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4.1. Premettendo: una disciplina che muta al variare del

contesto storico di riferimento.

L’impostazione originaria del codice di rito ex art. 2 c. p. c. si caratterizza per una netta chiusura verso gli ordinamenti stranieri65.

Non a caso vengono previsti stringenti limiti alla derogabilità della giurisdizione, sia di carattere soggettivo (cause tra stranieri oppure tra uno straniero ed un cittadino, non residente né domiciliato in Italia), che di carattere oggettivo (cause in tema di obbligazioni).

A tali limiti, ovviamente, altrettante restrizioni in tema di riconoscimento della sentenza e dei lodi stranieri.

64 Nonostante l’iter del procedimento arbitrale sia fortemente

“giurisdizionalizzato”.

65 Ai sensi dell’abrogato art. 2 c. p. c. , infatti, «La giurisdizione

italiana non può essere convenzionalmente derogata a favore di una giurisdizione straniera, né di arbitri che pronunciano all’estero, salvo che si tratti di causa relativa ad obbligazioni tra stranieri o tra uno straniero e un cittadino non residente né domiciliato nella Repubblica e la deroga risulti da atto scritto».

L’Articolo è stato abrogato dall’art. 73 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, con decorrenza dal 1° settembre 1995. Si veda l’art. 4 della L. n. 218/1995.

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Tuttavia, la scelta del legislatore del ’42 si spiega in ragione del momento storico in cui il codice è stato emanato, in conseguenza di una generale tendenza ad attribuire peculiare importanza agli aspetti pubblicistici della funzione giurisdizionale, intesa quale prerogativa esclusiva della sovranità.

Per meglio comprendere: nella visione degli orientamenti dottrinali c. d. pubblicistici, permeati anche da un’ideologia di stampo nazionalistico, il fenomeno di deroga convenzionale alla giurisdizione si estrinseca in una vera e propria sottrazione delle controversie, aventi rilevanza per lo Stato, alla cognizione degli organi giudiziari ordinari: la deroga sarebbe consistita, in pratica, in una spoliazione della sovranità dello Stato nell’esercizio del suo potere o funzione giurisdizionale.

Progressivamente, l’impostazione di netta chiusura verso gli ordinamenti stranieri è venuta meno: l’evoluzione politica, sociale e soprattutto economica che ha caratterizzato il mondo occidentale a partire dalla metà del Novecento ha reso sempre più evidente la necessità di un’uniformazione delle normative in tema di diritto internazionale , specialmente con riferimento al riparto tra giurisdizioni.

Si accolgono, così, le concezioni c. d. privatistiche in materia di giurisdizione, le quali sostengono, in primo luogo, che anche nel diritto processuale si sarebbero dovuti estendere i principi fondati sull’autonomia concessa ai privati nella regolamentazione sostanziale dei loro interessi, con la conseguenza che alle parti sarebbe stata attribuita, insieme con la disponibilità del diritto oggetto della controversia, anche la disponibilità della tutela giurisdizionale del diritto stesso, così che ad esse sarebbe

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consentito rinunciare alla tutela del diritto ovvero, altresì, escluderla convenzionalmente66.

In sostanza, gli assertori di questa teoria, partendo dal presupposto che la controversia costituisce una vicenda che interessa solamente le parti, ritengono che, negli spazi in cui il diritto attribuisce loro la libera disponibilità dei diritti, queste, così come potrebbero, nella loro libertà, rinunciare a far giudicare la lite, altrettanto liberamente potrebbero rivolgersi ad un’autorità giudiziaria straniera per ottenere da questa una decisione e, ciò facendo, rinunciare alla facoltà di ricorrere al giudice italiano. In un’ottica simile, agli accordi sulla deroga alla giurisdizione italiana sarebbe, quindi, stato conferito un ampio spazio di riconoscimento, dal momento che, si ritiene parimenti, essi non sarebbero andati ad urtare contro ovvero a ledere alcun interesse superiore dello Stato sovrano.

Per cui, con la generale riforma del diritto internazionale privato, operata con la legge n. 218 del 1995, il legislatore italiano ha abrogato la disciplina codicistica, ampliando notevolmente le possibilità per le parti di derogare alla giurisdizione italiana.

In particolare, l’art. 4 della predetta legge, rubricato “Accettazione e deroga della giurisdizione” enuncia il principio della normale derogabilità, per accordo tra privati, della giurisdizione italiana a favore tanto dei giudici stranieri quanto di un arbitrato estero (a condizione che l’accordo sia provato per iscritto e concerna controversie aventi ad oggetto diritti disponibili).

In tal modo, quindi, si attribuisce notevole importanza alla volontà delle parti di devolvere la lite ad un giudice straniero.

66 La concezione privatistica si era sviluppata soprattutto in

Germania, ad opera di REICHEL, Unklagbare Ansprüche, in Jherings Jahrbücher, LIX, 1911, 409 ss.

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4.2. La natura del patto di deroga alla giurisdizione.

Passando all’indagine sulla natura del suddetto accordo, alcuni interpreti hanno precisato che la volontà dei privati verrebbe a svolgere la funzione, nei casi e nei limiti previsti dal diritto positivo, di un criterio negativo di giurisdizione67, e si è

ulteriormente aggiunto che la manifestazione di tale volontà costituisce la fonte diretta dell’effetto privativo della giurisdizione68 e non già di un mero fatto a cui la legge

ricollegherebbe questo effetto.

Inoltre, dalla considerazione in forza della quale l’effetto dell’accordo fra privati sulla deroga alla giurisdizione italiana comporta l’esclusione dell’esercizio del potere giurisdizionale da parte della nostra autorità giudiziaria, discende logicamente che l’atto derogatorio, agendo, quindi, su di un piano strettamente

67 V. LUZZATTO, “In tema di inderogabilità ed esclusività della

giurisdizione italiana”, in Riv. dir. int. , 1962, p. 546, il quale afferma che «la norma desumibile dall’art. 2 cod. proc. civ. si configura dunque come una norma speciale e negativa di competenza giurisdizionale, che contempla in tal senso il sistema risultante dall’art. 4 e dalle altre norme che esplicano la medesima funzione».

68 V. AMATO, Inderogabilità convenzionale della giurisdizione, in

Noviss. Dig. it. , VIII, Torino, 1962, p. 600. , il quale aggiunge che, poiché la legge prevede, sia pure eccezionalmente, la possibilità che venga meno il potere giurisdizionale dello Stato per volontà dei privati, non vi sarebbe allora ragione per escludere che quell’effetto sia diretta conseguenza di vale volontà. In senso contrario, invece, LUZZATTO, op. cit.

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processuale e non sostanziale, riveste senz’altro natura processuale69.

In altri termini, questo orientamento parte dal presupposto che, accanto agli atti del procedimento giurisdizionale che si possono considerare atti processuali in senso stretto, vanno annoverati altri atti, anche negoziali, che è lecito definire atti processuali in senso lato in quanto esplicano la propria efficacia, esclusivamente o prevalentemente, su situazioni processuali, e non già su situazioni di diritto sostanziale.

Tuttavia, se ancora una volta si fa riferimento agli elementi caratterizzanti l’atto processuale, ovvero il fatto di formarsi all’interno del processo e di essere privo di autonomia (si tratta, infatti, di attività concatenate volte all’emanazione di un provvedimento giurisdizionale), nonché di dar rilievo esclusivamente alla volontarietà del comportamento, non sembra possibile attribuire tale qualifica al patto di deroga alla giurisdizione.

Trattasi, infatti, di un accordo che si forma al di fuori del processo, nel quale si attribuisce rilievo alla volontà delle parti di produrre l’effetto di deroga.

Sembrerebbe più opportuno, allora, definire il patto di deroga alla giurisdizione italiana, come un negozio processuale, il quale si forma al di fuori del processo e non ha ad oggetto il diritto controverso, bensì, come nei casi precedenti (convenzione arbitrale e accordo ci deroga alla competenza territoriale),

69 V. ATTARDI, Giurisdizione e competenza in generale, in

Commento del codice di procedura civile, I, Torino, 1973, p. 15, il quale aggiunge che ciò che assicura la natura processuale dell’atto di deroga «è che processuale è la norma che lo regola e disciplina, e da cui trae vita il potere che in esso trova esplicazione».

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l’organo giudicante (passaggio dalla giurisdizione italiana a quella straniera)70.