah Berlin a Sheila Grant Duff, 8 dicembre 1932, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 44. Le lettere del periodo, d’altra parte, testimoniano la percezione di trovarsi in un momento di transizione intellettuale, che lo spingeva ad ampliare il proprio bagaglio e i propri orizzonti, leggendo la filosofia tedesca – Hegel, Marx, Engels – e la letteratura russa, interessendosi a Descartes e seguendo le lezioni di Ernst Cassirer, trasferitosi a Oxford all’avvento del nazismo. Cfr. Isaiah Berlin a Stephen Spender, 5 dicembre 1932, in op. cit., p. 43., Isaiah Berlin a Sheila Grant Duff, 12 dicembre 1932, in op. cit., p. 46, e Isaiah Berlin ad Adam Trott, 26 ottobre 1933, in op. cit., p. 62. Si rimanda anche a M. Ricciardi, Isaiah Berlin su libertà e pluralismo, «Ragion Pratica», 26 (2006), pp. 10-11.
di Giambattista Vico (1911), che avrebbe contribuito a indirizzarlo alle convinzioni pluralistiche del secondo dopoguerra17.
Delle pubblicazioni berliniane18 degli anni Trenta, in effetti solo un paio sono ascrivibili direttamente all’abito della filosofia analitica: Induction and Hypothesis (1937) e Verification (1939). La maggior parte degli è di carattere più genericamente culturale. Fatti salvi numerosi articoli di critica musicale, alcuni firmati con lo pseudonimo “Albert Alfred Apricott”, per l’«Oxford Outlook» di cui era diventato direttore nel 1930, Berlin scrisse per lo «Spectator» e per il «London Mercury» recensioni a volumi di Henri Bergson, E.H. Carr, John Dewey e Vladimir Solov’ev. Due furono gli articoli pubblicati sul «Criterion»19 di T.S. Eliot, con il quale, dopo un contatto epistolare nel 1930 – per inviare una copia dell’«Oxford Outlook»20 –, vi era stata una sporadica frequentazione21.
A Berlin già sembrava più congeniale la mediazione del pensiero di altri filosofi, narratori o letterati per commentare la situazione contemporanea, in cui coglieva l’imminente minaccia della disgregazione sociale e culturale alla quale aveva accennato nell’ultimo anno alla St. Paul’s School. Nel 1931, commentando una sua traduzione del Crollo dell’umanesimo (1919), del poeta russo Alexander Blok, sull’«Oxford Outlook» Berlin accostava gli idealei palingenetici degli intellettuali marxisti occidentali alla Schadenfreude con cui Blok prefigurava lo stravolgimento dell’Occidente a opera della Russia, a lungo derisa come «terra di barbari e pazzi». «Questo sentimento di rivolta contro la tirannia dell’Europa occidentale, questo odio per tutti i suoi modi di pensare e di agire», aggiungeva, «è ora all’opera in Russia e ispira quegli artisti […] che hanno a lungo guardato attraverso gli ideali politici o sociali della teoria comunista, e ora la utilizzano come uno schermo più che come uno strumento per il loro attacco alla civiltà». I loro lavori erano «un’arma molto efficace contro quell’organizzazione intellettuale e morale, quell’‘accordo del buono, del vero e del bello’ su cui sono basate le nostre vite». Pertanto, concludeva, «se abbiamo intenzione di difendere le nostre
17 Cfr. I. Berlin, Tra la filosofia e la storia delle idee, cit., p. 44, e I. Berlin, Giambattista Vico: Man of Genius (1972), in Id., Three Critics of the Enlightenment. Vico, Hamann, Herder, ed. Henry Hardy, Princeton University Press, Princeton- Oxford 2013, pp. 415-416. Si veda I. Berlin, Il mio itinerario intellettuale (1998), in Id, Il potere delle idee, cit., p. 31. Per un’indagine approfondita di questa fase del percorso intellettuale di Isaiah Berlin si rimanda a A.M. Dubnov, Isaiah
Berlin, cit., capitolo 3, e a J.L. Cherniss, A Mind and Its Time, cit., pp. 1-14.
18 Per la bibliografia completa e costantemente aggiornata di Berlin si rinvia alla sezione dell’Isaiah Berlin Virtual Library: <http://berlin.wolf.ox.ac.uk/lists/bibliography/index.html>.
19 Recensì Havelock Ellis, Views and Reviews: First Series, in «Criterion» 12 (1933), pp. 295–8, e Julius Weinberg, An
Examination of Logical Positivism, «Criterion» 17 (1937–8), pp. 174–82. Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., pp. 59-60.
20 Cfr. Isaiah Berlin a T.S. Eliot, 27 maggio 1930, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 22, e la risposta di Thomas Stearns Eliot a Isaiah Berlin, 22 luglio 1930, in The letters of T. S. Eliot. Volume 5, 1930–1931, eds. V. Eliot, J. Haffenden, Yale University Press, New Haven 2015, p. 261.
21 Cfr. Isaiah Berlin a Marie Berlin, 21 (?) marzo 1934, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 85, op. cit., pp. 135, 137-138, 165, 230 e 262-163, e Isaiah Berlin a Philip Toynbee, 4 giugno 1969, in I Berlin, Building, cit., p. 390 e n.
forme di vita occidentali, dovremmo essere altrettanto chiari su cosa sia esattamente ciò da cui le andremo a difendere, e cosa ci dobbiamo aspettare se dovessimo perdere (come Blok afferma che abbiamo già perso) la battaglia per la civiltà che definiamo nostra e che determina tutti i nostri presenti valori»22.
Karl Marx e Lewis Namier
Ad allontanare Berlin dagli interessi degli analitici, in quegli anni, era anche lo studio per la biografia di Karl Marx (1818-1883) commissionatagli nel 1933 dal Warden del New College, H.A.L. Fisher, e pubblicata dalla oxoniense Home University Library sei anni dopo23. Benché alieno dalle simpatie per il marxismo diffuse in quegli anni a Oxford24, nel suo primo libro Berlin mostrava di apprezzare del pensiero marxiano, tenuto distinto da quello dei successivi dogmatizzatori, l’approccio storicistico, che riconosceva come «i concetti e gli ideali morali, politici, economici si trasformano con le condizioni sociali dalle quali scaturiscono»25 e che, pur contrassegnato da un rigido materialismo deterministico che conduceva a esiti monistici, sostanziava in effetti una concezione non fissista della natura umana26. Nelle pagine della biografia, chiaramente, si accennava anche al rapporto di Marx con la propria identità ebraica. Esponendo una dinamica che gli era nota, e che aveva ritrovato nelle pagine di Lewis Namier, Berlin scriveva che la chiusa comunità ebraica, da cui gli antenati di Karl Marx provenivano, per difendersi dall’ostilità dei vicini cristiani aveva mantenuto
22 Cfr. I. Berlin, Alexander Blok, «Oxford Outlook» 11 (1931), pp. 73-76. In uno scritto del 1935, non accettato dal «London Mercury» e pubblicato postumo a cura di Henry Hardy, Berlin avrebbe ripreso nuovamente le tesi di Blok sulla «catastrofe imminente» per introdurre l’analisi della situazione inglese attraverso le sue correnti poetiche. Da un lato poneva i poeti come Eliot che tentavano irrealisticamente di «costruire mura all’interno delle quali preservare la [propria] scala di valori». Dall’altro stavano i poeti comunisti che, altrettanto utopisticamente, provavano a placare le proprie «paure» abbracciano «nuova fede». L’unica via percorribile per Berlin era quella offerta dalla «poesia della transizione» dei giovani dell’oxoniense “Auden Group” (Wystan Hugh Auden, Stephen Spender e Cecil Day-Lewis), che testimoniavano la «verità sulla loro esperienza del presente» e sull’«intuizione del prossimo futuro» senza pretendere di cristallizzarla. Cfr. I. Berlin, A sense of impending doom, «Times Literary Supplement», 27 luglio 2001, pp. 11-12. 23 Proprio sul finire del 1933, a una cena a casa dei Fisher, Berlin ebbe l’opportunità di conoscere Virginia Woolf, cugina del Warden del New College, dalla quale fu profondamente affascinato. Per i ricordi degli incontri con la scrittrice, si veda I. Berlin, Memories of Virginia Woolf, in Id., Personal Impressions, cit., pp. 168-171. La Woolf, dopo la cena dai Fisher, riportò in una lettera di aver conosciuto «il grande Isaiah Berlin, uno che ha la faccia da ebreo portoghese e che è il faro di Oxford; un comunista, credo, e mangiatore di fuoco». Citato in M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., p. 79.
24 Ralph Dahrendorf avrebbe inserito Berlin nel novero degli “erasmiani”, gli intellettuali pubblici che non si lasciarono sedurre né dalle sirene dei fascismi né da quelle del comunismo. Cfr. R. Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla
prova del totalitarismo (2006), Laterza, Roma-Bari 2007.
25 Op. cit., p. 17.
26 Per Marx e Giambattista Vico, avrebbe poi affermato, «ciò che è chiamato natura umana varia e differisce da cultura a cultura, o anche all’interno di una stessa cultura; e perciò l’idea che tutti gli uomini in ogni tempo in ogni luogo siano dotati di un’effettiva o potenziale conoscenza di verità universali, eterne, inalterabili […] è semplicemente falsa». Isaiah Berlin a Beata Polanowska-Sygulska, 24 febbraio 1986, in I. Berlin, B. Polanowska-Sygulska, Unfinished Dialogue, cit., pp. 39-40. Ho approfondito l’analisi dei lavori di Berlin su Marx in Berlin lettore di Marx. Pluralismo dei valori e natura
«una barriera difensiva di fierezza e diffidenza» che aveva iniziato a cedere con l’avanzata delle idee illuministiche. Lo stesso Herschel Levi, padre del filosofo, si era convertito in gioventù «alla religione della ragione e dell’umanità» e nel 1817, un anno prima della nascita del figlio, aveva ricevuto senza molti travagli interiori il battesimo protestante, assumendo il nome di Heinrich Marx27. Per Berlin, il risentimento per le proprie origini aveva, invece, condotto Karl a sviluppare una forma di jüdische Selbsthaß (odio di sé ebraico), che si palesava nei carteggi con Engels28, risultando al contempo «molto ebraico»29, uno «snob amante dei goyim», ossia dei gentili, e un antisemita30. All’accento sul «carattere internazionale del proletariato» e alla negazione delle «categorie razziali», con gli ebrei definiti quale gruppo «puramente economico» emancipabile solo nel contesto del superamento del capitalismo, per Berlin contribuiva innanzitutto la volontà marxiana di rimuovere alla radice il problema personale di evitare lo stigma nel quale erano incorsi «alcuni degli ebrei più illustri della sua generazione, come Heine, Lassalle e Disraeli»31.
A queste riflessioni aveva contribuito probabilmente il colloquio che Namier, storico oxoniense proveniente da una famiglia di ebrei convertiti della Polonia e collaboratore di Weizmann, aveva richiesto a Berlin per discutere proprio della biografia che stava allora stendendo32. Il filosofo ricordava di avere incontrato per la prima volta il nome di Namier nel 1929, leggendo il suo articolo Zionism, che lo aveva attratto per l’incipit, dedicato appunto alla descrizione dell’evoluzione del mondo ebraico europeo nel secolo precedente. «Namier paragonava gli ebrei dell’Europa orientale a un iceberg di cui una parte rimanesse sommersa, ancora ghiacciata, e un’altra fosse evaporata sotto i raggi dell’illuminismo, mentre il resto si era fuso e formava impetuosi torrenti nazionalisti o social- nazionalisti», riassumeva Berlin, che vi riconosceva anche l’esperienza della propria famiglia, divisa tra assimilati, sionisti e aderenti al socialismo rivoluzionario33. Mentre per gli ebrei dell’Europa centro-occidentale Namier prevedeva la progressiva dissoluzione, riteneva che la «vera questione
27 Cfr. I Berlin, Karl Marx, cit., pp. 34-35. 28 Cfr. op. cit., p. 271.
29 I. Berlin, Flourishing, cit., p. 129, Isaiah Berlin a Marie Berlin, luglio 1935.
30 Isaiah Berlin a Yitzhak e Ida Samunov, 4 luglio 1935, in I. Berlin, Supplementary Letters 1928-1946, <http://berlin.wolf.ox.ac.uk/published_works/f/l1supp.pdf>, p. 13. Berlin si era sorpreso del patriottismo di Marx: «rifiutò di firmare un manifesto pacifista nella guerra f[ranco]-prussiana se non si fosse dichiarato che la Germania combatteva una guerra difensiva». Isaiah Berlin a Sheila Grant Duff, 1933 (?), in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 77.
31 Cfr. I. Berlin, Karl Marx, cit., pp. 104-105 e 271. Si veda anche James Cracroft, A Berlin for Historians, «History and Theory» 41 (2002), pp. 280-281.
32 Cfr. I. Berlin, Lewis B. Namier (1966), in I. Berlin, Impressioni personali, Adelphi, Milano 1989, pp. 101-102. I rapporti con Weizmann si sarebbero interrotti nel 1947, quando Namier si sarebbe fatto battezzare secondo il rito cristiano. Su Namier si veda N. Rose, Lewis Namier and Zionism, Clarendon Press, Oxford 1980.
33 Cfr. I. Berlin, Lewis B. Namier, cit., pp. 99-100. Si veda anche I. Berlin, Tra la filosofia e la storia delle idee, cit., p. 34. In effetti Namier nell’articolo non faceva cenno alle correnti socialiste ebraiche.