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3. Il pactum de foro prorogando

3.2. Aspetti sostanziali e processuali del patto

Fatta questa premessa, la quale ci ha consentito di conoscere il pensiero di Carnelutti sulla natura del pactum de foro prorogando,

52 Ibidem, p. 75.

53 Tuttavia, abbiamo visto in precedenza come alcuni (FESTI, La

clausola compromissoria.) ritengano assolutamente riduttivo attribuire alla convenzione di arbitrato una mera rilevanza processuale, anche per il sol fatto che, con il passaggio dal giudice ordinario al giudizio arbitrale, non ci si troverebbe in un’ “altra giurisdizione”, bensì davanti ad un terzo demandato a dirimere la controversia sulla base di un accordo di autonomia privata (e non per volontà di legge).

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passiamo ad analizzare gli aspetti sostanziali e processuali dell’accordo di deroga alla competenza, così da comprenderne l’effettiva natura.

Questa esigenza si presenta proprio perché il pactum de foro prorogando si forma prima e al di fuori del processo, per poi produrre i suoi effetti sul processo stesso.

Per contro, particolari problemi non si pongono per l’accordo derogatorio c.d. successivo (ex art. 38 c. p. c.) -che si viene a formare nel momento in cui le parti in causa riconoscono fondata l’eccezione di competenza sollevata dal convenuto e aderiscono alla nomina del giudice da questi indicato- in quanto si tratta di un incontro di volontà che, manifestandosi e perfezionandosi all’interno del processo, è affine al patto ex. art. 28 c. p. c. solo sotto il profilo funzionale.

Ma procediamo con ordine.

Comunemente si afferma che l’accordo ex art. 29 c. p. c. sia un accordo processuale54, affine ai patti sulla giurisdizione, a quelli

sulle prove ex art. 2698 c. c. , alla clausola limitativa della proponibilità dell’eccezione ex art. 1462 c. c. e alla convenzione arbitrale.

Tuttavia, sebbene questa formula serva molto bene ad indicare che la convenzione è un incontro di volontà ed attiene al processo, è comunque piuttosto ambigua, perché qualifica in termini negoziali un atto relativo al processo, senza spiegare di che tipo di negozio o di che tipo di atto si tratti.

54 V. ANDRIOLI, Lezioni di diritto processuale civile, I, Napoli,

Jovene, 1961, p. 414 ss. ; BONGIORNO, voce Accordo processuale, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1990, p. 2.

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Nella disamina, è possibile procedere mediante un ragionamento induttivo -partendo dalla disciplina applicabile per poi risalire al concetto- facendo riferimento alla teoria di Bessone55.

A parer dell’Autore, non vi è dubbio che accordi come quello di deroga alla competenza, alla giurisdizione etc. siano manifestazioni di volontà: il consenso che distrae la lite dal suo giudice naturale per assegnarlo ad altro giudice dello Stato o ad una giurisdizione straniera non può che essere manifestazione di volontà, preventiva, i cui effetti sono determinati per accordo delle parti.

Ciò posto, si può dire che l’accordo ex art. 29 c. p. c. è un atto di cui si deve presumere la rilevanza dell’elemento volitivo.

Tuttavia, continua Bessone, prima del suo inizio, l’accordo di deroga costituisce una semplice convenzione di diritto sostanziale, per cui sarà possibile applicare la disciplina ex artt. 1427 ss. c. p. c. , riguardante i vizi della volontà; mentre, a giudizio iniziato, l’istituto cadrà nell’orbita della legge processuale e la norma applicabile non potrà che essere l’art. 38 c. p. c. , il quale, all’ultimo comma, disciplina l’eccezione di incompetenza territoriale nei casi in cui la deroga è consentita.

Bessone arriva a questa conclusione dopo aver preso in considerazione tre casi concreti.

Nel primo, il vizio della volontà è dell’attore e questi intende avvalersi dello stesso per sostenere l’incompetenza del giudice designato nel patto (a).

Nel secondo, titolare della volontà viziata è sempre l’attore ma il soggetto interessato a rilevarlo è il convenuto (b).

55 Cfr. , BESSONE, “Aspetti sostanziali ed aspetti processuali

dell’accordo di deroga alla competenza”, in Riv. trim. dir. proc. civ. , II, 1965, p. 1064 ss.

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Nel terzo, è il convenuto che, al momento della stipulazione dell’accordo, ha espresso una volontà viziata e sempre lui intende eccepirne la sussistenza (c).

Ebbene, a parer dell’Autore, solo in quest’ultima ipotesi può essere effettivamente lamentata l’invalidità dell’accordo.

Infatti, mentre nel caso sub a) per eliminare gli “effetti svantaggiosi” del patto all’attore basta citare il convenuto davanti al giudice naturale della controversia, nel caso sub b), secondo Bessone, l’invalidità del patto è sanata perché l’attore, citando il convenuto davanti al giudice convenzionalmente prescelto, convalida il negozio annullabile ex art. 1444, 2° comma, c. c.56, con

la correlativa impossibilità per il convenuto di eccepire la sussistenza del vizio.

E comunque, in ogni caso si sottolinea come ciascuna parte può rilevare solo e soltanto i vizi della volontà propria, e mai della controparte.

Tuttavia, una volta stabilito, a conclusione del ragionamento, che solo il convenuto è legittimato a manifestare l’invalidità dell’accordo per un vizio della volontà di cui lui stesso è titolare, qualora il patto sia effettivamente afflitto da una determinazione erronea e non spontanea, quale regime di invalidità applicare? Egli sostiene l’inapplicabilità sia della disciplina della invalidità sostanziale che della nullità processuale nella loro forma “pura”. La prima si ritiene inapplicabile partendo dall’assunto che l’accordo di deroga è un atto rispetto al quale l’esistenza del vizio non impedisce il prodursi di effetti, in quanto può essere

56 Secondo il quale «Il contratto è pure convalidato se il contraente

al quale spetta l’azione di annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo di annullabilità».

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“convalidato” nel momento in cui il convenuto non eccepisce l’incompetenza ex art. 38 c. p. c.

Pertanto, l’accordo viziato non può essere un atto nullo ex art. 1418 c. c. : se fosse tale la volontà viziata dovrebbe rendere l’atto improduttivo di effetti, l’art. 1423 c. c.57 ne precluderebbe la

convalida e l’art. 1422 c. c. ne statuirebbe il rilievo dell’invalidità come facoltà offerta anche all’attore, a chiunque vi abbia interesse e al giudice.

Detto ciò, non resterebbe che applicare la disciplina dell’annullabilità di cui agli artt. 1441 e ss. c. c.

Tuttavia, l’Autore nega anche questa possibilità, argomentando dal fatto che l’art. 38 indica un termine rigoroso entro il quale l’eccezione si può far valere (nella comparsa di risposta, tempestivamente depositata) e ciò rende l’accordo estraneo al decorso dei cinque anni dal momento della cessazione della violenza o scoperta del dolo e dell’errore di cui all’art. 1442 c. c. Riassumendo, e tornando a quanto affermato poco sopra, secondo questo orientamento prima dell’inizio del processo il patto di deroga si sostanzia in una semplice convenzione, i cui vizi possono essere convalidati da un atto idoneo (art. 1444, 2° comma, c. c.), mentre, a processo cominciato, non si è più in presenza di una fattispecie di diritto sostanziale ma di un atto rispetto al quale la mancata eccezione è omissione di una possibile tutela e non una convalida ex art. 1444 c. c.

Tuttavia, proseguendo nel ragionamento, Egli non ritiene il patto totalmente compatibile neanche con la disciplina della invalidità del codice di procedura, e ciò è da tener presente per comprendere

57 In quanto, ex art. 1423 c. c. «Il contratto nullo non può essere

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la natura atipica dell’accordo, piuttosto che ai fini della disciplina applicabile.

Si dice: l’art. 157 c. p. c. , rubricato “Rilevabilità e sanatoria della nullità”, stabilisce che l’invalidità dell’atto processuale può essere fatta valere soltanto dalla parte nell’interesse della quale il requisito mancante è stabilito e in quanto la medesima non vi abbia dato causa.

Ora, se si potesse disciplinare il patto di deroga alla competenza come gli atti processuali, si dovrebbe ammettere che l’interesse (che si sostanzia nell’aspirazione a che l’esercizio della giurisdizione sia operato dal giudice competente) richiesto dalla norma sussiste a vantaggio d’ambedue i litiganti.

Tuttavia, continua l’Autore, avendo già affermato come unico soggetto legittimato a rilevare il vizio della volontà inficiante l’accordo sia il convenuto titolare dello stesso, è palese come la facoltà di eccepire il vizio sia riconosciuta esclusivamente a quest’ultimo.

Ma poi, anche a voler prescindere da questa considerazione, secondo Bessone applicare la medesima disciplina (processuale) agli atti processuali e ad un atto esterno come il pactum de foro prorogando finirebbe per portare ad una distinzione esclusivamente nominalistica e, richiamando integralmente le norme del codice di procedura, si precluderebbe la via per cogliere il valore della struttura dell’atto in esame.

Quanto fino a ora affermato, allora, porta ad affermare che il pactum de foro prorogando sfugge ad una classificazione condotta alla stregua delle tradizionali categorie dell’atto sostanziale e dell’atto processuale.

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Concludendo, sulla base di questo ragionamento, Bessone58

qualifica l’accordo di deroga alla competenza territoriale come un tipo particolare di atto processuale59, affermando che, nel caso di vizi della volontà del patto, non sarebbe applicabile né la disciplina della invalidità sostanziale né quella processuale, se adottate nella oro forma “pura”.

Tuttavia, l’Autore, a conclusione della trattazione, lascia del tutto irrisolto il problema, non offrendoci alcuna effettiva soluzione sul regime di invalidità da applicare .