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Il concetto di negozio giuridico "processuale":possibile elaborazione di una categoria unitaria.

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Alla mia famiglia. A Virginia.

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I

INDICE

Introduzione. ... 1

CAPITOLO I LO SVILUPPO DEL PENSIERO DOTTRINALE SUL CONCETTO DI NEGOZIO GIURIDICO PROCESSUALE. 1. Per cominciare: il carattere dispositivo del processo civile. ... 7

2. Sviluppo del pensiero dottrinale. ... 11

2.1. Orientamenti dottrinali favorevoli alla valorizzazione del concetto in chiave “sostanziale”. ... 12

2.1.1. Il pensiero di Wach. ... 13

2.1.2. Il pensiero di Bunsen e Kohler. ... 14

2.2. Orientamenti dottrinali volti a restringere il concetto di negozio giuridico processuale nelle maglie degli atti processuali di parte, ovvero a negarne l’esistenza... 18

2.2.1. Il pensiero di Trutter. ... 18

2.2.2. Il pensiero di Costa. ... 21

2.2.3. Il pensiero di Betti. ... 25

2.2.4. Il pensiero di Pollak e Bülow. ... 27

2.3. Una rivitalizzazione del concetto. ... 30

2.3.1. Il pensiero di Weismann e Stein. ... 30

2.4. Orientamenti della dottrina italiana più recente: due brevi voci enciclopediche. ... 32

CAPITOLO II I NEGOZI GIURIDICI PROCESSUALI “DA FUORI A DENTRO”. 1. Premessa. ... 38

2. Natura della convenzione arbitrale. ... 38

2.1. Considerazioni preliminari: una progressiva unificazione dei sottotipi. ... 38

2.2. Le principali posizioni dottrinali sulla natura della convenzione arbitrale ... 41

2.2.1. Teoria processuale e teoria contrattuale. ... 41

2.2.2. Altre posizioni dottrinali sulla natura del patto compromissorio. ... 46

(3)

II

2.2.4. Gli effetti: il pensiero di Festi sulla categoria dei

contatti processuali applicata alla convenzione di arbitrato.

... 53

2.2.5. La convenzione di arbitrato quale contratto che costituisce in capo ai contraenti un fascio di situazioni giuridiche procedimentali. ... 57

2.2.6. Considerazioni conclusive in merito alla natura della convenzione arbitrale. ... 59

3. Il pactum de foro prorogando. ... 60

3.1. Considerazioni preliminari: analogia con la convenzione arbitrale. ... 60

3.2. Aspetti sostanziali e processuali del patto. ... 62

3.3. Considerazioni conclusive. ... 68

4. La clausola derogatoria della giurisdizione. ... 71

4.1. Premettendo: una disciplina che muta al variare del contesto storico di riferimento. ... 71

4.2. La natura del patto di deroga alla giurisdizione. ... 74

5. I patti sulle prove: questioni attinenti all’ammissibilità e alla natura degli stessi. ... 76

5.1. Le varie tipologie di accordo e gli orientamenti dottrinali più risalenti. ... 76

5.2. La posizione di Giuseppe De Stefano: natura processuale dei patti di prova. ... 81

5.3. La posizione di Titina Maria Pezzani: i patti probatori non possono essere ritenuti atti processuali. ... 84

5.4. Considerazioni conclusive. ... 87

CAPITOLO III I NEGOZI GIURIDICI PROCESSUALI “DA DENTRO A DENTRO”, ESPRESSIONE DEL PRINCIPIO DI LIBERA DISPONIBILITA’ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE. 1. Premessa. ... 89

2. La rinuncia agli atti del giudizio. ... 90

2.1. Considerazioni preliminari: scopo della norma. ... 90

2.2. La natura della rinuncia agli atti ... 92

2.2.1. Natura negoziale della rinuncia agli atti. ... 92

2.2.2 La rinuncia agli atti come atto processuale in senso stretto. ... 96

(4)

III

3. (Segue) La sospensione concordata del processo: natura

giuridica. ... 99

4. Il ricorso per saltum: natura dell’istituto e il problema dei c. d.

negozi processuali “innominati”. ... 100

5. L’acquiescenza propria (espressa o tacita) ex. art. 329, comma

1°, c. p. c. ... 104

5.1. Natura dell’istituto e contrapposti orientamenti in ordine

all’acquiescenza (propria) tacita. ... 104

5.2. L’acquiescenza anticipata della sentenza ... 110 5.2.1. Orientamenti giurisprudenziali e dottrinali contrari

alla validità del negozio abdicativo. ... 110

5.2.2. L’acquiescenza preventiva intesa come un negozio

giuridico processuale plurilaterale a carattere aleatorio. 117

CAPITOLO IV

ASPETTI CRITICI DI ALCUNE FATTISPECIE MINORI.

1. Clausola solve et repete. ... 123 1.1. Considerazioni preliminari. ... 123 1.2. Natura giuridica della clausola. ... 124 2. Questioni in merito alla natura giuridica del pactum de non

petendo e del pactum de non exequendo alla luce della sentenza 12 agosto 1991, n. 8774 della Corte di Cassazione. ... 133

CAPITOLO V

LA CATEGORIA DEL NEGOZIO GIURIDICO PROCESSUALE: ELEMENTI CARATTERIZZANTI E LIMITI DI AMMISSIBILITA’.

1. Premessa. ... 138 2. Questioni inerenti la volontà privata. ... 138 2.1. La teoria del negozio giuridico: volontà vs dichiarazione.

... 138

2.2. La volontà privata nel negozio giuridico processuale e il

problema dell’esistenza di atti processuali di parte aventi natura negoziale. ... 142

2.3. Rimedi applicabili in presenza di cause invalidanti il

negozio. ... 148

3. Elemento caratterizzante il negozio giuridico processuale: la

natura processuale degli effetti prodotti. ... 153

3.1. ( Segue) La “processualità” di alcune fattispecie minori.

... 155

(5)

IV

Conclusioni. ... 162 Bibliografia. ... 166

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1

Introduzione.

Con l’elaborazione del negozio giuridico, quale dichiarazione di volontà direttamente tesa alla costituzione, modificazione o allo scioglimento di un rapporto giuridico, alla fine dell’Ottocento la dottrina tedesca pensò di inserire questa particolare tipologia di atto nella teoria del rapporto giuridico processuale formulata da Bülow1.

In realtà, la possibilità che manifestazioni dell’autonomia privata influiscano sull’andamento del processo non era idea per nulla nuova, in quanto già presente nel iudicium romano e nel processo medioevale, sotto forma di contratto giudiziale. Infatti, la procedura dell’Ordo iudiciorum e delle legis actiones si fondava su una speciale convenzione che si esprimeva secondo le modalità e i contenuti della litis contestatio, mentre in epoca medioevale si riteneva che il giudizio si snodasse per mezzo di singoli contratti: accordi che si succedevano, mentre al magistrato veniva attribuita la funzione di notaio.

Al momento della formulazione del concetto di negozio giuridico processuale, particolari problemi di compatibilità tra autonomia privata e strumento istituzionale di risoluzione delle controversie

1 BÜLOW, Die Lehre von den Prosesseinreden und die

Prossesvoraussetzungen, Giessen, 1868. Egli elabora una nuova tipologia di rapporto di carattere processuale, unico e trilaterale (attore-convenuto-giudice), rendendo il processo un aliud rispetto al diritto sostanziale. Di diverso avviso Schultze, il quale sostituisce a una concezione sintetica del rapporto processuale una visione frammentaria, in quanto configura il processo civile come una serie di negozi giuridici, sostenendo che in ogni atto processuale volontario è contenuto un negozio processuale.

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2

non si ponevano: quest’ultimo, infatti, fino alla fine dell’Ottocento, era permeato da concezioni privatistiche. In tutta Europa il processo vigente si ispirava al francese còde de procédure civile del 1806.

Tuttavia, agli albori del nuovo secolo, la situazione cambia radicalmente: si assiste a una degenerazione del processo romano-canonico e lo Stato sente il bisogno di appropriarsi della funzione giurisdizionale, collocando il diritto processuale civile nell’alveo dello ius publicum.

È da tenere presente poi che la dottrina ha ormai superato il concetto di rapporto giuridico processuale, stante il carattere dinamico del processo; infatti, a differenza del rapporto giuridico, si tratta di un fenomeno in continuo movimento, di una serie di rapporti in continua trasformazione.

In questo contesto, nel quale la giustizia a-statuale viene drasticamente relegata al margine, sorge inevitabile la domanda sulla natura giuridica, la funzione, la validità di quei negozi, accordi, contratti diretti ad incidere sul processo.

La teoria del negozio giuridico processuale, quindi, si inserisce nel più ampio contesto del rapporto tra autonomia privata e processo, tra diritto sostanziale e diritto processuale, tra società civile e Stato.

La scienza germanica ha sicuramente il pregio di aver elaborato le dottrine principali in materia. E’ Josef Kohler colui che formula il moderno concetto di contratto processuale, unificando le molteplici espressioni della concorde volontà delle parti ed elaborando una categoria di accordi idonei a produrre determinati effetti sul processo civile.2

2 KOHLER, Uber prozess. Verträge und Creationen, nei Gruchot’s

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3

Completamente diverso il panorama dell’esperienza italiana, essendo sostanzialmente calato l’oblio sulla categoria degli accordi processuali.

Nel XIX seminario su “ Accordi processuali e processo”, tenutosi a Bologna il 1° dicembre 2007, presso la Facoltà di Giurisprudenza, Remo Caponi, ordinario dell’Università di Firenze, cerca di cogliere le ragioni di questo disinteresse3, individuandole nella critica agli

accordi processuali svolta da Salvatore Satta nel suo Contributo alla dottrina dell’arbitrato4, e nell’entrata in vigore del codice civile

del 1942, di segno fortemente pubblicistico.

Se, quindi, all’inizio del Novecento, i maggiori processualisti italiani quali Carnelutti, Chiovenda, Giuseppe De Stefano, si sono dedicati ampiamente allo studio del negozio processuale5, la

dottrina più recente conserva il silenzio, salva qualche breve voce enciclopedica6. Solo negli ultimi anni il dibattito si è nuovamente

concentrato sulla c.d. “contrattualizzazione del processo” e vede

3CAPONI, “Autonomia privata e processo civile: gli accordi

processuali”, in Riv. trim. dir. proc. civ. , 2008, numero straord. , p. 105 ss.

4 SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, Giuffrè,

1931.

5 CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923,

ried. 1965, Napoli; CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, Padova, CEDAM, 1933. Più di recente, DE STEFANO, Studi sugli accordi processuali, Milano, Giuffrè, 1959.

6 SATTA, voce Accordo (diritto processuale civile), in Enc. dir. , I,

Milano, 1958, pp. 300-301; DENTI, voce Negozio Processuale, in Enc. dir. , XXVIII, Milano, 1978, p. 138 ss.

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4

come principali protagonisti giuristi italiani e francesi7. In

Germania, Gerhard Wagner ha pubblicato nel 1998 l’opera di riferimento attuale8, di un’ambizione ed esaustività mai viste

prima in questo tema.

Egli cerca di rivitalizzare l’autonomia privata nel processo civile, distinguendo due tipologie di accordi processuali: i primi sono quelli con cui le parti si impegnano a esercitare o meno i poteri processuali a loro spettanti (Befugnisdisposition, disposizione del potere), ad esempio il pactum de non petendo, il pactum de non exequendo, accordo di rinunciare all’azione; la seconda categoria riguarda gli atti di deroga consensuale a norme processuali (Normdisposition, disposizione della norma), ad esempio gli accordi di deroga alla competenza, i patti relativi all’onere della prova.

Fatta questa opportuna premessa, riguardante la genesi e, in parte, lo sviluppo del concetto, nelle pagine che seguono andremo, in primis, ad esaminare le principali posizioni della dottrina tedesca e italiana in merito alla nozione di negozio giuridico processuale in sé e per sé considerato e, conseguentemente, degli istituti che vi vengono ricompresi.

7 A tal proposito v. CANELLA, “Contrattualizzazione del processo

civile: prospettive italiane nel solco francese”, in Giustizia senza confini, Studi offerti a F. Carpi, Bologna, Bononia University Press, 2012, p. 155 ss. ; DE NOVA, “Accordi delle parti e decisione”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, numero straord. p. 59 ss.; CADIET, “Les conventions relatives au procès en droit français. Sur la contractualisation du règlement des litiges”, in Riv. trim. dir. proc. civ. , 2008, numero straord. , p. 7 ss.

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5

Sennonché, come vedremo più avanti, la dottrina tende a riferire il concetto non solo a quegli accordi che influiscono sul processo, ma anche a quelli che producono effetti sul piano sostanziale (come, ad esempio, la transazione giudiziale).

Per contro, il nostro lavoro si propone di analizzare quegli atti di autonomia privata che si perfezionano nel “campo” del diritto processuale, dando luogo, appunto, ai c. d. negozi giuridici processuali.

In questa fattispecie, l’autonomia privata consente alle parti di negoziare aspetti del processo (nei limiti in cui la legge ne consente la disponibilità) e i litiganti generano accordi “sul processo”.

In buona sostanza, il negozio processuale costituisce una dichiarazione di volontà che ha per contenuto il regolamento convenzionale dei profili del procedimento.

In altri termini, per dirla con De Stefano, «il criterio per qualificare come processuale o sostanziale un dato fenomeno consiste nella processualità o meno della sua efficacia»9.

L’accordo, quindi, non avrà ad oggetto una situazione giuridica di diritto sostanziale, bensì di diritto processuale.

Ci occuperemo, allora, come affermato poc’anzi, delle principali fattispecie in materia, riconosciute e ammesse dall’ordinamento (e, in tal senso, “tipiche”), le quali possono suddividersi in due macro categorie, tutte caratterizzate da un requisito comune: quello, appunto, di avere ad oggetto un potere, una facoltà, una norma processuale.

Tratteremo dei negozi giuridici processuali “da fuori a dentro”, i quali, cioè, si stipulano prima e al di fuori del processo, nella

9 DE STEFANO, Studi sugli accordi processuali, Milano, Giuffrè,

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6

maggior parte dei casi inseriti in un contratto tramite una clausola; dei i negozi giuridici processuali “da dentro a dentro”, che si formano nel processo per il processo.

Nella prima categoria possiamo ricomprendere la convenzione arbitrale, il pactum de foro prorogando, l’accordo di deroga alla giurisdizione italiana in favore di quella straniera, i patti sulle prove; nella seconda la rinuncia agli atti del giudizio, la sospensione concordata del processo, il ricorso per saltum, l’acquiescenza propria (espressa o tacita).

In ultima analisi, ci soffermeremo su altri accordi che autorevolmente si includono nel concetto, quali il pactum de non petendo, il pactum de non exequendo, la clausola solve et repete, in modo da trattare delle problematiche che in merito a questi istituti sono state sollevate.

Detto ciò, lo scopo principale di questo lavoro sarà quello di analizzare le posizioni dottrinali e giurisprudenziali riguardanti la natura giuridica delle diverse figure, qualificate, alle volte, come meri atti processuali, ovvero come particolare specie di atti caratterizzati da una specifica rilevanza attribuita all’elemento volitivo; altre volte ancora come accordi, negozi unilaterali o bilaterali, in modo da comprendere se sia effettivamente possibile sussumere questi istituti sotto una nozione unitaria, oppure sia maggiormente opportuno rimanere ad un livello di mera classificazione, mantenendo comunque una certa fiducia nella teoria del negozio giuridico per come configurata alla stregua del diritto vigente.

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CAPITOLO I

LO SVILUPPO DEL PENSIERO DOTTRINALE SUL

CONCETTO DI NEGOZIO GIURIDICO PROCESSUALE.

1. Per cominciare: il carattere dispositivo del processo civile.

Prima di procedere all’analisi del pensiero dottrinale formatosi in Germania e in Italia con riferimento all’istituto in esame, si rende necessaria una premessa.

Il diritto processuale civile svolge nei confronti del diritto materiale una funzione strumentale o secondaria. Si tratta del pensiero di Enrico Tullio Liebman1.

L’Autore sostiene che occorre una più raffinata concezione della strumentalità del processo, idonea ad attribuire una nuova forma e un nuovo contenuto alla stessa idea di azione e ai suoi rapporti con il diritto sostanziale e critica la tesi secondo cui il diritto sostanziale «esiste nella misura in cui il diritto processuale predispone procedimenti, forme di tutela adeguata agli specifici bisogni delle singole situazioni di vantaggio affermate dalle norme sostanziali»2, osservando che siffatta tesi equivale ad una

negazione dell’esistenza del diritto sostanziale, o comunque porta alla conclusione che quest’ultimo si realizza solo mediante il processo.

1 LIEBMAN, “Norme processuali nel codice civile”, in Riv. trim. dir.

proc. civ. , I, 1948, p. 154 ss.

2 PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, nuova

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8

Le norme di diritto sostanziale, quindi, hanno una autonoma funzione e il ruolo del diritto processuale emerge al momento del sorgere del conflitto, cioè nei casi in cui si origina una contestazione circa la situazione giuridica disciplinata dalla regola del diritto sostanziale, ed occorre l’intervento del giudice per ristabilire la certezza e garantire il rispetto e il riconoscimento del diritto soggettivo.

In tal senso il diritto sostanziale viola i confini del diritto processuale ed entra nel processo, il quale, d’altronde, non avrebbe ragione di esistere se ciò non si verificasse.

Secondo la descrizione offerta da Liebman, «sembra che nel processo convivano due anime diverse : l’una in cui si prolunga lo spirito del diritto privato, che viene a cercare nel processo la proiezione dei diritti soggettivi […]; l’altra in cui si esprime l’esigenza di una funzione pubblica, con cui lo Stato assolve uno dei suoi compiti primari, quello di assicurare l’effettività dell’ordinamento giuridico. Quasi a rappresentare queste due anime, stanno da un lato le parti, a loro volta in conflitto tra loro, dall’altra il giudice; e finalmente il nodo giungerà al suo naturale scioglimento mediante l’imposizione di una regola giuridica concreta»3

Ad ogni modo, premessa la natura pubblicistica della funzione giurisdizionale, il processo è dominato dall’interesse di parte e ciò lo si evince dall’esistenza del principio dispositivo, il quale vuole il giudice soggetto all’iniziativa di parte (nemo iudex sine actore). Tant’è che lo stesso esercizio della funzione giurisdizionale dipende dall’esercizio dell’azione (l’art. 2907 c. c. dispone che “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte […]” e l’art. 99 c. p. c. stabilisce che “chi vuole far

3 LIEBMAN, L’azione nella teoria del processo civile, in Scritti

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9

valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”) e lo stesso procedere del processo rimane condizionato all’attività delle parti che, se non compiono determinati atti imposti dalla legge o dal giudice, ovvero rinunciano al giudizio, ne provocano l’estinzione.

In tal senso il processo è dominato dall’impulso di parte.

Anche nell’istruzione della causa il giudice dipende dall’iniziativa delle parti, dovendo porre a fondamento della propria decisione i fatti allegati e le prove prodotte o di cui sia stata richiesta l’ammissione (iudex secundum allegata et probata partium iudicare debet).

Tutto ciò diversamente dal processo penale in cui il giudice rimane indipendente nell’indagine e nel giudizio da quelli che possono essere gli interessi dei soggetti privati o la loro volontà di dare corso all’attività giurisdizionale.

Elementi di tipo inquisitorio talvolta ricorrono anche nel processo civile, ma si tratta di casi tassativamente stabiliti dalla legge, in cui all’interesse delle parti si sovrappone un interesse generale a ricercare la verità, senza che il giudice possa subire vincoli o intralci causati dalla volontà delle parti.

Ciò si verifica soprattutto nelle controversie di lavoro, nei procedimenti di scioglimento del matrimonio, nei processi volontari e in tutti i casi in cui il processo civile rimane sottratto al potere dispositivo delle parti (trattandosi, nella maggior parte dei casi, di diritti indisponibili) e l’esercizio dell’azione è occasionalmente conferito a un organo pubblico.

Si tratta comunque di ipotesi assolutamente marginali: in tutti gli altri casi, infatti, il potere di condurre il processo è attribuito alle parti e ad esse soltanto.

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Una volta riconosciuto ciò, il sotto tema più importante circa il rapporto tra diritto processuale e diritto sostanziale concerne il binomio autonomia privata-processo.

Si tratta di capire se e in che misura il principio dispositivo possa essere inteso come proiezione dell’autonomia privata in sede processuale.

Questa domanda si rende necessaria in quanto non possiamo dimenticare che, come affermato poco sopra, la funzione giurisdizionale, nonostante si intrecci con l’interesse privato individuale, ha carattere di funzione pubblica, statuale; e, proprio per la natura pubblicistica della funzione giurisdizionale, vi sono comunque dei principi fondamentali, un minimum di garanzie poste dal legislatore, che non possono essere derogate dalla volontà dispositiva.

Le stesse norme processuali, avendo natura pubblicistica, difficilmente sembrano poter essere derogate mediante apposita convenzione.

Tuttavia, la facoltà di derogare in via pattizia alle regole del processo è prevista e disciplinata: le parti, nel postulare l’ordinamento nel proprio, privato e particolare interesse e per la migliore realizzazione dei risultati voluti, possono organizzare le proprie posizioni processuali accordandosi su determinati punti o attività, negoziandone alcuni “aspetti”; e questo perché la chiave interpretativa della possibilità di un “accordo processuale” non sta nella natura pubblicistica dell’attività giurisdizionale ma nella natura assolutamente privatistica dell’interesse che è alla base dell’esercizio dell’attività medesima4. Ovviamente, anche nel

rispetto dei principi posti a fondamento della procedura civile,

4 SATTA, voce Accordo (diritto processuale civile), in Enc. dir. , I,

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sono previsti dei limiti, quali il rispetto dell’ordine pubblico, delle finalità del giudizio, dovendo, per gli accordi che si stipulano nel processo, tener conto anche della regola della tassatività.

2. Sviluppo del pensiero dottrinale.

La categoria dei negozi giuridici processuali è stata formulata per la prima volta dalla scienza germanica, la quale ha il pregio di aver elaborato le dottrine principali in materia5.

Per la loro analisi ci avvarremo dell’opera di Antonio Costa, Contributo alla teoria dei negozi giuridici processuali (Bologna, casa editrice Zanichelli, 1921), nonché dell’opera di Donà, Del negozio giuridico processuale (Milano, editrice Subalpina, 1933).

Completamente diverso il panorama dell’esperienza italiana, essendo sostanzialmente calato l’oblio sulla categoria degli “accordi processuali”, salva qualche breve voce enciclopedica6.

5 WACH, Das Geständniss. Ein Beïtrag zür Lehre von den

processualischen Rechtsgeschäften, in Archiv für die civilistiche Praxis, vol. LXIV, 1881; KOHLER, Uber prozess. Verträge und Creationen, nei Gruchot’s Beïtrage, vol. XXX; TRUTTER, Ueber prozessualische Rechtsgeschäfte, München, 1890; BUNSEN, Prozessrechtsgeschäfte, nella Zeitschr, vol. XXXV, 1906; HELLWING, Prozesshandlung und Rechtsgeschäft, in Festgabe für Otto Gierke, II, Breslau, 1910; POLLAK, Das gerichtliche Geständniss des Zivilprozesses, Berlin, 1893; BÜLOW, Ueber den Begriff des gerichtl. Geständniss, in Archiv. F. d. civil. Pr. , vol. LXXXVIII, 1986; WEISMANN, Lehrb. des d. Z. P. , Stuttgart, 1903; STEIN, in Gaupp-Stein, Die Zivilprozessordn. f. das d. Reich, Tubingen, 1906; SCHMIDT, Lehrbuch des d. Z. P. , Leipzig, 1910.

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Comunque, per cominciare, si rende opportuno precisare che esistono una serie di condizioni esterne che hanno consentito di sviluppare questo concetto in una direzione piuttosto che in un’altra, ricomprendendovi, di conseguenza, determinate tipologie di atti.

Tre sicuramente le concezioni determinanti: quella del rapporto tra diritto materiale e processo (precedentemente esaminato come tema di apertura), della elaborazione dogmatica della figura del negozio giuridico, nonché della natura degli atti processuali di parte.

In questa disamina, certo non si pretende di illustrare tutti i problemi di teoria generale del diritto; piuttosto di ricostruire le diverse dottrine alla luce delle concezioni sopradette, per come si sono sviluppate.

Occorre, quindi, senza pretesa di esaustività, esaminare le varie posizioni dottrinali sul concetto, partendo dall’assunto che il legislatore tedesco e italiano non hanno attribuito al negozio giuridico processuale carattere di istituto giuridico autonomo, limitandosi a farne applicazione in vari casi espressamente determinati; ed è questo il principale motivo per cui non è dato rinvenire lavori monografici che se ne occupino in maniera sistematica.

2.1. Orientamenti dottrinali favorevoli alla valorizzazione del

concetto in chiave “sostanziale”.

In un primo momento, la dottrina tedesca ha fondamentalmente posto l’accento su una particolare tipologia di atti: gli atti

6 SATTA, voce Accordo. , p. 300 ss. ; V. DENTI, voce Negozio

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extraprocessuali diretti ad influire sullo svolgimento del processo, distinguendo tra rapporti processuali vincolativi tra le parti e atti processuali rivolti al giudice.

Le teorie che andremmo ad esaminare, quindi, tendono ad includere nel concetto di negozio giuridico processuale quei rapporti contrattuali con efficacia vincolante tra le parti, separandoli, più o meno nettamente, dal complesso degli atti processuali, privi di efficacia autonoma e capaci di effetti giuridici solo in forza del meccanismo processuale.

2.1.1. Il pensiero di Wach.

Adolf Wach, nell’ultima parte del suo studio sulla “confessione”7,

accettando il concetto civilistico tradizionale di negozio giuridico, che pone l’accento sulla “forza creatrice” della volontà privata, accenna all’esistenza di rapporti contrattuali vincolativi tra le parti nel processo civile, distinti dal complesso degli atti processuali rivolti al giudice e privi di efficacia autonoma, riconoscendo nei primi gli attributi del negozio giuridico.

Si tratta, in sostanza, di atti extra-processuali influenti sul processo.

Tra i primi (rapporti contrattuali vincolativi tra le parti nel processo civile) distingue le manifestazioni unilaterali di volontà, come le rinunce nelle loro varie espressioni (dalla generica rinuncia alla pretesa, alle rinunce parziali di avvalersi di mezzi di attacco o di difesa, materiale o processuale, e alle rinunce a far valere singole eccezioni processuali), tutte operative senza una necessaria accettazione della parte convenuta, dalle manifestazioni bilaterali, fra le quali enumera una serie di accordi relativi allo

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svolgimento del processo o alla fase di discussione, come il giuramento decisorio.

Si tratta comunque di attribuire la denominazione di negozi processuali a quelle manifestazioni di volontà rivolte all’avversario e non al giudice, autonome nella loro origine, come nei loro effetti, le quali si fondano sul potere dispositivo delle parti.

Tuttavia, l’Autore, pur ricollegando il concetto di negozio processuale al diritto privato, porta all’estremo l’unitarietà della categoria, non operando alcuna distinzione tra negozio di diritto materiale e di diritto processuale.

Per questo motivo, Wach arriva ad attribuire ad alcune attività duplice natura: la confessione, ad esempio, viene descritta non solo come negozio processuale ma anche come mezzo di prova, contrapposta alla confessione stragiudiziale come negozio di puro diritto materiale.

2.1.2. Il pensiero di Bunsen e Kohler.

Gli autori, pur ricollegando il concetto di negozio processuale al diritto civile, improntano la trattazione sulle diverse forme in cui l’autonomia privata, nettamente dominata da norme pubblicistiche, può esplicarsi nel processo: infatti, a differenza di Wach, prendono in considerazione un’ulteriore tipologia di atti: quelli processuali aventi natura di negozi civilistici.

Ma procediamo con ordine.

Bunsen, una volta sostenuta la tassatività delle ipotesi in cui l’autonomia privata può esplicarsi nel processo civile8, distingue

8 A parer dell’Autore, infatti, nel diritto civile l’autonomia privata è

la regola mentre nel processo è l’eccezione, in ragione dello scopo pubblicistico della funzione giurisdizionale. Quindi, il criterio per

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due tipi di attività: i negozi che assumono la veste di atti processuali e gli atti-extra processuali influenti sul processo.

I primi, ai quali può essere attribuita la denominazione di negozi giuridici nel processo, sono soggetti alle regole vigenti per gli atti processuali, circa la loro validità ed efficacia (come la compensazione, l’impugnativa, la disdetta), e solo ai secondi l’Autore riconosce la qualifica di negozi giuridici processuali, atti civilistici per nascita ma processuali in quanto alla loro efficacia, posti in essere in previsione di un processo futuro o di un processo pendente, per determinare il modo o la forma in cui deve aver luogo la decisione.

Esempi di negozi processuali così delineati sono: il compromesso, le convenzioni sulla competenza, la perdita di un mezzo di gravame, la rinuncia.

Allo stesso modo, Kohler considera il contratto non solo una figura del diritto civile, rilevando in ogni ambito del diritto, proprio perché in ogni aspetto della vita giuridica è possibile per il singolo esercitare l’iniziativa privata.

Quindi, come esistono negozi di diritto privato, possono esistere anche negozi di diritto pubblico e di diritto processuale9.

affermare o meno l’ammissibilità di tali accordi consta nel “è permesso solo quello che il diritto processuale consente”: le parti non sono libere di vincolare il giudice con una manifestazione di volontà che non sia espressamente regolata e prevista dal diritto processuale.

9 KOHLER, op. cit. , pag. 127: «Der Vertrag ist nicht nur eine

Rechtsgestalt des Civilrechts, er ist eine Rechtsfigur, welche jedes Rechtsgebiet aus sich erzeugen wird, wo immer der Initiative des Individuums ein hervorragender Einfluss im Rechtsleben gestattet wird: es gibt Vergräge des publicistischen Rechts, wie es solche des

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L’Autore, partendo da questa considerazione, formula il moderno concetto di contratto processuale, con natura di negozio di diritto privato e l’attitudine ad influire direttamente in un processo attuale o futuro.

Tuttavia, concordando con Bunsen, pur essendo negozi, emanazione diretta della volontà delle parti, bilaterale o unilaterale (e in questo secondo caso Kohler parla non di contratti processuali ma di creazioni di diritto processuale), li ravvisa come soggetti alle norme di diritto processuale e non a quelle civilistiche.

Nel tipo, l’Autore vi annovera i patti in deroga alle norme sulla competenza, i patti di non agire in giudizio, di non agire per un certo termine, di non comparire in giudizio, di non contrastare la

Privatrechts giebt; es giebt auch Verträge des Processrechts – Verträge, welche, obgleich Privatgeschäfte, ihren Einfluss auf den Process ausüben – ich sage Privatgeschäfte, Privatacte d. h. autoritätslose Acte, bei welchen lediglich die Vertragsunterwerfung maassgebend ist, aber Privatacte, welche kraft dieser Vertragsunterwerfung den Process beeinflussen»; [ “Il contratto non è solo una figura giuridica del diritto civile, esso è una figura giuridica che ogni settore del diritto sembra generare da sé, dovunque nella vita giuridica è concesso un rilevante effetto all’iniziativa del singolo: ci sono negozi di diritto pubblico, come ce ne sono di diritto privato; ci sono anche contratti di diritto processuale – contratti che, sebbene negozi privati, producono il loro effetto sul processo –io li chiamo negozi privati, atti privati cioè atti privi di autorità, per i quali è determinante solo la soggezione al contratto, ma atti privati che producono effetti nel processo in forza di tale soggezione al contratto”].

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pretesa avversaria, di consentire il cambiamento della domanda, la stessa domanda giudiziale.

Continuando la disamina, Kohler, alla stregua di Bunsen, oltre agli atti extraprocessuali capaci di produrre effetti sul processo, individua altri atti aventi di per sé natura civilistica, i quali però, diventando parte integrante del processo, perdono la loro natura originaria, tramutandosi in atti processuali, da regolarsi secondo le norme del codice di rito.

Egli vi ricomprende l’istituto della compensazione, l’impugnativa, la revoca, nonché gli atti risolutivi del rapporto processuale, quali il riconoscimento dell’azione, la rinuncia, il componimento amichevole.

Tuttavia, per questi, l’Autore preferisce mantenere la definizione di negozi giuridici.

Kohler poi finisce per attribuire un’importanza decisiva alla proposizione della domanda giudiziale, qualificandola come negozio essenzialmente unilaterale e fattore fondamentale del processo, sul quale si innestano tutti gli effetti processuali e sostanziali.

Riassumendo, sia Kohler che Bunsen prendono in considerazione due tipi di atti: gli atti processuali aventi natura di negozi di diritto privato e gli atti processuali diretti ad influire sullo svolgimento del processo, ambedue regolati dal diritto processuale, attribuendo però solo a questi ultimi natura di negozi giuridici processuali.

Per concludere, è opportuno precisare che entrambe le dottrine tengono nettamente distinti dalle attività sopradette quegli atti di disposizione e quegli accordi che si sostanziano in singole manifestazioni di diritti di parte processuali, del tutto privi di efficacia autonoma, come l’accordo sulla designazione dei periti,

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sulla formulazione e proposizione del giuramento, la rinuncia al giuramento dei testimoni.

In questo caso siamo in presenza di meri atti processuali.

2.2. Orientamenti dottrinali volti a restringere il concetto di

negozio giuridico processuale nelle maglie degli atti processuali di parte, ovvero a negarne l’esistenza.

Agli orientamenti esaminati, che allargano notevolmente l’area dei negozi processuali, non tardò a contrapporsi l’esigenza di restringere il concetto ad una categoria puramente processuale, o a negarne l’esistenza, così da poter considerare autonomamente quegli atti di disposizione di diritto sostanziale che, pur essendo compiuti nel processo o in occasione del processo, hanno sotto ogni aspetto la natura di negozi sostanziali e come tali vanno trattati.

2.2.1. Il pensiero di Trutter.

Nell’opera dedicata al nostro tema10, Trutter procede per “scatole

cinesi”.

In primis, Egli separa gli atti processuali inerenti allo svolgimento del processo, dagli atti nel processo, e cioè dagli atti che possono presentarsi nell’iter processuale, senza però che questo sia da loro determinato, nel novero dei quali ricomprende i negozi di diritto materiale come il riconoscimento della pretesa e il compromesso. In secondo luogo, tra gli atti processuali separa gli atti reali, costituiti da attività meramente meccaniche, dagli atti dichiarativi,

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i quali possono a loro volta consistere in dichiarazioni di scienza e in dichiarazioni di volontà.

È proprio su queste ultime che l’autore impernia la distinzione fondamentale per la sua costruzione dogmatica: fra gli atti consistenti in manifestazioni di un diritto processuale subiettivo (ovvero della volontà individuale e non determinate da norme o da precetti di legge costituita) e atti creativi di rapporti giuridici processuali.

I primi consistono nell’esercizio di un potere giuridico, manifestazione di un diritto riconosciuto dal diritto processuale oggettivo (pensiamo al diritto di affermare, contestare, provare fatti rilevanti); i secondi sono, invece, atti di esercizio di una facoltà processuale, concessa dal diritto positivo, che ne stabilisce i presupposti e le modalità con effetto creativo di un diritto.

Sono questi ultimi, per Trutter, i negozi giuridici processuali: atti produttivi di effetti giuridici immediati e non già derivazione di un diritto.

Sono, dunque, diritti processuali subiettivi tutti quelli che mirano alla produzione di singoli atti processuali riconosciuti dal diritto obiettivo, cioè poteri accordati dal diritto processuale obiettivo; i quali possono distinguersi in veri e propri diritti processuali subiettivi, mediante i quali si costituisce, si fonda il rapporto processuale (e sono quelli che formano il contenuto del rapporto processuale di intervento in causa, di litisconsorzio) e semplici diritti subiettivi processuali, che non formano il contenuto di un rapporto processuale, ma che riguardano un processo che potrebbe venire ad esistenza (per esempio un diritto di scelta fra più giudici competenti, di formare una prova a futura memoria). I negozi giuridici processuali, invece, sono atti di esercizio di una facoltà processuale, con effetto creativo di un diritto, i quali vengono suddivisi in negozi giuridici in senso oggettivo, atti che

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l’ordinamento processuale dispone debbano servire alle parti per la produzione di effetti processuali determinati, e in senso soggettivo, atti rivolti a creare un effetto processuale e con i quali vengono creati, modificati o estinti rapporti processuali o singoli diritti processuali.

Tra questi ultimi poi individua i negozi unilaterali, quali la proposizione della domanda, il deferire o riferire giuramento, e i negozi bilaterali, quali la proroga tacita della competenza (potendo la volontà delle due parti essere implicitamente desunta dalla non contraddizione dell’altra), il mutamento delle domanda.

Effettuata questa ricognizione, si può affermare che, a parer dell’Autore, le attività processuali che hanno per presupposto un diritto processuale soggettivo sono tutte legate da un rapporto di correlazione genetica, di causalità (in quanto l’uno è causa ed origine dei susseguenti) e l’effetto processuale che ne deriva è già fissato dalla legge e viene raggiunto mediante la cooperazione del giudice; le attività che, invece, non hanno un tale diritto a fondamento, ma solo l’esercizio di una facoltà conferita dalla legge, hanno un effetto nel giudizio che non dipende dal meccanismo processuale ma direttamente voluto dalla parte, e posto in essere immediatamente, senza che occorra una previa cognizione del magistrato.

Tuttavia, è la legge a determinarne l’ammissibilità e i relativi presupposti, fissandone i tipi e regolando le attività con le quali si traducono in pratica.

Concludendo, secondo Trutter, i negozi giuridici processuali possono o costituire il rapporto processuale (proposizione dell’azione, intervento), o modificarlo (mutamento o revoca della domanda, confessione, giuramento), o estinguerlo (rinunce processuali, generali o parziali).

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2.2.2. Il pensiero di Costa.

Anche Costa, così come Trutter, cerca di rinvenire i negozi processuali tra gli atti di parte, prendendo le distanze dalla visione di Bunsen e Kohler, i quali fanno rientrare i negozi processuali nell’ambito degli atti civili.

Egli, dopo aver definito gli atti processuali come «qualunque atto che, secondo la legge processuale sia rivolto ad una finalità processuale»11, prende in considerazione gli atti di parte, in modo da cercare di capire quale sia la funzione esercitata dalla volontà privata: la parte, per raggiungere una qualunque delle finalità processuali, deve necessariamente ottemperare alle norme del codice di rito, le quali le offrono il mezzo, le indicano la forma, le prospettano gli effetti, che a quella data manifestazione di volontà sono connessi.

Quindi, se pure la volontà privata origina l’atto, promuovendo con il proprio libero impulso l’esercizio di una pubblica funzione, l’atto non può considerarsi per ciò solo come un negozio giuridico, in quanto la volontà si esaurisce appunto in tale aspetto originario, mentre la funzione e gli effetti che ne scaturiscono sono del tutto sottratti all’arbitrio privato.

In altre parole, la parte è libera nel compiere o meno l’atto; ma, se decide di compierlo, esso produce un effetto che la legge ha già determinato e che si sottrae ad ogni influenza determinatrice della volontà privata.

Tale effetto, quindi, risulta privo di qualsiasi autonomia e individualità: di qualunque autonomia in quanto si connette e si prolunga in un atto del giudice, che ne costituisce il logico

11 COSTA, Contributo alla teoria dei negozi giuridici processuali,

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esaurimento; di individualità in quanto l’effetto che ne deriva è quello comune e generale che spetta alla dichiarazione di parte. Se, dunque, in rapporto agli atti privati la volontà si presenta ampiamente suscettiva di determinazioni autonome, cosicché è ad essa riservata un’ampia sfera di efficienza, a parere di Costa, in rapporto agli atti pubblici, la volontà appare invece come impulso, come richiamo di effetti che seguono la volontà di legge.

Si comprende così come, diversamente dalla sfera di diritto privato, si presentino di regola atti giuridici e, solo eccezionalmente, negozi di diritto pubblico.

In seguito, l’Autore passa in rassegna una serie di attività di parte alle quali non si può riconoscere natura di negozio giuridico processuale, cominciando dall’atto di citazione: si tratto di un mero atto processuale in quanto la domanda genera i suoi effetti, sostanziali e processuali, per volontà di legge.

Anche le deduzioni non potrebbero rientrare in quella categoria, trattandosi piuttosto di dichiarazioni di scienza sull’esistenza passata o attuale di determinati fatti; allo stesso modo gli atti che contengono solo un impulso processuale (come l’iscrizione a ruolo, la richiesta di fissazione dell’udienza di trattazione), in quanto con questi non si raggiunge altro effetto che dare un nuovo impulso allo sviluppo del processo.

Tuttavia, Costa prosegue affermando che può accadere che gli atti di parte non siano solo la determinazione di effetti previsti dalla legge: il diritto processuale, in certi casi, ammette un’esplicazione della volontà di parte, la quale può esattamente ricondursi ad una volontà negoziatrice.

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Esistono, infatti, certe norme processuali che consentono una derogabilità, per effetto di una manifestazione di volontà espressa dalle parti, unilateralmente o bilateralmente12.

Tali norme dispositive, eccezionali rispetto alla normale assolutezza-cogenza delle norme processuali, affidano alla parte il potere di creare una situazione giuridica, la quale, riconnettendosi ad una manifestazione di volontà privata, può ben dirsi l’effetto di una volontà processuale negoziatrice.

E in questo senso possono rintracciarsi gli elementi per fissare un principio di autonomia processuale, parallelo a quel generale principio di autonomia privata, che domina sui rapporti di diritto materiale controversi.

La volontà caratterizzante i negozi giuridici processuali, quindi, secondo questa ricostruzione, ha uno spiccato carattere pubblicistico, per la sua causa processuale, per la forma in cui deve tradursi e per la dipendenza rigorosa e diretta dalla legge processuale degli effetti che essa può produrre.

12 Costa per norme dispositive non intende quelle che

intervengono solo in mancanza di una diversa determinazione del privato, bensì quelle che ammettono espressamente la deroga. V. anche CHIOVENDA, il quale afferma che «norme processuali dispositive vere e proprie sono quelle soltanto che -anche prima della loro applicazione- ammettono un contrario accordo della parti, obbligatorio pel giudice.[…]. Al contrario, sono per la loro natura cogenti le norme in genere che riguardano la costituzione del rapporto processuale […]; le norme che regolano l’attività del giudice e l’attività delle parti rispetto al giudice (oralità, pubblicità, mezzi di prova, sentenze)». , in Principii di diritto processuale civile, Napoli, Jovene editore, 1923, (ristampa 1980), p. 103.

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La natura pubblicistica dei negozi processuali, caratterizzati da quegli elementi sopradetti, segna una netta demarcazione dai negozi di diritto materiale, i quali pure possono intervenire nel processo e rivestire la forma di atto processuale, senza però (e questo è il punto di rottura con le teorie esaminate nel paragrafo precedente), perdere la loro originaria natura civilistica.

In ultima analisi, Costa concorda con Kohler nel ritenere che l’autonomia privata sopra espressa possa, in taluni casi, sorgere e fondarsi su atti anteriori, o comunque estranei al processo, e però di natura privata, malgrado la loro origine da norme processuali e la loro funzione processuale: a questi però l’Autore, configurandoli come una species del genus atti processuali, non attribuisce la qualifica di negozi processuali ma, secondo la denominazione proposta dal Kohler, quella di creazioni o contratti processuali . Concludendo, mentre l’autonomia privata può manifestarsi nel processo mediante negozi di diritto materiale assunti in forma di atto processuale, l’autonomia processuale può tradursi in negozi extraprocessuali espressi in forma di atti privati, ovvero manifestarsi nel processo con atti processuali caratterizzati dall’effetto processuale che direttamente ne deriva (e per quest’ultima ipotesi porta l’esempio della norma sulla competenza territoriale)13.

Detto questo, sembra possibile tonare all’affermazione di partenza: Costa considera maggiormente rispondente ai criteri generali sistematici distinguere, tra gli atti processuali, la categoria dei negozi processuali, e non tra gli atti civili, riservando la denominazione privatistica di contratti alle convenzioni riflettenti il rapporto processuale ma di origine extraprocessuale e, perciò, di natura privata.

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2.2.3. Il pensiero di Betti.

Betti considera le varie fattispecie riconducibili al concetto come un tipo particolare di atti processuali di parte.

L’Autore, dopo aver definito gli atti processuali come quegli «atti giuridici che per legge sono destinati a promuovere o a definire il processo, o a configurarne i successivi atteggiamenti dall’inizio alla fine»14, opera una classificazione degli stessi15, utilizzando un

criterio di carattere intrinseco16.

Tra questi vi ricomprende la classe delle dichiarazioni dispositive, le quali si sostanziano in «dichiarazioni di volontà dirette a disporre della tutela giurisdizionale, ponendone in essere o modificandone i

14 BETTI, Diritto processuale civile italiano, II ed. , Roma, Società

editrice del Foro italiano, 1936, p. 277.

15 Distinguendo le seguenti classi: le domande, ossia richieste di

provvedimenti al giudice o di atti del loro ufficio o di altri organi ausiliari (domanda giudiziale o riconvenzionale, domanda di rigetto, domanda di ammissione di mezzi istruttori, conclusioni contenute nella comparsa conclusionale, impugnativa della sentenza); le dichiarazioni comminatorie o provocatorie, dirette all’avversario (intimazione con cui una parte chiama l’altra in giudizio o la invita a compiere degli atti); le dichiarazioni dispositive; le affermazioni e deduzioni di fatto e di diritto, di rito e di merito; le valutazioni di verità con effetto vincolante, le comunicazioni di fatti e produzioni di mezzi, in BETTI, op. cit. , p. 280 ss.

16 L’Autore analizza il contenuto delle singole dichiarazioni,

esaminando gli atteggiamenti della volontà o della coscienza in essi espressi, sia nella loro natura psicologica che in ordine alla valutazione legislativa fattane dall’ordinamento processuale.

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mezzi e le condizioni, sia con l’instaurare la pendenza della lite o col farla cessare, sia col cambiare la rotta del processo pendente, sia col segnare quella del processo futuro»17.

Egli, quindi, stante il contenuto di tali dichiarazioni, imprime loro il carattere di negozi giuridici processuali, con i quali le parti esplicano una legittimazione a disporre.

Tali dichiarazioni vengono suddivise dall’autore in unilaterali, concordi, contrattuali.

Tra le dichiarazioni recettizie unilaterali Betti annovera la domanda giudiziale, concordando con Kohler circa la sua natura di negozio giuridico processuale, nonché le rinunce a diritti (poteri-oneri) processuali, quali la rinuncia ad eccezioni processuali, all’impugnativa di atti nulli, la rinuncia all’impugnativa da parte del soccombente.

Andando oltre, definisce le dichiarazioni concordi come negozi non contrattuali, le quali richiedono per la propria efficacia l’adesione della controparte.

Nel tipo vi include: l’accettazione del giuramento decisorio, il recesso dagli atti del giudizio e il recesso da singole domande o da singole impugnative già proposte.

Per concludere, attribuisce natura di dichiarazioni contrattuali al compromesso, alle convenzioni di deroga o di proroga del foro competente e quelle concernenti i termini e i modi di comparizione in giudizio (o l’onere della prova, quando il legislatore ne ammette una inversione convenzionale)18; così,

17 BETTI, op. cit. , p. 283.

18 È opportuno precisare che per Betti atti processuali sono

soltanto quelli che hanno per effetto diretto, ancorché non immediato, l’inizio o la fine del processo, o una determinata situazione giuridica nel suo svolgimento.

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parimenti, alla conciliazione o al componimento amichevole, i quali atti però, a parer dell’Autore, oltre a definire il processo, regolano lo stesso rapporto giuridico sostanziale in esso dedotto.

2.2.4. Il pensiero di Pollak e Bülow.

Pollak, nella sua visione estremamente formalistica degli atti processuali, finisce col negare il concetto di negozio processuale. Egli distingue gli atti di parte in dichiarazioni di volontà e dichiarazioni di scienza, separando nelle prime quelle risultanti dall’esercizio dei diritti soggettivi processuali (come le istanze conclusive rivolte al magistrato, la citazione a comparire), dalle dichiarazioni risultanti dal potere dispositivo delle parti, manifestato unilateralmente (rinuncia, riconoscimento) o bilateralmente (accordi sull’abbreviazione dei termini, sospensione, componimento del processo).

Alle dichiarazioni di scienza poi Egli conferisce natura di attività meramente volte alla preparazione del materiale di cognizione, adempimenti con finalità esclusivamente processuali.

Tra queste ultime egli ricomprende la confessione, assimilandola agli altri mezzi di prova.

Pertanto quegli atti stragiudiziali che mirano a predisporre o ad escludere un possibile processo futuro o ad influire sulle vicende di un processo pendente per l’Autore non assorgono ad atti processuali se non in quanto siano poi fatti valere nel processo stesso.

Tali, appunto, la convenzione circa la proroga del foro, il compromesso o la clausola compromissoria, la transazione stragiudiziale, in BETTI, op. cit. , p. 278.

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Andando oltre, l’Autore distingue le dichiarazioni dispositive processuali bilaterali dagli accordi extraprocessuali, pur direttamente influenti sul processo.

Tuttavia, la posizione di Pollak su queste due fattispecie si può considerare in completa antitesi a quella di Bunsen e Kohler : le prime, infatti, se questi ultimi le definiscono come atti processuali aventi natura di negozi giuridici, l’Autore le considera come meri atti processuali, essendo dichiarazioni prive di qualsiasi diretta ed autonoma efficacia giuridica e caratterizzate per essere elementi concatenati, concordando solo nell’applicazione, per questi, della disciplina processuale; i secondi poi, se per Bunsen e Kohler sono i veri negozi giuridici processuali, Pollak li considera a tutti gli effetti come negozi di diritto materiale e, in quanto tali, ad essi si applicheranno non le norme di diritto processuale ma le regole relative agli atti civilistici e, in particolare, quelle relative ai vizi della volontà.

Riassumendo, l’Autore, riferendosi alle dichiarazioni dispositive processuali bilaterali e distinguendole dagli accordi extraprocessuali, asserisce come le prime siano signoreggiate da una rigida valutazione formale e i secondi dalle norme civilistiche. Di modo che, per la mancanza di diretta e autonoma efficacia giuridica, quelle dichiarazioni non possono essere qualificati come negozi, desumendo, altresì, l’impossibilità di ogni parallelo tra atti processuali e negozi privatistici e di qualsiasi designazione dei singoli atti processuali come negozi giuridici.

Conclusa la disamina della teoria di Pollak, passiamo a quella di Bülow.

L’Autore arriva a conclusioni identiche, seppur per un’altra via, ovvero analizzando il concetto stesso di negozio giuridico.

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Abbiamo affermato in precedenza come le dottrine in materia siano state fortemente influenzate dalle varie teorie su questa categoria.

Per cui, qualora non si condivida l’elaborazione classica, secondo la quale l’elemento caratterizzante del negozio giuridico consiste nella forza creatrice della volontà privata, inevitabilmente anche il concetto di negozio processuale si ridimensiona o sfuma totalmente.

Ecco perché Bülow, partendo da una critica al concetto stesso di negozio giuridico, arriva a negare l’esistenza dei negozi processuali.

Egli constata, infatti, come il primo abbia man mano perso il suo requisito determinante, consistente nella volontà degli effetti: così come gli atti processuali sono privi di un’autonoma efficacia giuridica, anche la volontà dell’agente, sul piano del diritto sostanziale, svolge un ruolo sempre meno incisivo.

Gli effetti del negozio giuridico, sostiene Bülow, non sono arbitrari ma previsti e limitati dalla legge, la quale soltanto ne fa dipendere la nascita dalla dichiarazione di volontà della parte.

Detto altrimenti, la volontà privata comunque deve essere legittimata; per questo non può essere autonoma, trovando il suo fondamento nell’ordinamento giuridico in generale.

La volontà della legge, quindi, diventa un elemento preponderante rispetto a quella privata, potendo dall’atto sorgere effetti non previsti o contraddittori a quelli voluti.

In questo modo, si finisce per ritenere prevalente il momento della dichiarazione/comportamento rispetto a quello della volontà interna, arrivando a concepire il negozio giuridico come mero volere di dichiarare.

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Ecco allora che, demolita la categoria del negozio giuridico, si rende del tutto impossibile concepire quella del negozio giuridico processuale.

L’Autore poi afferma che possono esistere atti di parte relativamente autonomi, in quanto rivestiti di una concreta individualità giuridica (come l’accordo sulla sede del foro adito, la dispensa dal giuramento del testimone o della parte).

Tuttavia, anche a questi manca l’elemento tipico del negozio giuridico, consistente nell’autonomia dell’effetto.

2.3. Una rivitalizzazione del concetto.

Gli autori che andremo ad esaminare a parer di alcuni19 ampliano

eccessivamente le ipotesi alle quali può essere riconosciuta natura di negozio giuridico processuale, fino a ricomprendervi meri atti di impulso all’attività giurisdizionale, sebbene ci sia accordo nel ritenere inapplicabili le regole che costituiscono l’istituto del negozio secondo il diritto civile.

2.3.1. Il pensiero di Weismann e Stein.

Weismann contrappone gli atti di parte puramente processuali ai negozi di puro diritto privato, ritenendo i primi diretti all’esclusivo adempimento della funzione giurisdizionale.

Tuttavia, a parer dell’Autore, esiste una sottocategoria di atti processuali ai quali può essere attribuita la qualifica di negozi giuridici processuali, ovvero le attività di parte alle quali il diritto processuale ricollega effetti corrispondenti alla volontà della parte stessa.

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È opportuno precisare, però, che Weismann nutre una certa diffidenza per il concetto puro di negozio processuale, osservando come non esistono per esso norme speciali e diverse da quelle comuni a tutti gli atti di parte e alla capacità processuale.

Allo stesso modo, Stein accetta ampiamente il concetto di negozio processuale, estendendolo ancora una volta alle dichiarazioni di volontà privata, cui dalla legge sia attribuita un’efficacia conforme al contenuto di quella, e tale da fissare in modo immediato le basi della sentenza.

Per l’Autore rientrano in questo concetto: la domanda giudiziale, il mezzo di gravame, le istanze e deduzioni, l’opposizione.

Vi possono essere poi sia negozi unilaterali (la confessione, le rinunce) che bilaterali (le convenzioni per la deroga alla competenza territoriale, per l’abbreviazione o l’allungamento dei termini).

Tuttavia, in accordo con Weismann, anche Stein soggiunge che, per tali negozi, non vigono speciali disposizioni, dovendo ricercare esclusivamente nel diritto processuale la dottrina da applicare. Tuttavia, queste teorie, a parere di Costa20, peccano di eccessiva

estensione.

Sappiamo, infatti, che il processo procede per attività delle parti ma, qualora si concordasse con le dottrine elaborate da Wiesmann e Stein, ogni qual volta vi è l’influenza della volontà privata sul processo si verrebbe a configurare un negozio processuale, con l’inaccettabile conseguenza di perdere ogni differenza tra questo e gli atti processuali.

Non sembra condivisibile, continua il Costa, attribuire natura di negozio processuale ad attività che si concretizzano in semplici

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impulsi, il cui effetto è fissato dalla legge e può essere del tutto contrario alla volontà di parte.

2.4. Orientamenti della dottrina italiana più recente: due brevi

voci enciclopediche.

Dall’esame precedente, analizzando le teorie di Trutter e di Costa, emerge come la dottrina abbia sentito l’esigenza di considerare autonomamente quegli atti di disposizione del diritto sostanziale che, pur essendo compiuti nel processo o in occasione del processo, hanno sotto ogni aspetto la natura di negozi sostanziali e, come tali, dovrebbero essere trattati.

Tuttavia, in quest’ottica, la nozione di negozio processuale ha finito per subire una progressiva svalutazione, sino a divenire, nelle più raffinate elaborazioni sistematiche degli atti processuali, un mero espediente definitorio di un determinato tipo di atti, senza alcuna diretta influenza sul loro trattamento sotto il profilo della volontà. Anche le dottrine più recenti, prendendo le distanze da rigide classificazioni concettuali, non sembrano rivitalizzare l’istituto. Piuttosto, cercano di inquadrare il concetto per come si è evoluto, operando una distinzione per macro categorie.

Si abbandono il concetto di negozio giuridico processuale, parlando sostanzialmente di “atti” o di “accordi”, con l’intento primario di porre l’accento sugli effetti da questi prodotti e sulla disciplina applicabile.

Ciò lo si evince analizzando la posizione di Vittorio Denti21 e di

Salvatore Satta22, contenute in due brevi voci enciclopediche.

21 V. DENTI, voce Negozio processuale, p. 138 ss. 22 SATTA, voce Accordo. , p. 300 ss.

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Il primo, dopo aver riassunto brevemente la storia del concetto per come si è evoluto, espone la propria posizione, sicuramente molto più affine a quelle dottrine che cercano di restringere il concetto di negozio giuridico processuale, così da non farlo rientrare nell’ambito degli atti civili che producono effetti sul processo, con l’ulteriore conseguenza di assoggettarli alle norme di diritto processuale.

Tuttavia, l’Autore non utilizza il concetto di negozio giuridico processuale, ritenendolo «infecondo sul piano effettuale», limitandosi a riconoscere l’esistenza di atti sostanziali aventi un’incidenza sul processo, e di atti processuali con efficacia sostanziale o “dispositivi”.

Nel primo tipo vi annovera il compromesso, gli accordi modificativi della competenza, i patti sulle prove, l’acquiescenza; nel secondo, l’eccezione di compensazione e di prescrizione, l’istanza di attribuzione di immobili non divisibili.

Operata questa distinzione, quanto agli atti sostanziali con efficacia processuale, afferma che frequente è stata la loro definizione come negozi giuridici processuali, ma ciò non ha indotto la dottrina a sottrarre la validità di tali atti dal regime di diritto sostanziale, essendo comunemente riconosciuto che la loro disciplina è quella dei negozi giuridici privati.

La qualifica di processuali, quindi, sembrerebbe esprimere null’altro che il loro operare nel processo.

Ma (e forse questa è la posizione più nuova sul tema, quanto meno da un punto di vista terminologico), non si tratterebbe propriamente di un effetto processuale, bensì di una mera rilevanza, dal momento che l’incidenza sul processo non è

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determinata direttamente dall’atto negoziale ma dall’atto processuale con cui il primo è fatto valere23.

Ma, secondo l’Autore, analoghi rilievi valgono, con prospettiva rovesciata, per gli atti processuali destinati a produrre effetti sui rapporti sostanziali: non sarebbe corretto parlare di atto processuale munito “anche” di efficacia sostanziale, essendo l’atto processuale dotato, ancora una volta, non di efficacia ma di mera rilevanza sul piano sostanziale.

Per questo Denti, continuando nel ragionamento, considera il regime processuale l’unico applicabile a tali attività24.

23 Già ROCCO, in L’autorità della cosa giudicata e i suoi limiti

soggettivi, Roma, 1917, rileva come i negozi giuridici di questo tipo «influiscano nel processo, in quanto prodotti in giudizio per lo più in via di eccezione, e solo allora le norme di diritto processuale riconnettono ad essi un’efficacia processuale».

Partendo da questa affermazione, Denti porta l’esempio dell’effetto negativo sulla giurisdizione: questo, che è proprio del compromesso, non consegue immediatamente alla sua stipulazione, bensì all’eccezione di compromesso, come esercizio di un potere processuale (di difesa) di parte.

Quindi, della fattispecie di questo potere il negozio sostanziale rappresenta solo uno degli elementi costitutivi, ed è quindi dotato di mera rilevanza nell’ambito della fattispecie stessa.

24Anche CHIOVENDA, in Principii di diritto processuale civile,

Napoli, 1923, pur continuando a riferirsi alla categoria concettuale “negozio giuridico processuale”, afferma come, quantunque abbiano efficacia dispositiva, tali negozi non cessano di essere atti processuali, e quindi regolati dalla legge processuale, quanto alla forma, capacità, etc.

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35

Inoltre, nell’esaminare la figura, torna nuovamente ad una di quelle condizioni esterne determinanti per lo sviluppo del concetto di negozio giuridico processuale: quella di negozio giuridico. L’Autore, infatti, afferma come assegnare ad un atto processuale il carattere di negozio giuridico non significa per ciò solo che il diritto riconosca alla volontà della parte la stessa importanza che può riconoscerle il diritto privato: che il negozio processuale, ad esempio, possa impugnarsi per le stesse ragioni per cui può impugnarsi un negozio di diritto privato. Questo perché «nel processo vi è sempre un elemento speciale da considerare: ed è la presenza dell’organo dello Stato, sull’attività del quale, sebbene estraneo al negozio, questo può spiegare una influenza più o meno diretta», in CHIOVENDA, op. cit. , p. 776; ed è nell’interesse pubblico, a parer dell’Autore, che l’organo giurisdizionale compia un’attività «certa e determinata nei risultati». Quindi, se si ammettesse in ogni caso che un difetto di volontà o il venir meno della causa di esso possa influire sui risultati dell’attività pubblica, tale interesse potrebbe essere compromesso.

In Principii. , l’Autore ribadisce come la presenza dello Stato fa si che soltanto in pochi casi siano validi gli accordi delle parti per regolare il rapporto processuale; e andando oltre, afferma come sia opportuno distinguere i contratti processuali, la cui caratteristica costante è quella di derogare alle norme dispositive, così da spiegare successivamente la loro efficacia nel processo futuro o pendente, dagli accordi di volontà come condizione di atti processuali, ritenuti semplici presupposti del provvedimento del giudice, in cui il concorso di volontà delle due parti ha importanza solo nel momento in cui deve emanarsi il provvedimento. Esso, quindi, può formarsi non solo anteriormente al provvedimento ma

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