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La posizione di Titina Maria Pezzani: i patti probatori non

5. I patti sulle prove: questioni attinenti all’ammissibilità e alla

5.3. La posizione di Titina Maria Pezzani: i patti probatori non

possono essere ritenuti atti processuali.

Il problema che l’Autrice si pone è quello di comprendere se i patti sulle prove siano intese di diritto processuale oppure di diritto sostanziale, e di che natura siano gli effetti che essi producono. Già nelle prime pagine della sua monografia84 la Pezzani afferma di

concordare con quella parte della dottrina che sostiene l’impossibilità di ricondurre le convenzioni in esame alla categoria degli atti processuali: questa impostazione, infatti, dilaterebbe eccessivamente il fenomeno.

L’Autrice, poi, osserva come la categoria degli atti processuali debba essere di facile determinazione: una volta individuato il momento iniziale e il momento finale del processo, gli atti compiuti dai vari soggetti sono atti del processo, e, di conseguenza, assoggettati alla disciplina processuale.

Secondo questo criterio distintivo, allora, a parer dell’Autrice, le convenzioni di prova, così come gli altri accordi che incidono sul processo, non possono essere ritenuti atti processuali, essendo posti in essere fuori dal processo e spesso prima che quest’ultimo venga ad esistenza.

Anche sul piano della disciplina applicabile vengono sollevate delle perplessità, dal momento che, considerare atti processuali le convenzioni probatorie, significherebbe assoggettare la loro

Di diverso avviso Titina Maria Pezzani, la quale ne Il regime convenzionale delle prove critica apertamente la posizione di De Stefano.

84 PEZZANI, Il regime convenzionale delle prove, Milano, Giuffrè,

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eventuale nullità alla disciplina ex artt. 156 ss. c. p. c. e non a quella di diritto sostanziale.

Tuttavia, questa soluzione viene ritenuta inaccettabile in quanto, sostiene l’Autrice, nelle figure giuridiche in analisi risultano rilevanti gli elementi essenziali del negozio giuridico e la tutela di una libera formazione della volontà negoziale, cosicché si rende assolutamente necessario ricollegare ad esse la disciplina sostanziale della nullità e dell’annullabilità.

Detto ciò, la Pezzani critica quegli orientamenti dottrinali, specie di matrice tedesca, i quali hanno esteso alle convenzioni che hanno contenuto ed effetti nel processo la qualifica di contratti o accordi processuali.

La prima non può essere condivisa in virtù del particolare significato attribuito da Kohler al concetto: si tratterebbe di contratti sui generis, più vicini ai caratteri degli atti processuali, il cui effetto, infatti, sarebbe quello di creare situazioni processuali che rilevano nel procedimento, ma che non comportano la nascita di diritti in capo alle parti (quest’ultimo, tipico effetto dell’istituto di diritto sostanziale)85.

Quindi, per questo motivo, l’Autrice ritiene di non poter utilizzare l’espressione contratto processuale per definire i patti di prova, se ad essa si attribuisce il significato cui pensava Kohler.

Tuttavia, la Pezzani ritiene di non potersi appropriare neanche della qualifica di accordo processuale.

Questa viene attribuita sulla base del fatto che detti negozi sono caratterizzati, secondo parte della dottrina, da un mero concorso

85 Satta, in Contributo alla dottrina dell’arbitrato, p. 48, osserva:

«Strano contratto veramente questo dal quale non sorge alcun diritto, non sorge azione, e non si sa in forza di qual mai principio sia vincolante».

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di volontà coincidenti -che non comportano, quindi, la nascita di un rapporto debito/credito- rilevanti solo come presupposto di un provvedimento del giudice.

Tuttavia, a parer dell’Autrice, il contenuto delle convenzioni di prova sembra confermare che le parti non hanno volontà comuni e parallele86.

Fatte queste considerazioni, la Pezzani arriva a sostenere che i patti probatori sono negozi giuridici sostanziali, consistenti in “dichiarazioni con le quali i privati provvedono a regolare da sé i propri interessi nell’ambito dell’autonomia a loro riconosciuta dall’ordinamento giuridico”.

Una volta collocate le convenzioni probatorie sul terreno del diritto sostanziale si passa al piano degli effetti.

Ella afferma che caratteristica fondamentale di questi negozi giuridici è quella di essere dotati dei c. d. effetti processuali e questo perché il loro oggetto è costituito dall’esercizio di un potere processuale relativo ai mezzi di prova: in sostanza, i due soggetti pongono in essere l’intesa non soltanto in quanto parti del rapporto sostanziale, ma anche in quanto parti del processo, e sotto l’aspetto processuale i due interessati si troveranno nel processo grazie all’esercizio del diritto di azione, un diritto strumentale a quello sostanziale, il cui esercizio viene lasciato alla

86 Anzi, queste previsioni sono poste, il più delle volte, per favorire

una parte a discapito dell’altra. Secondo l’Autrice, infatti, quando, ad esempio, in una polizza di assicurazione si riscontra una clausola che dispone che per il pagamento dei danni all’assicurato quest’ultimo deve esibire una serie corposa di documenti ivi elencati, ciò costituisce una disposizione posta a favore della compagnia assicuratrice.

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disponibilità delle parti; e tale diritto, continua la Pezzani, si sostanzierebbe in un diritto “complesso” costituito da numerosi poteri processuali -nonché da doveri e facoltà- tra i quali vi rientrano, appunto, quelli relativi ai mezzi di prova.

Di conseguenza, gli accordi probatori si sostanzierebbero in negozi rientranti nell’autonomia privata con i quali le parti vanno a disporre di una frazione del diritto di azione.

5.4. Considerazioni conclusive.

Tirando le fila del discorso, non si pongono particolari problemi dal punto di vista degli effetti.

Entrambi gli Autori, infatti, affermano la natura processuale degli stessi, partendo dall’assunto che l’oggetto di tali convenzioni riguarda solo il processo e, più propriamente, l’esercizio dei poteri connessi all’istruzione probatoria, non già un diritto soggettivo di natura sostanziale.

Il requisito della processualità, quindi, sembrerebbe ancora una volta da riconnettersi agli effetti prodotti e, specificatamente, all’oggetto su cui essi incidono (le modalità di tutela per la convenzione di arbitrato e l’accordo che deroga alle norme sulla competenza territoriale; l’attività istruttoria per i patti di cui si discute).

L’unico vero punto di rottura tra le due posizioni si ricollega alla natura della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c. c. e, conseguentemente, dei patti di inversione e modificazione dell’onere della prova.

Abbiamo visto come De Stefano, sostenendo la natura processuale dei patti probatori, abbia attribuito la medesima natura al principio dell’onere della prova.

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La Pezzani, al contrario, ritiene che gli accordi di cui all’art. 2698 c. c. siano di natura sostanziale e abbiano ad oggetto una norma, l’art. 2697 c. c. , che presenta forti connotazioni di diritto sostanziale. Infatti, il fatto che il giudice, sostiene l’Autrice, attraverso la regola di giudizio sia in grado di pronunciarsi sempre, non sembra costituire tanto la funzione della norma, quanto il risvolto processuale di una norma sostanziale.

Ella concorda con quella parte dottrina che ritiene la ripartizione dell’onere probatorio attinente all’aspetto sostanziale di ogni singola situazione giuridica.

In altre parole, «il fatto costitutivo della domanda e i fatti che fondano l’eccezione si definiscono come tali in funzione della configurazione sostanziale della fattispecie che viene dedotta in giudizio, perché solo in riferimento alle norme sostanziali di cui si ipotizza l’applicazione è possibile stabilire quali sono i fatti giuridicamente rilevanti»87.

87 V. COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile, I ed. ,

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CAPITOLO III

I NEGOZI GIURIDICI PROCESSUALI “DA DENTRO A

DENTRO”, ESPRESSIONE DEL PRINCIPIO DI LIBERA

DISPONIBILITA’ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE.

1. Premessa.

È noto come il sistema processualcivilistico italiano presupponga la disponibilità dell’azione giudiziale, essendo questa caratterizzata dalla non obbligatorietà di essere intrapresa o di essere proseguita una volta avviata, ed espressione di un diritto inviolabile previsto e tutelato dall’art. 24 Cost.

Tuttavia, oltre alla libera scelta riconosciuta ad ogni cittadino di intraprendere o meno l’azione giudiziaria, deferendo alla capacità cognitiva e decisionale di un giudice terzo ed imparziale la risoluzione della disputa, vengono alla mente, a conferma dell’esistenza e operatività di un simile principio, altri istituti che postulano, invece, la sussistenza di un contenzioso già incardinato dinnanzi all’Autorità Giudiziaria Civile; il riferimento è alla rinuncia agli atti ex art. 306 c. p. c. , al ricorso per saltum ex art. 360, 2° comma, c. p. c. , all’acquiescenza totale o parziale della sentenza ex art. 329 c. p. c. , alla rinuncia all’appello ex art. 339 c. p. c. , al disinteresse alla prosecuzione del giudizio per inattività di entrambe le parti ex artt. 181 e 309 c. p. c. , nonché alle ipotesi di manata riassunzione della causa entro il termine di tre mesi, a seguito di verificarsi di un caso di sospensione o di interruzione. Per alcuni di questi istituti si è parlato di negozi giuridici processuali, vale a dire di atti di autonomia negoziale diretti a soddisfare uno scopo pratico di natura procedurale tutelato e/o

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non vietato dall’ordinamento giuridico in generale e da quello processuale civilistico in particolare, i cui effetti vengono ritenuti dalla legge conformi al raggiungimento della specifica finalità perseguita.

Detto ciò, in questo secondo capitolo andremo ad analizzare gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali inerenti alla natura di tali istituti.