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“(1) Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

(2)Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro.”

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È importante sottolineare che la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata per la prima volta in tema di compatibilità della normativa CFC con la libertà di stabilimento nella sentenza Cadbury Schweppes; in precedenza aveva fornito altri contributi sulla compatibilità aventi però ad oggetto disposizioni diverse. Nonostante tali possibili casi di incompatibilità gli ordinamenti nazionali prevedono disposizioni restrittive delle libertà fondamentali. In dottrina si sono spesso cercata delle giustificazioni che potessero ammettere queste previsioni restrittive, alle quali appartengono le CFC rules, individuandole, ad esempio, nella coerenza del sistema fiscale, nella tutela delle entrate tributarie di ogni ordinamento e nella finalità antielusiva.

La giurisprudenza dell’Unione Europea ha però assunto a riguardo una posizione per così dire “limitativa” individuando come unica causa giustificatrice, quella antielusiva che mira ad arginare un abuso da parte del contribuente dei diritti riconosciuti dall’Unione. In ogni caso la disposizione deve essere applicata nel rispetto del generale principio di proporzionalità.

5.1.2. L’incompatibilità con le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni

Le CFC rules hanno fatto sorgere dubbi anche in tema di loro compatibilità con le Convenzioni internazionali e in particolare per quanto riguarda gli articoli 7 e 10 del modello di Convenzione OCSE.

L’articolo 7 par. 1 si occupa della tassazione degli utili di una società estera stabilendo che i redditi conseguiti dalla società sono tassabili solo dallo Stato di residenza della stessa a meno che questa non eserciti la sua attività mediante una stabile organizzazione situata nell’altro Stato contraente.

Una disposizione sulle CFC, prevedendo la tassazione degli utili societari in capo al soggetto controllante indipendente dalla loro distribuzione, potrebbe sembrare incompatibile con il disposto dell’articolo 7. Tali redditi, infatti non vengono tassati solo dallo Stato di residenza della società estera, ma anche da quello di residenza dell’azionista generando una possibile doppia imposizione. In realtà tale eventuale discordanza è stata superata dalla dottrina secondo la quale la suddetta fattispecie in realtà non genera doppia imposizione giuridica, poiché è tassato il medesimo reddito, ma in capo a due soggetti diversi.

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Il Commentario al modello OCSE, così come modificato nel 2003, ha, inoltre, sancito la compatibilità delle CFC rules con l’articolo 7, considerando che, mediante tali norme, sono tassati i soggetti residenti che detengono partecipazioni in una società estera e non la stessa società estera già tassata nel suo Stato di residenza trattandosi quindi di due fattispecie diverse.

L’articolo 10 disciplina la tassazione dei dividendi e al paragrafo 5 stabilisce che lo Stato di residenza dell’azionista non può tassare i dividendi della società attribuibili al residente se non sussiste una loro effettiva distribuzione. Una norma sulle CFC, poiché stabilisce la tassazione dei dividendi esteri in capo al soggetto controllante residente indipendentemente dalla loro distribuzione, potrebbe sembrare in contrasto con il disposto della Convenzione. In realtà sia in dottrina che secondo l’OCSE tale incompatibilità non è riscontrata poiché l’articolo 10 impone dei limiti in termini di tassazione dei dividendi nello Stato della fonte, cioè lo Stato in cui il reddito è generato dalla società, invece le previsioni sulle CFC sono applicabili all’azionista residente che controlla la società estera. L’OCSE, inoltre, nel Commentario sancisce una modalità di applicazione delle CFC rules, e più in generale delle misure anti-elusive stabilite da ogni ordinamento, affinché queste non si pongano in conflitto con le Convenzioni. Al paragrafo 26 in commento all’articolo 1 è stabilito che queste previsioni non devono essere applicate qualora i redditi subiscono già una tassazione simile a quella prevista nello Stato residente.

5.2. La disciplina C.F.C. italiana

Dopo l’intervento dell’OCSE in tema di CFC con il Report del 1998, anche l’Italia si è adeguata agli standard internazionali introducendo una normativa sulle società estere nel 2000 con la L. 342/2000 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25/11/200052. L’intervento del legislatore italiano è avvenuto in ritardo rispetto all’impegno assunto in sede europea con la redazione del Codice di condotta e con tempistiche differenti rispetto a molti altri Stati Membri; in particolare la Germania già nel 1972 prevedeva una norma sulle CFC, il Regno Unito l’ha introdotta nel 1980 mentre la Francia ha provveduto ad adottare tale disciplina nel 1984.

52 LEGGE N. 342 DEL 21 NOVEMBRE 2000 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25 novembre 2000):

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5.2.1. La prima CFC Legislation italiana: l’articolo 127- bis T.U.I.R.

La sopra citata legge con l’articolo 1, 1° comma, lett. a)53 ha introdotto nel T.U.I.R.

l’articolo 127 bis rubricato “Disposizioni in materia di imprese estere partecipate”, con cui trattava la tassazione degli utili derivanti da soggetti esteri residenti in territori a fiscalità privilegiata; qualora siffatta fattispecie vi fosse verificata, gli utili sarebbero stati attribuiti al soggetto residente, in base alla quota detenuta, indipendentemente dalla loro distribuzione.

Per una maggiore chiarezza si riporta di seguito l’intero articolo oggetto di analisi. Articolo 127 – bis (D.P.R. 22/12/1986 n° 917)

“Disposizioni in materia di imprese estere partecipate”

“(1) Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche

tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati.

(2) Le disposizioni del comma 1 si applicano alle persone fisiche residenti e ai soggetti

di cui agli articoli 5 e 87, comma 1, lettere a), b) e c).

(3) Ai fini della determinazione del limite del controllo di cui al comma 1, si applica

l'articolo 2359 del codice civile, in materia di società controllate e società collegate.

(4) Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreti

del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti.