• Non ci sono risultati.

Le guerre di un sionista moderato: il secondo conflitto mondiale e la nascita d’Israele

Parte 1. Dal Baltico a Israele

1.4 Le guerre di un sionista moderato: il secondo conflitto mondiale e la nascita d’Israele

comprende non solo la sua letteratura e la sua arte, ma anche le sue istituzioni politiche, la sua concezione di organizzazione economica, e i suoi sforzi nell’ambito della sperimentazione sociale. Chaim Weizmann (1947)1

Un «lavoro da fare» in America

L’offetta avanzata il 21 giugno 1940 da Berlin a Lord Halifax (E.F.L. Wood), chancellor dell’Università di Oxford e segretario agli Esteri del neonato governo di unità nazionale di Churchill, per essere impiegato a Mosca quale funzionario incaricato di monitorare, in virtù della perfetta conoscenza della lingua, lo «stato d’animo generale» dei sovietici e di entrare in contatto con i circoli artistici e letterari2, fu respinta a causa delle origini straniere3. Nei giorni successivi, però, Berlin si trovò al centro di una vicenda mai del tutto chiarita. Guy Burgess, all’epoca agente della Sezione D del MI6 (la branca dei servizi segreti britannici avente compiti di propaganda), ma – si sarebbe scoperto in seguito – segretamente una spia sovietica, gli propose di accompagnarlo in Russia per svolgere, con il beneplacito del funzionario del ministero dell’Informazione Harold Nicholson, il ruolo di addetto stampa dell’ambasciata britannica. All’oscuro del doppio gioco di Burgess, conosciuto sei anni prima a Cambridge, Berlin accettò. Quando, un mese dopo, i due erano in attesa di lasciare Washington per Vladivostok, Burgess, probabilmente a causa dei sospetti che già lo riguardavano, fu richiamato in patria4. Berlin pensò, quindi, di poter proseguire da solo, e si appellò

1 C. Weizmann, Weizmann’s Last Congress, 9 dicembre 1946, in The Letters and Papers of Chaim Weizmann. Series B.

Papers. Volume II, cit., pp. 637-638.

2 Cfr. Isaiah Berlin a Lord Halifax, 21 giugno 1940, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 303. 3 Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., p. 107.

4 Nel febbraio del 1956, Burgess e Donald Maclean (che con Anthony Blunt, John Cairncross e Kim Philby furono gli intellettuali impegnati in attività di spionaggio a favore dell’Unione Sovietica conosciuti come i “Cinque di Cambridge”) tennero una conferenza stampa a Mosca rivelando di aver collaborato con i servizi segreti dell’Urss. Nei mesi successivi lo scrittore Goronwy Rees descrisse la dissoluta vita privata di Burgess in una serie di articoli anonimi su «People», sostenendo in uno di essi proprio che nel 1940 la spia era stata reclutata in un’organizzazione di intelligence britannica per compiere una missione in America assieme a «uno dei più brillanti storici di Oxford dei suoi tempi». Berlin negò di conoscere l’affiliazione segreta di Burgess e spiegò di non essere mai stato reclutato da alcuna organizzazione, avendo ricevuto l’incarico di recarsi in Russia direttamente dal Foreign Office. Cfr. I. Berlin, Enlightening, cit., p. 526, e Isaiah Berlin a Goronwy Rees, 27 aprile 1956, in op. cit., pp. 526-527. Antony Percy ha recentemente messo in dubbio la veridicità della versione berliniana, proponendo chiavi di lettura alternative. Ha infatti ipotizzato che Berlin sapesse di dover fungere da interprete affidabile di Burgess a Mosca, per indirizzare il KGB sulle tracce del dissidente Walter Krivitsky, fuoriuscito negli Stati Uniti e poi morto apparentemente suicida a Washington nel febbraio del 1941. Altrimenti, come le memorie di un ex funzionario del MI6, Bickham Sweet-Escott, suggerirebbero, Berlin poteva essere stato assoldato a tutti gli effetti dalla Sezione D, e forse il governo britannico lo aveva incaricato di recare informazioni riservate ai russi, magari tramite il loro ambasciatore negli Stati Uniti, Konstantin Umansky. Percy tende, comunque, a

a Frankfurter, dall’anno precedente giudice della Corte Suprema al posto dell’anziano Louis Brandeis, leader sionista del quale era stato seguace. Frankfurter domandò allora al teologo Reinhold Niebuhr – che si sarebbe dimostrato un convinto alleato del movimento ebraico – di intercedere con Sir Stafford Cripps, ambasciatore britannico in Urss. A nulla riuscì il tentativo; e il Foreign Office spiegò allo sconfortato Berlin di non aver mai richiesto i suoi servigi a Mosca, ma gli sconsigliò il ritorno nell’Inghilterra sottoposta ai bombardamenti tedeschi5.

La situazione mutò quando a Berlin fu proposto dalla British Library of Information a New York di fungere da «contatto con gli ebrei» statunitensi6. Dopo essere stato introdotto da Frankfurter alla cerchia dei new dealer7, Berlin aveva già avuto l’opportunità di relazionarsi con i maggiorenti della comunità ebraica, tra cui Benjamin Akzin, uno stretto collaboratore di Jabotinsky nativo di Riga, che faceva il lobbista per conto dei revisionisti8. E appena conosciuto l’incarico che avrebbe ricoperto, Weizmann gli aveva procurato un incontro con Nahum Goldmann, rappresentante dell’Agenzia Ebraica a New York9. Consigliato anche da Frankfurter, Berlin tornò dunque in Inghilterra, per incontrare il segretario di Stato alle Colonie e lo stesso Weizmann10, e protrasse la permanenza fino a novembre, quando gli fu comunicato dal ministero dell’Informazione a Londra che da gennaio sarebbe stato impiegato al British Information Service (BIS, nato dall’unificazione di British Press

escludere che Berlin fosse stato una spia dei sovietici, e non dà credito all’agente sovietico disertore Anatoli Golytsin, che indicò nel filosofo uno dei membri del progetto anglo-americano “Venona”, insieme a Victor Rotschild su cui – anche per via dell’amicizia con Blunt e Burgess – continuò a gravare il sospetto. Più solida, come si dimostrerà anche nel prosieguo del capitolo, è la convinzione di Percy che Berlin avesse accettato l’incarico presso il British Information Service a New York anche allo scopo di svolgere un lavoro affidatogli da Weizmann nell’ottica sionista. Cfr. A. Percy,

The Undercover Egghead, «History Today», settembre 2015, pp. 52-57. Ringrazio Antony Percy per avermi fornito una

copia del suo articolo. Allorché, nel 1979, l’allora primo ministro Margaret Thatcher rivelò che Blunt aveva ammesso di aver collaborato con l’intelligence sovietica prima della guerra e aver fornito informazioni segrete ai russi tra il 1940 e il 1945, Berlin si oppose alla sua espulsione dalla British Academy, comunque prevenuta dalle dimissioni dello stesso Blunt. Cfr. I. Berlin, Affirming, cit., pp. 125-126.

5 Si vedano M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., pp. 108-115, e I. Berlin, Flourishing, cit., pp. 311-329. 6 Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 8 agosto 1940, in op. cit., pp. 329-330.

7 Sui contatti di Berlin con Niebuhr e con i new dealers, cfr. infra, § 2.2.

8 Si vedano Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 12 agosto 1940, e Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 16 agosto 1940, in op. cit., pp. 331-332 e 333-334. Su Akzin si rimanda a R. Medoff, Militant Zionism in America. The Rise and

Impact of the Jabotinsky Movement in the United States, 1926–1948, The University of Alabama Press, Tuscaloosa-

London 2002, in particolare pp. 41-42 e 54-63.

9 Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 20 agosto 1940, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 336. I. Berlin, Nahum

Goldmann (1895–1982): A Personal Impression, in Survey of Jewish Affairs 1983, ed. W. Frankel, Associated University

Presses, London-Toronto 1985, p. 238. Berlin riferisce, erroneamente, che l’incontro era avvenuto nel 1941. Ai primi di ottobre del 1940, Berlin scriveva che Goldmann aveva favorito un suo colloquio con uno dei capi del movimento ebraico liberale britannico. Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 3 settembre 1940, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 350. 10 Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 3 settembre 1940, in op. cit., pp. 346-347. Alla scomparsa di Frankfurter, Berlin scrisse: «Mi dispiace tremendamente che il giudice sia morto. Ha trasformato un intero pezzo della mia vita: senza di lui non avrei mai avuto il mio lavoro o incontrato nessuno in America, e ha completamente mutato e indirizzato la mia vita più o meno per sempre». Isaiah Berlin a Key Graham, 5 marzo 1965, in I. Berlin, Building, cit., p. 219.

Service e British Library of Information) a New York con il compito di «far entrare l’America in guerra», facendo il propagandista con le organizzazioni sindacali e con le minoranze di tendenza non isolazionista11. Accanto a questo, si assunse un altro impegno. Infatti, prima di partire per gli Usa, tentò di avere un contatto con Weizmann12, dal momento che, spiegava in una lettera, «non c’è dubbio che c’è un lavoro da fare e il mio nuovo Dio, il Dr. Weizmann, mi sta sollecitando ardentemente a compierlo»13. Questo sarebbe consistito nel fare – assieme a Meyer Weisgal, conosciuto nel 194014 – da referente di Weizmann, restio a trasferirsi in America, in funzione dell’unificazione del fronte sionista d’oltreoceano.

Sin dalla seconda metà dell’Ottocento, la comunità ebraica negli Stati Uniti si era molto ampliata, divenendo la più popolosa al mondo, e dalle 50.000 unità del 1850 si era giunti agli oltre quattro milioni del 193015. Se, inizialmente, essa era costituita principalmente di ebrei originari dell’Europa centro-occidentale che si erano assimilati con relativa facilità nel tessuto sociale e culturale della nuova società, le persecuzioni in Europa orientale dal 1880 avevano condotto negli Usa una vasta quantità di ebrei di modesta estrazione, che – come già in Inghilterra – non erano riusciti ad adattarsi pienamente né tra i sospettosi gentili né tra i correligionari giunti precedentemente, che li guardavano con disprezzo16. A seguito delle tensioni, scaturite anche per ragioni economiche, tra il 1921 e il 1924 erano stati emanati due provvedimenti restrittivi sull’immigrazione che, nei fatti, limitarono gli ingressi, ma non interruppero l’afflusso di ebrei dalla Germania nazista17. Benché l’antisemitismo fosse molto più tenue rispetto a quanto era al di là dell’Altlantico e gli ebrei vi occupassero incarichi di rilievo, nella società americana sentimenti antiebraici avevano cominciato a diffondersi

11 Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., pp. 116-117, e A.M. Dubnov, Isaiah Berlin, cit., p. 160 Si veda anche N. Cull,

Selling War. The British Propaganda Campaign Against America “Neutrality” in World War II, Oxford University Press

1995, pp. 129-130.

12 Cfr. Isaiah Berlin a Chaim Weizmann, dicembre 1940, in I. Berlin, Flourishing, cit., pp. 354-355.

13 Isaiah Berlin a Marie Gaster, 3 gennaio 1941, in op. cit., p. 356. Trattando del ruolo avuto da Berlin nella nascita d’Israele. l’ex capo del Mossad, Efraim Halevy, nipote di Yitzhak e Ida Samunov, avrebbe affermato nel 2008: «Shaya, come noi lo chiamavamo, non era uno spettatore neutrale come la storia ha mostrato ai nostri occhi. Era spesso un giocatore, talvolta uno clandestino». Citato in A. Percy, The Undercover Egghead, cit., p. 54.

14 Cfr. I. Berlin, A Generous Imaginative Idealist (1964), in Meyer Weisgal at Seventy, ed. E. Victor, Weidenfeld and Nicolson, London 1966, p. 89. Nel 1971, Weisgal riportò nelle bozze della propria autobiografia che nel 1942, a New York, Weizmann gli aveva presentato Berlin, che aveva mostrato un’agenda su cui era segnato anche il nome, con un numero identificativo, dello stesso Weisgal, le cui missive – Berlin gli aveva detto – erano intercettate dalla censura britannica. Il filosofo contestò la ricostruzione, che lo faceva apparire sleale verso gli inglesi, e ottenne dall’editore Weidenfeld la modifica del testo. Si vedano Isaiah Berlin a George Weidenfeld, 1° novembre 1971, inedita, MS. Berlin 287, fols. 144-145, Isaiah Berlin a George Weidenfeld, 21 ottobre 1971, inedita, MS. Berlin 287, fol. 142, George Weidenfeld a Isaiah Berlin, 9 novembre 1971, inedita, MS. Berlin 287, fol. 146, e M. Weisgal, …So Far, cit., p. 379. 15 T.S. Hamerow, Perché l’Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all’orrore nazista (2010), Feltrinelli, Milano 2012, p. 137.

16 Cfr. op. cit., pp. 137-140. 17 Cfr. op. cit., pp. 141-143.

notevolmente nella seconda parte degli anni Trenta, quando i tedeschi misero in luce le proprie mire espansionistiche. In particolare non erano pochi gli americani convinti che gli ebrei stessero facendo indebite pressioni affinché gli Stati Uniti si muovessero per fermare Hitler18. Sin dai primi giorni al BIS, presso il Rockefeller Center, Berlin descriveva ai genitori l’esplorazione della «giungla della vita sociale ebraica» statunitense. Aveva incontrato alcuni degli esponenti più importanti del movimento sionista: il rabbino Stephen Wise, presidente del Congresso Mondiale Ebraico fondato assieme a Goldmann e grande sostenitore di Roosevelt, il weizmanniano Louis Lipsky, già a capo dell’Organizzazione Sionista d’America, Tamara de Sola Pool, presidentessa dell’Hadassah (l’organizzazione delle sioniste americane), e Brandeis, che Berlin confidava di riappacificare con Weizmann dopo i non sopiti dissapori degli anni Venti19. Ugualmente si sarebbe prestato, nella primavera del 1941, a fare da intermediario tra Frankfurter e Weizmann20, durante uno dei brevi periodi di permanenza di quest’ultimo negli Stati Uniti – in qualità di consigliere scientifico, propagandista del governo britannico e diplomatico sionista21 – che permisero al filosofo di familiarizzare con il leader sionista e con la moglie Vera22.

Nella comunità ebraica americana, che presentava i volti in stridente contrasto della diaspora – l’attitudine alla dissimulazione dei «cripto-ebrei» (crypto-Jews)23, per i quali avrebbe ideato l’immaginario «OTAG» (Order of Trembling Amateur Gentiles)24, e quella che ricordava ancora la vita del ghetto25 – Berlin aveva compreso che la componente dei «vivaci intriganti» sionisti

18 Cfr. op. cit., pp. 144 ss.

19 Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 28 gennaio 1941, in I. Berlin, Flourishing, cit., p. 360. Anni dopo Berlin avrebbe fornito un confronto tra l’approccio «democratico» di Weizmann e quello «tecnocratico» di Brandeis per quanto riguardava le prospettive di sviluppo della Palestina. Cfr. Isaiah Berlin a David Freudenthal, 14 agosto 1959, in I. Berlin,

Enlightening, cit., pp. 696-697. Sui rapporti tra i due leader sionisti si veda B. Halpern, A clash of heroes. Brandeis, Weizmann, and American Zionism, Oxford University Press, Oxford 1987.

20 Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 28 aprile 1941, in I. Berlin, Flourishing, cit., pp. 369-370.

21 Si vedano M. Weisgal, …So Far, cit., p. 166, C. Weizmann, Trial and Error, cit., p. 425, e N. Rose, Lewis Namier and

Zionism, cit., p. 106.

22 Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 17 maggio 1941, in I. Berlin, Flourishing, cit., pp. 371-372.

23 Si veda, ad esempio, Isaiah Berlin a Marion Frankfurter, 5 agosto 1940, in op. cit., p. 327, ma l’epressione era già in Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, dopo il 13 gennaio 1938, in op. cit., p. 264.

24 Cfr. Isaiah Berlin ad Arthur Schlesinger, 21 ottobre 1949, in I. Berlin, Enlightening, cit., p. 134. L’ideazione dell’OTAG (che ricalcava l’«Order of Trembling Israelites» pensato, per le medesime ragioni, da Namier) era avvenuta con la complicità di Charles “Chip” Bohlen, esperto della Russia al Dipartimento di Stato americano. Cfr. M. Ignatieff, Isaiah

Berlin, cit., p. 121, e A.M. Dubnov, Isaiah Berlin, cit., p. 98, Isaiah Berlin a Chaim Weizmann del 1° dicembre 1948, in

I Berlin, Enlightening, cit., p. 60, e N. Rose, Lewis Namier and Zionism, cit., p. 7 e n.

25 In un tribunale rabbinico newyorkese, Berlin aveva assistito alla richiesta di un «mendicante ebraico» che aveva subìto l’amputazione di una gamba presso un ospedale. L’arto, invece di essere sepolto nella terra consacrata dove l’uomo sarebbe stato tumulato, era andato perso. Come sarebbe stato possibile, aveva domandato il mendicante ai giudici, che il suo corpo venisse riassemblato all’arrivo del Messia? Avrebbe dovuto camminare con una protesi di legno per l’eternità? «Alla fine», scriveva Berlin divertito, «la corte ha deciso che se un oggetto simbolico – una parte del suo corpo, un capello o un’unghia –, fosse stato sepolto con riti appropriati e fosse stato annunciato solennemente che dovesse fungere come

statunitensi, «pieni di vita» e determinati ma «lacerati da lotte intestine», fosse in seria in difficoltà nel rapportarsi con una comunità che in maggioranza condivideva i loro sentimenti eppure restava inerte, temendo che la spinta all’intervento statunitense nel conflitto europeo avrebbe attirato su di sé l’accusa di essere «guerrafondai» egoisti. Gli stessi «brillanti discorsi» tenuti da Weizmann, nei quali si prospettava la vittoria alleata come «sola speranza per gli ebrei ovunque» e l’accantonamento momentaneo delle questioni relative alla Palestina e dunque delle recriminazioni verso la Gran Bretagna, a Berlin non erano sembrati persuasivi, sia per la diffusa insofferenza verso «il suo orgoglio, il suo disprezzo per loro, il suo comportamento autocratico, il suo personale isolazionismo, la sua generale attitudine [a guardare] de haut en bas, la sua posizione unica tra gli elementi al governo sia qui che in Inghilterra», sia – e questo gli pareva valesse soprattutto per i rifugiati tedeschi – per la ritrosia ad accogliere la previsione sull’incerto futuro per gli ebrei nell’Europa postbellica: «Non ho mai incontrato struzzi talmente senza speranza nella mia vita», aveva commentato, pensando probabilmente a quanto gli aveva detto Namier anni prima26.

Tra Weizmann e Ben-Gurion

Il 7 dicembre 1941, dopo un lungo pranzo con Ben-Gurion27, allora presidente dell’Agenzia Ebraica, Berlin seppe da un tassista dell’attacco giapponese alla flotta statunitense a Pearl Harbour. «Non posso negare che, dopo lo shock iniziale, mi sentii euforico… Dopo ciò, non c’era dubbio su quale schieramento avrebbe vinto la guerra», avrebbe rammentato. Roosevelt e gli americani non avrebbero più potuto pensare di vincerla senza combatterla direttamente28. Lo scopo del BIS, così, era esaurito, e Berlin fu trasferito all’ambasciata britannica a Washington, guidata da Halifax29, con l’incarico di stendere rapporti settimanali sulla situazione politica statunitense destinati al governo di Londra, dove erano letti dal ministro degli Affari Esteri, Anthony Eden, e dallo stesso Churchill, che li apprezzava particolarmente30. Accanto a quelli ufficiali, eventualmente emendati e firmati da Halifax, Berlin

sostituto per la gamba, allora l’Onnipotente, che ha già fatto cose più strane, avrebbe con tutta probabilità riconosciuto la giusta pretesa sostenuta dalla corte di New York e fornito una gamba al momento necessario». Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 14 febbraio 1941, in I. Berlin, Flourishing, cit., pp. 394-395.

26 Cfr. Isaiah Berlin a Marie e Mendel Berlin, 31 luglio 1941, in op. cit., pp. 375-376. 27 Cfr. I. Berlin, Zionist Politics in Wartime Washington, cit., p. 672.

28 I. Berlin, contributo a Where Were You? Memorable Events of the Twentieth Century, eds. S. Martin and R. Hall, Methuen, Toronto 1981, p. 119.

29 Anni dopo, Berlin avrebbe fornito di Halifax una descrizione, in fin dei conti, benevola, giustificandone il ruolo avuto nella politica dell’appeasement alla luce di una visione pessimistica della vita e della storia. Cfr. Isaiah Berlin a Elie Kedourie, 6 settembre 1966, in I. Berlin, Building, cit., pp. 309-310.

30 Berlin avrebbe raccontato di aver casualmente incontrato alla Casa Bianca Churchill – indubbiamente dopo l’episodio che aveva coinvolto Irving Berlin (si veda supra, § 1.3) –, che lo aveva incoraggiato a proseguire il lavoro che conduceva presso l’ambasciata. Cfr. A. Michnick, I. Berlin, È la gente perbene a erigere le ghigliottine, cit., p. 116. Si rimanda anche a Isaiah Berlin a Martin Gilbert, 8 gennaio 1985, in I. Berlin, Affirming, cit., pp. 246-249.

faceva pervenire rendiconti confidenziali a Herbert Nicholas, che lavorava presso il ministero dell’Informazione a Londra. Alcune delle comunicazioni riservate che essi contenevano iniziarono a circolare, probabilmente a causa di Nicholas, fino a essere conosciute anche negli Stati Uniti, destando le preoccupazioni dello stesso Berlin31.

Nell’aprile di quell’anno, come Berlin e Weisgal avevano auspicato32, si trasferirono nuovamente negli Stati Uniti i coniugi Weizmann, fortemente provati dalla scomparsa del loro secondogenito che aveva combattuto nelle fila della Royal Air Force33. Lo scenario in cui Berlin si trovò a operare, sia come funzionario britannico sia come sionista, fu caratterizzato dallo scontro tra Weizmann e Ben- Gurion, divisi – avrebbe spiegato il filosofo – da due prospettive divergenti sugli scenari geopolitici postbellici che si riflettevano sulle rispettive tattiche e strategie. Il primo era convinto che la Gran Bretagna si sarebbe confermata quale potenza dominante in Medio Oriente e che le speranze dei sionisti poggiassero ancora sulla benevolenza di quella; pertanto continuava a prediligere l’arma della diplomazia personale, sottraendosi talvolta al controllo dell’esecutivo sionista di Gerusalemme, con somma irritazione di Ben-Gurion che, pur non volendo l’interruzione delle relazioni con Londra, aveva intuito il ruolo centrale che gli Stati Uniti avrebbero ricoperto e mirava a forzare i governi attraverso la mobilitazione delle «masse ebraiche» attorno a una piattaforma massimalista34.

Il laburista trovò un alleato nel rabbino di Cleveland, Abba Hillel Silver, che ebbe un ruolo rilevante nel raggruppare attorno a un programma più estremista la maggioranza dei delegati alla conferenza del Biltmore Hotel di New York, organizzata nel maggio del 1942 da Weisgal su mandato di Weizmann35. Berlin avrebbe ricordato che in una tarda sera del 1942 si era recato al Winthrop Hotel, per incontrare Benjamin V. Cohen, uno dei consiglieri di Roosevelt. A causa di un errore della

31 Cfr. M. Ignatieff, Isaiah Berlin, cit., pp. 129-130. Si veda anche R. Calder, Beware the British Serpent. The Role of

Writers in British Propaganda in the United States, 1939-1945, McGill-Queen’s University Press, Montreal 2004, pp.

17-18. Si veda inoltre I. Berlin, Introduction, in Washington Despatches. Weekly Political Reports from the British

Embassy, ed. H.G. Nicholas, University of Chicago Press, Chicago 1981, pp. vii-xviii. All’inizio degli anni Settanta, la

notizia dell’apertura al pubblico degli archivi contenenti i dispacci impensierì alquanto Berlin, che temette il risentimento delle persone che vi venivano menzionate. Si veda ad esempio Isaiah Berlin a Paul Gore-Booth, 6 gennaio 1971, in I. Berlin, Building, cit., pp. 441-442. La corrispondenza con Nicholas è ora in I. Berlin, What About Daphne?

Correspondence with H. G. Nicholas 1942-1945, <http://berlin.wolf.ox.ac.uk/published_works/f/lnicholas.pdf>.

32 Cfr. A.M. Dubnov, Isaiah Berlin, cit., p. 170.