Piera Condulmer
L'argomento dell'artigianato del legno vorrei aprirlo con una pagina del ben noto Giudizio redatto da Carlo Ignazio Giulio sulla Esposizione del 1844 a To-rino, dove tutte le attività artigianali del-la città avevano esposto il meglio di sé. Una pagina che con viva sensibilità pun-tualizza anche il graduale evolversi del-la società piemontese verso un più uma-no teuma-nore di vita, e insieme le muta-zioni del gusto e della moda esprimen-tisi nella successione degli stili, al cui movimento d'idee il re Carlo Alberto non volle certo rimanere estraneo. Ecco alcune considerazioni del Giulio: « Mentre l'arte dello stipettaio e dell'in-tagliatore manda all'esposizione copiosi e squisiti saggi dei suoi recenti progres-si, e dell'alto segno a cui è giunta in questa provincia, quella del legnaiuolo tanto più estesa e più utile, e quindi economicamente più interessante, par quasi che si vergogni di se stessa, e che non osi reggere il confronto con la sua ambiziosa sorella. Tuttavia molte delle
sue opere sarebbero in grado, anche per bellezza, di gareggiare con quanto pos-sono mostrare le tarsie più splendide e più perfette. Tali possono essere i con-fessionali, le sedie da coro, i battisteri, i pulpiti, le casse per organi di molte chiese; tali ancora le vetrine, le scan-sie, le bacheche di molte botteghe, gli scaffali di molte biblioteche, di molti musei, tali i soffitti gl'intavolati, le por-te di molti palazzi ».
Ma il Giulio a questo punto, con spi-rito democratico, vuol far notare un fatto: e cioè che « i registri delle doga-ne presentano un notevole incremento nel commercio dei mobili comuni, sen-za impiallicciature né dorature, con le-gni indigeni usuali, per mobili desti-nati al popolo. Il che è indice di cre-scente agiatezza ed incivilimento di quelle numerose classi che usavano per tutto mobilio delle loro case un tavolo, qualche panca e un canterano, e che ora possono comperare il cassettone, delle sedie, dei letti. E l'arte del
fabbri-cante consiste qui nel fare capi solidi, puliti e a buon prezzo ».
Per venire ai mobili d'arte piemontesi che hanno alle loro spalle le bellezze, anzi, gli splendori delle tarsie di un Pietro Piffetti, o di un Ravello, la cui voga parve decadere coll'affermarsi del-la semplicità dello stile impero, si può parlare di un risorgimento di quell'arte ad opera di Gabriele Capello detto il Moncalvo, che trovò tosto seguaci, e nella protezione sovrana la possibilità d'imporre un suo gusto, e di dare incre-mento all'ottima scuola di intarsiatori piemontesi. Anche qui un dato statistico ci conferma l'andamento di una moda: dal 1820 al 1843 l'importazione di le-gni esotici per tali mobili, preziosi è aumentata del diciotto per cento, pas-sando da 90 quintali a 1568 quintali. La medaglia d'oro conferita al Capello dalla Camera di commercio in questa come nella esposizione del 1838, oltre lo splendore e la perfezione dei suoi mobili e dei suoi intarsi, « premia
an-che il suo ingegno nell'ideare una pial-la meccanica atta ad agevopial-lare e ren-dere più spedito il lavoro d'intarsio e di scultura, influendo favorevolmente sul prezzo dell'opera. Uguale riconoscimen-to hanno avuriconoscimen-to i mobili di Pietro Berti-netti, e medaglia d'argento ottennero i bigliardi di Giovanni Bianco ».
La vita sociale si evolve, cresce la do-manda popolare, e l'artigianato e l'indu-stria seguono tale evoluzione (se non la determinano talvolta). Ma non per questo vien meno l'arte del minusiè che continua la sua splendida via, seguen-do anche le evoluzioni del gusto e de-gli stili che nel primo ottocento quasi si sovrappongono nelle espressioni del neo-classico e del revival gotico, entrambi vivamente assimilati da Carlo Alberto. Solo che i begli esemplari delle opere dei minusieri piemontesi non sempre sono trasportabili ad una esposizione: gli splendidi pavimenti in legno pregia-to dalle sapienti policromie, i soffitti so-lenni e preziosi, i rivestimenti lignei delle pareti in cui il legno è portato alla morbidezza del cuoio, gl'infissi di stipiti di porte, le sovrapporte, i battenti di porte, le ante di finestre, sono tutte ope-re non trasportabili, e ad una esposizio-ne il prevalere del mobile d'uso, può far dare l'impressione del venir meno di un estro d'arte e di una altissima abilità.
D'altra parte se il raffinatissimo ed eclet-tico bolognese Pelagio Palagi, assunto da Carlo Alberto come « pittore preposto alla decorazione dei palazzi reali », nel
1834, non avesse trovato a Torino e in Piemonte un ambiente di alta specializ-zazione in questo campo artigianale, co-me avrebbe potuto far realizzare quei suoi minutissimi disegni che non erano più le voluttuose volute barocche o i riccioli rococò, ma i rigori di una clas-sicheggiante simmetria, o le elastiche ri-gidità del neogotico, o esotismi sofisticati al massimo nelle sue strutture lignee? Ciò di cui bisogna lamentarsi viceversa, è che raramente in questo secolo e nei secoli precedenti, questi stupendi lavori artigianali siano stati firmati, si da la-sciare alla storia dell'arte una serie di nomi, e non solo alcuni nomi e ancora appena dalla fine del settecento, al con-trario, per esempio, di quanto è avve-nuto in Francia, dove ogni gran mobile è firmato, aumentando cosi sensibilmen-te il suo valore.
Non si è ancora riusciti a trovare un documento sulla prima costituzione del-la corporazione o associazione, o com-pagnia dei lavoratori del legno a Tori-no, e usualmente la si vuol far risalire al 1636, alla data cioè in cui questi arti-giani inviarono richiesta ai Padri Car-melitani di S. Maria di Piazza, di poter assumere il patronato di una cappella della chiesa, da dedicare ai loro santi protettori, S. Giuseppe e Sant'Anna. Tale data non può essere accettata, in quanto implica che l'associazione già fosse preesistente, e in grado di soppe-rire alle spese di un patronato.
Non avendo null'altro di specifico su cui basarsi, penso che risalire agli Ordi-nati del Comune possa dare qualche in-dicazione; da quello in data 12 giugno 1375 si desume che la popolazione at-tiva di Torino era suddivisa in ventisei gruppi o categorie di attività, ma non sappiamo se queste fossero associazioni di mestiere o religiose e caritative, si potrebbe però desumere che l'una cosa fosse legata all'altra; il quattordicesimo gruppo è quello dei falegnami. Questi gruppi formavano la Società popolare di S. Giovanni ed erano tenuti ad offrire i ceri per la festa del Patrono (che coinci-deva con la festa delle messi), e tra di essi si sceglievano coloro che avevano
Per produrre di più e meglio. l'onore di portare i ceri nella
proces-sione, cioè i cerey. Quello offerto dai carpentieri era il cereum
carpentario-rum. Questi gruppi escludevano altre
associazioni che non fossero le confra-ternite. Quale fosse la organizzazione di questi gruppi non ci è dato di conoscere. Negli Editti dei Sabaudiae Statuta di Amedeo V i l i del 1430 (a stampa nel 1530 per Bern. De Sylva) vengono trat-tati solo rapporti economico-professio-nali, e cioè gli operai dovevano lavo-rare fideliter, legaliter, sine fraude ecc. Dell'interesse di Emanuele Filiberto per ogni categoria artigianale abbiamo già accennato a proposito degli orafi nulla di specifico riguarda i lavoratori del le-gno, ma nel luglio 1574, quando si sta-vano allestendo febbrilmente i prepa-rativi per ricevere il neo re di Francia Enrico III di Valois, fratello della du-chessa Margherita, facendo obbligo a tutte le categorie artigianali di concor-rere negli addobbi delle vie percorse dal corteo reale, la prima nominata ne-gli Ordinati del Comune è quella dei minusieri, la seconda dei Maestri da legname che dovevano fare la tapizzata con frasche, ciascuno lungo un tratto di strada assegnato, pena vinticinque lire di multa.
Questa imposizione collettiva da parte dell'autorità e la pena collettiva minac-ciata, implica che vi fosse una associa-zione di categoria, anzi due distinte, se sono nominati separatamente i Minusie-ri e i MaestMinusie-ri da legname.
Categorie che se pur non esistevano pri-ma, come viceversa si è tentato di di-mostrare, ebbero più che mai ragione di formarsi nella seconda metà del XVI se-colo come difesa associata non contro, ma verso un principato che diventava assoluto, e come difesa di valori religio-si che l'infiltrazione degli ugonotti, fa-voriti dalla politica francese, metteva in pericolo. E per questa seconda motiva-zione forse è bene riferirsi alla vasta opera svolta dalla Compagnia della fede cattolica di S. Paolo, mentre per quanto riguarda il principe che aveva da rico-struire il suo stato ab imis, socialmente, moralmente, materialmente, poter con-tare su organizzazioni di lavoro che per-seguissero scopi di miglioramento pro-fessionale e caritativi ad un tempo, ri-sultava quanto mai opportuno. E non
poteva certo essere Emanuele Filibertoli nella sua ansia di potersi liberare dal vincolo della importazione dall'estero, tale da opporvisi; d'altra parte l'autori-tà comunale negli Ordinati citati enu-mera ventotto di tali categorie lavora-trici, comprese quelle dei librari, profu-mieri, spetiali che in elencazioni prece-denti non erano mai comparsi.. Segno anche questo dell'evolversi della orga-nizzazione sociale del lavoro.
Scopi civili e scopi religiosi di associa-zioni cui, nella istituzione della Giunta dei Cognitori Giudici e Sopraintendenti del 1566, il duca mise a capo il Gran Cancelliere e come primo Presidente l'Arcivescovo.
Con Carlo Emanuele I queste associa-zioni assunsero decisamente un volto professionale e corporativo e insieme di assistenza sociale nei confronti dei pro-prii iscritti, dei loro figli, dei loro or-fani, delle loro vedove, specialmente quella dei Minusieri, e si può dire che il 1582 segni la ricomposizione ufficiale delle antiche categorie economiche (se mai si dispersero del tutto anche duran-te l'occupazione francese) e i lavoratori del legno erano indicati come Mastri di legname. Italo Mario Sacco in
Profes-sioni arti e mestieri in Torino dal XIV al XIX secolo, afferma che gli artigiani
rispolverarono tutti i loro antichi capi-toli e cappelle: sarà certamente cosi, ma lo strano è che i capitoli dei minusieri non si riesce a documentarli (almeno fino ad ora) prima del 1654. Viceversa è del 1636, come già accennato, l'atto conclusivo delle trattative intercorse tra la Compagnia dei Minusieri sotto l'in-vocazione di S. Giuseppe e Sant'Anna canonicamente eretta per la Corporazio-ne dei Minusieri, Ebanisti, Mastri di carrozza e i R.R.P.P. Carmelitani del convento di S. Maria di Piazza, per la compera dell'uso di una cappella della loro chiesa, per le funzioni religiose de-gli associati. « L'anno del Signore 1636, la quarta indizione, et alli sette del mese di luglio, sia manifesto a ciascuno con ciò sia cosa che la Compagnia dei minu-sieri di questa città desiderosa d'havere un altare di qualche chiesa alla quale possino far messe e cantare i luoro di-vini uffici, in particolare nelli giorni di S. Giuseppe e Sant'Anna luor patroni, con luogho di farli una sepoltura per
detti minusieri, et havendo fatto intendere questo suo desiderio alli M.M.R.R.P.P. Carmelitani di questa città, siano venuti con luoro Padri alli accordi e capitoli infrascritti... » I mi-nusieri s'impegnavano di abbellire la cappella e fornirla di paramenti, e paga-vano 50 lire d'argento di 20 soldi l'una, corrispondendo 4 lire all'anno, e facen-do cantare ogni anno una messa parata nel giorno di S. Giuseppe e di Sant'An-na, a un ducatone. Il documento porta venti firme, quelle dei sindaci G. B. Boerzo e G. B. Truccone, poi quelle di Ferrerò, Massari, Balona, Monbellini, Casta, Cennino, Magliano, Petiti, Rogie-ro, Audet e via via. Le lire 50 le ebbero dal lascito del mastro Restenzio fabbri-cante di scale a lumaca. Il 30 novembre
1682 essi s'impegnano davanti al no-taio Giusto Domenico David, di ese-guire lo sfondamento della loro cappel-la per desiderio dei Padri, onde alli-nearla con le altre: la carta è firmata dai sindaci R. Minotto e P. A. Molineri ed in più da quello dei bottalari. La compagnia si arricchiva della cappel-la, mentre la corporazione d'arte voleva affermare la sua organizzazione di pote-re, non politico, ma nell'ambito dell'ar-te come autorità giudicandell'ar-te. Nel 1654 i Minusieri e i Mastri di carrozza volendo « servire al medesimo pubblico e a par-ticolari di esso con quella puntualità che si richiede in tale arte, senza do-glianze tanto dei cittadini che tra loro medesimi », si rivolgono al sovrano per ottenere che: « 1) nessuno possa aprire bottega di minusiere, ebanista, mastro di carrozza, montatore d'arma in Tori-no e fuori i borghi, né esercitare, che non sia stato approvato "il loro trava-glio sia di carrozze che guarniture di esse, intaglio o montatura", dalli sindaci o deputati dell'arte della medesima uni-versità e pagata una doppia alla bossola della Compagnia delli santi Giuseppe e Anna, con esclusione dei figli dei mae-stri inabilitati o defunti; 2) chi contrav-venisse a queste norme contrav-venisse multato di 15 scudi d'oro, che sarebbero stati versati per metà alla cappella e metà al fisco; 3) tutti i mastri fossero obbligati a pagare i cotizzi-, 4) per fare i lavori per sua Altezza fossero deputati gli ope-ratori dai sindaci senza aumento di prezzo, pena 15 scudi d'oro, metà alla
cappella metà al fisco; 5) fosse lecito eleggersi come Giudice Conservatore Protettore uno dei Segretari del Senato, escludendo altre ingerenze ». L'assenso ducale alle numerose richieste di privi-legi giunge datato da Moncalieri il 30 settembre 1654. La politica mercantili-stica era sempre più propensa a questo spirito corporativo che in Piemonte non si è mai posto contro il sovrano, ma an-zi derivava da lui la sua autorità e ne secondava perciò i fini; ne è conferma il nuovo riconoscimento sovrano dei privilegi ottenuti, da parte della duches-sa reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours nel gennaio del 1679, che conferisce all'associazione il titolo di Università dei Minusieri, Ebanisti, Mastri di carrozza, Mastri di Cadreghe, Minusieri bottalari, Montatori d'armi, allargando la cerchia dei coinvolti, di-ciamo, per dirimere questioni sorte tra i vari rami dei lavoratori del legno, as-sociazione che aveva scopi strettamente professionali, di metodi di lavorazione, di rigore nella dichiarazione dei legni e nella fissazione dei prezzi.
Con questo si sperava che tutte le con-troversie avessero trovato la loro solu-zione anticipata, invece non fu così: insorsero i mastri bottalari a reclamare maggior voce in capitolo; la questione del vino sappiamo che ha avuto sempre molta importanza nella vita economica e sociale del Piemonte, perciò gli artefici addetti alla costruzione di quei reci-pienti cosi' importanti per la vinificazio-ne, esigevano avere una carica in seno all'associazione. La questione per il mo-mento venne appianata con la nomina di un sindaco bottalaro affianco a quello dei minusieri.
Ma nessuna istituzione è perfetta: c'era chi abusava dell'autorità professionale della corporazione per oltrepassare i li-miti della sua attività artigianale inva-dendo il campo altrui, pur non facendo parte di essa. Per esempio i Mastri da bosco di grosseria che dovevano fare la-vori a chioderia e non altro e la cui corporazione fu riconosciuta nel 1733, si spacciavano per minusieri; per stron-care gli abusi con disdoro dell'arte, i Mi-nusieri chiesero che anche questi fossero immessi nella corporazione per respon-sabilizzarne i lavori. Viceversa i Minu-sieri in virtù dei privilegi della maggiore
A sinistra:
Stemma della corporazione. Registro dei giudizi sui capi d'opera eseguiti dai candidati.
Prova d'esame per capi d'opera dei carozzai.
i IftVtl / r e ^ t ' J u ( 1 7 ^ cÀo 0Y*. C tu yx'rh u / L / & / * , fa i * f p / f < t e n é r e * -Irfrt rt<l
Prova d'esame per capi d'opera dei minusieri.
a*2
LI S I N D A C I , V I C E - S I N D A C I , E D E P U T A T I
ZDdt" Unhcuhà Hi dibattuti à Cbaniitì t e M-cutti Ha carro ft cj Hclla pte lente città, e Juoi botytù
PERMETTONO a / L * > iella presente città, e suoi borghi, ed ivi esercire tal sua arte da
di tener bottega aperta nella presente città, e suoi borghi, ed ivi esercire tal sua arte da mim*fi'frt pubblicamente, per aver dato saggio di sua abilità nelFaver fatto il capo d'opera sovra il disegno da lui rirato a sorte fra gli stati dall'Università assegnati per tal arte, rappresentante u n a . t / 1 runsf P ' i t f fwrfìtathb- t( A,m%ap j i f i à eyt> y t i * ' avendo altresì detto /jjrfym fatto constare d'aver pagato in mani del solito Tesoriere sig. f ù m h r r s J L - e ciò tutto sotto l'osservanza, e come prescrivono i capitoli, e Regia Provisione di S. M. delli 19 marzo 17j8 , ed. altri in essi riferiti. In fe'de del che se gii è spedita la presente c!a cui sopra sottoscritta, munita col solito sigillo di detta Università, e per me infrascritto Segretaro registrata. Dat. in Torino li tf / ì f l ' j
• Sindaco. itrgrìCHJ C0 ~ — ~ - - - ~ - . S i n d a c o .
^ e i t f r p Vice-Sindaco,
iBcu'' ^ ^ y/CLC/r'fe — — — ^ " " ' Vice-Sindaco.
fA-rt*nnjf'! jUrjre Deputalo di Minusieri.
tf&O — — - £)epUti3t0 di Minusieri.
: h jt jJjf* '* Deputato i i Minusieri.
^Sati+o+i Deputato de'' Minusieri. J>tà*t?t<r COpfiP' Depittalo degli Ebanisti,
>// . 4 , fa f i f f f 0 * A 0 ^Deputato degli Ebanisti. .
"- c Deputato di Mastri da carrette.
Deputato Mastri da carro " " ' ^ ^ E P S ^ s i B M f l i l P S S ^ i i ' 3 M H H P S C I
anzianità nell'arte, chiedevano che i due sindaci fossero più sovente eletti tra di essi. Sempre d'attualità era poi la que-stione del capo d'opera, al quale molti volevano sfuggire (anche per il suo co-sto), e altri esserne esentati dal favori-tismo sovrano; su questo punto però i mastri erano intransigenti e per ragioni di buona professionalità e per questioni di fonte di lucro.
Le questioni suesposte, dibattute in seno alla corporazione e risolte secondo crite-ri che erano crite-ritenuti di giustizia, furono inoltrate, chiuse in un Memoriale, all'as-senso sovrano, tanto più certo questo, in quanto tra i firmatari del documento in-viato a Carlo Emanuele III nel 1738, fi-gurava il nome di Pietro Piffetti ebanista di S.M. Nell'assenso sovrano era confer-mato l'obbligo del capodopera estratto a sorte tra otto disegni predisposti per ogni categoria di lavorazione, da ripro-durre in grande subito, ed eseguire in concreto nello spazio di cinque mesi nella bottega di un mastro. Si ingiunge-va inoltre che ogni mastro potesse fare solo la sua professione specifica, come da insegna inalberata sulla porta della propria bottega, e di adottare un mar-chio, che doveva essere depositato pres-so il Conpres-solato, da apporre ai lavori in modo che potessero essere individuati eventuali responsabili di contravven-zione ed essere multati di 25 scudi d'oro. Inoltre veniva disposto che i sindaci facessero ispezioni mensili gratuite nel-le botteghe senza preavviso, e che nes-sun mastro potesse rifiutare la bossolo per la colletta settimanale per la cappel-la, pena la multa di lire due. Dopo di che il 31 marzo 1738 il Consolato di S.M. sovra i Cambi, i Negozi, e le Arti in Torino sedente, registrava e pubbli-cava il tutto ad esclusione di ignoranza. Nemmeno queste disposizioni rappre-sentano però la perfezione: la difficoltà dei disegni proposti è eccessiva, e spesso il costo dei materiali per l'esecuzione troppo elevato; l'intervallo di tempo è troppo lungo e dà adito ad una infinità di brogli, per cui la prova d'esame può essere eseguita da altri. La durata mas-sima per l'esecuzione del capo d'opera doveva essere di due mesi, i temi a estra-zione, da otto ridurli a quattro per cia-scuna specialità e di maggior semplicità,
anche se tali da lasciare intendere il gra-do di abilità dell'esaminangra-do.
Esami e capi d'opera dovevano essere fatti anche per passare da apprendista a garzone o lavorante, dopo aver fatto quattro anni di apprendistato dall'età di dodici anni. Pochi erano i giovani che avevano il denaro sufficiente per sopperire alle spese del capo d'opera, perciò il numero dei lavoranti e di con-seguenza dei mastri rimaneva necessa-ri'amente esiguo ed evitava concorrenze, anche se ufficialmente il rigore veniva giustificato sempre con la salvaguardia della dignità professionale. Da notare poi che l'apprendista una volta appro-vato, doveva rifondere al maestro di