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METODI DI RILEVAMENTO DELLE RISORSE

Nel documento Cronache Economiche. N.011-012, Anno 1977 (pagine 25-35)

FORESTALI

Attilio Snlsnttn

Lo studio del bosco per la migliore conoscenza della risorsa rappresentata dal legname, materia prima non surro-gabile, è passato attraverso tre momenti in questo ultimo cinquantennio.

Il rilevamento effettuato dall'Istituto centrale di statistica, con l'impiego di alcuni modelli a stampa compilati dagli uffici periferici del Corpo Forestale del-lo Stato, volto a conseguire le seguenti finalità: 1) statistica delle utilizzazioni legnose (tagliate dei boschi e utilizza-zioni legnose fuori foresta); 2) statisti-ca degli incendi dei boschi (entità del fenomeno e valutazione dei danni); 3) statistica dei rimboschimenti e delle ricostituzioni boschive (superfici e prin-cipali caratteristiche degli interventi da chiunque effettuati); 4) statistica dei prezzi degli assortimenti (rilevazione dei prezzi di macchiatico su alcuni tipi di boschi e individuazione dei prezzi di mercato per alcuni assortimenti). Si è trattato di un accertamento a carat-tere territoriale della consistenza del pa-trimonio forestale e della individuazio-ne del suo valore economico (capitale e reddito), con la valutazione finanzia-ria degli incrementi di valore e dei danni.

L'indagine tuttora seguita dagli uffici e adattata nei rilevamenti (tipo di model-lo, natura delle richieste, periodicità di rilevazione) con indicazioni atte a sod-disfare richieste a carattere nazionale e comunitario, rappresenta un fatto eco-nomico e territoriale sul tipo di un in-ventario statico, individuabile come rap-presentazione fotografica di un momen-to economico di attualità.

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Il secondo tempo dello studio, delle ri-sorse forestali, che ha ottenuto un im-portante riconoscimento nel 1952 con l'applicazione della prima legge della montagna, è stato quello della compila-zione dei piani di bonifica montani. Fin dal 1923 gli uffici forestali, hanno provveduto alla individuazione dei ter-reni sottoposti a vincolo per scopi idro-geologici inventariando indirettamente tutti i boschi compresi in perimetri sot-toposti al vincolo della difesa idrogeo-logica.

Però soltanto con la legge n. 991 del 1952, si è conferito agli uffici pubblici la possibilità di ottenere anticipazioni finanziarie dei mezzi occorrenti per il più razionale sfruttamento dei beni agro-silvo-pastorali, ma soprattutto si è conferito al piano di bonifica il potere di realizzare mutamenti di destinazione dei terreni vincolati e quindi anche la trasformazione dei boschi in altre qua-lità di coltura.

I boschi del Piemonte sottoposti a vin-colo idrogeologico, ammontano ad ol-tre l'80% della superficie complessiva (Ha 476.313 su Ha 594.420). Risulta-no di fatto vincolati tutti i boschi posti nei territori declivi di collina e di mon-tagna.

Gli atti di vincolo molto dettagliati e ricchi di documentazione cartografica, costituiscono lo strumento fondamenta-le per la disciplina di tutte fondamenta-le attività volte alla utilizzazione, alla trasforma-zione dei boschi in altra qualità di col-tura ed alla gestione del territorio bo-scato.

II recente DPR n. 616 che attua la de-lega alle regioni delle funzioni trasfe-rite in forza della legge n. 382 del 22-7-'75, mentre trasferisce alle regioni le funzioni concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo, stabilisce l'immutabilità del re-gime del vincolo idrogeologico attual-mente vigente « fino a quando non sarà stabilita una nuova disciplina statale di principio ».

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Infine l'ultimo momento dello studio delle risorse forestali del paese si può riassumere nelle iniziative già conside-rate dalla legislazione forestale del 1923 e riprese con più moderne vedute e con maggiori finanziamenti dalle Regioni, che consistono nella compilazione dei piani di assestamento, nelle carte ecolo-giche e negli inventari attraverso indi-viduazioni di modelli.

L'assestamento forestale è un partico-lare capitolo delle scienze forestali, che si propone lo studio del bosco allo sco-po di ottimizzarne le funzioni, mediante una razionale gestione.

Si tratta di una materia che ha avuto una propria evoluzione in tutti i paesi di più antica civiltà risentendo

ovvia-mente delle circostanze ambientali che condizionano la presenza e la vegeta-zione dei sopprassuoli forestali. In Italia indicazioni assestamentali so-no già reperibili negli Ordinamenti del-la Serenissima del-la quale, neldel-la seconda metà del tredicesimo secolo stabiliva provvedimenti legislativi per discipli-nare l'utilizzazione delle piante di ro-vere che vegetavano nei vasti territori della Repubblica, distinguendo i boschi in due grandi categorie: a) adibita alla produzione di assortimenti navali com-prendenti antenne da marina lunghe, poco rastremate e perfettamente diritte. Questo tipo di assortimento poteva es-sere prodotto soltanto da fusti regolari, senza anomalie, cresciuti in associazio-ni con determinati indici di densità;

b) destinata alla produzione di legname

da lavoro quale tavolame, puntelli e assortimenti per doghe o altre lavora-zioni.

Il trattamento adottato per i due tipi di boschi (cioè il modo ed i tempi di eseguire i tagli) in altre parole, l'asse-stamento dei complessi, doveva conse-guire queste specifiche finalità. Pertan-to la densità degli alberi, il grado di protezione delle piantine nate dal seme e gli accrescimenti di ogni sezione del bosco, erano orientate alla produzione di materiale rispondente ai requisiti ri-chiesti dal committente.

Era adottato un turno particolare con abbattimento delle piante a maturità tecnica, rigorosamente osservato ed ap-plicato con criteri matematici che per molti anni ha consentito un ottimo la-voro di produzione e di conservazione delle fustaie di rovere.

Oggi le finalità dell'assestamento dei nostri boschi, non sono più limitate al-la produzione di alberi che alal-la matu-rità forniscano certi tipi di assortimenti legnosi da destinare a fini prestabiliti. Al bosco si richiede la più completa esplicazione di tutte quelle funzioni che il bosco è esclusivo depositario e di cui la stessa opinione pubblica si va facen-do diretta interprete a tutti i livelli. Oggi la produzione di legname, almeno nei paesi più densamente popolati, non può prevalicare il grado di efficenza protettiva del bosco su versanti declivi e quindi potenzialmente interessati da fenomeni franosi. Né può essere

moti-vo determinante per l'applicazione di tagli a raso quando gli alberi esplica-no funzioni paesaggistiche, ricreative o rivestono nel loro insieme importanza sociale.

Quindi l'utilizzazione dei soprassuoli boschivi, siano questi governati ad alto fusto oppure a ceduo, richiede l'esatta valutazione degli interventi da adottare durante il ciclo evolutivo che si vuole perenne e fornitore di servizi diversi. Questo stato finale del bosco che i tec-nici definiscono con il termine di stato « normale », coincide con una situazio-ne ideale alla quale deve tendere qua-lunque bosco per fornire la massima resa in beni e servizi.

La « normalità » di un bosco si conse-gue quando si verifica la coincidenza di alcuni fattori caratteristici, quando cioè la distribuzione degli alberi sulla unità di superficie (densità del popola-mento), la presenza degli esemplari nel-le classi diametriche o di età e l'accre-scimento periodico dei complessi, ri-spondono a requisiti ottimali per la sta-zione e per la specie legnosa presa in considerazione.

Ultimo requisito da valutare nell'appli-cazione di qualunque forma di tratta-mento a soprassuoli boschivi, è la ne-cessità della migliore conservazione del bosco nel tempo, quindi la salvaguardia ed il potenziamento della rinnovazione spontanea.

Questo fattore è adeguatamente consi-derato dal piano di assestamento che prevede in apposito capitolo gli even-tuali interventi di miglioramento da rea-lizzare anche con forme di rinnovazione artificiale posticipata. La stesura e l'ap-plicazione dei piani di assestamento, si possono considerare momenti fonda-mentali di una pianificazione territoria-le anche se limitata ad uno specifico settore.

Lo stato attuale di realizzazione dei piani di assestamento dei patrimoni bo-schivi posti in comuni montani è molto diverso nelle regioni italiane.

Alcune hanno definito i piani per oltre il 90% dei boschi di proprietà dei co-muni, altre hanno anche già avviato il lavoro, almeno nelle fasi del coordina-mento e del finanziacoordina-mento, per i boschi di proprietà privata.

Altre regioni infine procedono

gradual-mente al lavoro secondo proprie norma-tive. Il Piemonte ha considerato il pro-blema nell'ambito della legislazione re-lativa agli interventi regionali per lo sviluppo dell'agricoltura e delle fore-ste, elevando al 90% la percentuale di contributo per il finanziamento della spesa.

Un altro metodo di rilevamento della vegetazione forestale è quello dello stu-dio dell'ecosistema con l'impiego di adatta cartografia. Particolare sensibili-tà dimostra la vegetazione forestale alle condizioni geomorfologiche e climatiche delle stazioni di insediamento, a quelle paleografiche e storiche evolvendosi in senso progressivo o regressivo secondo i cicli di successione dei complessi si-stemi biologici anche in tempi brevi. Questi studi portano ad una più com-pleta conoscenza di fattori che spesso sono sottovalutati nella impostazione di una razionale pianificazione territoria-le specialmente in montagna.

Un esempio meraviglioso di documenta-zione del genere, ci viene dal Trentino che ha definito (Arrighetti,

Pianificazio-ne forestale in Trentino) la carta

fore-stale della regione.

Si tratta della messa a punto dell'inven-tario analitico di tutto il patrimonio bo-schivo, ma soprattutto della interpreta-zione dei parametri fondamentali den-drometrici, alsometrici e fitosanitari dei complessi resinosi di maggior importan-za economica.

In Piemonte un analogo studio è stato portato a termine con il contributo fi-nanziario della Regione da parte dei proff. Bono e Barbero delle Università di Torino e di Marsiglia, ma è stato limitato purtroppo alla sola provincia di Cuneo. (G. Bono e M. Barbero,

Car-ta ecologica della Provincia di Cuneo).

Il testo descrive sinteticamente gli ele-menti floristici biogeograficamente più importanti delle serie di vegetazione, dei principali raggruppamenti forestali e dei settori geografici.

Segue lo studio dell'azione antropica sull'ambiente con una descrizione delle principali trasformazioni operate sugli ecosistemi naturali da parte dell'uomo nell'espletamento delle sue molteplici attività.

Una forma del tutto nuova dei rileva-menti della vegetazione forestale che

consentono previsioni attendibili della dinamica vegetazionale, sono gli in-ventari.

I francesi hanno considerato questo ar-gomento con particolare impegno avva-lendosi dell'art. 204-1 del codice fore-stale, per estendere l'inventario a tutte le risorse forestali del territorio na-zionale.

L'ente incaricato di portare a termine il lavoro è stato invitato ad operare in senso estensivo inventariando non sol-tanto i boschi, ma anche i pioppeti, i filari, gli alberi posti fuori foresta, le siepi.

Si tratta di un programma ambizioso ed impegnativo, riferisce il dott. L. Brenac capo del servizio dell'inventario fore-stale nazionale (L. Brenac, Ressoùrce

et disponibilité - forestières), ma il

Mi-nistero ha ritenuto opportuno realizzar-lo con larghezza di mezzi, perché quan-do si è esaminato il problema nel suo schema fondamentale di inizio, si è vi-sto che la superficie forestale del terri-torio nazionale riportata dalle statisti-che, risultava diversa da quella reale con uno scarto di oltre 2 milioni di ettari.

Se questa differenza si rilevava a cari-co della sola superficie che fra tutti i dati è sicuramente il più semplice, si rischiava di far perdere credibilità al sistema.

L'inventario nazionale francese è stato voluto anche perché gli industriali del Sud-Ovest dovevano disporre di una valutazione molto esatta delle risorse rappresentate dalla disponibilità del le-gname di pino marittimo per lo spaziò di almeno un decennio.

Solo in questo modo infatti era possi-bile valutare appropriatamente il con-flitto d'interessi fra proprietari boschivi e industriali in seguito alla eventuale costruzione di una fabbrica che avreb-be dovuto utilizzare la materia prima proveniente dalle utilizzazioni boschive. L'importanza dell'inventario francese non va limitato ovviamente al caso ri-ferito di modesta ampiezza territoriale perché gli scopi della ricerca tendono a delineare nuove e moderne linee di gestione del territorio rurale coinvol-gendo quindi i criteri di utilizzazione dei boschi di proprietà privata oltre a quelli di proprietà comunale.

La stessa politica forestale può essere orientata nella soluzione dei grandi pro-blemi rappresentati dal deficit della bi-lancia commerciale gravata massiccia-mente dalla importazione di pasta per carta e di legname da destinare alla pre-parazione di pannelli ricostituiti. Considerazioni molto simili si dovreb-bero fare per il nostro territorio na-zionale.

Per la verità il Piemonte si è mosso finora abbastanza bene in questo setto-re della ricerca, psetto-redisponendo tipi di inventari per due formazioni forestali molto rappresentative in termini di red-dito e di superficie: il pioppeto ed i ce-dui misti di faggio.

Nella nostra regione la storia del piop-po è molto antica e' ricca di grandi suc-cessi riconosciuti ampiamente a livello internazionale, non solo perché l'albero ha rappresentato da secoli l'elemento caratterizzante di un sistema integrato di economia agro-forestale che ora altri paesi vanno scoprendo, ma soprattutto perché da oltre 40 anni opera in Pie-monte l'Istituto di Casale altamente specializzato che ha fatto scuola a ri-cercatori di tutto il mondo.

Su questa formazione forestale « sui ge-neris » l'inventario è stato condotto esa-minando 2000 Ha. con 485.000 piante circa.

Il rilievo di campagna definito come si-stema di campionamento a « grappoli » è consistito nella analisi dettagliata di determinati punti di sondaggio della superficie di otto ettari per un totale « grappolare » di 25 punti.

I « grappoli » sono poi stati trasferiti su fotografie aeree a scala variabile 1/14500 - 1/15500 ed ogni punto è stato foto-interpretato.

L'utilità dell'inventario svolto dall'Isti-tuto piante da legno di Torino, si è manifestata ben presto, appena sono stati resi noti i risultati dell'indagine. Intanto si è visto che le piantagioni di pioppo offrono condizioni ideali per ri-cerche di questo genere perché presen-tano una conformazione abbastanza re-golare, scarsa dipendenza da fattori esterni e brevità di turni.

Erano principi che già i francesi ave-vano individuato nella descrizione dei metodi di previsione della evoluzione

dei popolamenti forestali, sottolineando i seguenti punti:

— l'elaborazione dei metodi va fatta da personale altamente specializzato; — i metodi vanno applicati normal-mente a formazioni monospecifiche, omogenee, coetanee e possibilmente a densità normale o vicina alla norma-lità.

I modelli prestabiliti sono quindi adat-tati, con elementi informativi che con-seguono a fattori non sempre reperibili in realtà.

I dati dell'inventario dei pioppeti, han-no consentito poi di valutare la dispo-nibilità di materiale in uno spazio di tempo a medio e lungo termine. In particolare l'utilizzazione prevedibi-le per la superficie indicata, è sull'ordi-ne di 30.000 me sull'ordi-nei prossimi 5-6 anni, ma aumentabile considerevolmente in seguito, fino a raggiungere 60.000 me e più fra i 10 anni.

Con il ritmo attuale degli impianti (mantenendosi costante la superficie di 270 Ha. per anno) una produzione di 60.000 me di pioppo all'anno, potreb-be essere mantenuta fino alla fine di questo secolo.

I dati denunciati dalla coltura specia-lizzata, vanno integrati con quelli rife-riti alle piantagioni in filari le quali per il territorio esaminato, presentano una massa legnosa stimata in 63.820 me dei quali circa il 75% utilizzabile a breve termine.

Se ai nostri stabilimenti che producono cellulosa e pasta da legno (in Italia il consumo delle paste si avvicina ormai ai 10 milioni di me) vogliamo assicu-rare materia prima che attualmente im-portiamo per oltre il 70%, dobbiamo necessariamente far ricorso alle produ-zioni fornite dal pioppeto, perché tale coltura è l'unica capace di fornire rispo-ste soddisfacenti in tempi relativamen-te brevi.

Anche l'inventario del ceduo di faggio ha fornito risultati di notevole inte-resse.

Dalla superficie presa sinora in consi-derazione (oltre 20.000 nelle valli Stu-ra, Gesso, Vermenagna, Pesio e Tana-ro) è stata accertata una massa attuale (provvigione di me 1.519.200) pari a me 75,1 per Ha.

Bosco normale con struttura disetanea. K = coefficiente di mortalità

4^3 4,5

S = statura.

Bosco normale con struttura coetanea. Con l'avanzare dell'età del bosco la curva si sposta sull'asse delle ascisse mantenendo lo stesso andamento.

L'elaborazione dei dati raccolti e la co-struzione delle tavole di produzione, hanno consentito di formulare previsio-ni di produzione per i prossimi 40 an-ni e conseguenti proposte di utilizza-zione a breve medio e lungo termine. In particolare nei prossimi 10 anni, per il territorio preso in considerazione, ri-sultano disponibili me 572.300 di le-gno di faggio da prelevare su un'area di Ha. 4500 con accesso facile o me-diamente diffìcile. Ogni anno si potreb-bero quindi ricavare su una superficie media di 450 Ha., me 57.230 di legno, per una produzione di circa 16.000 ton-nellate di cellulosa grezza.

Dal lavoro sul terreno sono scaturite interessanti osservazioni sugli attuali sistemi di trattamento dei cedui e logi-che proposte alle possibilità di un au-mento di produzione e di un migliora-mento della gestione.

Per esempio l'attuale andamento dei turni stabilito dalle norme di polizia fo-restale che si riportano alla legge del 1923, sarebbe da innovare. Infatti il turno minimo prescritto per i cedui pu-ri di faggio è stabilito in anni 20, quel-lo delle querce caduci-foglie, il carpino e la betulla in anni 15.

Per il faggio sappiamo già però che l'in-cremento medio a 16-20 anni è di

1,5 me per ettaro mentre a 30-35 anni, l'incremento medio aumenterebbe ad al-meno 3 me in media. Sarebbe inoltre augurabile l'accorpamento dei piccoli lotti in complessi più estesi, per ridur-re i costi di esbosco e per ridurridur-re le perdite di lavorazione.

Anche lo studio di alcuni fenomeni che interessano più da vicino i nostri so-prassuoli boschivi, quale il passaggio del fuoco, è stato oggetto di attenzione da parte dell'Ispettorato regionale del-le foreste che in accordo con l'Istituto di informatica dell'Università di Tori-no, ha seguito alcune tesi di laurea per individuare un modello matemati-co per la propagazione degli incendi boschivi.

Lo studio è stato iniziato con indagini dirette sulla dinamica della propaga-zione del fuoco nel bosco con applica-zione del modello probabilistico di J. Hogg, impiegando i dati relativi agli incendi boschivi verificatisi in Piemon-te dal 1964 al 1974.

Il modello fornisce apprezzabili ele-menti sulle previsioni della velocità ed intensità di propagazione del fuoco nel bosco che assume caratteristiche del tutto diverse da quelle riscontrabili in altre circostanze.

Gli studi hanno altresì evidenziato con-cetti relativi al fenomeno di irraggia-mento, alle perdite termiche convettive, alla convezione riscaldante e alla capa-cità termica dello strato combustibile. Questi risultati potranno fornire utili indicazioni nella preparazione di ope-razioni strategiche di prevenzioni e nella impostazione più razionale dei metodi di difesa e di contenimento de-gli aspetti più pericolosi del feno-meno.

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Lo studio delle risorse forestali avva-lendosi dei metodi moderni d'indagine e di calcolo potranno consentire però una gestione più efficiente ed una con-servazione migliorativa dei soprassuoli soltanto se gli elementi individuati dal-lo studio verranno vadal-lorizzati dall'auto-rità decisionale in modo tale da non disattendere i risultati tecnici.

Ad esempio sarebbe perlomeno strano se un provvedimento legislativo regio-nale, che risulta già allo studio della competente commissione consigliare, relativo ai criteri e metodi per la terminazione delle distanze minime de-gli alberi dai confini, stabilisse criteri uniformi per tutti gli alberi e per l'in-tero territorio regionale. In questo caso correrebbe infatti un grosso pericolo la nostra pioppicoltura giustamente tanto celebrata per la sua tradizione di red-dito e di qualità.

Anche inutile sarebbe il lavoro d'in-ventario dei boschi se mancasse un ap-posito provvedimento che consentisse la definizione d'ufficio dei piani di as-sestamento in carenza d'iniziative da parte dei proprietari e che stabilisse un orientamento nuovo nella gestione delle utilizzazioni boschive e nella sca-denza dei turni.

I nostri boschi, almeno quelli di alto fu-sto resinoso, che sono i più importanti fornitori di assortimenti di pregio (che incidono più gravemente sulla nostra bilancia commerciale per il loro peso all'importazione) e che svolgono una

insostituibile funzione nella prevenzio-ne di fenomeni franosi, sono per la qua-si totalità posti in territori di monta-gna. La loro gestione rappresenta un fatto economico che ha aspetti finan-ziari e caratteristiche territoriali.

Nel documento Cronache Economiche. N.011-012, Anno 1977 (pagine 25-35)