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Il Sistema di prelievo secondo l’ordinamento montenegrino e la relazione con la disciplina delle Controlled Foreign Companies

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Consulenza Professionale alle Aziende

Il Sistema di prelievo secondo l’ordinamento montenegrino e la

relazione con la disciplina delle Controlled Foreign Companies

Candidato

Relatore

Matteo Bilancia

Dott. Simone Lombardi

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INDICE – SOMMARIO

Introduzione 3

1. La Repubblica del Montenegro: Evoluzione storica 5 5

2. Investimenti esteri nel Montenegro 15

3. Il Sistema impositivo montenegrino 23

3.1. The Law on tax on income of natural persons 23

3.2. The Law on tax on profit of legal entities 31

3.2.1. Presupposto soggettivo 32

3.2.2. Determinazione del reddito delle società e dell’imposta 41 4. La Convenzione contro le doppie imposizioni Italia – Ex Jugoslavia 49 4.1. Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni 51

4.2. Convenzione del 18/12/1984 n. 974 55

5. La Repubblica del Montenegro è un Paradiso Fiscale? 91

5.1. CFC Legislation 91

5.1.1. L’incompatibilità con il diritto dell’Unione Europea 94

5.1.2. L’incompatibilità con le Convenzioni internazionali

contro le doppie imposizioni 96

5.2. La disciplina CFC italiana 97

5.2.1. La prima CFC Legislation italiana: l’articolo 127 bis T.U.I.R. 98

5.2.2. L’attuale CFC Legislation 104

5.2.3. L’Articolo 167 T.U.I.R. e la sua evoluzione normativa

circa l’individuazione dei Paradisi Fiscali 106

5.2.4. Le recenti modifiche della normativa sulle Controlled

Foreign Company 112

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Conclusione 129

Bibliografia 133

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Introduzione

La Repubblica del Montenegro, è un Paese che sta lentamente manifestando il proprio intento di far parte a tutti gli effetti dell’Unione Europea.

Dopo aver ottenuto la propria autonomia con il referendum del 2006, il Montenegro è stato caratterizzato da una complicata fase di transizione che ha visto le istituzioni impegnarsi per un rinnovamento complessivo del Paese; a partire dalle riforme sulle strutture sociale e produttive, finalizzate all’allineamento con gli standard europei occidentali, il Montenegro sembra aver raggiunto un traguardo importante, pervenuto con l’invito ufficiale a far parte della NATO, datato 2 dicembre 2014.

Infatti, tale Paese, pur essendo l’ultima tra le ex repubbliche jugoslave ad aver ottenuto l’indipendenza, ha rappresentato un tassello importante per la determinazione dell’equilibrio geopolitico dell’Europa dell’Est, configurandosi come uno dei maggiori protagonisti di quel processo di europeizzazione dei Balcani, tutt’oggi in fase di rifinizione.

Pertanto, nel presente elaborato, partendo da un breve excursus storico della Repubblica montenegrina, volto a mostrare le turbolenze e le difficoltà che hanno caratterizzato il Paese, si cercherà di evidenziare quei fattori che hanno permesso allo stesso di essere reputato uno tra i Paesi più allettanti della regione balcanica, grazie alla capacità con cui è riuscito negli ultimi anni ad attirare molti investitori provenienti sia dai principali Stati europei occidentali che dai più sviluppati Paesi del Medio Oriente.

Tra i vari elementi che hanno reso il Paese attraente agli occhi di molti investitori, particolare attenzione verrà attribuita al Sistema di prelievo caratterizzante il territorio, analizzando in via preliminare il sistema impositivo sui redditi delle Persone Fisiche (The Law on tax on income of natural persons) e delle Persone giuridiche (The Law on

tax on profit of legal entities), e riportando, successivamente, la Convenzione n. 974 del

18 dicembre 1994 stipulata tra la Repubblica italiana e l’ex-Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, volta ad evitare le doppie imposizioni e garantire un adeguato scambio di informazioni; accordo bilaterale contenente disposizioni applicate in via successiva anche alla Repubblica del Montenegro secondo quanto confermato dalla Circolare n. 33/E del 18 aprile 2002 e dalla Risoluzione n. 421/E del 31 ottobre 2008, emesse entrambe dall’Agenzia delle Entrate.

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Dopo aver fatto chiarezza sul funzionamento del sistema di prelievo caratterizzante il Paese balcanico, si cercherà di definire la relazione ivi esistente tra l’ordinamento tributario montenegrino e la disciplina italiana delle Controlled Foreign Companies, regolata dall’articolo 167 del T.U.I.R., cercando, attraverso un’analisi specifica e puntuale sulle varie modifiche apportate alla disciplina nel corso degli anni, di stabilire ed individuare, per quanto concerne i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria di fonte estera, la metodologia di tassazione nel territorio italiano di queste tipologie di redditi che vengono distribuite nel territorio da parte di imprese, società od altri enti controllati, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, da persone fisiche o persone giuridiche residenti in Italia, permettendo, infine, di stabilire se il sistema impositivo che caratterizza la Repubblica del Montenegro, rende quest’ultimo un Paese a fiscalità privilegiata o un Paese a fiscalità ordinaria.

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1. La Repubblica del Montenegro: Evoluzione storica

La Repubblica del Montenegro, Stato dell’Europa Meridionale, situato nel settore nord-occidentale della penisola balcanica, è stata caratterizzata, nel corso degli anni, da un’evoluzione storica turbolenta, che ha comportato un’arretratezza del Paese, sia politica che economica, rispetto al resto dell’Europa.

Nonostante ciò, il Montenegro ha compiuto passi da gigante nel processo di europeizzazione dei Balcani, tanto che ad oggi, come già sottolineato nell’introduzione, rappresenta un’attrattiva per molti degli investitori provenienti dai maggiori Paesi occidentali e dai più sviluppati Paesi del Medio Oriente.

Al fine di comprendere in maniera specifica da che cosa è derivato il sottosviluppo del Montenegro, è necessario analizzare brevemente quello che è stato il percorso storico - politico del Paese, considerando altresì l’evoluzione storica dell’intera regione balcanica, focalizzando l’attenzione sul caso Jugoslavia.

La fine del primo conflitto mondiale, la cui minaccia non a caso era stata innescata proprio nei Balcani occidentali, ha segnato una svolta importante per l’intera regione. L’affermazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli1 da parte del

Presidente americano Woodrow Wilson, presentato come la nuova ricetta di pace e libertà attorno alla quale ricostruire un ordine mondiale armonioso, divenne presto ostaggio delle grandi potenze vincitrici, ma non lo divenne per i Paesi rappresentanti la zona balcanica, i quali gli sviluppi seguirono addirittura il cammino inverso da quello auspicato dal principio dell’autodeterminazione.

Avvenne così che popoli diversi furono inglobati in una singola entità statale, come conseguenza di un accordo serbo-croato raggiunto nel 1917, conosciuto come Dichiarazione di Corfù, con cui venne edificato un regno trino (inclusivo delle etnie serba, slovena e croata), indipendente e jugoslavo, comprensivo anche di Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia.

1 Principio all’autodeterminazione dei popoli è un principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere

liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale (autodeterminazione esterna). Proposto durante la Rivoluzione francese e poi sostenuto, con diverse accezioni, da statisti quali Lenin e Wilson, tale principio implica la considerazione dei diritti dei popoli, in contrapposizione a quella degli Stati intesi come apparati di governo. In tale senso, si pone potenzialmente in conflitto con la concezione tradizionale della sovranità statale; la sua attuazione deve inoltre essere contemperata con il principio dell’integrità territoriale degli Stati.

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Questa nuova creazione, finì con l’acuire le rivalità e gli attriti tra le differenti nazionalità costrette in una monarchia solo nominalmente costituzionale e ancor meno multi-etnica.

Infatti i serbi, nominando reggente il Principe Aleksandar Karadjordjevic, monopolizzarono l’organizzazione del nuovo Stato, la quale si dispiegò secondo una logica marcatamente serbo-centrica. La formale parità che avrebbe dovuto regolare gli equilibri dei Paesi insiti nel regno jugoslavo, venne soppiantato dall’unilateralismo serbo.

Questa prima esperienza di convivenza tra le distinte nazionalità balcaniche non fu positiva, dato che alla spinta centralista da parte serba corrispose un rafforzamento dei movimenti ultra-nazionalisti nelle periferie del regno, in particolare in Croazia dove trovò nuova linfa il gruppo radicale e terrorista degli ustascia; dinamica conflittuale che si ripropose con altrettanta intensità dopo la morte di Tito.

Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali il nazionalismo continuò a esercitare una forza importante e le tensioni tra le varie nazionalità costituenti della Jugoslavia, rimasero irrisolte.

In merito alla questione serbo-montenegrina, ancora prima della fine del primo conflitto mondiale si era ventilata l’ipotesi di unire i due Stati in una monarchia unitaria sotto l’egida dinastia Karadjordjevic; progetto ben visto dalla Russia, che lo riteneva un astuto escamotage politico per rafforzare la propria influenza, seppur indiretta sulla regione. Alla fine dei giochi, con il parere favorevole dell’Assemblea di Podgorica del 1918, Serbia e Montenegro si coniugarono in un solo Stato, il quale confluì nel regno trino divenendone la “spina dorsale”.

Prendendo spunto da questi eventi, appare chiara la duplice influenza delle potenze europee sulle strutture di potere balcaniche: da un lato vi è la tendenza, quasi un’aspirazione, manifestata da parte dell’élite locali ad assimilarne gli ideali europei e le corrispettive forme di governo ed organizzazione dello Stato; dall’altro è presente un’ingerenza di matrice imperialista che concepisce la mappa dei Balcani come uno scacchiere dove le grandi potenze muovono i loro pezzi.

Questo schema relazionale di matrice binaria tra i Balcani e l’Europa, basato su una commistione di idealismo e materialismo, si dimostrerà usuale anche nelle decadi successive.

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Nel periodo della seconda guerra mondiale, dopo una pesante offensiva militare, nel 1941, i Balcani si ritrovarono sotto il dominio delle forze dell’Asse, che sfruttarono gli antagonismi etnici e nazionali per tenere saldamente in mano le redini del potere. Fomentando l’odio lungo linee di frattura di per sé molto profonde, l’area balcanica si trasformò in un “campo di battaglia culturale”. Il regime collaborazionista croato degli ustascia mise in atto uno sterminio di massa dei serbo-ortodossi e della popolazione ebrea, mentre in Bosnia il conflitto assunse le caratteristiche di una guerra di religione che vide musulmani e cattolici opposti a ortodossi ed ebrei.

Il nazionalismo serbo si identificò con il movimento cetnico guidato da Dragoljub Mihailovic, che si mosse dalle iniziali posizioni lealiste filomonarchiche contrarie all’occupazione nazi-fascista a un atteggiamento anti-comunista, collaborazionista e di forte stampo razzista.

Alla fine, grazie all’appoggio delle forze Alleate, i partigiani che facevano capo a Josip Broz “Tito” riuscirono a prendere il controllo della regione, ponendo in essere il piano definito a Jajce (Bosnia) nel 1943, ovvero la creazione di una Jugoslavia comunista federale e con capitale Belgrado, inclusiva di sei repubbliche (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia) e due provincie autonome comprese nella repubblica serba (Vojvodina e Kossovo).

Le spinte centrifughe trovarono rimedio grazie ad un forte perno centrale, il Partito comunista, e ad un’intensa propaganda mirata a identificare lo stato jugoslavo quale erede della lotta partigiana che accomunava tutte le popolazioni nonostante la diversa estrazione etnica. Oltre a ciò, l’organizzazione federale jugoslava contemplava un grado di autogestione per le singole unità costituenti che col tempo andò aumentando. Si espanse a tal punto che con la ratifica della Costituzione del 1974 venne prevista perfino la possibilità per le repubbliche di scindersi dalla Federazione. Tito riuscì in questo modo a soddisfare le ambizioni delle differenti nazionalità jugoslave inserendole in un più ampio contesto gestito e diretto da un partito comunista organico, nella cui struttura di potere le questioni etniche rivestivano un’importanza unicamente marginale.

Un comunismo di matrice jugoslava e un sistema federale furono le armi a cui Tito fece ricorso per creare le basi concrete di uno stato coeso, in sintonia con i principi propagandistici di “fratellanza e unità” che ne erano lo slogan.

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Assieme all’abilità del leader jugoslavo di fungere da collante, giudice e pacificatore tra le diverse nazionalità in gioco, va evidenziata la sua capacità di esercitare quella “politica di oscillazione” che già agli albori dello scoppio della prima guerra mondiale aveva caratterizzato le relazioni internazionali degli stati balcanici.

Annunciando la via jugoslava al socialismo e separando i propri destini da quelli sovietici, strappo avvenuto in occasione del V Congresso del KPJ (Komunisticka partija Jugoslavije) del luglio 1948, Tito aprì la strada alla strategia del non-allineamento, maturata definitivamente nel 1961 con la Conferenza di Belgrado. Questa pragmatica posizione di ambiguità politica, situata in un contesto irrimediabilmente bipolare come quella della Guerra Fredda, permise alla Jugoslavia di Tito di ottenere benefici, anche finanziari, da entrambi i blocchi, vivendo per anni al di sopra delle proprie capacità e delle proprie risorse. È emblematico che negli anni sessanta fossero gli Stati Uniti, patria mondiale del capitalismo, a rappresentare la principale fonte di aiuto finanziario per la Jugoslavia comunista.

Con la morte di Tito nel 1980, l’insostenibilità dell’organizzazione coesiva impressa dal gerarca allo stato jugoslavo venne gradualmente in superficie. L’incapacità di reagire alla dilagante stagnazione economica spianò la strada alle rivolte, alle richieste di autodeterminazione da parte delle componenti nazionali e alla successiva disintegrazione.

La situazione fu resa ancora più esplosiva dal modello organizzativo delle forze armate: non solo l’attitudine nazionalista-serba tra le fila dell’esercito era maggioritaria, ma per di più le stesse forze armate erano concepite per essere affiancate in parallelo della Difesa Popolare Territoriale. Richiamando il vittorioso modello della lotta partigiana, esercito e popolazione erano viste come forze complementari in caso di conflitto, e ciò aveva contribuito alla diffusione popolare delle armi e dell’esercito militare.

Il periodo di crisi coincise con un’agguerrita lotta per il potere all’interno della Federazione, dalla quale emerse l’autoritaria figura di Slobodan Milosevic. Milosevic si dimostrò abile nel cavalcare l’onda del nazionalismo legato all’ideale della Grande Serbia per acquisire e poi per consolidare la sua posizione di potere. Nel 1987 il leader serbo ormai esponente di spicco della Lega dei Comunisti, divenne Presidente della Serbia grazie al suo acume nel comprendere l’attrattiva e la forza che scaturivano dall’idea di un’egemonia serba sulla Jugoslavia. Questa prospettiva avrebbe implicato

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l’affermazione violenta del potere serbo sia nelle provincie autonome del Kossovo e della Vojvodina, nonché nelle enclave a maggioranza serba presenti in Croazia e Bosnia-Erzegovina.

In chiave teorica il disegno per la riscossa egemonica del nazionalismo serbo era già stato delineato dall’Accademia delle Scienze e delle Arti della Serbia nel Memorandum redatto nel 1986, un documento che subito venne considerato fazioso e propagandistico da gran parte dell’establishment jugoslavo ma che invece ispirò fortemente la politica populista e demagogica del regime di Milosevic.

Testo che si configurò come un’aspra critica alla jugoslavismo di Tito2, ideato per controbilanciare l’altrimenti inevitabile supremazia serba e di conseguenza discriminatorio nei confronti della nazionalità jugoslava maggioritaria. Proprio i serbi erano dunque dipinti come la vittima predestinata e ingiustificata dalle altre nazioni jugoslave.

A partire dalla secessione della Slovenia, che dichiarò la propria indipendenza il 25 giugno del 1991, i Balcani occidentali caddero in una ben nota spirale di violenza che produsse decine di migliaia di vittime. Se l’indipendenza slovena provocò solo una flebile reazione da parte di Milosevic e dell’Esercito Nazionale Jugoslavo (JNA), l’irredentismo croato guidato dall’ultra-nazionalista Tujiman era considerata inaccettabile, data la presenza di abitanti serbi nella zona attorno alla città Knin, che si costituì come regione indipendente. Gli scontri tra serbi e croati nei pressi di Vukovar portarono all’emergere dei primi esempi di politica serba di pulizia etnica. La Croazia fu sconfitta e un quarto del suo territorio venne annesso alla Serbia. Il conflitto si estese poi alla Bosnia Erzegovina, dove il leader musulmano Izetbegovic si contrapponeva al filo-serbo Karadzic, che mirava all’annessione della Bosnia Erzegovina, in quanto repubblica serba, alla Serbia di Milosevic. I nazionalisti croati in questo caso si schierarono con i serbi contro i bosniaci, nella speranza di espandere il loro territorio fino alla regione della Herzeg-Bosna. Il susseguirsi degli avvenimenti fu contraddistinto da enormi perdite in vita umane, emigrazione forzata di massa e annientamento culturale. Un ripensamento nello schema croato delle alleanze portò alla formazione di

2 In effetti Tito aveva adottato una duplice strategia nel tentativo di equilibrare i rapporti all’interno della

federazione. In primis, al momento di tracciare i confini delle repubbliche e delle province autonome, aveva fatto in modo di includere aree ad alta densità serba nei territori della repubblica croate, bosniaca e montenegrina. In secondo luogo mise in atto una progressiva dispersione territoriale dell’autorità attraverso l’adozione di nuovi documenti costituzionali o la revisione degli stessi.

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un accordo croato-musulmano in funzione anti-serba che, unito alla pressione internazionale, alla minaccia di un intervento aereo della NATO e al rischio di un’implosione delle forze serbe, convinse Milosevic a sedere al tavolo delle trattative, dal quale scaturirono i controversi accordi di Dayton.

A Dayton furono però lasciate irrisolte molte questione chiave, tra cui spicca quella relativa allo status del Kossovo. Negli anni successivi l’estremismo serbo si scontrò con l’indipendentismo kossovaro armato dell’UCK (Ushtria Clirimtare e Kosoves). La veemenza della repressione messa in atto dai militari serbi condusse nel 1999 all’intervento militare aereo della NATO, a seguito del quale il Kossovo divenne un protettorato internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite.

I sanguinosi conflitti balcanici degli anni 90 sono stati oggetto di molte interpretazioni. Alcuni, come lo storico militare John Keegan, hanno definito tali avvenimenti come “un

conflitto tribale primitivo che solo gli antropologi possono comprendere” oppure, come

citato nel 1993 dal Primo Ministro britannico John Major, il quale considerava il fenomeno come “il prodotto di forze impersonali ed inevitabili” che sfuggono al controllo umano.

I serbi, quindi, erano considerati i principali artefici dello sterminio etnico, e venivano visti dall’Europa “come personaggi medievali in preda ad un delirio mitologico”.

Con particolare riferimento al Montenegro, dobbiamo sapere che con la fine della seconda guerra mondiale e la creazione della Jugoslavia, questo, dopo essere stato privo di un suo status specifico per oltre un trentennio, venne rispolverato quale repubblica socialista della nuova federazione guidata dal maresciallo Tito. Tale Paese è il risultato dell’opportunismo politico-militare e del sostegno russo tra il 1799 e il 1913, e successivamente del funambolismo di Tito nel progettare un’architettura statale funzionalmente anti-serba.

In Montenegro la rivoluzione anti-burocratica portò al potere un fedele seguace di Milosevic, Momir Bulatovic, che divenne il nuovo leader della Lega dei comunisti del Montenegro nel gennaio 1989.

È significativo notare come il fenomeno socio-politico denominato rivoluzione anti-burocratica, la quale segnò un radicale cambiamento di rotta rispetto alla precedente impostazione dello jugoslavismo di Tito, che originariamente affondava le radici nel

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malessere popolare legato alla questione basilare della carenza di “pane e lavoro”, sia stata poi riorientata e strumentalizzata come protesta politica.

Nel 1991 Bulatovic nominò Djukanovic, Primo Ministro, facendo di lui una figura chiave della politica montenegrina. In questa fase la posizione del Montenegro rispetto all’ingombrante vicino serbo era ancora in via di definizione. Se da un lato vi era una situazione di subordinazione materiale e sudditanza politica, dall’altro si ritagliava progressivamente spazio un ripensamento critico nei confronti dell’aggressiva politica di Milosevic. Questa tendenza si materializzò nell’opposizione a prestare forze armate di nazionalità montenegrina nel conflitto in atto contro la Croazia e nell’adozione da parte dell’assemblea montenegrina di una dichiarazione di sovranità. Tuttavia i legami con la Serbia erano difficili da scindere, soprattutto considerando il rischio di un intervento armato dell’esercito jugoslavo in Montenegro al fine di difendere l’integrità della nazione serba. Così, giunto il momento di votare per il referendum del 1 marzo 1992, il 96% dei montenegrini votarono a favore della continuazione dell’unione con la Serbia, aprendo così la strada alla costituzione nel mese di aprile di una nuova Repubblica Federale Jugoslava comprensiva di Serbia e Montenegro; quest’ultima, vista come una nuova creazione dei dirigenti di partito serbo-montenegrini poggiava su fondamenta molto fragili. Infatti la Lega dei comunisti del Montenegro (rinominatosi successivamente in Demokratska Partija Socijalista, DPS) si trovò a giocare una strategia del compromesso: pur mantenendo una stretta collaborazione col SPS (Socijalistička partija Srbije) di Milosevic, cercava anche di conservare il massimo grado sostenibile di autonomia rispetto alla Serbia. Questa strategia duplice diede luogo ad episodi contradditori, che comportò in Montenegro un dibattito relativo al proprio

status di partner serbo, dividendo in due il mondo della politica e della società, fino al

1994, anno in cui, le divergenze di vedute fra il SPS serbo e il DPS montenegrino scaturenti dalla crisi economica e del declino militare, politico e morale del regime, sposarono una peace policy di convenienza. A partire da questo momento, le relazioni serbo-montenegrine procedettero senza intoppi fino al 1997, anno in cui Djukanovic sconfisse Bulatovic alle elezioni locali montenegrine. L’avvicendamento tra Bulatovic e Djukanovic segnò la fine di un ciclo, portando ad una maggior apertura del sistema politico e ad un graduale peggioramento delle relazioni tra Belgrado e Podgorica, le quali raggiunsero una situazione di stallo. Se da un lato la sopravvivenza di una

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Repubblica Federale Jugoslava ormai priva di legittimità e tecnicamente disfunzionale era palesemente controproducente per entrambe le parti in causa, dall’altro non sembravano emergere soluzioni condivise per superare la situazione di stallo. Solo con l’ingresso in scena dell’Unione Europea, nella persona dell’Alto Rappresentante Javier Solana, fu possibile trasformare i fondamenti stessi che

sostanziavano le relazioni serbo-montenegrine, creando una situazione favorevole al dialogo e all’accordo.

Le intricate negoziazioni trilaterali, contraddistinte dal ruolo di mediatore forte giocato dall’Unione Europea, sfociarono nell’Accordo di Belgrado sui punti per la riconfigurazione delle relazioni tra Serbia e Montenegro, che venne firmato dalle autorità jugoslave, serbe e montenegrine il 14 marzo 2002.

L’alto Rappresentante Javier Solana salutò il raggiungimento dell’accordo con entusiasmo, affermando che esso costituiva un importante passo avanti per la stabilità dei due paesi con l’Unione Europea, visionando addirittura lo stesso accordo come l’inizio di un nuovo capitolo che avrebbe portato per la Serbia e il Montenegro all’adesione con l’UE.

A monte del successo è da considerare l’importanza dell’intervento della stessa UE, rappresentando una finestra di opportunità, fornendo tanto incentivi economici quanto provvidenziali giustificazioni politiche ai vertici delle due repubbliche, rendendo di conseguenza la possibilità di un radicale cambiamento della linea politica.

Il processo giunse a compimento solo il 3 febbraio dell’anno successivo, con l’approvazione da parte del neoeletto parlamento federale della Carta costituzionale della Serbia e Montenegro3, quale successore della Repubblica Federale Jugoslava. Il nuovo Stato appariva come un ibrido tra principio federale e confederale: implicava dunque l’istituzione di un singolo stato internazionalmente riconosciuto, ma interiormente composto da due repubbliche con un elevatissimo grado di autonomia. In realtà l’unione di Serbia e Montenegro rappresentò il frutto del compromesso tra due visioni antitetiche che ponevano in conflitto Belgrado e Podgorica riguardo ai requisiti sostanziali della forma di stato desiderabile.

3 La nuova Carta costituzionale era già stata approvata dall’assemblea montenegrina il 29 gennaio 2003 (55

favorevoli, 7 contrari) e ottenne il definitivo via libera solo dopo il voto favorevole delle due camere (camera alta: 26 favorevoli, 7 contrari – camera bassa: 84 favorevoli, 31 contrari) del parlamento della Repubblica Federale Jugoslava (Bidelaux, Jeffries 2007: 499-500).

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Nel frattempo, Djukanovic, che con le elezioni del 20 ottobre 2002, lasciò la presidenza della Repubblica per tornare a ricoprire il ruolo più influente di Primo Ministro, fu nel biennio 2003-2004 al centro di una serie di scandali che minarono la propria leadership e quella del suo partito; in particolare venne chiamato in causa dagli organi giudiziari italiani per presunto contrabbando di sigarette e presunto traffico di esseri umani. Questo destabilizzò profondamente la prevista armonizzazione in campo economico e commerciale tra le due repubbliche, che frustrarono così le speranze nutrite da parte dell’Unione di poter procedere alla graduale integrazione “in blocco” di Serbia e Montenegro. Anche a livello di supporto popolare l’unione di questi due Paesi stava perdendo appeal, poiché non aveva per nulla contribuito a risolvere le profonde contraddizioni sociali, economiche e politiche esistenti.

L’insostenibilità del legame tra Serbia e Montenegro, un’unione coatta tra due Stati che ormai vivevano come separati in casa, condusse inevitabilmente alla decisione Montenegrina di convocare un referendum popolare per stabilire in maniera definitiva lo status dello stesso; anche in questo contesto l’intervento della comunità internazionale fu incisivo e svolse un’importante funzione di legittimazione del risultato referendario; nello specifico l’azione congiunta dell’Unione Europea e la Commissione di Venezia4, contribuì prima alla fase organizzativa, nella quale vennero stabiliti i criteri fondamentali su cui fondare la legittimità e la regolarità del referendum, e successivamente alla fase di pubblico riconoscimento dei risultati delle urne.

Al referendum montenegrino del 21 maggio 2006 seguì la dichiarazione di indipendenza del 3 giugno. Con il raggiungimento dell’agognato obiettivo dell’indipendenza e sciolto il legame disfunzionale che lo legava alla Serbia, il Montenegro iniziò a promuovere piani di integrazione euro-atlantica.

Considerando la Repubblica del Montenegro quale caso singolo, non si può certo classificare come Paese di fama mondiale, in quanto non ha mai rappresentato il ruolo di protagonista nell’evoluzione del contesto politico ed economico.

Dal punto di vista economico il Montenegro è un paese in transizione; passando da paese economicamente arretrato, caratterizzato da un ridotto turismo e dal contrabbando

4 La “European Commission for Democracy through Law”, meglio conosciuta come Venice Commission, è

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come principale fonte di entrata, si è avviata negli anni post-indipendenza, una procedura riformista con l’intento di risollevare e rivalutare il Paese balcanico.

In questi anni, infatti, è stata avviata un’ardua fase di transizione, che come la maggior parte delle economie del mondo, a seguito della crisi economica globale e della crisi del debito europeo, ha avuto un periodo di recupero difficoltoso ma di successo, poiché è stata in grado progressivamente, seppur lentamente, a procedere ad un riallineamento del Montenegro agli standard europei.

Nonostante il Montenegro sia stato l’ultimo delle Repubbliche dell’Ex-Jugoslavia ad ottenere l’indipendenza, è riuscito a porsi come tassello fondamentale per l’ottenimento dell’equilibrio geopolitico dell’Europa dell’Est e ad oggi è da considerarsi uno dei protagonisti del processo di europeizzazione dei Balcani, che è stato consentito, oltre ad una concreta stabilità macroeconomica, anche ad una maggiore apertura del Paese nei confronti del commercio con l’estero, che ha avuto quale principale conseguenza, quella di attirare importanti investimenti stranieri.

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2. Investimenti esteri nel Montenegro

Negli ultimi trent’anni l’economia mondiale ha assistito ad un crescente aumento del livello di interdipendenza tra le economie dei vari stati, che ha comportato unitamente a questo aumento, lo spostamento della forza lavoro, lo sviluppo di nuove tecnologie, l’incremento del commercio ed un generale incremento degli investimenti produttivi e dei flussi di capitale finanziario. La globalizzazione dell’economia mondiale, ha quindi permesso alle aziende di operare in paesi diversi da quello in cui è insediato il centro delle loro attività, in modo da beneficiare delle diverse caratteristiche di ogni paese al fine di aumentare la propria profittabilità.

Il principale strumento che le imprese utilizzano al fine di raggiungere tale obiettivo è quello degli “Investimenti Diretti Esteri (IDE)5”.

Sono definiti tali, gli investimenti internazionali volti, all’acquisizione di partecipazioni “durevoli” di controllo, paritarie o minoritarie in un’impresa estera “merger and

acquisitions”6 o alla costituzione di una filiale all’estero “investimenti greenfield”7, che

comporta un certo grado di coinvolgimento dell’investitore nella direzione e nella gestione dell’impresa partecipata o costituita.

Questi investimenti sono stati accolti volenterosamente dalla Repubblica del Montenegro, la quale, successivamente all’ottenimento dell’indipendenza, come già specificato nel paragrafo precedente, ha introdotto una serie di riforme atte sia alla

5 IDE (Investimenti diretti esteri), sono flussi di investimenti effettuati dagli operatori in Paesi diversi da quello

dove è insediato il centro della loro attività. Tali investimenti sono caratterizzati da tre criteri che connotano questa tipologia di investimenti; i c.d. criteri OLI che generalmente si realizzano simultaneamente al momento in cui un’impresa effettua un investimento del genere.

La lettera O, sta per “Ownership – specific competitive advantages”, ovvero vantaggi legati al diritto di proprietà, riguardanti prodotti o processi produttivi per i quali è precluso l’accesso alle altre imprese (brevetti e beni immateriali, quali il marchio e l’avviamento). La lettera L “location advantages”, si riferisce ai vantaggi dipendenti dal paese oggetto di scelta di localizzazione, come ad esempio il basso costo dei fattori o la possibilità di accedere a nuovi sbocchi commerciali; infine, la lettera I “internalisation advantage”, consiste nei vantaggi derivanti dall’internazionalizzazione, e cioè i più ampi benefici derivanti dal rendere interne all’impresa, tramite l’acquisizione dell’impresa fornitrice delle fasi produttive a monte e a valle, che precedentemente erano svolte da imprese estere.

6 Con il termine “Merger and Acquisitions” – M&A, si intende letteralmente “Fusione e Acquisizione”. Nello

specifico con il termine ACQUISIZIONE si indica quell’operazione attraverso la quale un’impresa acquista, dietro corrispettivo, la proprietà di una quota totalitaria o di maggioranza di un’altra impresa. Invece con il termine FUSIONE, si intende quelle operazioni che determinano una totale integrazione fra le imprese coinvolte, le quali perdono la propria identità giuridica ed economica per confluire in un’unica struttura organizzativa.

7 Per investimenti greenfield, sottospecie degli investimenti diretti esteri, unitamente alle operazioni di merger

and acquisitions, sono investimenti che creano nuova capacità produttiva permettendo all’investitore di essere

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rinascita del Paese, ma anche ad un lento, seppur, progressivo allineamento con i maggiori paesi europei.

Lo stesso, infatti, insieme ad altri Paesi della penisola balcanica, sta vivendo un periodo di forte dinamismo economico grazie agli ingenti investimenti esteri che vengono effettuati da multinazionali sparse nel globo terrestre. A tal proposito, merita prestare particolare attenzione alle normative montenegrine, disciplinanti gli investimenti esteri, per capire e comprendere questa particolare attrazione del Pese.

Sulla base delle statistiche effettuate, fonti attendibili hanno rilevato dati fondamentali a dimostrazione dell’incremento degli investimenti esteri effettuati nel Paese negli ultimi anni.

Un’analisi statistica è stata effettuata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, la quale ha rilevato una crescita repentina degli investimenti nel Paese, definiti investimenti inward; in particolare data la mancanza di dati effettivi relativi all’ultimo biennio, la Farnesina è riuscita ad affiancare e a quantificare gli stock degli investimenti diretti esteri nel Paese relativi all’anno 2014 e 2015, quantificando nel 2015, 604,95 milioni di Euro di investimenti esteri contro i 4,42 milioni del 20148. Si evince come a distanza di un solo anno, sono stati incrementati gli investimenti all’interno della Repubblica Montenegrina.

Dal punto di vista giuridico, questa disciplina è normata dalla Legge sugli investimenti esteri “The foreign investment Law”9 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del

Montenegro, n. 18 dell’1 aprile 2011.

L’articolo 2 e l’articolo 3 della suddetta legge, definiscono i requisiti che devono sussistere, affinché si possa parlare di investimento diretto estero.

Nello specifico l’articolo 310 delinea che, l’investimento, per essere qualificato come tale, deve essere un investimento di tipo “pecuniario”, avente ad oggetto beni, servizi, nonché diritti di proprietà e titoli, in conformità con la legge, mentre, l’articolo 2

8 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, Info Mercati Esteri –

Report Montenegro, 2017.

9 THE FOREIGN INVESTMENT LAW (Gazzetta Ufficiale del Montenegro n. 18 del 1 aprile 2011) legge attualmente

vigente nella Repubblica del Montenegro, i cui 39 articoli disciplinano e regolano gli investimenti esteri che vengono effettuati all’interno del Paese balcanico.

10 Articolo 3, THE FOREIGN INVESTMENT LAW:

“(1) For the purpose of this Law, a foreign investment shall be a pecuniary investment, investment in goods,

services, proprietary rights and securities, in accordance with the law.

(2) Foreign investment made in goods and proprietary rights shall be understood to mean an investment in fixed assets, in accordance with accounting regulations.”

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tratteggia, invece, quelli che sono i requisiti che un investitore deve rispettare affinché possa procedere ad effettuare investimenti nel Paese; in particolare l’investitore straniero, può essere una persona giuridica o persona fisica. Nel primo caso, può essere anche residente nel territorio montenegrino, purché sia di proprietà di un soggetto giuridico o fisico straniero.

Tale legge, prevede la possibilità per l’investitore estero, di stabilire un’impresa in Montenegro, in modo autonomo o unitamente ad altri investitori stranieri, alle stesse condizioni che sono previste per i residenti che vogliano intraprendere un’attività imprenditoriale; si nota quindi, come tale legge, con l’articolo 6, voglia incentivare e tutelare il foreign investor, prevedendo lo stesso trattamento applicato agli operatori locali, fatta eccezione per le attività relative alla produzione e al commercio di armi e di equipaggiamento militare.

Oltre all’assoggettamento dell’investitore estero alle medesime condizioni previste per gli operatori locali, l’articolo 11 e l’articolo 12, facenti parte della sezione IV del testo normativo sugli investimenti esteri “Protection of foreign investors”, delineano, come si percepisce dal titolo della sezione di riferimento, ulteriori tutele per l’investitore. L’articolo 1111, in particolare, prevede che sia garantito il diritto di proprietà per il

foreign investor, in quanto non soggetto ad esproprio, fatta eccezione per casi di

pubblica sicurezza; in tali circostanze, all’investitore straniero viene accordato un risarcimento pari al valore di mercato del bene espropriato al quale va ad aggiungersi l’equivalente degli interessi al tasso LIBOR (London Interbank Offered Rate), calcolati sulla base del periodo che intercorre tra il momento dell’esproprio ed il momento della compensazione.

Inoltre, qualora all’investitore vengano imputate perdite derivanti da guerre o eventuali situazioni di emergenza, esso avrà diritto agli stessi risarcimenti previsti per gli investitori locali; questo è, invece, quello che emerge dalla disposizione inserita all’articolo 1212.

11 Articolo 11, THE FOREIGN INVESTMENT LAW:

“The assets of foreign investor may not be subject to expropriation, except when public interest is determined

by law or on the basis of law, in which case a compensation shall be payable in accordance with the Law.”

12 Articolo 12, THE FOREIGN INVESTMENT LAW:

“(1) A foreign investor who suffers damage as a consequence of war or emergency shall be entitled to

compensation for such damage which shall not be less than the fee attributable to the domestic legal entity and natural person in accordance with the Law.

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Da quanto appena esposto si evince come sia evidente l’intento del legislatore montenegrino ad attrarre gli investitori esteri grazie all’assoggettamento degli imprenditori stranieri alle medesime condizioni e agli eventuali risarcimenti previsti per gli operatori locali.

Vi è da dire, però, che, oltre alla tutela dell’investitore, un ulteriore motivo per cui il Montenegro ha attratto così tanti investitori stranieri, è il Regolamento sugli incentivi agli investimenti diretti, del 29 gennaio 2015, che prende spunto dall’articolo 16 della Legge di Bilancio 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del Montenegro n. 59/2014. Il Regolamento del 29 gennaio 2015 si pone come obiettivo, quello di disciplinare le condizioni e le modalità degli incentivi, nonché la loro assegnazione, attirando investimenti diretti nel settore produttivo e dei servizi.

Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 213, del suddetto regolamento, rubricato “L’investimento diretto”, viene delineato e definito quello che deve essere considerato investimento diretto, considerando come tale, l’investimento in beni materiali ed immateriali delle entità commerciali di nuova costituzione, l’espansione delle capacità produttive esistenti o la diversificazione della stessa di un’entità commerciale mediante l’impiego di nuovi prodotti e processi produttivi ed escludendo operazioni avente ad oggetto l’acquisizione delle quote o delle azioni in un’entità commerciale. L’articolo, quindi, indica quelle tipologie di operazioni rientranti nella macro-classe degli IDE, che sulla base di tale regolamento possono essere incentivati, andando a ritenere oggetto di incentivo gli investimenti greenfield, escludendo da quanto si osserva nel suddetto articolo, le operazioni c.d. merger and acquisitions.

Il regolamento è stato adottato con l’obiettivo di finanziare i progetti di investimento, i quali possono garantire l’introduzione di nuove occupazioni. Ai sensi dell’articolo 9, con “introduzione di nuove occupazioni” si intende il posto di lavoro creato a tempo indeterminato con lo scopo di realizzare il progetto di investimento, incrementando il livello occupazionale e contribuendo allo sviluppo economico e regionale del

(2) A foreign investor shall be entitled to compensation for damage caused by unlawful or irregular work of a

public official or public authority, in accordance with the Law.”

13 Articolo 2 (Investimento diretto), “REGOLAMENTO SUGLI INCENTIVI AGLI INVESTIMENTI DIRETTI”:

“L’investimento diretto, in termini di questo regolamento, presenta un investimento nelle immobilizzazioni

materiali ed immateriali del soggetto economico con lo scopo di costituire una nuova entità economica, di aumentare le capacità esistenti di quest’ultima, oppure di diversificare la produzione del soggetto economico mediante nuovi prodotti o processi produttivi.

(2) In termini di questo regolamento, l’acquisto delle quote o delle azioni della società economica, non si può

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Montenegro, stabilendo oltre all’esclusione di investimenti diretti sotto forma di operazioni M&A, l’inaccessibilità di finanziamenti per gli investimenti nei settori della produzione agricola primaria, della produzione di fibre sintetiche; nel settore del trasporto civile per via aerea, marittima, nonché per via terra; investimenti aventi ad oggetto attività riguardanti giochi d’azzardo, commercio, produzione di carbone e acciaio, produzione di energia, di petrolio, di tabacco, di armi e di munizioni.

Lo stesso articolo 9 prevede, altresì, l’obbligo per il beneficiario dei fondi a mantenere il valore del progetto dell’investimento e il numero dei nuovi posti di lavoro in modo continuativo per almeno tre anni per le piccole e medie società e per almeno cinque anni per le grandi società, richiedendo in caso di mancato rispetto di quanto previsto, la restituzione dei fondi assegnati.

L’articolo 6, evidenzia le condizioni, affinché, possano essere erogati i fondi ad incentivo degli investimenti, prevedendo al primo comma, che questi possano essere assegnati all’entità economica, purché soddisfino 10 requisiti, come di seguito riportati:

1) l’entità economica deve essere registrata nel Registro delle Imprese montenegrino;

2) è prevista la presentazione di un progetto di investimento, che sulla base dell’articolo 26, deve essere attentamente valutato da un’apposita commissione istituita ad hoc, nominata dal governo e composta dal presidente e da un minimo di sei membri, che decidono con la maggioranza dei voti di tutti i membri; 3) l’entità economica, presentatrice del progetto, non deve essere assoggettata a

procedure concorsuali e liquidatorie;

4) il rappresentante legale non deve essere sottoposto a condanna per reati commessi relativi all’esercizio dell’attività economica;

5) l’entità economica deve aver pagato le tasse, le imposte doganali e i contributi; 6) è necessario che nei 12 mesi antecedenti la presentazione della domanda,

l’imprenditore o l’entità economica non abbia diminuito il numero degli impiegati in Montenegro per il 10% o più;

7) il soggetto investitore, non deve essere un soggetto già finanziato con gli stessi incentivi previsti dal Regolamento;

8) non deve essere prevista la partecipazione di maggioranza da parte dello Stato o di un’amministrazione comunale;

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9) non deve trattarsi di un soggetto in difficoltà sulla base di quanto previsto dalle norme relative agli aiuti di stato;

10) che non è obbligata a restituire gli aiuti di stato illecitamente ricevuti.

Capiamo perciò, che il soggetto beneficiario degli incentivi previsti dal Regolamento del 29 gennaio 2015, deve rispettare alcune condizioni purché possa beneficiare dei fondi previsti; ma non solo, poiché come previsto direttamente nel secondo comma dello stesso articolo 6, è necessario, altresì, che l’investitore possa essere finanziato solo se stabilisce un’entità economica in Montenegro.

Un’altra condizione necessaria per l’erogazione dei fondi viene introdotta con l’articolo 714, il quale stabilisce che l’investimento debba avere un valore minimo di Euro 500.000 e che consenta la creazione di almeno venti nuovi posti di lavoro entro tre anni decorrenti dalla conclusione del contratto sull’utilizzo dei fondi.

L’entità di questi fondi a sovvenzione degli investimenti da parte di soggetti esteri, determinati dal Regolamento, viene stabilito in relazione ai costi ammissibili degli investimenti in immobilizzazioni materiali ed immateriali, di cui nei primi rientrano gli investimenti in terreni, edifici, impianti di produzione, macchinari ed attrezzature, mentre tra i secondi vengono inclusi i brevetti e le licenze che sono pur sempre soggette ad ammortamento.

Sulla base di quanto appena esposto risulta chiaro il motivo per cui il Montenegro sia così attraente per gli investitori occidentali.

Tra i tanti paesi che investono nel Paese balcanico, sempre sulla base dell’analisi statistica effettuata dalla Farnesina, l’Italia, passando dall’essere il ventiduesimo investitore, in termini di flussi di investimenti esteri nella Repubblica del Montenegro

14 Articolo 7 (L’assegnamento dei fondi per incentivare gli investimenti), “REGOLAMENTO SUGLI INCENTIVI

AGLI INVESTIMENTI DIRETTI”:

“(1) I fondi per incentivare gli investimenti si possono assegnare per un progetto dell’investimento con il

valore minimo dell’investimento di 500.000 euro e che prevede la creazione di almeno 20 nuovi posti di lavoro, entro tre anni che decorrono dalla conclusione del contratto sull’utilizzo dei fondi.

(2) Il periodo della realizzazione di un progetto dell’investimento e la creazione dei nuovi posti di lavoro, di

cui al paragrafo 1 di questo articolo, può essere prolungato se l’investitore non era in grado di realizzare il progetto dell’investimento entro i termini previsti dal contratto per i motivi che non potevano essere previsti al momento della conclusione del contratto sull’utilizzo dei fondi, per un periodo massimo di cinque anni a partire dalla data di conclusione del contratto sull’utilizzo dei fondi.

(3) L’importo dei fondi per lo stimolo degli investimenti viene determinato secondo i criteri indicati in questo

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nel 2014, sembra aver accelerato gli investimenti divenendo nel 2017 il primo investitore con un flusso di investimenti superiori ai 200 milioni15.

Vi è da precisare che l’Italia, oltre ad essere il primo investitore, è, allo stesso tempo, partner strategico del Montenegro nel settore dell’energia, dove alla presenza della società Terna S.p.A. che sta procedendo alla costruzione dell’elettrodotto sottomarino tra Italia e Montenegro, e A2A, già presente nel territorio dal 2009, si è aggiunta di recente anche ENI, che si è aggiudicata i diritti di esplorazione off-shore.

In via di sviluppo è anche il settore immobiliare, turistico (in cui molte società italiane si stanno aggiudicando gare di appalto), e il settore delle assicurazioni dove Generali riveste, ormai da qualche anno, una posizione di primissimo piano.

È da segnalare inoltre, che lo sviluppo degli investimenti italiani in Montenegro, non riguarda solamente multinazionali, ma questi sembrano toccare anche realtà più modeste, soprattutto nel settore del legno-arredamento, nonché investimenti nel settore dei servizi.

Si tratta di settori che sfuggono alle stime che vengono effettuate per la valutazione dell’evoluzione del Paese, ma che rappresentano in ogni caso sintomi di una crescente attività di scambio e di collaborazione tra i due Paesi.

Tra le motivazioni che stanno alla base dell’attrattiva che il territorio montenegrino ha nei confronti degli investitori esteri possiamo elencare il ridotto costo del personale e il cambiamento del quadro legislativo che si sta allineando sempre di più agli standard europei.

Meritano, però, di essere presi in considerazione ulteriori elementi; uno di questi è rappresentato dalla posizione geografica del Paese, il quale risulta essere un nodo strategico per il commercio dell’intero sud-est Europa. Questo, anche se di piccole dimensioni, rappresenta un hub ideale per moltissime imprese in quanto, pur sé confinante con l’Italia, la Serbia, il Kosovo, la Bosnia-Erzegovina, l’Albania e la Croazia, si trova a metà strada tra gli altri Paesi dell’Europa occidentale, il Medio oriente a la Russia. Inoltre, dal punto di vista delle infrastrutture, il Paese sta procedendo ad un progressivo ammodernamento; infatti, oltre a disporre di due aeroporti internazionali tra cui Podgorica (capitale del Paese) e Tivat, è molto

15 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE,Info Mercati Esteri –

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sviluppato dal punto di vista dei collegamenti marittimi possedendo tre porti sul Mar Adriatico, tra cui Kotor, Zelenika e il Porto di Bar, da cui transita circa il 95% del traffico merci via mare. Quindi, sulla base dei complessivi sforzi che si stanno compiendo per incrementare le infrastrutture nei settori del trasporto, dell’energia e del turismo che fungono da fondamenta per le esportazioni future e per la crescita dell’economia in generale, si evince come il Montenegro, proprio per la sua posizione strategica, rappresenti terreno fertile per un’azienda straniera che voglia servire più da vicino e in modo più efficiente i clienti dei Paesi dell’UE e dell’area balcanica.

Proprio l’insieme di tutti questi elementi hanno fatto sì che nel corso degli ultimi anni la Repubblica del Montenegro diventasse un Paese molto interessante agli occhi degli investitori europei e non. Oltre ai fattori appena descritti, risultanti efficienti per l’attrattività dell’imprenditoria nel Paese balcanico, bisogna però considerare un altro aspetto che rende lo stesso Montenegro un paese molto interessante; ovvero il sistema impositivo montenegrino.

Vedremo nel prossimo paragrafo come tale aspetto abbia reso il Montenegro, il Paese più competitivo della regione balcanica.

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3. Il Sistema impositivo Montenegrino

Il sistema tributario è il più importante apparato statale di un Paese. Influenza notevolmente le caratteristiche economiche e strutturali del sistema nazionale entrando in relazione con tutti i suoi apparati economici, i lavoratori, le imprese, gli investitori e ne modifica le principali caratteristiche come, il livello di occupazione, di imprenditoria, di welfare dei cittadini. Non solo, ma è anche un importante elemento di giudizio per gli stranieri, i quali, sulla base della struttura di un sistema fiscale, potrebbero essere incentivati o meno ad investire in un Paese piuttosto che in un altro. Dal suo corretto funzionamento dipendono i più importanti servizi che uno Stato deve garantire ai suoi cittadini; ad esempio l’erogazione dei servizi pubblici, il mantenimento e l’efficiente funzionamento delle opere pubbliche, la sanità, l’istruzione, il sistema pensionistico e previdenziale e, per questo motivo, incide fortemente sullo stato di salute, di benessere e di soddisfazione del suo popolo.

Storicamente, rappresenta uno degli elementi fondanti delle comunità civili, che, fin dagli albori prevedevano la raccolta dei tributi dai suoi componenti, e si qualifica come uno dei primi strumenti di equità e giustizia sociale che devono essere presenti in una società civile, nella quale è giusto che ognuno contribuisca, per le sue possibilità, alle necessità ed allo sviluppo della comunità.

Un sistema tributario giusto, equo ed efficiente è alla base di uno stato forte e solido ed è uno dei principali artefici della sua prosperità.

Dando per scontato quello che è il funzionamento del sistema tributario italiano, procederemo ad un’analisi di quello che è il sistema impositivo montenegrino, cogliendo quelle che sono le differenze sostanziali rispetto al T.U.I.R. e analizzando gli aspetti vantaggiosi della fiscalità, cercando di capire le motivazioni che stanno alla base di questa forte attrattività del Paese nei confronti dei soggetti stranieri, analizzando preliminarmente quello che è il sistema impositivo sui redditi delle Persone Fisiche per poi andare a incentrarsi sulla tassazione delle Persone Giuridiche.

3.1. The Law on tax on income of natural persons.

La tassazione dei redditi percepiti dalle persone fisiche è regolata dalla “The Law on tax

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24

testo montenegrino atto a disciplinare e fornire una chiara interpretazione di quello che è il sistema impositivo sui redditi prodotti dalle persone fisiche.

Il Testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del Montenegro n. 65/2001, la quale ha subito nel tempo alcuni correttivi, circa la soppressione di alcuni articoli, all’articolo 116, rubricato “General Provisions”, indica le varie fattispecie

scaturenti l’obbligo di pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, stabilendo, altresì, al secondo paragrafo, che le entrate derivanti dall’imposizione fiscale su tali redditi appartengono al Montenegro e in proporzione alle varie unità locali, sulla base di quanto previsto dalle relative disposizioni speciali.

Si può osservare subito una sostanziale differenza rispetto alla struttura del testo che disciplina l’imposizione fiscale italiana; in particolare mentre nel nostro Paese vi è il T.U.I.R.17, la quale come dice la parola stessa è un testo unico che disciplina l’imposizione fiscale a seconda che si tratta di Persone Fisiche o Persone Giuridiche, prevedendo una suddivisione in 4 titoli a seconda dei soggetti, oggetti di imposizione, nella Repubblica del Montenegro non è affatto così, ma per ogni fattispecie relativa al soggetto impositivo, vi è uno specifico testo di riferimento.

Cominciando ad analizzare il contenuto degli articoli della legge, dalla cui lettura si estrapola in linea generale il funzionamento del sistema impositivo montenegrino sui redditi delle persone fisiche, è necessario partire dall’articolo 2 e dall’articolo 3, dalla cui lettura viene perimetrato l’ambito soggettivo del testo, poiché definiscono il soggetto su cui viene applicata l’imposizione fiscale.

L’articolo 218 rubricato “taxpayer” fornisce la nozione del contribuente, prevedendo che

quest’ultimo producendo reddito secondo le fonti stabilite dalla stessa legge potrà essere assoggettato all’imposta, a prescindere che sia residente o meno.

Si tratta appunto di un articolo volto a definire il contribuente in linea molto generale.

16 Articolo 1, THE LAW ON TAX ON INCOME OF NATURAL PERSONS:

“(1) This Law introduces the obligation of payment of the tax on income of natural persons (hereinafter referred to as the income tax).

(2) The revenues resulting from the income tax shall belong to the Budget of Montenegro and budgets of local

self-government units in proportion regulated by special laws.”

17 T.U.I.R. – TESTO UNICO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) 18 Articolo 2, THE LAW ON TAX ON INCOME OF NATURAL PERSONS:

“(1) A taxpayer of the income tax shall be a resident or non-resident natural person who generates

income from sources stipulated by this Law.

(2) Where two or more physical persons jointly generate income, each of these persons shall be a

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Ad aggiungersi a questo, al fine di rendere maggiormente chiara la situazione del contribuente, vi è l’articolo successivo19, intitolato “Resident” il quale non definisce in

maniera più specifica il soggetto sulla base del quale viene effettuato il prelievo fiscale, ma definisce, come si deduce dal titolo dello stesso articolo, le caratteristiche di un soggetto affinché questo possa essere considerato residente.

In particolare, al 1° paragrafo dell’articolo vengono definiti due requisiti che debbano essere soddisfatti congiuntamente per far sì che un soggetto sia considerato residente, ovvero:

1) la persona fisica deve avere la sua residenza abituale o il suo centro di affari e interessi vitali nel territorio del Montenegro;

2) la stessa deve, inoltre, risiedere nel territorio del Montenegro per più di 183 giorni nell’anno fiscale.

Lo stesso articolo, con il paragrafo successivo, prevede un’ulteriore condizione di residenza aggiuntiva; ovvero la particolare fattispecie del soggetto che è stata assegnato in Paesi stranieri per condurre affari per una persona fisica o giuridica residente in Montenegro.

Relativamente al soggetto non residente, non esiste un apposito articolo così come previsto nel caso del residente, ma vi è un richiamo nel 2° paragrafo dell’articolo 420 “Object for taxation”, il quale, prevede l’imposizione nella Repubblica del Montenegro per quei redditi prodotti da quei soggetti che anche non essendo residenti nel Paese,

19 Articolo 3, THE LAW ON TAX ON INCOME OF NATURAL PERSONS:

“(1) A resident natural person (hereinafter referred to as the resident), under this Law, shall be a natural

person who:

1) Has his habitual residence or center of business and vital interests in the territory of Montenegro; 2) Resides in the territory of Montenegro for more than 183 days in the tax year.

(2) The resident of Montenegro shall also be a natural person who was assigned outside of Montenegro to

conduct business for a natural person or legal entity who is a resident of Montenegro, or for an international organization.”

20 Articolo 4, THE LAW ON TAX ON INCOME OF NATURAL PERSONS:

“(1) Object of taxation of a resident shall be the income he/she generates in Montenegro and outside

Montenegro.

(2) Object of taxation of a non-resident natural person (hereinafter referred to as the non-resident) shall be the

income that a non-resident generates in respect of activities performed through a permanent place of business in Montenegro.

(3) The permanent place of business referred to in paragraph 2 of this Article shall be considered to be a place

through which a non-resident carries out activities entirely or partly in Montenegro, directly or through an authorized representative. In the case of need, when determining the permanent place of business, the provisions of the law governing the tax on profit of legal entities shall apply accordingly.

(4) Object of taxation of a non-resident who does not have a permanent place of business in Montenegro shall

also be the income generated in respect of royalties, interests, and proceeds from rentals of immovable property located in Montenegro.”

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conducono affari per una persona fisica o per una persona giuridica che è residente nel territorio.

Lo stesso articolo, nel 4° paragrafo, prevede, facendo sempre riferimento ai soggetti non residenti, che sono oggetto di imposizione anche i redditi generati in relazione a

royalties, interessi e proventi derivanti da affitti di soggetti che possiedono una stabile

organizzazione in Montenegro; questo sarà oggetto di maggiore approfondimento nel paragrafo successivo.

Rientranti sempre nella I sezione relativa a disciplinare le disposizioni di base, oltre agli articoli sopra menzionati, vi sono ulteriori articoli che meritano attenzione.

Tra questi, vi è l’articolo 721 “Tax Period” volto a disciplinare il periodo fiscale, con cui

viene delimitato lo spazio di tempo per l’imputazione dell’obbligazione tributaria al contribuente.

Effettuando un confronto del sopra menzionato articolo con il 1° comma dell’articolo 7 del TUIR, si evince una differenza circa la determinazione del periodo per il calcolo dell’imposta sui redditi generati dalle persone fisiche; in particolare, mentre nel nostro sistema tributario, l’imposta è dovuta per anni solari, nel sistema montenegrino il periodo fiscale per il quale viene calcolata l’imposta sul reddito delle persone fisiche è l’anno civile, fatta eccezione dei casi in cui un’attività commerciale si interrompe o inizi nel corso dell’anno.

Altro articolo, la cui lettura coglie una differenza sostanziale rispetto al nostro ordinamento tributario relativo alla tassazione dei redditi delle persone fisiche è l’articolo 622, intitolato “Person exempt from taxation”, il quale elenca quei soggetti

esenti dal pagamento dell’imposta sul reddito.

21 Articolo 7, THE LAW ON TAX ON INCOME OF NATURAL PERSONS:

“(1)Tax period for which the personal income tax shall be calculated shall be a calendar year, with the exemption of cases when a business activity terminates or commences during the year.

(2) The income tax shall be calculated upon the expiry of the calendar year or other period for tax assessment

according to the tax base realized during that period.”

22 Articolo 6, THE LAW ON TAX ON INCOME OF NATURAL PERSONS:

“The following persons shall be exempt from payment of the income tax:

1) members of foreign diplomatic missions in Montenegro, and members of their households, if they are not citizens of Montenegro;

2) members of consular representative offices, as well as members of their households, if they are not citizens of Montenegro;

3) officials and experts of technical assistance programs of the United Nations Organization and its specialized agencies;

4) honorary consuls of foreign countries, but only for earnings received by a country, which has appointed them honorary consuls;

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Mentre nel nostro sistema impositivo con la Legge n. 289 del 2002 è stata prevista un “No Tax Area”, ritoccata nel tempo con le varie Legge di Bilancio, in base alla quale per determinate tipologie di redditi, viene previsto un limite al di sotto del quale vi è l’esenzione dall’imposizione fiscale, nel sistema impositivo montenegrino, oltre all’articolo 523 “Revenues Exempt from Income” che prevede anche qui determinate

soglie di ricavi e dei guadagni, nonché categorie degli stessi che non concorrono alla formazione della base imponibile, l’articolo 6 mostra un elemento molto differente dal nostro ordinamento, poiché, come già sopracitato, individua una serie di soggetti che sono considerati esenti.

In particolare, tale articolo, prevede l’esenzione dal pagamento dell’imposta, per i seguenti soggetti:

 I membri delle missioni diplomatiche straniere in Montenegro e i membri delle loro famiglie, se non sono cittadini del Montenegro;

 Membri degli uffici di rappresentanza consolari, nonché i membri delle loro famiglie, se non sono cittadini del Montenegro;

 Funzionari ed esperti dei programmi di assistenza tecnica dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e delle sue agenzia specializzate;

 Consoli onorari di paesi stranieri, per quei guadagni ricevuti da un paese, che li ha nominati consoli onorari;

 Funzionari, esperti e personale amministrativo di organizzazioni internazionali se non sono cittadini del Montenegro o non hanno la residenza abituale nel territorio.

5) officials, experts, and administrative staff of international organizations if they are not citizens of Montenegro or do not have habitual residence if Montenegro.”

23 Articolo 5, THE LAW ON TAX ON INCOME OF NATURAL PERSONS:

“Income shall not include revenues generated on the following basis:

1) regulations on rights of disabled persons;

2) allowances for children and special assistance for supplies for newborn babies; 3) basic rights in the area of social protection;

4) assistance in the event of destruction or damage of property as a result of natural disasters or other extraordinary events;

5) compensations paid from health insurance, except for wage compensation; 6) inheritances and gifts;

7) organized social and humanitarian assistance; 8) state awards stipulated by law;

9) pensions, except for pensions obtained in accordance with the law governing the wages of the state and public officials, and disability allowances;

10) games of chance and lotteries; 11) goods, life, and property insurance.”

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