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La moda è femminista

A Parigi la sfilata di Chanel ha rilanciato il tema. Miuccia Prada ha ribattuto: «viviamo in un mondo dominato dagli uomini, usate tutte le armi, non abbiate paura di essere sexy». Ragazze, la quarta ondata di liberazione delle donne parte dalle passerelle.

«Sicuramente sarà la sfilata più vista su Instagram», ha scritto Daria Shapovalova, la fashion-icon Ucraina, a proposito della collezione primavera- estate 2015 di Chanel, presentata a Parigi lo scorso 30 settembre. E non ha avuto torto: prima ancora dell’inizio, già rimbalzavano in rete le foto del “Boulevard Chanel”, creato all’interno del Grand Palais: case, annessi e connessi, un set perfetto dove Cara Delevingne, Gisele Bündchen, Georgia May Jagger hanno sfilato come rivoluzionarie del maggio francese del 1968. Moderne Simone De Beauvoir, hanno indossato tailleur – pantalone

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doppiopetto bouclé, camicie in colori acquerello, tuniche in seta verde militare, borsoni da guerriglia e tracolline con su scritto: “Je ne suis pas en solde”, e cioè non sono in svendita. Fino al gran finale, Gisele col megafono che grida: “Femministe e femminili”, le altre modelle con grandi cartelli pieni di slogan: Be different (e cioè sii diversa), Women’s rights are more than alright (i diritti delle donne sono tutt’altro che a posto).

La sfilata di Karl Lagerfeld ha portato a una virata decisa di ogni commento sulla settimana della moda di Parigi sull’eterna domanda: la moda è femminista? Noi lo abbiamo chiesto a Maria Luisa Frisa, critico e curatrice di mostre relative al mondo della moda, direttore del corso di laurea in design della moda e arti multimediali all’Università Iuav di Venezia. «La moda non è femminista per natura, ma allo stesso tempo lo è sempre. Perché il suo punto di partenza è il corpo, perché dà alla donna la possibilità di essere bella, piacere a se stessa, agli altri, e crearsi il proprio personaggio. La moda fornisce gli strumenti per affermarsi. Prendiamo Giorgio Armani: mettendo la giacca alle donne degli Anni 80 ha dato loro la presenza di cui avevano bisogno in quel momento di grande ascesa professionale. Così come Gianni Versace ha proposto una nuova idea di sexy: indipendente, per una donna che chiede e ha coraggio di farsi valere». RIPENSIAMO AL CORPO

Il femminismo, che oggi vive la sua cosiddetta “quarta ondata”, è sulla bocca di tutti. Frammentato in molte correnti, anche in contrasto le une tra le altre. «Esattamente come è frammentata la cultura di oggi, perfino la guerra, in numerosi focolai, e l’informazione, in infiniti mezzi di comunicazione. È normale che ci siano tante voci. Nella moda, per esempio, siamo obbligati a ripensare i temi del corpo». Ed è quello che effettivamente succede secondo Paola Peduzzi che, sull’ultimo numero di IL, il mensile maschile del quotidiano «Il Sole 24 Ore», traccia una panoramica del fenomeno, nel quale si rimettono in discussione i dogmi del movimento “ortodosso”. Oltre ai temi centrali di parità e uguaglianza, proprio sul corpo e la sua rappresentazione si riflette in modi diversi. Uno tra tutti: è giusto essere bella? Non è un caso dunque che Parigi, capitale della moda e della bellezza, sia stata “travolta” dal femminismo

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durante le sfilate. «La moda assorbe e amplifica, coglie velocemente i segnali della società. E questa meravigliosa operazione di comunicazione di Karl Lagerfeld lo dimostra», sottolinea Frisa. «Coco Chanel non fu la prima a levare il busto alle donne, l’aveva fatto già Paul Poiret, ma fu lei a capire prima di ogni altro che la donna doveva cambiare pelle e ha così impresso alla moda il suo spirito pragmatico». Karl Lagerfeld, stilista di Chanel, alla sfilata ha lanciato il suo messaggio: «Ho pensato di realizzare un tema a cui mi so adattare molto bene. Mia madre era una femminista e io sono cresciuto con la storia del femminismo. Non vedo perché ogni essere umano non possa essere considerato allo stesso livello, soprattutto nel mio campo». Non è l’unico uomo a intervenire sull’argomento: anche da Hollywood si sollevano voci per supportare la causa delle donne. L’attore Joseph Gordon-Lewitt ha recentemente dichiarato: «Alcuni sostengono che il femminismo abbia avuto senso in passato, ma non ne abbia più adesso perché uomini e donne sono uguali. Non sono un esperto, ma penso che i fatti dimostrino il contrario. Se tutti avessero l’opportunità di essere e fare quello che vogliono, a prescindere dal genere, sarebbe meglio per tutti».

Ma gli uomini possono essere davvero femministi? «Finora le figure più complesse e meravigliose della letteratura, come Emma Bovary o Anna Karenina e anche Thelma & Louise sono state raccontate da maschi. Siamo noi stesse invece che dovremmo raccontarci, individuare il nuovo modo di essere donna, femmina, sexy che non sia dettato dall’ideale formale contemporanea», dice Benedetta Barzini, ex modella, giornalista e scrittrice. E sottolinea: «Le donne vengono ancora rappresentate in due soli stereotipi: la Virago e la Ninfa. La donna di potere, che cattura e travolge, o l’indifesa, che ha bisogno di essere istruita. Ma è dalle donne che dovrebbe arrivare il nuovo modo di esprimere femminilità e potere».

POLEMICHE DA LONDRA

Perfino su questo tema c’è dibattito nella moda. Ancora a Parigi hanno fatto scalpore le parole di Stella McCartney, che avrebbe condannato il modello di donna aggressiva, a favore di uno più fragile. Un articolo del quotidiano

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britannico The Guardian difende la stilista dalle critiche, specificando che le sue parole sarebbero state riportate in modo inesatte. Stella ha voluto mettere l’accento sulla morbidezza degli abiti e un lato più delicato della donna, anch’esso parte della sua forza: «Credo che solo una vera donna possa avere allo stesso tempo fragilità e forza. È quello che ho cercato di mettere nella mia collezione». Anche Miuccia Prada ha detto la sua a Parigi, per presentare la sfilata di Miu Miu: «Siate ribelli» dicono lei e i suoi abiti. Come riporta «La Repubblica»: «La collezione è pensata per dare un messaggio forte alle donne. Ovvero: usate tutte le armi che avete, non abbiate paura nemmeno di essere sexy. Viviamo in un mondo dominato da uomini, io stessa continuo a non credere alla parità dei sessi. Gli uomini sono potenti, ricchi e non vivono l’età come un limite. Il nostro compito è difficile, così difficile che conosco donne che hanno addirittura rinunciato ad ambiti come la famiglia, la maternità e altre cose importantissime pur di non scendere a compromessi. Dal mio punto di vista, ho sempre pensato che alcuni compromessi arricchiscano la vita. C’è poi l’armamentario femminile classico, quello che le donne usano per mentire o per sedurre. Ma qui è usato con cattiveria, con una forza eversiva». Commenta Barzini: «Siate ribelli è un bellissimo slogan, ma rivendicare il diritto di essere sexy non è femminismo: se rivendico sto chiedendo il permesso, e invece bisogna “fare”. E poi cos’è il sexy? Quello che propongono i media? O è uno sguardo, un comportamento che viene da dentro?». Il dibattito è aperto. Conclude Maria Luisa Frisa: «Il vero femminismo arriverà quando le donne capiranno che la seduzione e la sensualità non passano attraverso la sottomissione». Agli uomini, come anche alle idee degli altri. Quindi, signore, continuiamo a parlarne. Perché no, iniziando dal vestito.

Fiamma Sanò

1.3.1. Analisi giornalistica

Le riviste periodiche, come si può facilmente dedurre dall’analisi della loro struttura, presentano articoli di approfondimento assenti nei quotidiani. O meglio, se nei quotidiani è facile trovare pezzi di opinione e approfondimento, questi generalmente

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seguono le descrizioni cronachistiche delle collezioni. In un settimanale come «Grazia», invece, è molto più probabile riuscire a trovare l’analisi di un tema preciso relativo alle sfilate, grazie alla maggiore disponibilità di spazio e –soprattutto- di tempo. Il titolo dell’articolo La moda è femminista è costituito da un’espressione ferma, decisa, da una conclusione netta e definitiva. È un’informazione che viene data ai lettori, è la risposta a quella domanda che si trova nel testo: “la moda è femminista?”. Nel sottotitolo, poi, si spiega il motivo di quella dichiarazione, si offrono tutte le informazioni che hanno portato la giornalista a fare una determinata affermazione quale è quella del titolo. L’attacco è magistralmente eseguito: l’articolo si apre con la citazione di una fashion-

icon, ovvero una di quelle figure di riferimento nell’ambito della moda, emulata e

invidiata nei modi, nell’abbigliamento e nello stile di vita. Poi si lascia spazio alle famose 5 W: what, where, when, why, who. E più avanti si ha una breve descrizione di ciò che è stata la sfilata. Ma il nocciolo della questione è immediatamente messo in evidenza quando, ancora a inizio pezzo, si concentra l’attenzione sulla parte finale della sfilata di Chanel, proprio nel momento in cui le modelle sfilano con cartelli e messaggi di ispirazione femminista. Da qui, il tema è analizzato e scevrato in ogni sua parte grazie a opinioni di rilievo e commenti importanti. Diviso in paragrafi, l’articolo si sofferma su alcuni punti cruciali: cosa è successo, dunque cosa ha scatenato questo fenomeno nello specifico; la tematica del corpo, trait d’union tra moda e femminismo; le conseguenti polemiche. Il pezzo è chiaramente un articolo di parte, in quanto esprime un’opinione fin dal titolo. Eppure lo fa con cognizione di causa, dopo aver approfondito l’argomento in tutti i suoi aspetti, dopo aver ascoltato e valutato opinioni autorevoli e dopo aver osservato il fenomeno e le sue conseguenze con molta attenzione. La conclusione dunque si presenta come definitiva e ovvia, come l’unica risposta possibile a tutto questo movimento.

1.3.2. Analisi testuale

Nell’articolo di approfondimento di una rivista settimanale risulta evidente quanto il tempo e lo spazio a disposizione diano la possibilità a chi scrive di essere più preciso sia nell’argomentazione che nella struttura sintattica del testo. Si nota infatti una sintassi più esplicita e un minor numero di presupposizioni: ciò non implica l’assenza di frasi

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nominali, ma semplicemente la varietà di forme verbali. Il tono si fa confidenziale e amichevole e anche gli imperativi non sono ordini, imposizioni, bensì consigli che promettono qualcosa. In questo caso, ad esempio, si prendano in considerazione le ultime frasi del pezzo: “Quindi, signore, continuiamo a parlarne. Perché no, iniziando dal vestito”. La moda in funzione di altro si esplicita qui chiaramente, oltretutto sotto forma di invito e suggerimento, non di diktat.

L’articolo presenta diversi incisi appositivi, che permettono a tutti di seguire il ragionamento espresso tramite informazioni e notizie che magari non tutti i lettori possiedono. Come “fashion-icon ucraina”, in riferimento a Daria Shapovalova, “Moderne Simone de Beauvoir”, come la giornalista definisce e valuta le modelle, alludendo qui a questioni culturali e svolgendo addirittura una funzione didattica; “critico e curatrice di mostre relative al mondo della moda, direttore del corso di laurea in design della moda e arti multimediali all’Università Iuav di Venezia”, quando si riporta la citazione di Maria Luisa Frisa; “ex modella, giornalista e scrittrice”, come apposizione di Benedetta Barzini; “il mensile maschile del quotidiano «Il Sole 24 Ore»”, riferito a IL. E infine “stilista di Chanel”, quando si parla di Karl Lagerfeld. L’espressione “Questa meravigliosa operazione di comunicazione di Karl Lagerfeld”, in riferimento alla collezione e al messaggio veicolato dalla maison Chanel, è un incapsulatore anaforico che riassume sostanzialmente ciò che si è descritto nei periodi precedenti. Molte sono le anafore con sostituzioni lessicali (come “la stilista”, quando si parla di Stella McCartney) e pronominali (“mettendo la giacca alle donne degli Anni 80 ha dato loro la presenza di cui avevano bisogno in quel momento di grande ascesa professionale”; “Coco Chanel non fu la prima a levare il busto alle donne, l’aveva fatto già Paul Poiret, ma fu lei a capire prima di ogni altro che la donna doveva cambiare pelle e ha così impresso alla moda il suo spirito pragmatico”.

Inoltre, si noti la presenza di ellissi del soggetto quali “E non ha avuto torto” (il soggetto è Daria Shapovalova, citata nel periodo precedente) e “hanno indossato tailleur – pantalone doppiopetto bouclé, camicie in colori acquerello, tuniche in seta verde militare, borsoni da guerriglia […]” (quando si parla delle modelle). Molti sono i connettivi: “anche”, “come per esempio”, “dunque”, “quindi”, “così come”, “perfino”,

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“invece”; ma la coesione è data anche e soprattutto dalla professionalità con cui il ragionamento è condotto: introduzione al tema, tesi, antitesi e conclusioni. Le conclusioni, per l’appunto, sono costituite da frasi spezzate che accrescono le aspettative e creano la giusta enfasi fino alla frase finale, una vera e propria catarsi.

1.3.3. Lessico

È interessante notare come nell’articolo di approfondimento di «Grazia» i tecnicismi e i forestierismi siano davvero limitati. C’è sexy, certo, che deriva da sex e che appartiene anche al vocabolario italiano; c’è “tailleur-pantalone”, di uso comune; ci sono set e

design: il primo dall’Antico Inglese settan, di origine germanica, indica una locazione,

uno spazio dotato di un certo tipo di elementi tali da creare quella particolare situazione.

Design, invece, ha origine dal latino designare e dal suo derivato francese désigner e oggi

è tra i termini più usati per indicare tutto ciò che riguarda la grafica, la progettazione, il disegno in senso ampio specialmente negli ambiti più creativi come appunto la moda. Poi c’è la definizione fashion icon, neologismo entrato nell’uso comune a indicare tutte quelle ragazze che sono diventate famose grazie al loro stile, all’abbigliamento, alla partecipazione a eventi mondani e sempre in prima fila durante le sfilate: qualcuno potrebbe storcere il naso, ma in realtà il fenomeno ricorda –attualizzato e rivisitato, certo- quello delle flapper girls degli anni Venti, “ragazze trendy, disinibite e anticonvenzionali di allora, che portavano i capelli corti alla garçonne, amavano il jazz e i locali dove si ballava il Charleston, bevevano e fumavano”14. E infine c’è bouclé, dal

participio passato francese boucler, derivato di boucle e cioè riccio.

Il termine bouclé è in questo caso inscindibilmente legato alla casa di moda in questione, ovvero Chanel. È il 1954 infatti quando Coco Chanel, all’età di 71 anni, decide di ritornare in scena dopo anni di silenzio. Una nuova collezione, la N.5, che già dal nome essenziale si pone come un tentativo di rottura con la moda dell’epoca fatta di abiti sfarzosi, eccessi, lusso esuberante. Sono infatti anche gli anni di Christian Dior e del suo New

Look, una collezione che vuole chiudere con i sacrifici del passato, con il periodo delle

14 A. Puchetti, Flapper girls, in Trends, «Vogue.it», 07 Novembre 2011 http://www.vogue.it/trends/il- trend-del-giorno/2011/11/look-anni-20

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guerre e risvegliare gli animi delle donne con una moda che tanto ricorda quella dell’Ottocento. Lo stile di Chanel, invece, è completamente diverso: tailleur nell’elegante tessuto in tweed bouclé (per l’appunto), gonne fin sotto il ginocchio, confortevoli e avvolgenti; le giacche di ispirazione maschile, che garantiscono movimenti liberi e fluidi. Uno stile bon ton che associa all’eleganza il concetto di minimale. Un successo - inaspettato per molti - travolge la maison Chanel, i tailleur finiscono sulle copertine delle riviste di moda più importanti dell’epoca e le icone di stile più celebri, come Brigitte Bardot e Grace Kelly, si innamorano perdutamente della giacca in lana bouclé. Negli anni, con la nuova direzione artistica di Karl Lagerfeld, la giacca Chanel è stata rivisitata, decorata, arricchita e indossata nei colori più sgargianti o in quelli più tenui, riuscendo a mantenere la classe e l’eleganza di un tempo. D’altronde, come dice lo stesso Lagerfeld: “Ci sono tre cose che non passeranno mai di moda: i jeans, la camicia bianca e la giacca Chanel”.

Sono tante poi le citazioni in lingua inglese o francese presenti nell’articolo: quelle impresse sulle borse o sui maxi cartelloni portati in passerella. Ma tutte sono magistralmente tradotte dalla giornalista per consentire al lettore di comprendere pienamente il messaggio che si vuole veicolare. Non è detto, infatti, che il target di riferimento di «Grazia» abbia estrema padronanza del francese o dell’inglese, caratteristica che ci si aspetta maggiormente da un lettore di «Vogue» ad esempio o di un qualunque giornale maggiormente specializzato. Questo perché le lingue citate sono quelle più usate nel mondo del business e della moda in particolare, ma «Grazia», che si rivolge a un’audience molto ampia e di livello socioculturale medio-alto, deve tener conto anche di chi potrebbe non avere particolari conoscenze in materia. Accorgimenti professionali, dunque, che mancano invece negli articoli dei quotidiani, laddove spesso si riportano frasi, tecnicismi e forestierismi non spiegati e non tradotti. Eppure, il target del «Corriere della Sera», de «La Repubblica» o de «La Stampa» è ancora più ampio e variegato di quello del settimanale femminile che potrebbe anche fare a meno di far uso di certe accortezze nei confronti dei lettori, doverose e obbligatorie invece proprio per un giornale quotidiano.

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1.3.4. Leggibilità

L’articolo di approfondimento del settimanale «Grazia» presenta, secondo l’analisi svolta dal tool Read-it, un livello di difficoltà stabilito dal Dylan BASE pari al 41,8%. Il Dylan LESSICALE presenta un livello di difficoltà del 96,8% e invece il Dylan SINTATTICO ha una percentuale di difficoltà del 63,7%. Da ciò deriva che il Dylan GLOBALE presenta un livello di difficoltà pari al 97,6%. Il Gulpease presenta un livello di semplicità del 55,5. L’articolo è diviso in 55 periodi, la cui lunghezza media è pari a 21,9 parole, e 1423 parole (in token), la cui lunghezza media è di 4,9 caratteri. La percentuale di lemmi appartenenti al Vocabolario di Base è pari al 67,2%, di cui l’81,4% fanno parte del nucleo fondamentale, il 16% di quelle ad alto uso e il 2,7% costituiscono l’insieme delle parole ad alta disponibilità. Il rapporto tipo/unità (calcolato rispetto alle prime cento parole del testo) è di 0,750 e la densità lessicale è 0,595. I sostantivi costituiscono il 18,8% delle categorie morfosintattiche dell’articolo, i nomi propri il 5,9%, gli aggettivi il 6,5% e i verbi il 15,6%; inoltre, il 4,9% delle categorie, costituito dalle congiunzioni, è composto da un 68,6% di coordinanti e un 31,4% di subordinanti. Il numero medio di proposizioni per periodo è di 2,723, le quali proposizioni sono così suddivisibili: il 67,7% è composto da principali e il 32,3% da subordinate. Il numero medio di parole per proposizione è 8,040 e il numero medio di dipendenti per testa verbale è 1,932. Per quanto riguarda la “misura” della profondità dell’albero sintattico, la media delle altezze massime è 5,651 e la profondità media di strutture nominali complesse è 1,261. La profondità media di “catene” di subordinazione è 1,125. Infine, riguardo alla “misura” della lunghezza delle relazioni di dipendenza (calcolata come distanza in parole tra testa e dipendente), il tool Read-it suggerisce che la lunghezza media è di 2,228 e la media delle lunghezze massime 8,292.

Dal punto di vista della proiezione della leggibilità sul testo, si nota che il testo appare particolarmente difficile laddove vengono utilizzati nomi propri o espressioni straniere. La differenza qui, rispetto agli altri articoli analizzati, è che, come si è detto, tutto ciò che potrebbe essere di difficile comprensione viene tradotto e spiegato. Quindi la difficoltà stabilita dal tool Read-it è comunque relativa. Ad ogni modo, tra i punti più complessi qui viene citato il periodo “«Sicuramente sarà la sfilata più vista su Instagram», ha scritto

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Daria Shapovalova, la fashion-icon Ucraina, a proposito della collezione primavera- estate 2015 di Chanel, presentata a Parigi lo scorso 30 settembre”, la cui difficoltà è pari al 94,6% e “Moderne Simone De Beauvoir, hanno indossato tailleur – pantalone doppiopetto bouclé, camicie in colori acquerello, tuniche in seta verde militare, borsoni da guerriglia e tracolline con su scritto: “Je ne suis pas en solde”, e cioè non sono in svendita”, punto in cui il livello di difficoltà cresce fino al 98,4%. I periodi più complessi risultano essere “Ed è quello che effettivamente succede secondo Paola Peduzzi che, sull’ultimo numero di IL, il mensile maschile del quotidiano «Il Sole 24 Ore», traccia una panoramica del fenomeno, nel quale si rimettono in discussione i dogmi del movimento “ortodosso””, la cui percentuale di difficoltà globale è del 99,5% e “Non è un caso dunque che Parigi, capitale della moda e della bellezza, sia stata “travolta” dal femminismo durante le sfilate” il cui livello di difficoltà è del 99,7%. Il periodo “L’attore

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