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Il giornalismo di moda: analisi linguistica di un complesso sistema comunicativo.

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Academic year: 2021

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“La moda, in questi tempi governati dalle macchine,

è uno degli ultimi rifugi dell’umanità,

della personalità, dell’inimitabile.”

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INDICE

Introduzione 5

Capitolo I 13

1. «Il Corriere della Sera» 13

1.1 «Il Corriere della Sera» – 18 settembre 2014 13 1.1.1 Analisi giornalistica

1.1.2 Analisi testuale 1.1.3 Analisi lessicale 1.1.4 Leggibilità

1.2 «Il Corriere della Sera» – 19 settembre 2014 23 1.2.1 Analisi giornalistica

1.2.2 Analisi testuale 1.2.3 Analisi lessicale 1.2.4 Leggibilità

2. «La Repubblica» 32

2.1. «La Repubblica» – 18 settembre 2014 32

2.1.1. Analisi giornalistica 2.1.2. Analisi testuale 2.1.3. Analisi lessicale 2.1.4. Leggibilità

2.2. «La Repubblica» – 19 settembre 2014 36

2.2.1. Analisi giornalistica 2.2.2. Analisi testuale 2.2.3. Analisi lessicale 2.2.4. Leggibilità

2.3. «La Repubblica» – 19 settembre 2014 41

2.3.1. Analisi giornalistica 2.3.2. Analisi testuale 2.3.3. Analisi lessicale 2.3.4. Leggibilità

3. «La Stampa» 45

3.1. «La Stampa» – 19 settembre 2014 45

3.1.1. Analisi giornalistica 3.1.2. Analisi testuale 3.1.3. Analisi lessicale 3.1.4. Leggibilità

4. «Il Sole 24 Ore» 50

4.1. «Il Sole 24 Ore» – 18 settembre 2014 50

4.1.1. Analisi giornalistica 4.1.2. Analisi testuale 4.1.3. Analisi lessicale 4.1.4. Leggibilità

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3 Capitolo II 58 1. «Grazia» 58 1.1. Il redazionale 60 1.2. La rubrica 61 1.3. L’articolo di approfondimento 62 1.3.1. Analisi giornalistica 1.3.2. Analisi testuale 1.3.3. Analisi lessicale 1.3.4. Leggibilità 2. «Gioia!» 72 2.1. I redazionali 73 2.2. Le rubriche 75 2.3. L’articolo 76 2.3.1. Analisi giornalistica 2.3.2. Analisi testuale 2.3.3. Analisi lessicale 2.3.4. Leggibilità 3. «Vogue» 79

3.1. L’articolo di approfondimento: Stylish riot 82 3.1.1. Analisi giornalistica

3.1.2. Analisi testuale 3.1.3. Analisi lessicale 3.1.4. Leggibilità

3.2. L’articolo di approfondimento: Active inspiration 89 3.2.1. Analisi giornalistica 3.2.2. Analisi testuale 3.2.3. Analisi lessicale 3.2.4. Leggibilità 3.3. Le rubriche 96 3.4. Il redazionale 97 4. «Via Condotti» 99

4.1. L’articolo di approfondimento: Soffici pensieri per la testa 100 4.1.1. Analisi giornalistica 4.1.2. Analisi testuale 4.1.3. Analisi lessicale 4.1.4. Leggibilità Capitolo III 107 1. Il giornalismo online 107 1.1. «Repubblica.it» 111 1.1.1. Analisi giornalistica 1.1.2. Analisi testuale 1.1.3. Analisi lessicale

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4 1.1.4. Leggibilità 1.2. «Style.corriere.it» 116 1.2.1. Analisi giornalistica 1.2.2. Analisi testuale 1.2.3. Analisi lessicale 1.2.4. Leggibilità 1.3. «Fashion Magazine» 121 1.3.1. Analisi giornalistica 1.3.2. Analisi testuale 1.3.3. Analisi lessicale 1.3.4. Leggibilità 1.4. «Vogue.it» 126 1.4.1. Analisi giornalistica 1.4.2. Analisi testuale 1.4.3. Analisi lessicale 1.4.4. Leggibilità 1.5. «Marie Claire» 130 1.5.1. Analisi giornalistica 1.5.2. Analisi testuale 1.5.3. Analisi lessicale 1.5.4. Leggibilità

2. Il fenomeno dei fashion blogger 138

2.1. «The Blonde Salad» 140

2.1.1. Analisi giornalistica 2.1.2. Analisi testuale 2.1.3. Analisi lessicale 2.1.4. Leggibilità 2.2. «Irene’s Closet» 145 2.2.1. Analisi giornalistica 2.2.2. Analisi testuale 2.2.3. Analisi lessicale 2.2.4. Leggibilità 2.3. «Purses&I» 151 2.3.1. Analisi giornalistica 2.3.2. Analisi testuale 2.3.3. Analisi lessicale 2.3.4. Leggibilità Conclusioni 156 Glossario 160 Bibliografia 225

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Introduzione

1. Le capricciose, altere e petulanti parole della moda

“Ecco le capricciose, altere e petulanti parole della moda, delle eleganze, della mondanità, pesate come iridate farfalle sui fiori del giornalismo, prediletto loro veicolo, per giungere dall’estero in questa troppo ospitale terra d’Italia”1. Sono parole di A.

Panzini che provano a inquadrare ed etichettare la moda e le parole della moda. Perché la moda è capricciosa, viziata, volubile, vittima e carnefice dei tempi che cambiano e si evolvono in modo inatteso e imprevedibile. È lo spauracchio di chi non la comprende, un nemico per chi la giudica, una divinità per chi ne fa parte. È quel fenomeno sociale che da sempre ha influenzato, guidato e assecondato le scelte dell’uomo. Perché a fare la moda è l’uomo stesso, è la società, sono tutti quei comportamenti, gli usi e i costumi che si intrecciano ed evolvono nel corso del tempo, è il risultato di guerre, crisi economiche, rivoluzioni culturali, è il modo più immediato che l’uomo conosca per esprimere esigenze, necessità, credi e ideali. Basti pensare al peplo offerto alla dea Atena dalle donne greche, come atto solenne e simbolo di devozione; o al mantello, che fino al Medioevo indossavano esclusivamente i nobili per indicare la loro dignità. O ancora alle parrucche, espressione di ricchezza e sfarzo fin dai tempi degli antichi Egizi, reintrodotte ai tempi di Luigi XIII prima e Luigi XIV poi, diventando affascinanti costruzioni monumentali. Poi arrivano le guerre, la fame, i cappotti da trincea per ripararsi dal freddo e le donne che abbandonano corpetti e bustini per rivestire un nuovo ruolo, fatto di emancipazione e consapevolezza. Spopolano allora le giacche dal taglio maschile, i pantaloni palazzo che permettono libertà di movimento a chi li indossa e gli armadi delle donne si fanno androgini, assecondati da nuovi tagli di capelli e nuove abitudini. Gli orli delle gonne si allungano, prevalgono i colori scuri che diano un senso di severità. Le dittature impongono giacche lunghe, tessuti ruvidi e pesanti e tagli austeri. Ma basterà ritornare alla normalità, alla libertà quotidiana, alla ripresa economica perché stilisti e donne di tutto il mondo inizino a pensare all’abbigliamento in modo completamente nuovo: le gonne si accorciano irrimediabilmente, gli scolli si espandono, il punto vita si stringe sempre più. Ma non è solo questione di apparenza: il

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modo in cui ci si veste, ci si muove, si sceglie di mostrarsi al mondo è una vera e propria scelta consapevole di chi e come si vuole essere. Come quando, durante le rivoluzioni femministe tra gli anni Sessanta e Settanta, si bruciano i reggiseni nelle piazze, considerati sinonimo di costrizione e sottomissione all’uomo. O ancora quando le distinzioni di genere si affievoliscono creando un’affascinante fusione tra le parti. La moda, dunque, è in continuo divenire, è frutto di scelte e di piccoli passi verso la rivoluzione dei costumi, dei ruoli, delle idee: motivo per cui c’è chi non la comprende, c’è chi la critica, c’è chi la ama.

Negli ultimi anni il legame tra moda e consumismo – derivato da una stretta e reinterpretata nel tempo relazione tra moda e lusso – ha generato una vera e propria frattura tra chi condanna il fashion system e chi ne fa parte. Vittima di facili pregiudizi, infatti, il mondo della moda è difficile da incasellare in un pensiero data la sua volubilità e il suo modo di essere e non essere contemporaneamente, ovvero di includere ed escludere con tanta facilità. Per questo motivo scrivere di moda in certi casi può essere considerato come un controsenso,

un tradimento, una traduzione, un estremo tentativo di fissare la spaziatura in cui ci si mostra, la soglia oltre la quale appariamo come identità, zona liminare che non è fondata dalla scrittura o da ogni altra forma di rappresentazione codificata, ma invece le fonda, le rende possibili. La moda – ciò che i sapienti hanno relegato nell’effimero, nella superficie, nel trucco – non appartiene al significante bensì al significato, all’essere prima ancora che ci sia, prima che trovi la sua apparenza, la sua territorialità, il suo esserci. […] La moda va al contrario sentita soprattutto come sfera di un territorio esorbitante, di una indefinita vastità che non riesce ad affermarsi, a farsi mondo se non in parte. La moda è il farsi e disfarsi di questa parte grazie a ciò che, insoddisfatta, le preme dentro. A costituire il luogo di una negoziazione dei significati della moda dovrebbe dunque essere proprio questa inascoltata pressione della moda contro la sua attuale modellizzazione2.

Ma per quanto addentrarsi nei molteplici significati della moda sia ormai quasi diventato obbligatorio e necessario per riconsegnare alla moda pregi, diritti e privilegi che le spettano, in questa sede ci occuperemo esclusivamente di un particolare aspetto della

2 AA.VV. Communifashion. Sulla moda, della comunicazione, a cura di A. Abbruzzese, N. Barile, Luca Sossella editore, Roma 2001, p. 20

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moda stessa ovvero il modo in cui essa viene comunicata. Ed è curioso notare come una delle espressioni più nobili del fashion system, ovvero la scrittura, il modo in cui essa viene raccontata attraverso le parole e le immagini, sia vittima anch’essa di svalutazione e biasimo. Spesso infatti al giornalismo di moda non viene dato lo stesso credito che può essere attribuito a quello politico, economico o alla cronaca nera. Relegate quasi a testate di gossip, le riviste settoriali si ritrovano a fare i conti da un lato con la volontà e la necessità di raccontare la moda come un avvenimento sociale e culturale, dall’altro con i pregiudizi e le abitudini di chi poi la rivista la legge. Così si crea un circolo vizioso che si nutre di controsensi: scegliere un linguaggio aulico, incomprensibili forestierismi, tecnicismi estranianti, costruire frasi e periodi tenendo conto più del significante che del significato, parlare di moda aggrappandosi alle espressioni più evocative dei comunicati stampa, sembrano essere le modalità più adatte per ricreare un’atmosfera reboante ed esclusiva. Facendo ciò si trascura il target di riferimento e si reclude la moda ancora di più in una torre d’avorio in cui lei stessa – per quanto capricciosa e petulante – non ha chiesto di stare.

2. La scelta del corpus

È risultato doveroso e senza dubbio affascinante allora addentrarsi in un’analisi complessa e variegata (proprio come è la moda stessa) di un sistema comunicativo irregolare e imprevedibile come è quello della moda. I venti articoli analizzati sono tratti da quattro quotidiani, ovvero il «Corriere della Sera», «La Repubblica», «La Stampa» e «Il Sole 24 Ore», quattro periodici e cioè «Grazia», «Gioia!», «Vogue» e «Via Condotti», e infine quattro testate online («d.repubblica.it», «style.corriere.it», «fashionmagazine.it» e «marieclaire.it») e tre fashion blog («The Blonde Salad», «Irene’s Closet», «Purses&I»). I pezzi dei quotidiani raccontano tutti le prime due giornate della manifestazione Milano Moda Donna, ovvero la settimana della moda milanese che si è svolta dal 17 al 22 settembre 2014 per presentare le collezioni donna per la Primavera/Estate 2015. Secondo calendario, e come si evince dagli articoli analizzati, hanno sfilato il 17 e il 18 settembre nomi altisonanti come Prada, Emporio Armani e Fendi, su cui tutti i giornalisti si sono soffermati in maniera inequivocabile e poi i giovani

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come Stella Jean, Andrea Incontri, Fausto Puglisi a cui generalmente è dedicato sempre uno spazio ristretto.

Gli articoli dei periodici sono stati scelti in base a quelle tematiche che meglio potessero spiegare il punto di vista della testata stessa e l’approccio di questa con la moda. «Grazia», ad esempio, si addentra nel campo sociopolitico e nell’articolo di approfondimento prova ad analizzare i tanto discussi rapporti tra moda e femminismo in relazione alle sfilate che si sono svolte tra i mesi di settembre e ottobre 2014 e che hanno riportato in auge l’argomento. Della testata «Gioia!» è stato scelto l’articolo pubblicato prima dell’inizio delle Fashion Week in cui il Vicedirettore moda Michela Gattermayer ammette che per prepararsi a quel difficile e stressante mese ha scelto di trascorrere un finesettimana di relax a Madonna di Campiglio dove può vestirsi come meglio crede, senza sentirsi in obbligo di seguire le regole della moda: prospettiva tipica, come vedremo, per una testata come «Gioia!». Il mensile «Vogue» si distingue per gli argomenti scelti: nel primo articolo analizzato si racconta di due stilisti ucraine emergenti, del loro rapporto con gli eventi storici e politici, del modo di intendere e fare moda. Nel secondo articolo invece ci si concentra sulla collaborazione tra lo stilista Alexander Wang e la catena svedese di abbigliamento low-cost H&M. Infine, anche l’articolo pubblicato su «Via Condotti» e qui analizzato racconta di una collezione precisa (quella di Borsalino per la Primavera/Estate 2013), ma lo fa – come vedremo – a modo suo. I redazionali e le rubriche risulteranno essere poi preziosi per comprendere meglio le diverse prospettive da cui le testate guardano la moda: tutti raccontano delle tendenze della stagione, ma ogni esempio lo fa in maniera diversa.

Gli articoli online e i post dei tre fashion blog selezionati si concentrano invece su tre aspetti principali: le tendenze (e in particolar modo una delle tendenze più diffuse tra l’estate 2014 e quella 2015, ovvero il crop top), la propria personale prospettiva e le sfilate milanesi svoltesi tra il 17 e il 18 settembre 2014. Per quanto riguarda inoltre la scelta delle testate, dei magazine e dei blog, ci si è basati sulla distribuzione, sulla diffusione e sulla notorietà degli stessi, cercando di puntare a target e approcci differenti.

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Ricorrendo a testi di approfondimento sul giornalismo cartaceo e online, sulla comunicazione di moda e sulla linguistica italiana, ogni articolo è stato analizzato da un punto di vista giornalistico e dunque sono stati presi in considerazione aspetti come la costruzione dell’articolo, il tema trattato, la scelta del titolo, la presenza di snodi più o meno efficaci e il tono di voce (ovvero il punto di vista del redattore e il modo in cui chi scrive si rivolge al lettore). L’analisi testuale invece si concentra su particolari fenomeni sintattici, sui principi di coesione e coerenza e sui vari escamotage che favoriscono la loro presenza in ogni articolo. L’analisi lessicale è un commento sulla scelta del vocabolario e dei termini utilizzati, con un’attenzione particolare a forestierismi e tecnicismi. Un contributo importante si deve al tool READ-IT3, che permette di valutare

e misurare scientificamente la leggibilità di un testo. A conclusione del lavoro si allega un glossario organizzato da un punto di vista semantico e che offre un’analisi specifica di ogni singolo termine particolare, ogni forestierismo o tecnicismo presente negli articoli proposti.

3. Il tool READ-IT

Antenati dello strumento utilizzato in questa sede sono la formula di Flesch-Kincaid4 per

la lingua inglese e l’indice Gulpease5 per la lingua italiana, ma ci si è presto accorti di

quanto entrambi i misuratori offrissero risultati incompleti e insufficienti in quanto si basavano su un numero ridotto di variabili linguistiche, quali la lunghezza media delle frasi e la lunghezza media delle parole. Il tool READ-IT invece, che fa uso della piattaforma AnIta sviluppata presso l’Istituto di Linguistica Computazionale Antonio Zampolli (ILC – CNR), permette un’analisi da un punto di vista lessicale, morfosintattico e sintattico sia in relazione alla singola frase che al testo generale.

3 F. Dell’Orletta., S. Montemagni, G. Venturi, READ-IT: Assessing Readability of Italian Texts with a View to

Text Simplification, in Proceedings of the Workshop on Speech and Language Processing for Assistive Technologies

(SLPAT 2011), Edimburgo, 30 Luglio 2011, pp. 73-83, http://aclweb.org/anthology/W/W11/W11-2308.pdf

4 Tra il 1972 e il 1986 Roberto Vacca e Valerio Franchina elaborano un adattamento della formula Flesch-Kincaid per la lingua italiana.

5 Nel 1982 Il Gulp –Gruppo universitario linguistico pedagogico dell’Università degli studi di Roma La Sapienza- ha proposto una formula atta a indicare la leggibilità di un testo in lingua italiana. Sopra il Gulpease 50, il testo si può definire difficile.

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Lo strumento utilizzato in questa sede offre un’analisi globale della leggibilità suddivisa in valutazione della leggibilità di un dato documento dal punto di vista di quattro indici di leggibilità e la ricostruzione del profilo linguistico del testo attraverso parametri specifici. Per quanto riguarda la leggibilità di un testo, il tool READ-IT ricorre, come altri strumenti di analisi simili, a una classificazione probabilistica tenendo in considerazione tre parametri: l’insieme delle categorie linguistiche da assegnare, l’insieme dei testi analizzati e classificati precedentemente come base da cui partire, l’insieme dei tratti descrittivi di proprio interesse. Così lo strumento in questione lavora sul testo arricchito di informazione linguistica, conduce una classificazione probabilistica rispetto alle classi di leggibilità e complessità e lo fa basandosi su tre tratti specifici: informazione lessicale, morfo-sintattica e sintattica. Nello specifico, la valutazione globale della leggibilità di un testo è analizzabile e suddivisibile in base a quattro modelli specifici: il Dylan BASE, che considera le tipiche caratteristiche prese in considerazione quando si analizza un testo da un punto di vista della leggibilità e dunque la lunghezza della frase e la lunghezza delle parole; il Dylan LESSICALE si concentra sulle caratteristiche lessicali del testo; il Dylan SINTATTICO si basa su elementi morfosintattici e sintattici; il Dylan GLOBALE su una combinazione di diversi tratti che spaziano da quelli considerati dal Dylan BASE a quelli del Dylan LESSICALE e SINTATTICO. La difficoltà è espressa attraverso la percentuale e visivamente attraverso una barra che cambia colore dal verde al rosso in base alla complessità del testo sotto quel determinato punto di vista.

Le caratteristiche estratte dal testo, forniteci dal tool READ-IT, risultano fondamentali per il linguista. Il profilo di base fornisce informazioni sul numero totale di parole e periodi presenti nel testo e sulla lunghezza media degli stessi. Il profilo lessicale è distinto in tre sottoinsiemi: composizione del vocabolario, rapporto tipo/unità e densità lessicale. Per quanto riguarda la composizione del vocabolario, questa fa emergere il tipo di vocabolario utilizzato offrendo la percentuale dei lemmi presenti nel testo e appartenente al Vocabolario di Base, suddivisibile in Nucleo fondamentale (che include circa 2000 parole usate e conosciute da chi possiede almeno un’istruzione elementare), Alto uso (che include circa 3000 parole usate e conosciute da chi possiede almeno un’istruzione media), Alta disponibilità (ovvero quelle 2000 parole circa conosciute

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diffusamente ma utilizzate solo all’occorrenza). Per quanto riguarda il rapporto tipo/unità, calcolato in base alle prime cento parole del testo, è uno dei metodi più diffusi per valutare la varietà lessicale di un testo. Esso si presenta come una frazione numerica tra parole tipo e occorrenze delle unità del vocabolario di un testo: il rapporto va da 0 (testi il cui vocabolario è poco vario) a 1 (testi in cui la varietà lessicale è alta). Infine la Densità lessicale è il rapporto tra parole piene e cioè portatrici di significato e parole vuote (come articoli, preposizioni e pronomi). Il profilo sintattico si distingue in analisi morfosintattica e sintattica. Nello specifico, la “misura” delle categorie grammaticali riguarda la distribuzione delle categorie stesse all’interno del testo analizzate caso per caso; le articolazioni interne del periodo e della proposizione offrono invece un approccio più specifico sul numero medio di proposizione per periodo e di parole per proposizione oltre che sulla differente distribuzione di principali e subordinate all’interno del testo. La “misura” della profondità dell’albero sintattico invece riguarda i livelli di incassamento gerarchico che possono variare in base alla presenza e alle relazioni delle subordinate all’interno di un periodo. La “misura” della lunghezza delle relazioni di dipendenza è calcolata invece come la distanza in parole tra la testa e il dipendente: maggiore è la distanza tra essi, maggiore può dirsi la complessità.

Un altro aspetto fondamentale fornitoci dal tool READ-IT è la proiezione della leggibilità sul testo che identifica e classifica i luoghi di maggiore complessità del testo non solo attraverso le percentuali ma anche visivamente attraverso le barre di colore che variano dal verde (luoghi leggibili) al rosso (luoghi molto complessi). Pensato per i redattori che vogliano rivedere il proprio testo, la proiezione della leggibilità consente anche di visualizzare sotto quale aspetto, se lessicale, di base o sintattico, ciò che si è scritto risulta più difficile: uno strumento dunque utilissimo per chi scrive e che è risultato ancora più utile per l’analisi che segue dal momento che ci ha fornito un’immagine chiara della leggibilità o meno di ogni singolo articolo.

Attraverso l’analisi svolta da un punto di vista giornalistico, testuale e lessicale e grazie anche all’utilizzo di uno strumento come il READ-IT appena esposto, si cercherà in questo lavoro di far emergere differenze, somiglianze e peculiarità di modi differenti di

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scrivere di moda. D’altronde, in un’epoca in cui la moda vive di giudizi e pregiudizi, di canoni ed etichette, di biasimo e incomprensioni; in un periodo in cui fare giornalismo di moda è sinonimo di inferiorità culturale, sociale e professionale, sviscerarne i suoi contenuti e puntare all’essenza è parso necessario. Un modo per restituire alla moda la dignità che merita, per riabilitarla agli occhi di chi non la conosce o – peggio – la disprezza. Un atto di rispetto per quella che è senza dubbio una straordinaria forma d’arte.

Diciamo la verità: il mondo del giornalismo di moda non offre una grande immagine sotto quegli importanti riflettori della società che sono cinema e letteratura. Capire perché è al tempo stesso facile e impossibile. Si tratta infatti di un mestiere fantastico che ti mette davvero a contatto con bellezza, futuro e creatività: la materia di cui sono fatti i sogni. Tutto ciò produce poi un business colossale che in Italia rappresenta la seconda voce attiva della bilancia dei pagamenti (il primo è il turismo) e che in Francia è una gloria nazionale fin dai tempi di Jean-Baptiste Colbert, ministro delle Finanze sotto il Re Sole. Dunque è impensabile che a farlo siano solo delle favolose nullità con un unico problema da risolvere: essere abbastanza magre per entrare nei modelli da passerella. C’è anche questo, inutile negarlo. Ma non può mancare quel misto di talento, dedizione e competenza che qualunque progessione altamente specializzata esige6.

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CAPITOLO I

1. Il «Corriere della Sera»

I giornali quotidiani raccontano di moda generalmente solo durante gli eventi istituzionali più noti: le fiere, gli eventi mondani e, soprattutto, le settimane della moda. Il modo in cui lo fanno non è molto diverso dalla stesura di un articolo di cronaca: attacco, snodo e conclusione con tanto di descrizione cronachistica di ciò che è successo e di ciò che il giornalista ha visto durante lo show. La giornalista italiana del «Corriere della Sera» Paola Pollo ha una penna veloce e vivace e, all’interno dei suoi articoli, i periodi spezzati e ritmati mantengono alta l’attenzione senza andare troppo in profondità. Gli articoli Gucci e il puzzle di stampe del 18 settembre 2014 e Prada,

eleganza senza tempo del 19 settembre 2014 presentano delle caratteristiche

particolari e assenti negli altri pezzi visionati ai fini dell’analisi.

1.1 («Corriere della Sera» – 18 settembre 2014)

Lo street sartoriale di Fay e le maglie 3D di Puglisi. Incontri: la mia collezione sta in una valigia

Gucci e il puzzle di stampe «Il vero lusso? L’artigianato»

Le nuove lavorazioni di Frida Giannini. Alberta Ferretti e i capolavori di tulle, pelle, ricami

MILANO — Un po’ donna per bene, elegante e sofisticata con il suo trench di camoscio accostato alla vita, secondo i codici di una certa borghesia magari per metà sangue blu, alla Charlotte Casiraghi, per capirci. E un po’ ragazzaccia del rock che sceglie miniabiti e gilet di pelliccia patchwork, ma comunque mantiene quel certo non so che di chic da renderla divina anche se un po’ irriverente, alla Kate Moss, giustappunto. Ogni riferimento è puramente casuale però eccole, proprio lì in prima fila, alla sfilata di Gucci, a chiacchierare, ad attrarre e a far riflettere sui paralleli. Perché indubbiamente la nuova collezione della griffe con la G per la prossima estate sembra proprio fatta per due come loro. Facce di una stessa medaglia: personalità forti, libere, eccentriche. Che scelgono di vestire come piace a loro e non certo perché così fan tutte. Semmai sono le

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altre a fare come loro. Pescando nel guardaroba si divertono a mixare questo e quello. Il trench e il gilet, due pezzi iconici certo, ma anche le gonne pantalone, le braghe da marinaio, le piccole giubbe-divisa, lo scamiciato, il jeans, l’abito per la sera corto e sbuffante e ricamato. Dettagli non da poco: dalla tracolla a banda larga (ben studiati la nuova messenger e il secchiello) alle incredibili lavorazioni dei patchwork, persino stampati. «È stato un modo nuovo per esprimere al meglio — racconta Frida Giannini — la nostra artigianalità». E corre un po’ su questo fil rouge la prima giornata della settimana di moda milanese. Libertà di essere, dunque personalità, e lavorazioni made in Italia, per fare la differenza. Orgogliosamente Alberta Ferretti invita tutti a toccare con mano i suoi piccoli capolavori di tulle o di pelle o di ricami. Vesti lunghe a balze di chiffon color carne, pantaloni di macramè, camicie con una sottile imbracatura di cuoio e fiori; un abito canestro di fettucce d’organza o di macramè applicato; la gonna di denim lavato e termosaldato sul velo. Poi una, ancor più convincente, storia di frange di camoscio per poncho e lunghi gilet che si indossano sulle leggerezze di cui sopra. La tinta nuda per alleggerire, se mai ce ne fosse stato bisogno. Che si siano messi tutti d’accordo nel «complotto della leggerezza»? In ordine sparso, ecco per esempio, Andrea Incontri che, addirittura, assicura che l’intera collezione (più di trenta look) sta in una valigia. Tutto ruota intorno a una piccola camicia (ovviamente impalpabile) che è piatta come un fazzoletto. Gli abiti sono come fogli posati sui corpi. Tinte unite chiare o stampe come fiori mossi dal vento. Ai piedi sandali-piuma in neoprene. Francesco Scognamiglio, in stato di grazia «perché indipendente», scomoda Afrodite e madame Gres e il ricamatore del Vaticano per raccontare in parole i suoi abiti diligentemente anni Trenta, dunque accollati e longuette. In stoffa traduce in aloni di chiffon e organze, pizzo e jacquard di seta, tulle e rete. Azzurri baby e rosa e bianco e pesca e poi nero «rock». Sete a gogò per caftani e pepli e tuniche e drappeggi vari&eventuali da Angelos Bratis che, essendo greco è per dna impalpabile.

Ma la moda è bella perché è varia e per fortuna. Colori e flash e follie dove c’è la street art e lo sport e tanta vitaminica gioventù per esempio da Fay dove

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Aquilano e Rimondi rincarano la dose di antiossidanti per esempio all’iconica Field Jacket e così in rete e scuba e jeans e seta, la giacca in questione si toglie parecchi ma parecchi anni. E poi gli abiti canotta di pelle e le piccole mini svasate, i bragoni over di paillettes, la felpa gilet, il jeans con il grembiulino, lo zaino come borsa cool e la sneaker da basket a tacco dieci: ogni pezzo comunque una storia couture Perché giocare con la moda non è un peccato. Prendi Alessandro Dell’Acqua che per la sua N°21, per esempio, ha scelto dei graziosi porta binocoli come borsette e grandi fiocchi come sandali, poi i ricami su camicie e abiti e felpe ha voluto che fossero come imbragature da paracadutista ma di cristalli. E il tartan punk lo ha ricamato di fiori. Per non parlare di Antonio Marras che al battesimo della passerella di I’M Isola sceglie Pierolino, il suo cagnetto, a simbolo della University of Alghero per ragazze in basco (sardo) e righe (collegiali) e t-shirt e gonnellone e braghe e scamiciati e sandali. Molto divertente.

Più matura e giusta la sfilata di Fausto Puglisi: sì il ragazzo si è fatto grande. Eccentrici i rimandi e le ispirazioni dai mosaici romani a Courrèges, dall’inventore del topless Rudi Gernreich a Star Wars, da Odissea nello spazio a Barbarella , ma di sostanza i capi: maglie (made in Gil- mar) tridimensionali, mini dalla svelta linea ad A, abiti gilet, camicie giubbotto. Bravo, sì.

Stella Jean non abbandona la strada dell’etnico ma la rinnova con bravura (sartorialità italiana) e furbizia: l’Haiti delle origini (da parte di madre), quella dei dipinti naif di vita quotidiana, è sparata su abiti e gonne e maglie e bomber in colori e disegni. Tutti hanno contribuito all’ethical fashion di Stella: haitiani (gioielli) ma anche il Mali (le stampe) e il Burkina Faso (le stoffe). Ispirazione Africa pure da Byblos dove sfilano moderne (e sportive) guerriere Masai, molto tecno-etno couture: gonne corte svasate, maglie a intarsio e abiti taglia in vita. Interessante.

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1.1.1. Analisi giornalistica

Fin dal titolo annuncia uno stile nominale che sarà sempre più forte nel corpo, ma questo poco suggerisce dal momento che moltissimi titoli oggi presentano questa peculiarità. Evocative, allusive e con giochi di parole sorprendenti, le titolature di molti articoli – specialmente di quelli di moda – attirano l’attenzione o la distolgono definitivamente. A volte non centrano il punto, altre volte si concentrano – come in questo caso – su un solo aspetto, relegando a occhiello e sottotitolo gli altri eventi o trascurandoli del tutto. Certo è che i titoli dei giornali quotidiani “sono quelli che consacrano davvero la nascita di un nuovo fenomeno”7 o lo distruggono del tutto.

Nel primo pezzo redatto da Paola Pollo e qui analizzato, la giornalista concede ampio spazio a Gucci, noto marchio fiorentino e tra i più importanti a sfilare il 17 settembre a Milano. Questo lo si evince dallo spazio ad esso riservato non solo dal «Corriere della Sera» ma anche, come vedremo, dagli altri quotidiani. Qui l’occhiello è invece dedicato a Fay, Puglisi e Incontri: brand meno noti e, per di più, gli ultimi due emergenti. Il sottotitolo riprende ancora Gucci e concede spazio anche alle maestrie di Alberta Ferretti, secondo marchio più importante della prima giornata della Milano Fashion Week. Sia qui che altrove, infatti, ritroviamo il brand omonimo proprio in seconda posizione.

L’articolo del «Corriere della Sera» ha inizio trattando un fatto di “cronaca”, ovvero la presenza di due ospiti d’eccezione alla sfilata di Gucci: si tratta di Kate Moss e Charlotte Casiraghi, entrambe testimonial del brand e in prima fila al défilé milanese. La giornalista fa partire il proprio reportage proprio da qui, dalle due figure che lei stessa definisce come “facce di una stessa medaglia” e a cui la collezione, a suo dire, è stata dedicata. Con un notevole snodo, immagina le due celebrità frugare nel proprio armadio e tirar fuori proprio ciò che Frida Giannini, ormai ex designer di Gucci, ha portato in passerella. Da qui ha inizio una carrellata, la solita carrellata come si vedrà anche successivamente, di tessuti, capi, pezzi iconici, novità. Da Gucci ad Alberta Ferretti il passo è breve: “libertà

7 Blignaut H, Ciuni L., Persico M., Comunicare la moda. Il manuale per futuri giornalisti e addetti stampa

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di essere” e “made in Italy” sono i punti focali della collezione del brand fiorentino ma anche della Ferretti, che realizza “piccoli capolavori di tulle o di pelle o di ricami”. La parola passa dunque agli stilisti meno noti e se prima la giornalista ha lasciato spazio e voce a Gucci e Alberta Ferretti, adesso è lei stessa a calcare la mano sulla necessità di proseguire velocemente; a indicare che i Big sono già stati trattati. “In ordine sparso”, scrive allora Paola Pollo, e prosegue a descrivere ciò che ha visto, ciò che avrebbe voluto vedere e ciò che ha letto sul comunicato stampa. Come le ispirazioni dei designer, spesso esagerate, allusive, ai limiti del reale, che però molti giornalisti riprendono alla lettera e ripropongono nei loro articoli. Non è questo il caso, se pensiamo che tanti sono i giudizi di valore espressi e dunque non si può parlare solo di un “copia e incolla” di ciò che l’azienda ha scritto. “Molto divertente”, “la moda è bella perché è varia”, “più matura e giusta”, “bravo, sì”, “interessante”: sono solo alcuni esempi di quanto la giornalista si sia spinta oltre la semplice descrizione, suggerendo al lettore anche il proprio punto di vista. Corretto? Se, come si è detto, l’articolo di moda di un quotidiano non va molto oltre un qualunque pezzo di cronaca reperibile sullo stesso giornale, allora andrebbero condannate e biasimate tutte le opinioni personali espresse qui e altrove dai giornalisti che raccontano il mondo del fashion system. Ma, si sa, la situazione è leggermente diversa. “Chi scrive di moda per i quotidiani deve avere sempre presente che parla a qualcuno che non ha visto l’oggetto che si descrive e che ne prende prima conoscenza attraverso l’articolo che legge”8. Questo vuol dire che è importante la chiarezza,

l’onestà, più di ogni altra cosa, ma anche che –come altrove- il giornalista ha il potere di deviare e indirizzare il giudizio di chi legge laddove preferisce.

1.1.2. Analisi testuale

I quarantuno periodi in cui è suddiviso l’articolo sono per lo più nominali: pochi risultano i sintagmi verbali, dunque, a differenza dei numerosi sintagmi nominali presenti nel pezzo. Molti periodi, inoltre, sono spezzati e di conseguenza tanti iniziano con una congiunzione che, in un’unica proposizione, avrebbero introdotto una subordinata. La giornalista, di certo, non avrà fatto caso alle questioni sintattiche e all’analisi del periodo che ne vien fuori, perché apparentemente scrivere un articolo non contempla in sé

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queste regole linguistiche, anche se – si noti – l’uso insistito delle subordinate assolute risulta essere uno dei tratti sintattici più ricorrenti nel giornalismo odierno. Il quadro che emerge qui è un ritmo continuamente spezzato e interrotto: in alcuni casi si tende a farlo per concentrare l’attenzione su un dato aspetto anziché relegarlo a subordinata; in altri casi si vuole soltanto aumentare l’enfasi su ciò che si sta scrivendo. Un esempio? “Facce di una stessa medaglia: personalità forti, libere, eccentriche. Che scelgono di vestire come piace a loro e non certo perché così fan tutte. Semmai sono le altre a fare come loro.” L’accento è chiaramente posto non solo su Kate Moss e Charlotte Casiraghi, ma anche su aspetti precisi della loro personalità: il loro essere “forti, libere, eccentriche”; la loro indipendenza nello scegliere i vestiti e l’essere, per questo motivo, amate e imitate. Perché ciò che si vuole comunicare è proprio quello che ha reso le due celebrità delle vere icone di moda. Immaginiamo, invece, un classico periodo: “Kate Moss e Charlotte Casiraghi sono facce di una stessa medaglia, personalità forti, libere, eccentriche, che scelgono di vestire come piace a loro e non certo perché così fan tutte; semmai sono le altre a fare come loro”. Le parole sono le medesime, la costruzione è differente. Ciò che ne vien fuori è certo una stessa idea di grande forza e talento e personalità delle due testimonial di Gucci, ma l’attenzione sembra posta solo sulle due figure in senso generale, non più sui vari aspetti che le hanno rese delle fashion icon.

La coesione del testo è molto forte ed è dovuta soprattutto alla presenza di connettivi più con funzione testuale che sintattica, come la congiunzione “ma” in “Ma la moda è bella perché è varia” o la congiunzione “e” in “E poi gli abiti canotta di pelle”. E ancora: “comunque”, “però eccole”, “semmai”, “ma anche”, “ecco per esempio”, “dunque”. Si tratta di elementi testuali che creano una trama fitta con il contesto, mantenendo alto il livello di coesione, proprio come se si stesse parlando sempre dello stesso evento anziché di diversi momenti della giornata e, dunque, di diverse sfilate. Inoltre, per il modo in cui è stato costruito l’articolo, si può notare la presenza di anteposizioni contrastive, come nei casi di “Libertà di essere, dunque personalità, e lavorazioni made in Italia, per fare la differenza” e di “La tinta nuda per alleggerire, se mai ce ne fosse stato bisogno”. A favorire la coesione del testo, sono presenti anche le anafore e le ellissi. Un caso di anafora che si realizza con una sostituzione pronominale si ha con

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“Perché indubbiamente la nuova collezione della griffe con la G per la prossima estate sembra proprio fatta per due come loro”. Ma anche nel caso di “Semmai sono le altre a fare come loro”. Qui il pronome ‘loro’ sostituisce le due referenti, ovvero Kate Moss e Charlotte Casiraghi, mettendo in relazione ciò che si è detto prima e ciò che si sta dicendo in questo momento. Un caso non marcato di sostituzione lessicale si ha invece quando “Field Jacket” viene sostituita subito dopo da “la giacca in questione”, permettendo sia di evitare ripetizioni ridondanti che di far capire al lettore di cosa si sta parlando. In alcuni punti del testo si verifica una ellissi del soggetto, che alleggerisce il discorso, come in “poi i ricami su camicie e abiti e felpe ha voluto che fossero come imbragature da paracadutista ma di cristalli” e subito dopo in “E il tartan punk lo ha ricamato di fiori”. In entrambi i casi, ci si riferisce ad Alessandro dell’Acqua e alla sua linea N°21, citato proprio un periodo prima.

Per quanto riguarda la punteggiatura, essa si adatta alla sintassi franta presente nell’articolo: moltissimi sono i punti fermi, che spezzano coordinate: “Un po’ donna per bene, elegante e sofisticata con il suo trench di camoscio accostato alla vita, secondo i codici di una certa borghesia magari per metà sangue blu, alla Charlotte Casiraghi, per capirci. E un po’ ragazzaccia del rock che sceglie miniabiti e gilet di pelliccia patchwork, ma comunque mantiene quel certo non so che di chic da renderla divina anche se un po’ irriverente, alla Kate Moss, giustappunto”, ma anche le subordinate dalle principali come nel caso di “Facce di una stessa medaglia: personalità forti, libere, eccentriche. Che scelgono di vestire come piace a loro e non certo perché così fan tutte”. È presente il punto e virgola a separare elementi di lunghi elenchi: “Vesti lunghe a balze di chiffon color carne, pantaloni di macramè, camicie con una sottile imbracatura di cuoio e fiori; un abito canestro di fettucce d’organza o di macramè applicato; la gonna di denim lavato e termosaldato sul velo”, ma anche i due punti quando la giornalista intende spiegare meglio ciò che ha appena detto: “Più matura e giusta la sfilata di Fausto Puglisi: sì il ragazzo si è fatto grande”. Infine la virgola, usata spesso per separare apposizioni, incisi avverbiali, deittici, proprio come se si seguisse più un criterio intonativo che non quello sintattico: “Libertà di essere, dunque personalità, e lavorazioni made in Italia, per fare la differenza.”

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1.1.3. Lessico

È evidente quanto negli articoli di moda i forestierismi abbiano preso piede. Spesso si ritrovano già nel titolo e non presentano il più delle volte la traduzione o perlomeno una spiegazione. Tale fenomeno è molto più presente nei periodici e nelle riviste di settore, ma anche nei quotidiani è facile riscontrare un elevato numero di forestierismi, spesso fuori luogo e assolutamente evitabili. L’obiettivo principale, infatti, di un giornalista di un qualunque quotidiano è, come si è detto, raccontare ciò che il lettore non ha visto. Ma soprattutto, trattandosi di un quotidiano, è molto facile che anche chi non conosce perfettamente quel determinato mondo possa essere interessato alla lettura dell’articolo. Dal momento che il target dei quotidiani è vasto ed eterogeneo, la presenza di forestierismi può limitare e spaventare chi legge tanto da scegliere di voltare materialmente pagina. La conseguenza è una soltanto: il fashion system, così facendo, si autoesclude e si allontana dalla massa, restando volutamente un interesse di nicchia.

Se pensiamo che già all’epoca della dittatura fascista, il giornalista e scrittore Cesare Meano pubblicò per l’Ente nazionale della moda il Commentario – Dizionario italiano

della moda, in cui tentò di adattare circa 16000 termini stranieri alla lingua italiana,

capiamo bene quanto il linguaggio della moda sia sempre stato refrattario a regole e normalizzazioni. Certo è che la problematica del target a cui ci si rivolge deve sempre essere tenuta in considerazione. Nel primo articolo analizzato e firmato dalla giornalista Paola Pollo, i termini di origine straniera sono numerosi: alcuni di essi appartengono ormai all’uso comune della lingua italiana, altri invece sono estranei a tutti coloro i quali non conoscono direttamente il mondo del glamour. Tutti infatti conoscono il significato dell’espressione fil rouge così come dei lemmi gilet e look o del verbo mixare, ma non è detto che chi compra e legge il «Corriere della Sera» debba sapere cosa sia una

messenger (ovvero, un particolare tipo di borsa a tracolla), che tipo di tessuto sia il

macramè e a cosa ci si riferisce quando si parla di jacquard. L’articolo dunque comprende un numero elevato di tecnicismi e forestierismi, per la maggior parte anglismi, ed espressioni non tradotte e inserite qui forse per dare un tocco esotico, specialistico, esclusivo (si pensi a cool, che indica qualcosa di bello, di tendenza, ed è un lemma spesso utilizzato nel mondo giovanile che fa arricciare il naso se trovato però in

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un pezzo del «Corriere della Sera»). Ma colpisce particolarmente non solo la presenza di prestiti spesso inutili e inopportuni, quanto soprattutto la completa assenza di glosse esplicative, incisi, parentetiche, modalità insomma che possano aiutare il comune lettore del quotidiano ad addentrarsi più facilmente nel mondo della moda e del suo linguaggio, anziché intimidirlo e allontanarlo con espressioni insolite e selettive.

1.1.4. Leggibilità

Ricorrendo al tool Read-it, che aiuta nel calcolo della leggibilità di un testo, possiamo portare avanti un’analisi su più livelli grazie ai dati forniti dal sistema stesso. Il modello Dylan BASE stabilisce che il livello di difficoltà del testo è del 56,1 %. Il modello Dylan LESSICALE sostiene che il livello di difficoltà sia del 100%. Il modello Dylan SINTATTICO esprime un livello di difficoltà del 97,6%. Infine, il modello Dylan GLOBALE sostiene che il livello di difficoltà sia del 100%. L’indice di leggibilità Gulpease esprime un livello di semplicità al 55, ulteriore conferma che il testo in questione è abbastanza complesso. Si tratta di dati indicativi se pensiamo che stiamo comunque analizzando un articolo di un quotidiano nazionale, che, aldilà della storia, dell’andamento, dei varchi che si è potuto spontaneamente ritagliare nella società, dovrebbe rappresentare un punto di riferimento per la massa e non solo per una fascia della società. Procedendo nei risultati dell’analisi svolta dal tool Read-it, notiamo che si fa una distinzione da un punto di vista generale, lessicale e sintattico. Il profilo di base mette in luce il numero dei periodi che in questo caso sono 41, il numero totale delle parole in token che risulta pari a 1045, la lunghezza media dei periodi in token ovvero 25,5 e infine la lunghezza media delle parole in caratteri e cioè 4,7. Il profilo lessicale fa emergere che la percentuale di lemmi che appartengono al Vocabolario di Base è del 58,2% e sono così suddivisibili: 74,4% appartengono al nucleo fondamentale, il 19,8% al nucleo di alto uso e il 5,7% al gruppo di lemmi ad alta disponibilità. Il rapporto tipo/unità, calcolato rispetto alle prime cento parole del testo, è di 0,790, valore che indica un testo variegato da un punto di vista lessicale. La densità lessicale, invece, risulta dello 0,588 nell’articolo in questione.

Il profilo sintattico calcola le misure delle categorie grammaticali, ovvero la loro distribuzione all’interno del testo. I sostantivi risultano al 22,9 %, i nomi propri al 5,9 %,

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gli aggettivi al 6,9 % e i verbi all’8 %. Le congiunzioni risultano all’8,2 % e di esse l’84,9% sono coordinanti mentre il restante 15,1 % è costituito da congiunzioni subordinanti. Il numero medio di proposizione per periodo è di 1,829 e nel testo risultano 63,9% principali e 36,1% subordinate. Il numero medio per parole per proposizione è di 13,933 e il numero medio di dipendenti per testa verbale è di 1,853. Considerando la misura della profondità dell’albero sintattico, il tool Read-it ci fornisce ulteriori dati: la media delle altezze massime è di 5,699; la profondità media di strutture nominali complesse è di 1,219 e la profondità media di “catene” di subordinazione è di 1,167. La misura della lunghezza delle relazioni di dipendenza, infine, è così suddivisa: la lunghezza media risulta del 2,932 mentre la media delle lunghezze massime è dell’11,268.

La proiezione di leggibilità sul testo ci permette di individuare i periodi più complessi e di capire su quale livello di analisi si concentra la difficoltà. In base al tool Read-it, l’articolo in questione risulta particolarmente difficile fin dall’attacco del pezzo: i primi tre periodi infatti presentano un livello di difficoltà che supera il 90%, raggiungendo picchi di 99,2% con il secondo periodo. “Facce di una stessa medaglia: personalità forti, libere, eccentriche” e “Che scelgono di vestire come piace a loro e non certo perché così fan tutte” risultano periodi particolarmente complessi rispettivamente con un livello di difficoltà del 93% e del 90,6%: il primo è costituito da una frase nominale e il secondo è una relativa in relazione con il periodo precedente ma da essa separata da un punto fermo. Il livello di difficoltà sale 96,5% nel periodo “Il trench e il gilet, due pezzi iconici certo, ma anche le gonne pantalone, le braghe da marinaio, le piccole giubbe-divisa, lo scamiciato, il jeans, l’abito per la sera corto e sbuffante e ricamato” e cresce fino al 99,6% nel periodo successivo: “Dettagli non da poco: dalla tracolla a banda larga (ben studiati la nuova messenger e il secchiello) alle incredibili lavorazioni dei patchwork, persino stampati”. Ulteriori punti di complessità si trovano in tre periodi consecutivi: “Poi una, ancor più convincente, storia di frange di camoscio per poncho e lunghi gilet che si indossano sulle leggerezze di cui sopra”, “La tinta nuda per alleggerire, se mai ce ne fosse stato bisogno.”, “Che si siano messi tutti d’accordo nel «complotto della leggerezza»?”, rispettivamente del 99,2% , 97,4% e del 100% con il terzo periodo. Frasi nominali, lunghi elenchi e subordinate che si legano a principali ellittiche: sono questi

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tutti elementi che aumentano la difficoltà del testo. Il 94,9 % di complessità è successivamente raggiunto dalla nominale “Ai piedi sandali-piuma in neoprene”, il 92,6% da “Azzurri baby e rosa e bianco e pesca e poi nero «rock»” e il 95,8% da “Sete a gogò per caftani e pepli e tuniche e drappeggi vari&eventuali da Angelos Bratis che, essendo greco è per dna impalpabile”. Ancora, il periodo “E poi gli abiti canotta di pelle e le piccole mini svasate, i bragoni over di paillettes, la felpa gilet, il jeans con il grembiulino, lo zaino come borsa cool e la sneaker da basket a tacco dieci: ogni pezzo comunque una storia couture Perché giocare con la moda non è un peccato” ha un livello di difficoltà del 93,1% che cresce, specialmente da un punto di vista lessicale, al 98,8% nel periodo “Per non parlare di Antonio Marras che al battesimo della passerella di I’M Isola sceglie Pierolino, il suo cagnetto, a simbolo della University of Alghero per ragazze in basco (sardo) e righe (collegiali) e t-shirt e gonnellone e braghe e scamiciati e sandali”. Sempre per questioni lessicali e questa volta anche sintattiche, il periodo “Eccentrici i rimandi e le ispirazioni dai mosaici romani a Courrèges, dall’inventore del topless Rudi Gernreich a Star Wars, da Odissea nello spazio a Barbarella , ma di sostanza i capi: maglie (made in Gimar) tridimensionali, mini dalla svelta linea ad A, abiti gilet, camicie giubbotto” presenta un livello di difficoltà del 100%, punto più complesso secondo il tool Read-it e anche ultimo periodo in cui il livello di difficoltà raggiunge percentuali molto alte.

1.2. («Corriere della Sera» – 19 settembre 2014)

Solo gonne (di broccato) Prada, eleganza senza tempo

La stilista: calzettoni, orli sfrangiati, niente scollature. Orchidea, nuovo simbolo di Fendi

Qual è la nuova donna di Miuccia Prada? Questa è una domanda da non fare mai. La signora non ha identikit femminei («Le donne sono diverse, come i loro stati d’animo), ma ha idee chiare su quale può essere il suo ultimo concetto di eleganza: la citazione di certe preziosità antiche, come i tessuti broccati rifatti oggi artigianalmente e messi a contrasto con la voluta rudezza del cotone, della garza, del cuoio naturale. Un’eleganza esaltata dunque dai contrasti. E non fa

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niente se il concetto d’antichità (l’ultima passione della stilista, che infatti inaugurerà la sua nuova Fondazione con una mostra importante d’arte antica) sia soltanto un’idea, un’astrazione: è il nuovo mix fantasioso a forgiare il carattere delle nuove creazioni di Prada. Creazioni che scorrono come flash senza tempo in un ambiente pure senza tempo (realizzato dai creativi di Amo), forse un deserto ma di sabbia lilla (a significare come la natura sia ormai ai confini della realtà) su donne magnetiche. «Sologonne» a sottolineare che di eleganza femminile si tratta: a ruota o a tubo, abiti sbracciati e accollatissimi, quasi austeri. L’alfabeto dei capi è semplice: camicie e bluse essenziali, cabane pastrani, qualche giacca, borse archiviate e rivitalizzate. Sandali a tacco importante e calzettoni lavorati. Colori scuri, per lo più (nero, marrone) e poi caldi (giallo, cuoio) o sbagliati (rosso, azzurro). Impunture e intarsi e tagli al vivo e sfilacciature giocano il risiko del confronto, giustappunto. Nessun riferimento temporale da Prada, che è una gran bella cosa. Stessa nota sulla Emporio Armani dove lo stilista punta su tante sfumature del blu, che è per questo più democratico del nero, ma poi affida a sperimentazioni di stile e materia gli abiti. Le gonne arricciate, le bermuda «eleganti» con la banda, le rifiniture in pvc quando di plastica non è addirittura l’abito corolla per la sera, le giacche e le bluse in un’infinita variante di semplicità contemporanea. Dinamicità sottolineata anche dalla scarpa «sporty», che non è un sandalo e non è una sneaker. E spettacolare e moderna anche la sfilata di Fendi dove Karl Lagerfeld e Silvia Venturini stanno facendo un lavoro di sperimentazione e artigianalità e portabilità unico. La pelle protagonista senza esclusioni, nappa e camoscio: pantaloni, gonne, bluse, gilet, caban, tshirt, mini abiti, bomber, jeans. Ricamata, intagliata, laserata, doppiata. Il nuovo simbolo che ricorre, l’orchidea, che è ovunque e poi la Très Baguette (con il logo che scompare) e la Peekaboo anche in formato mignon. La scenografia è il Palazzo delle Civiltà di Roma, da gennaio la nuova sede. La sorpresona da Max Mara è Ian Griffiths, da anni direttore creativo, ma solo ora nel back stage, al posto di Laura Lusuardi che è la storica fashion director e che di solito accoglie i giornalisti. Racconta lui cosi l’ispirazione: Angelica Houston nella campagna del 1971, e Dominique Sanda

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nel «Giardino dei Finzi Contini». Ecco allora gli anni Settanta (negli stivali, nei cappelli, nei fiori rivisti in digital) e i Trenta (nelle lunghezze) e i riferimenti (i profili dei completi tennis). L’alcantara come nuovo tessuto al posto del camoscio per trench e blouson, gonne di georgette plissé o di cotone matellassé, morbide anche se a tubo o gonfie sui fianchi. Spolverini e caban minimali ma profilati. Stivali estivi in canvas. È un po’ polverosa nel suo coté bourgois e più convincente nel tocco sport. Think Pink (Pensa rosa) da Moschino, dove Jeremy Scott porta la donna più famosa di Los Angeles, Barbie, icona pop positiva, e la vita diventa un gioco in fucsia e oro e nero. Una gag ad effetto via l’altra di quelle che fanno e faranno impazzire la rete. C’è Barbie che nuota, pattina, va scuola, si pettina, va in a in palestra, esce con le amiche e fa tutto quello che da cinquant’anni riesce a fare sorridendo. Tute e gonnelle, tailleur di spugna e canotte, abiti tutù e da ballo, tubini «distratti» con cucito il bikini, fiocchi esagerati. Gli abiti del sogno di Barbie sono già in vendita online. Il capitolo Anni Settanta ricorre. Ennio Capasa non ha mai nascosto l’innamoramento per il periodo, perché così ricco di spunti e musica e icone. Così nella sua Costume National a tinta cioccolato ecco i festival e il rock&roll, naturalmente, e poi Marianne Faithfull e Anita Pallanberg, la libertà e la spregiudicatezza. In collezione: tagli e volumi sono senza diktat, dunque asimmetrie inusuali, sovrapposizioni, silhouette inaspettate. La couture di quel decennio per gli abiti foulard; dal dna Costume le frange e dal mondo hight tech il pizzo di chiffon doppiato gommapiuma. Ritorno imperante del camoscio. Immancabile il gilet persino nel nuovo tailleur. Suona il rock anche la ragazza Blugirl, tipetto da festival Coachella e Glastonbury: stivaletti, short di pizzo colorato, camicie mimetiche dove sbocciano le rose, prendisole di cotone e immancabile zainetto a fiori. Roberto Cavalli volentieri racconta di essere stato a Ibiza per trovare l’ispirazione per la sua Just («Volevo capire cosa piace ai giovani») ma stoppa chiunque gli parli delle voci sulla vendita ai russi («Se sarà e quando lo dirà chi si occupa di queste cose, io faccio moda»). In passerella quini le sue «freedom e love»: hippy romantiche ma anche un po’ borghesi con il vezzo perbene di annodare il foulard al collo e poi la libertà di gilet, mini, abiti

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svolazzanti, gonne lunghe e maglioni corti. Da Ports ecco Artemide, la dea della caccia, una guerriera su plateau 14 centimetri, in piccoli short con le grandi tasche, mini plissè; bomber di pelle; top crop; abiti corazza di pitone e chiffon; trench di canvas e seta; robe manteau anche a gilet che è la nuova giacche. Da Dsquared c’è invece il loft dell’artista pop e la donna è la sua creatura scultura pin up che veste volumi e geometrie. La couture al servizio di sport e ironia: bomber e gonnellone, jeans over con il filo di ferro che lo gonfia e t-shirt, micro camicia bianca e hot panta, super shopping e felpa ricamata.

Paola Pollo

1.2.1. Analisi giornalistica

Il secondo articolo del «Corriere della Sera» preso in considerazione in questa analisi, racconta la seconda giornata della settimana della moda Primavera/Estate 2015 vista dalla giornalista Paola Pollo. Ritorna uno stile frammentato, una sintassi franta e molte frasi nominali. Il titolo, Prada, eleganza senza tempo, è evidentemente un’espressione poco originale ma onesta e autentica e che concentra comunque l’attenzione sulla sfilata più importante del giorno, così come l’occhiello e il sottotitolo. Qui viene menzionata anche la casa di moda Fendi, secondo nome di rilievo dei défilé del 18 Settembre. L’attacco dell’articolo di Paola Pollo è ben diverso dagli altri: ci si domanda quale sia la nuova donna di Miuccia Prada, colei che –da sempre- ha portato sulla passerella un concetto di eleganza individuale e fuori dagli schemi: uno stile radical chic, il brutto che diventa bello perché personale, un modo di vestirsi che rispecchia le scelte di una vita colta più che le tendenze del momento. E infatti la risposta alla domanda retorica che apre l’articolo è “Questa è una domanda da non fare mai”. Perché Miuccia Prada non ha e non ha mai avuto un’idea di femminilità, ma solo di eleganza. Cosa indossare per rispettare il buon gusto, dunque, non come essere e definirsi donna. Dopo un elenco dettagliato di ciò che si è visto in passerella, la giornalista, con uno snodo che fa riferimento all’ispirazione atemporale in comune tra le due maison, passa a raccontare della sfilata di Emporio Armani. Qui è il blu a racchiudere il significato del défilé: il colore “più democratico del nero”, così riporta il «Corriere della Sera». Sono molti i tecnicismi e i dettagli che si susseguono in lunghi elenchi non solo nella

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descrizione della sfilata di Emporio Armani, ma anche in quella per Fendi. Moschino, invece, è presentata come una parentesi, una digressione che si apre all’interno di una stessa ispirazione, quella degli anni Settanta, che sia le case di moda descritte prima che quelle successive a Moschino condividono. E’ l’ennesimo elenco di ciò che si è visto in passerella, questa volta su quella di Dsquared2, a chiudere l’articolo. Privo di una conclusione forte, sembra lasciare qualcosa in sospeso. L’impressione che genera la lettura dell’articolo è quella di una giornata frenetica e molto ricca e della mancanza di tempo necessario a stendere un articolo meglio strutturato: problema comune dei pezzi sulle fashion week dei giornali quotidiani. Le agende delle giornaliste di moda più accreditate in quel periodo sono infatti fitte di appuntamenti, incontri, visite negli showroom, sfilate e –perché no? – party conclusivi. Le giornate iniziano all’alba e terminano a notte fonda, quando le giornaliste di moda dei quotidiani buttano giù i loro pezzi per il giorno successivo. Il ritmo è frenetico e spesso si vuole dire più di quello che si può, in spazi ristretti e con i minuti contati. Ed è in questo caso che si fa evidente la capacità di alcuni giornalisti a mantenere una certa professionalità, la coesione e la coerenza dei propri pezzi e un filo rosso che conduca dall’inizio alla fine senza sforzo.

1.2.2. Analisi testuale

E se di coesione dobbiamo parlare, l’articolo del «Corriere della Sera» del 19 settembre risulta coeso e ben organizzato grazie ad alcuni escamotage presenti nel pezzo. Già l’attacco annovera un’anafora quando la giornalista scrive “Qual è la nuova donna di Miuccia Prada? Questa è una domanda da non fare mai”. Con una sostituzione pronominale, la giornalista dà una risposta alla domanda retorica appena posta. Una sostituzione lessicale, che evita una spiacevole ripetizione, si ha nella frase successiva: “la signora non ha identikit femminei”; e una sostituzione pronominale si ha invece nella frase “ha idee chiare su quale può essere il suo ultimo concetto di eleganza”. Una ripetizione efficace che crea coesione e che prende il nome di “effetto copia” si trova in: “è il nuovo mix fantasioso a forgiare il carattere delle nuove creazioni di Prada. Creazioni che scorrono come flash senza tempo”. Un caso particolare che potrebbe essere definito di sostituzione lessicale, ma che più che altro va a sostituire un lungo concetto con un solo termine e prende il nome di “incapsulatore anaforico” si ha nel caso di: “Le gonne

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arricciate, le bermuda «eleganti» con la banda, le rifiniture in pvc quando di plastica non è addirittura l’abito corolla per la sera, le giacche e le bluse in un’infinita variante di semplicità contemporanea. Dinamicità sottolineata anche dalla scarpa «sporty» […]”. In “Nessun riferimento temporale da Prada, che è una gran bella cosa. Stessa nota sulla Emporio Armani […]” notiamo come “stessa nota” possa essere considerata un’anafora con sostituzione lessicale. Un caso di sostituzione pronominale si trova nella frase: “La sorpresona da Max Mara è Ian Griffiths […]. Racconta lui così l’ispirazione”. E infine, si possono citare altri due casi di sostituzione pronominale nel caso di “Ennio Capasa non ha mai nascosto l’innamoramento per il periodo, perché così ricco di spunti e musica e icone. Così nella sua Costume National a tinta cioccolato ecco i festival e il rock&roll […]” e, ancora, in quello di “Da Dsquared c’è invece il loft dell’artista pop e la donna è la sua creatura scultura pin up […]”. Un caso di ellissi si ha nel periodo “Ricamata, intagliata, laserata, doppiata.”, in quanto ci si riferisce alla pelle nominata nel periodo precedente. E invece si può parlare di catafora quando la giornalista, a proposito della casa di moda Fendi, scrive “Il nuovo simbolo che ricorre, l’orchidea […]”. Un inciso appositivo si ha nel caso di “Da Ports ecco Artemide, la dea della caccia”, seguito dall’ulteriore apposizione “una guerriera su plateau 14 centimetri”. L’espressione “di eleganza femminile si tratta”, invece, può essere definita come un esempio di anteposizione contrastiva. Tanti sono anche i connettivi come dunque, giustappunto, e poi, ecco allora, così, ecco, quindi,

anche, e poi, invece e, infine, quella congiunzione e in “E spettacolare […]” che assume

un valore evidentemente testuale.

L’articolo è, inoltre, ricco di monoproposizioni, nominali e relative e presenta un numero maggiore di elenchi rispetto al pezzo del «Corriere della Sera» del giorno precedente. Ciò crea un effetto frenetico dovuto anche alla volontà della giornalista di scrivere quante più informazioni possibili sulla giornata appena trascorsa.

1.2.3. Lessico

Anche qui si insiste ancora sull’utilizzo di forestierismi e tecnicismi non spiegati, ma inseriti sembra quasi casualmente per sopperire a mancanze di cura e rifinitura. E allora ci si lascia prendere la mano e se nel primo articolo abbiamo trovato cool qui troveremo

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sportiva; o couture che dovrebbe indicare le cuciture se ci si appella all’etimologia del termine o più genericamente la moda, la tendenza. Interessante è notare le espressioni

top crop, costruzione all’italiana di crop top ovvero quel top “tagliato” che lascia scoperti

vita e ombelico; hot panta, che ci rimanda indietro negli anni Novanta quando però si parlava più che altro di hot pants, e infine short, prestito che indica i pantaloncini e che generalmente si ritrova integrale al plurale, ma che qui è adattato al singolare. Ancora una volta dunque la giornalista si lascia prendere la mano da tecnicismi e forestierismi, oltrepassando quelli che sono i limiti accettabili e sostenibili per un quotidiano. E non solo utilizza prestiti in modo spropositato, ma anche spesso in maniera scorretta. Dunque, lo scopo divulgativo ed educativo che i quotidiani dovrebbero assumere come compito principale viene qui meno su due fronti: nella scelta di termini esclusivi e non esplicitati e nell’utilizzo spesso errato degli stessi.

1.2.4. Leggibilità

Dall’analisi svolta attraverso il tool Read-It, è risultato che la difficoltà espressa dal Dylan BASE è del 61,1%, quella del Dylan LESSICALE risulta al 98,5%, del Dylan SINTATTICO al 99.5% e infine il Dylan GLOBALE al 100% di difficoltà. L’indice Gulpease è al 54,2. Ciò ci offre già alcuni dati significativi sulla difficoltà effettiva del pezzo del «Corriere della Sera». L’articolo è composto da 45 periodi, il numero di parole è di 1196, la lunghezza media dei periodi in token è di 26,6 mentre la lunghezza media delle parole in token è di 4,8. Per quanto riguarda la composizione del vocabolario, la percentuale di lemmi appartenenti al Vocabolario di Base è del 55,5%, di cui il 73,5% appartiene al nucleo fondamentale, il 20,6% all’alto uso e il restante 5,9% al nucleo dell’alta disponibilità. Il rapporto tipo/unità è dello 0,710 mentre la densità lessicale è dello 0,621. Per quanto riguarda il profilo sintattico, i sostantivi costituiscono il 25,1% dei termini, i nomi propri il 5,6%, gli aggettivi il 6,6%, i verbi l’8,1% e le congiunzioni il 6,4%, di cui il 92,1% sono coordinanti mentre il restante 7,9% è costituito da congiunzioni subordinanti. Per quanto riguarda l’articolazione interna del periodo, si nota che il numero medio di proposizioni per periodo è del 2,044% e le proposizioni sono così suddivise: il 67,7% è costituito da principali e il 32,3% da subordinate. Il numero medio di parole per proposizione è 13 e il numero medio di dipendenti per testa verbale è di 1,717. La media

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delle altezze massime è di 5,900, la profondità media di strutture nominali complesse è di 1,193 e la profondità media di “catene” di subordinazione è di 1,333. La misura della lunghezza delle relazioni di dipendenza (calcolata come distanza in parole tra testa e dipendente) è così analizzata: la lunghezza media è di 2,669 mentre la media delle lunghezze massime è di 10,267.

Per quanto riguarda la proiezione della leggibilità sul testo, citeremo solo i periodi definiti più complessi dal tool Read-it. Il primo periodo, la cui percentuale risale al 99%, si ritrova proprio all’inizio dell’articolo: “La signora non ha identikit femminei («Le donne sono diverse, come i loro stati d’animo), ma ha idee chiare su quale può essere il suo ultimo concetto di eleganza: la citazione di certe preziosità antiche, come i tessuti broccati rifatti oggi artigianalmente e messi a contrasto con la voluta rudezza del cotone, della garza, del cuoio naturale”. Un periodo più in là, la percentuale si alza di poco al 99, 2% quando la giornalista scrive: “E non fa niente se il concetto d’antichità (l’ultima passione della stilista, che infatti inaugurerà la sua nuova Fondazione con una mostra importante d’arte antica) sia soltanto un’idea, un’astrazione: è il nuovo mix fantasioso a forgiare il carattere delle nuove creazioni di Prada”. E cresce ancora il livello di difficoltà fino al 100% nel periodo successivo: “Creazioni che scorrono come flash senza tempo in un ambiente pure senza tempo (realizzato dai creativi di Amo), forse un deserto ma di sabbia lilla (a significare come la natura sia ormai ai confini della realtà) su donne magnetiche”. Al 96,6% risulta la percentuale del periodo che segue: “«Sologonne» a sottolineare che di eleganza femminile si tratta: a ruota o a tubo, abiti sbracciati e accollatissimi, quasi austeri”. E sale nuovamente, questa volta al 98,8% nel caso di “Colori scuri, per lo più (nero, marrone) e poi caldi (giallo, cuoio) o sbagliati (rosso, azzurro)”. Al 94% risulta invece il livello di difficoltà del periodo “E spettacolare e moderna anche la sfilata di Fendi dove Karl Lagerfeld e Silvia Venturini stanno facendo un lavoro di sperimentazione e artigianalità e portabilità unico”. La difficoltà del periodo “La pelle protagonista senza esclusioni, nappa e camoscio: pantaloni, gonne, bluse, gilet, caban, tshirt, mini abiti, bomber, jeans” è invece del 92,3%. Sale nuovamente al 100% nel periodo “Ricamata, intagliata, laserata, doppiata”, di cui il 92% è dovuto al Dylan BASE e il 93% a quello lessicale. Nel caso, invece, di “L’alcantara come nuovo tessuto al

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posto del camoscio per trench e blouson, gonne di georgette plissé o di cotone matellassé, morbide anche se a tubo o gonfie sui fianchi” la percentuale risulta del 99,6%. Al 94,9% invece risulta il livello di difficoltà del brevissimo periodo “Spolverini e caban minimali ma profilati”. Sale ancora al 98,1% nel caso di “Tute e gonnelle, tailleur di spugna e canotte, abiti tutù e da ballo, tubini «distratti» con cucito il bikini, fiocchi esagerati” e scende al 92,2% in “Immancabile il gilet persino nel nuovo tailleur”. 97,8% è invece la percentuale del livello di difficoltà del periodo “Roberto Cavalli volentieri racconta di essere stato a Ibiza per trovare l’ispirazione per la sua Just («Volevo capire cosa piace ai giovani») ma stoppa chiunque gli parli delle voci sulla vendita ai russi («Se sarà e quando lo dirà chi si occupa di queste cose, io faccio moda»)”, in cui troviamo due citazioni tra parentesi. Il periodo “Da Ports ecco Artemide, la dea della caccia, una guerriera su plateau 14 centimetri, in piccoli short con le grandi tasche, mini plissè; bomber di pelle; top crop; abiti corazza di pitone e chiffon; trench di canvas e seta; robe manteau anche a gilet che è la nuova giacche” presenta una percentuale di difficoltà del 94,3% e, infine, proprio all’ultimo periodo “La couture al servizio di sport e ironia: bomber e gonnellone, jeans over con il filo di ferro che lo gonfia e t-shirt, micro camicia bianca e hot panta, super shopping e felpa ricamata”, la percentuale che indica il livello di difficoltà risulta del 98,4%. Grazie a questi dati, è possibile notare quanto la difficoltà del testo sia effettiva e forse esagerata dal momento che si tratta pur sempre di un articolo di un quotidiano nazionale.

2.La Repubblica

2.1. («La Repubblica» – 18 settembre 2014)

Doppia anima

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