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Le varie tipologie di accordo e gli orientamenti dottrinal

5. I patti sulle prove: questioni attinenti all’ammissibilità e alla

5.1. Le varie tipologie di accordo e gli orientamenti dottrinal

più risalenti.

Lo svolgimento dottrinale e gli apporti della pratica disegnano ormai una gamma completa di patti probatori.

Le convenzioni che normalmente possono intervenire tra le parti si distinguono in due categorie, quanto meno da un punto di vista teorico-formale.

Nella prima rientrano i patti sui mezzi di prova, i quali, a loro volta, si sostanziano in: convenzioni che derogano alle norme che prevedono limiti all’ammissibilità delle prove (in senso estensivo o restrittivo)71; convenzioni in deroga alle norme sull’efficacia delle

70 Così SILVETTI, “Elezione del foro e deroga della giurisdizione”,

in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, XXVI, Torino, Utet, 2005, p. 394.

71Pensiamo, ad esempio, al superamento convenzionale dei limiti

di ammissibilità della testimonianza.

Premettendo, in relazione all’istituto, gli artt. 2721 ss. c. c. prevedono dei limiti oggettivi di ammissibilità: secondo questo gruppo di norme, infatti, non è ammessa la prova testimoniale relativamente al contratto di valore superiore a 2,58 euro, ma il giudice può comunque derogare a tale limite in considerazione

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prove, le quali hanno l’obiettivo di ottenere che il giudice in sede processuale attribuisca ad alcune prove un’efficacia diversa da quella prevista per esse dalla legge72; convenzioni che prevedono

l’uso o l’esclusione di prove atipiche per l’accertamento dei fatti73.

della «qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza» (art. 2721 c. c.).

Ora, circa la legittimità o meno di tali accordi derogatori, la dottrina tradizionale afferma l’illiceità di questi, sull’assunto che andrebbero a violare disposizioni inderogabili, poste per il pubblico interesse alla giustizia del provvedimento.

Tuttavia, la dottrina e giurisprudenza più recente, sostengono pienamente la legittimità e l’efficacia dei suddetti patti, in quanto inciderebbero su norme (quelle relative ai limiti di ammissibilità) previste esclusivamente nell’interesse delle parti.

Si pensi a quanto affermato dalla Cassazione con sentenza 28 aprile 2006, n. 9925: «Le limitazioni poste dagli artt. 2721 c. c. all’ammissibilità della prova testimoniale non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica[…]».

72 Secondo questo criterio si possono distinguere due generi di

accordi: patti probatori che comportano una restrizione dei poteri del giudice di apprezzamento delle prove, oppure, al contrario, accordi che attribuiscono al giudice poteri di valutazione maggiori di quelli previsti dall’ordinamento giuridico, riducendo convenzionalmente la forza probante di legge di una prova legale. Per quanto riguarda la prima ipotesi, salvo alcune pronunce giurisprudenziali -(si veda, ad esempio, la massima di una sentenza del Tribunale di Napoli del 4 luglio 1985: «Non è affetta da nullità ex art. 2698 c. c. la clausola del contratto di conto corrente di corrispondenza che attribuisce valore di prova piena, nei

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Nella seconda, invece, vi rientrano quelle pattuizioni riguardanti la distribuzione dell’onere della prova.

Tuttavia, durante la vigenza del codice civile del 1865, non esistendo una norma di riferimento che legittimasse i patti probatori, la dottrina era divisa in relazione alla loro ammissibilità.

confronti del correntista, ai libri e alle scritture contabili dell’azienda di credito, in quanto essa non integra una non consentita inversione dell’onere probatorio, ma si limita a ricollegare l’efficacia probatoria a determinati documenti ritenuti dalle parti assistiti da una presunzione di attendibilità»)-, sono stati ritenuti inammissibili: il libero apprezzamento delle prove da parte del giudice, con i suoi limiti e le sue eccezioni ex art. 116 c. p. c. , è una prerogativa che risponde ad esigenze superiori di elaborazione di una decisione ragionevole e controllabile. Perciò tale principio deve ritenersi assolutamente inderogabile dalla volontà delle parti anche nel caso in cui queste ultime volessero escludere che il coinvolgimento giudiziale si conformi con l’aiuto di ragionamenti presuntivi.

Per quanto riguarda, invece, i patti che dispongono un ampliamento dei poteri del giudice di valutazione delle prove, esempi di questo genere di intese non sono riscontrabili. Sul punto, v. PEZZANI, Il regime convenzionale delle prove, Milano, Giuffrè, 2009, p. 225 ss.

73 I quali si possono suddividere in: patti che limitano o escludono

l’uso di prove atipiche che altrimenti sarebbero ammesse, ovvero che determinano la possibilità di avvalersi di prove atipiche che sarebbero ritenute inammissibili.

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Carnelutti74 si dimostra favorevole alle convenzioni probatorie,

argomentando da un potere di disposizione che deve, a suo avviso, riconoscersi alle parti, quanto alla tutela del loro interesse litigioso. Se spetta esclusivamente alle parti l’allegazione del fatto e la proposizione dei mezzi di prova, non può negarsi loro il potere di porre in essere una valutazione convenzionale delle prove. Mentre la concezione di Carnelutti è di natura chiaramente processuale, essendo fondata sull’analisi dei poteri processuali di parte, Redenti75, all’opposto, giunge alla medesima conclusione

partendo da premesse di diritto sostanziale: Egli afferma, infatti, che il regolamento della prova appartiene alla categoria degli atti dispositivi (patti) inerenti all’esercizio dell’azione, piuttosto che all’ambito dei negozi di contenuto meramente processuale.

Altra parte della dottrina, invece, è maggiormente restia a sancire l’ammissibilità dei patti di cui si discute.

Andrioli, ad esempio, obietta a Carnelutti che il potere di disposizione concesso alle parti per alcune attività processuali non implica il riconoscimento di una sfera di autonomia privata nel processo, paragonabile a quella dei negozi di diritto sostanziale: il principio dispositivo, secondo l’Autore, non è immanente al processo civile, cosicché questo possa essere invocato, in via di interpretazione estensiva, anche quando il legislatore non lo prevede76.

74 CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale civile, I, Padova,

CEDAM, 1936, p. 571.

75 REDENTI, Diritto processuale civile, II, Milano, Giuffrè, 1957, p.

50.

76 ANDRIOLI, voce Prova in genere (materia civile), in Nuovo

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Anche Chiovenda condivide questo orientamento, affermando come «la prevalenza del principio dispositivo in un processo non significa dominio della volontà delle parti, ma apprezzamento accentuato della loro attività[…]»77.

Tuttavia, partendo da queste considerazioni, entrambi gli Autori non escludono totalmente l’ammissibilità delle convenzioni probatorie, purché queste non incidano su disposizioni di natura processuale.

Saranno validi, quindi, solo «i patti incidenti su norme probatorie rispondenti ad interessi di diritto sostanziale»78.

Queste le principali posizioni della dottrina italiana.

Sappiamo, però, che il legislatore del 1942 ha posto fine alla maggior parte delle incertezze sollevate, inserendo una norma nel codice, l’art. 2698, la quale può essere considerata punto di riferimento per la disciplina dei patti di cui si discorre79.

Ma, una volta fondata la legittimità sul piano giuridico, la dottrina ha sentito la necessità di tornare sul concetto di patto probatorio, così da comprenderne l’effettiva natura.

All’uopo, andremo ad esaminare due teorie che partono da premesse diverse: l’una di diritto processuale, l’altra di diritto sostanziale.

77 CHIOVENDA, Diritto processuale civile, Napoli, 1923, p.797. 78 ANDRIOLI, op. cit. p. 825.

79 Cass. , 26 ottobre 1961, n. 2418 : «Deve ritenersi che il codice

civile vigente ha codificato, nell’art. 2698 c. c. , la validità dei contratti processuali, ammettendo la inversione o la modificazione pattizia dell’onere della prova, purché non si tratti di diritto indisponibile o non risulti eccessivamente difficile, per la parte, l’esercizio del diritto».

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