• Non ci sono risultati.

Orientamenti della dottrina italiana più recente: due

2. Sviluppo del pensiero dottrinale

2.4. Orientamenti della dottrina italiana più recente: due

voci enciclopediche.

Dall’esame precedente, analizzando le teorie di Trutter e di Costa, emerge come la dottrina abbia sentito l’esigenza di considerare autonomamente quegli atti di disposizione del diritto sostanziale che, pur essendo compiuti nel processo o in occasione del processo, hanno sotto ogni aspetto la natura di negozi sostanziali e, come tali, dovrebbero essere trattati.

Tuttavia, in quest’ottica, la nozione di negozio processuale ha finito per subire una progressiva svalutazione, sino a divenire, nelle più raffinate elaborazioni sistematiche degli atti processuali, un mero espediente definitorio di un determinato tipo di atti, senza alcuna diretta influenza sul loro trattamento sotto il profilo della volontà. Anche le dottrine più recenti, prendendo le distanze da rigide classificazioni concettuali, non sembrano rivitalizzare l’istituto. Piuttosto, cercano di inquadrare il concetto per come si è evoluto, operando una distinzione per macro categorie.

Si abbandono il concetto di negozio giuridico processuale, parlando sostanzialmente di “atti” o di “accordi”, con l’intento primario di porre l’accento sugli effetti da questi prodotti e sulla disciplina applicabile.

Ciò lo si evince analizzando la posizione di Vittorio Denti21 e di

Salvatore Satta22, contenute in due brevi voci enciclopediche.

21 V. DENTI, voce Negozio processuale, p. 138 ss. 22 SATTA, voce Accordo. , p. 300 ss.

33

Il primo, dopo aver riassunto brevemente la storia del concetto per come si è evoluto, espone la propria posizione, sicuramente molto più affine a quelle dottrine che cercano di restringere il concetto di negozio giuridico processuale, così da non farlo rientrare nell’ambito degli atti civili che producono effetti sul processo, con l’ulteriore conseguenza di assoggettarli alle norme di diritto processuale.

Tuttavia, l’Autore non utilizza il concetto di negozio giuridico processuale, ritenendolo «infecondo sul piano effettuale», limitandosi a riconoscere l’esistenza di atti sostanziali aventi un’incidenza sul processo, e di atti processuali con efficacia sostanziale o “dispositivi”.

Nel primo tipo vi annovera il compromesso, gli accordi modificativi della competenza, i patti sulle prove, l’acquiescenza; nel secondo, l’eccezione di compensazione e di prescrizione, l’istanza di attribuzione di immobili non divisibili.

Operata questa distinzione, quanto agli atti sostanziali con efficacia processuale, afferma che frequente è stata la loro definizione come negozi giuridici processuali, ma ciò non ha indotto la dottrina a sottrarre la validità di tali atti dal regime di diritto sostanziale, essendo comunemente riconosciuto che la loro disciplina è quella dei negozi giuridici privati.

La qualifica di processuali, quindi, sembrerebbe esprimere null’altro che il loro operare nel processo.

Ma (e forse questa è la posizione più nuova sul tema, quanto meno da un punto di vista terminologico), non si tratterebbe propriamente di un effetto processuale, bensì di una mera rilevanza, dal momento che l’incidenza sul processo non è

34

determinata direttamente dall’atto negoziale ma dall’atto processuale con cui il primo è fatto valere23.

Ma, secondo l’Autore, analoghi rilievi valgono, con prospettiva rovesciata, per gli atti processuali destinati a produrre effetti sui rapporti sostanziali: non sarebbe corretto parlare di atto processuale munito “anche” di efficacia sostanziale, essendo l’atto processuale dotato, ancora una volta, non di efficacia ma di mera rilevanza sul piano sostanziale.

Per questo Denti, continuando nel ragionamento, considera il regime processuale l’unico applicabile a tali attività24.

23 Già ROCCO, in L’autorità della cosa giudicata e i suoi limiti

soggettivi, Roma, 1917, rileva come i negozi giuridici di questo tipo «influiscano nel processo, in quanto prodotti in giudizio per lo più in via di eccezione, e solo allora le norme di diritto processuale riconnettono ad essi un’efficacia processuale».

Partendo da questa affermazione, Denti porta l’esempio dell’effetto negativo sulla giurisdizione: questo, che è proprio del compromesso, non consegue immediatamente alla sua stipulazione, bensì all’eccezione di compromesso, come esercizio di un potere processuale (di difesa) di parte.

Quindi, della fattispecie di questo potere il negozio sostanziale rappresenta solo uno degli elementi costitutivi, ed è quindi dotato di mera rilevanza nell’ambito della fattispecie stessa.

24Anche CHIOVENDA, in Principii di diritto processuale civile,

Napoli, 1923, pur continuando a riferirsi alla categoria concettuale “negozio giuridico processuale”, afferma come, quantunque abbiano efficacia dispositiva, tali negozi non cessano di essere atti processuali, e quindi regolati dalla legge processuale, quanto alla forma, capacità, etc.

35

Inoltre, nell’esaminare la figura, torna nuovamente ad una di quelle condizioni esterne determinanti per lo sviluppo del concetto di negozio giuridico processuale: quella di negozio giuridico. L’Autore, infatti, afferma come assegnare ad un atto processuale il carattere di negozio giuridico non significa per ciò solo che il diritto riconosca alla volontà della parte la stessa importanza che può riconoscerle il diritto privato: che il negozio processuale, ad esempio, possa impugnarsi per le stesse ragioni per cui può impugnarsi un negozio di diritto privato. Questo perché «nel processo vi è sempre un elemento speciale da considerare: ed è la presenza dell’organo dello Stato, sull’attività del quale, sebbene estraneo al negozio, questo può spiegare una influenza più o meno diretta», in CHIOVENDA, op. cit. , p. 776; ed è nell’interesse pubblico, a parer dell’Autore, che l’organo giurisdizionale compia un’attività «certa e determinata nei risultati». Quindi, se si ammettesse in ogni caso che un difetto di volontà o il venir meno della causa di esso possa influire sui risultati dell’attività pubblica, tale interesse potrebbe essere compromesso.

In Principii. , l’Autore ribadisce come la presenza dello Stato fa si che soltanto in pochi casi siano validi gli accordi delle parti per regolare il rapporto processuale; e andando oltre, afferma come sia opportuno distinguere i contratti processuali, la cui caratteristica costante è quella di derogare alle norme dispositive, così da spiegare successivamente la loro efficacia nel processo futuro o pendente, dagli accordi di volontà come condizione di atti processuali, ritenuti semplici presupposti del provvedimento del giudice, in cui il concorso di volontà delle due parti ha importanza solo nel momento in cui deve emanarsi il provvedimento. Esso, quindi, può formarsi non solo anteriormente al provvedimento ma

36

Allo stesso modo, Salvatore Satta rifugge dal concetto di negozio giuridico processuale.

Egli comincia con il sottolineare la rilevanza che l’accordo ha nel processo civile e ciò per i fatto che, se pubblica è la funzione giurisdizionale in sé e per sé considerata, privato è l’interesse che sta alla base della stessa giurisdizione, perché privato è il rapporto rispetto al quale essa in concreto si esercita.

Fatta questa premessa, Satta distingue due tipi di accordi: quelli con efficacia sul processo e quelli che si stipulano nel processo. Trai primi vi ricomprende gli accordi relativi alla competenza e alla giurisdizione, il compromesso e la clausola compromissoria, gli accordi sulle prove, il pactum de non petendo e de non exequendo, le clausole limitative della proponibilità delle eccezioni. Così come affermato da Denti, anche per Satta questi accordi, i quali hanno efficacia (e non una mera rilevanza) nel processo, non sono regolati da norme processuali.

I secondi, invece, hanno un carattere palesemente processuale in quanto previsti e regolati dalle norme del codice di rito.

Tali l’accordo sulla sospensione del processo e sul giudizio di equità.

Nell’ultima parte della voce, l’Autore è molto rigido nell’affermare la regola della tassatività, ritenendo invalidi eventuali accordi volti

anche sotto forma di semplice adesione di una parte all’istanza dell’altra.

Ora, mentre nel primo tipo vi ricomprende ipotesi limitatissime, come il compromesso, il pactum de non petendo e de foro prorogando, nel secondo include l’accordo delle parti nella scelta del perito, nella scelta degli arbitri conciliatori, nel rinvio della causa etc.

37

a modificare forme o termini stabiliti a pena di decadenza o ad alterare l’ordine consentito per le garanzie della giustizia.

38

CAPITOLO II

I NEGOZI GIURIDICI PROCESSUALI “DA FUORI A

DENTRO”.

1. Premessa.

Analizzato il pensiero dottrinale sul concetto di negozio giuridico processuale, si rende opportuno soffermarsi su quegli istituti ai quali dottrina e giurisprudenza hanno attribuito la qualifica di contratti, accordi, negozi “processuali”, facendo riferimento agli elementi caratterizzanti la “contrattualità”, ai diritti sui quali questi istituti vanno ad incidere, al tipo di effetti prodotti, in modo tale da capire, come affermato nell’introduzione alla tesi, se sia possibile sussumerli sotto una nozione unitaria, ovvero sia più opportuno rimanere ad un livello di mera classificazione.

Partiamo ad analizzare quelli che si formano al di fuori del processo e che producono effetti processuali in quanto incidono sulle modalità di tutela, e/o derogano a norme processuali.