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Subiaco al tempo di Assisi Le Storie di san Benedetto negli spazi della cripta

II.3 Conxolus Magister e la decorazione pittorica della cripta

II.3.4 Assisi, Roma, Subiaco Un inquadramento di Magister Conxolus

La cronologia indiziaria (1295 circa) dell’impresa sublacense, oltre che attagliarsi allo stile degli affreschi non è contraddetta dalle scarne notizie documentarie reperite da Guglielmo Salvi nell’Archivio di Santa Scolastica, se davvero si dovrà identificare con il pittore dello Speco il Consulus, padre di un Benedetto che è attestato nel 1292

in relazione a uno scambio di beni a Subiaco64: se l’identità degli omonimi fosse

effettiva, allora il rapporto di parentela profilato dai documenti, nonché l’età già adulta a quel tempo del figlio Benedetto, non disdirebbero a un pittore attempato, il cui stile basti a dare puntualmente la traccia di una formazione compiutasi negli anni dell’egemonia di Jacopo Torriti.

L’attività pittorica di Conxolus è sfuggente; al catalogo del pittore si può forse annettere solo la Madonna con Bambino della chiesa di Santa Maria Maggiore a Tivoli [fig. II.80], riferitagli da Serena Romano e confermata al suo catalogo da Miklós Boskovits, che aggiungeva inoltre l’affresco della Traslazione dei SS. Eleuterio e Ponziano del duomo di Velletri, dove però si riesce a scorgere solo una familiarità dei tipi umani, del resto confrontabili anche con gli affreschi di San Lorenzo Fuori

le Mura a Roma, partecipi della medesima congiuntura stilistica65.

Gregorio X portò a quindici il numero delle monache. Cfr. MIRZIO DA TREVIRI,[1628-1630],

ed. 2014, II, p. 350.

63 Cfr. BOSKOVITS 2001, pp. 162-163. Sulla questione, si vedano ROMANINI 1984; PACE 2003. 64 Cfr. FEDERICI 1904, pp. 74, 81; SALVI 1960. I documenti si riferiscono al figlio Benedetto,

attestato tra il 1292 e il 1300; altri sei documenti, che arrivano fino al 1328, parlano di un Berardo di Benedetto di Consolo. Cfr. ASS, arca LIV, 53 (1292), 86 (1300), 87 (1300), 151 (1312), 152 (1312), LIV, 164 (1314), 173 (1317), 174 (1318), 226 (1328).

L’omonimo dei documenti è Consulus e non Conxolus, come nell’affresco: quest’ultima variante, meramente grafica, potrebbe essere risultato di un ipercorrettismo arcaizzante, volto a nobilitare la forma onomastica con il recupero della consonante doppia.

65 Su Velletri, cfr. ROMANO 1992, pp. 120-127, con il rimando agli affreschi romani. Sul ciclo

di San Lorenzo, si veda ora GIESSER 2017b, p. 78, per i risentimenti stilistici da Conxolus nelle

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Va riconosciuta alla Madonna tiburtina una qualità più alta degli affreschi dello Speco; e tuttavia ha tratti comuni all’Odigitria di Conxolus, ricordando di quest’ultima soprattutto il Bambino boopide, con gli aggetti del viso marcati da segni spessi, la fisionomia dell’angelo sulla destra [figg. II.80-81]. Si evidenzia, sulla scia delle osservazioni di Pietro Toesca, la derivazione dell’affresco di Tivoli dalla Madonna della cosiddetta ‘quarta navata’ della chiesa romana di San Saba, opera eponima di

un pittore recentemente identificato con un giovane e torritiano Filippo Rusuti66: la

somiglianza iconografica e compositiva tra i due affreschi si arricchisce di particolari accattivanti e rivelatori, come il trono ad esedra, spazioso e marmoreo, che accoglie

il gruppo sacro67 [figg. II.79, 80]. Gli affreschi di San Saba devono essere evocati

anche per l’impaginato delle prime Storie di San Benedetto: in entrambi i casi, i filari di modiglioni scorciati non sono allineati a fingere una trabeazione, ma seguono il profilo arcuato della lunetta [figg. II.82-83], in modo alternativo al canone antiquario.

Pur ammettendo la possibilità di una tradizione urbica delle mensole scorciate, in battuta d’anticipo su Assisi – com’è stato prudentemente ipotizzato per i frammenti recentemente venuti alla luce nel sottotetto di Sant’Agnese fuori le

Mura68 -, si sospetta che alle date di Subiaco sia in azione una più forte suggestione

cimabuesca (con origine negli affreschi del transetto della basilica superiore francescana), evidente nella finitezza geometrica e proto-prospettica dei modiglioni, scorciati secondo direttrici che divergono, incontrandosi nel centro, dov’è collocata

una mensola a base trapezoidale [figg. II.84-85] 69. Il medesimo principio regola

Per la Madonna Odigitria di Santa Maria Maggiore a Tivoli cfr. ROMANO 1992, pp. 157-159;

BOSKOVITS 2001, p. 168.

66 Sugli affreschi di San Saba cfr.: TOESCA [1927]1965, II, pp. 1009-1012, con riferimento degli

stessi al Torriti, insieme alle Vergini sagge del mosaico di facciata di Santa Maria in Trastevere e alla tavola della Madonna Advocata di Tivoli; GARRISON 1949, p. 29, per il battesimo del maestro eponimo; BELLOSI 1983, p. 130; BELLOSI 1985, pp. 111-112; BELLOSI [1998]2004, p. 84, per il

rilievo dato alle componenti torritiane; QUADRI 2012b, per una cronologia dell’impresa

pittorica alla metà degli anni ottanta.

L’identificazione del Maestro di San Saba con Filippo Rusuti è conquista recentissima, seguita alla scoperta della firma del pittore sul bordo superiore della Madonna con Bambino di Santa Maria del Popolo, su cui cfr. infra, capitolo IV, nota 3.

67 Il trono di San Saba discende da quello del Cristo del sacello orsiniano, per cui Serena

Romano ipotizzava la derivazione da modelli iconografici tardo-antichi (cfr. ROMANO 2001-

2002, p. 57). QUADRI 2012b, p. 371, riporta allo stesso gruppo il trono della Madonna con

Bambino, fase tardo-duecentesca di un palinsesto pittorico, affrescata nella terza cappella della parete sinistra di Santa Balbina (su cui cfr. BORDI 2017). Il trono dell’Odigitria di Tivoli è ridipinto, ma fedele all’impianto originale (cfr. ROMANO 1992, pp. 65, 157).

68 La cronologia al sesto-settimo decennio del secolo è stata assegnata – con tutte le cautele del

caso - da ROMANO 2012b, sulla base della supposta contestualità degli affreschi con il progressivo e unitario rinnovamento degli arredi liturgici innescato dalla consacrazione nel 1256 e coordinato dalla Jacoba sacrista menzionata nelle epigrafi del pavimento presbiteriale. I frammenti pittorici, concentrati per lo più sul muro del timpano absidale, si differenziano fra figure di pavoni e ramages vegetali, nel registro sommitale della parete, e travatura a mensole illusive, situata al di sotto dell’oculo.

69 Questa tipologia di incorniciatura ha inattese presenze anche più a meridione: la si trova,

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anche gli elementi architettonici illusivi impiegati nella parete meridionale della campata inferiore, dai quali tuttavia traspare già un’acculturazione sul disegno e le cromie del modulo del modiglione giottesco [figg. II.86, 87], che non è però impiegato in abbinamento alla trabeazione continua, ma ad arcatelle sospese che si approssimano per concezione a quelle della chiesa francescana di Santa Maria

Maggiore a Tivoli [fig. II.89] e dell’omonima basilica romana [fig. II.88]70.

La genìa torritiana del principale attore dei cantieri tardo-duecenteschi dello Speco fu ben avvistata dal Bellosi che, sul discrimine segnato dal rapporto con questo alto modello, differenziava due personalità principali all’interno del cantiere sublacense. Uno è Magister Conxolus, che «sembra passare direttamente e per proprio conto da una formazione nell’ambito del Torriti a un rinnovamento in senso

assisiate senza alcun evidente intermediario cavalliniano»71: la sua pittura è

caratterizzata dal ricorso a contorni marcati, grevi, e inasprisce con vigorose pennellate frante e curve i «sottilissimi filamenti lanosi tracciati (…) con effetti di pittura a corpo» di Jacopo Torriti [figg. II.91-92]. Quanto al secondo pittore, attivo nel contesto del medesimo cantiere, egli sembra risentire di un goticismo più evoluto, che pur innestato sulla medesima radice torritiana che si dichiara nell’«aria di famiglia» comune ai tipi fisionomici della Santa Nitidia [II.106] e della Madonna della volta degli Intercessori [figg. II.95], si alleggerisce del duro grafismo di Conxolus e tende a carnati imperlati, ad effetti luministici schiarenti, a moduli anatomici allungati e scattanti, che riflettono tendenze più tipiche della pittura romana alle soglie del Trecento, condivise ad esempio con le Storie mariane staccate dal nartece

di Sant’Agnese fuori le mura (Roma, Pinacoteca Vaticana, depositi)72 [figg. II.103-

104], e che forse risentono alla lontana del cavallinismo riflesso della Madonna con Bambino con i santi Giovanni Battista ed Evangelista della cappella di San Pasquale Baylon

in Santa Maria in Aracoeli [fig. II.105]73.

affresco che BOLOGNA 1969 (pp. 62-65) attribuiva a un pittore catalano-roussilhonese ben

aggiornato sui fatti assisiati.

70 Degli affreschi di Santa Maria Maggiore a Roma, in origine un ciclo del Genesi descritto sulle

pareti del braccio sinistro del transetto della chiesa, sopravvivono i medaglioni con Profeti, oltre all’incorniciatura sommitale. La decorazione pittorica, già riferita da Bellosi (BELLOSI 1985, pp.

121-122) a Rusuti, resta per il momento adespota (cfr. ROMANO 2017b, cui si rimanda anche

per la sinossi storiografica). Quanto alla cronologia, è possibile che il cantiere del transetto sinistro si sia svolto parallelamente alla realizzazione del mosaico absidale per mano di Jacopo Torriti nel 1295 o1296, per avere poi brusca interruzione nel 1297 con la rovina della famiglia Colonna, come convincentemente ipotizzato da GARDNER 1973, pp. 12-17. Per i partimenti illusionistici di Santa Maria Maggiore a Tivoli rimando a POMARICI 1983, che ipotizzava per le

pitture tiburtine una cronologia vicina agli affreschi della Santa Maria Maggiore romana.

71 Cfr. BELLOSI 1983, p. 130. 72 Cfr. GIESSER 2017a.

73 La cappella Baylon, situata fra l’ingresso laterale alla chiesa e la cappella Savelli, fu affrescata

con Storie dei santi Giovanni Battista ed Evangelista; al di sopra dell’altare è un pannello con la Madonna con Bambino e i santi titolari. Sulle ragioni e la tradizione del ciclo binato, l’esempio più antico prima di Giotto, rimando a ROMANO 2017e, che, nel rilevare lo stretto nesso tra

francescanesimo e Laterano, suppone un’origine romana del tema. L’affresco, dopo un’inopportuna attribuzione giottesca (FLORES D’ARCAIS 2008-2009), è stato più giustamente

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La distinzione di spettanze è quasi topografica. Conxolus dipinge le pareti degli ambienti pertinenti alla campata sopraelevata: vanno con la Madonna col Bambino firmata il Miracolo del capisterio e la Vestizione di San Benedetto [figg. II.97-98], l’affresco del prospetto interno della grotta [fig. II.21] e la Tentazione del Maligno in forma di uccello [fig. II.101]. Richiede invece maggiore prudenza di valutazione il busto di

Innocenzo III [fig. II.94]74, per il quale sia la Cristiani Testi sia Francesco Gandolfo

avevano espresso un’attribuzione in favore di un pittore diverso, che per il secondo studioso sarebbe stato attivo negli anni di Niccolò III e responsabile anche della dipintura delle volte. Tuttavia, proprio i santi meglio conservati della crociera settentrionale, e in particolare il San Silvestro, mi pare denotino un trattamento

grafico degli impasti dei carnati che è nei modi di Conxolus [figg. II.93-94] 75. A

sostegno della supposta compattezza del gruppo giunge poi il San Benedetto che completava, in basso a sinistra, la riedizione tardo-duecentesca della pittura e che è

del tutto compatibile con le figure consolesche76 [figg. II.100-101].

ricondotto dalla Romano alla mano di un artista oscillante tra il «tratto tagliente e disegnativo» del Torriti e i modi più pastosi di Cavallini, intorno al 1295 (ROMANO 2017e, p. 168).

74 Cfr. CRISTIANI TESTI 1983, pp. 120-132, dove si differenziano con zelo eccessivo ben quattro

mani: oltre a Conxolus, attivo nelle prime Storie benedettine, un primo e un secondo collaboratore tra cui sono spartiti gli affreschi della campata inferiore (dal Miracolo del falcetto ai Funerali di san Benedetto), un ‘Maestro del Busto di Innocenzo III’, cui è riferito, oltre all’affresco eponimo, anche il Dio padre benedicente e angeli, sul culmine dell’arco di affaccio sulla grotta benedettina: entrambe le pitture mi sembrano in verità troppo vicine al gruppo consolesco per esserne scorporate. Aggiungo F. Gandolfo, in MATTHIAE 1988, pp. 357-359.

75 Più arduo tentare una distinzione di mano negli apparati decorativi, impresa tentata da

Gandolfo (in MATTHIAE 1988,pp. 537-539) e dalla Romano (ROMANO 1992, pp. 130-131), la

quale, pur intendendo come segno di un cambio di mano e di mentalità l’aggetto più perspicuo della colonna tortile collocata all’altezza del dislivello tra la prima e la seconda campata, notava infine il carattere unitario e unificante dei partiti decorativi. Quanto, invece, alle pitture delle volte, ai tentativi di Gandolfo di anticiparne la realizzazione rispetto alle imprese consolesche, si premettevano i dubbi di Hermanin (HERMANIN 1904, pp. 461-471) sulla contestualità della

loro esecuzione rispetto al ciclo benedettino. L’analisi più approfondita è condotta da Gandolfo che, in conclusione, anticipava la dipintura delle volte agli anni del pontificato di Niccolò III (1277-1280), ritrovando allo Speco il repertorio ornamentale antichizzante tipico della cultura artistica del tempo, ma per la Romano stereotipo della produzione romana, specialmente duecentesca (ROMANO 1992, p. 131). Merita una nota finale la sutura rilevata dallo studioso

nella stesura degli intonaci del Cristo benedicente e angeli della parete di affaccio alla spelonca, intesa come indizio di una brusca interruzione [figg. II.109-111]: in questa circostanza a un primo pittore, ravvisato nell’angelo di destra [fig. II.111], sarebbe subentrata una seconda mano, da individuare nell’angelo di sinistra (per questi aspetti, cfr. anche ROMANO 1992, p. 131) [fig. II.110]. La diversità morfologica dei due angeli - uno di mano di Conxolus, l’altro del suo forte collaboratore - non è necessariamente l’esito di un avvicendamento traumatico dei cantieri, ma può essere motivata con una collaborazione organica negli ambienti di rispettiva pertinenza della cripta.

76 La Romano, pur rilevando nell’affresco staccato lo stile di Conxolus, ragionava sulla possibilità

che non fosse in fase con l’immagine soprastante, concludendo infine che: «appare (…) assai improbabile un ritorno dei pittori di Conxolus sull’affresco ‘pontificio’ da non molto eseguito, solo al fine di aggiungervi la figura del santo». Cfr. ROMANO 1992, p. 131. Aggiungo, inoltre,

che la concertazione iconografica dell’insieme, con Innocenzo III che tende la mano verso il San Benedetto, presuppone una stringente continuità di ideazione.

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Si riconosce più chiaramente la mano di un pittore diverso da Conxolus negli affreschi della campata inferiore, particolarmente nelle Storie delle pareti orientale e meridionale [figg. II.28-31]; suoi sono anche i due San Giovanni proni dell’arco trionfale, che palesano nello scatto dei corpi una leggerezza «di elegante goticismo»

distante dalle masse grevi e ponderali di Conxolus77 [figg. II.103-104]; a rigore della

logica delle spettanze fin qui delineate, a questo secondo pittore, poco più moderno del primo, dovrebbero essere riferite anche le colonne tortili, perfettamente contestuali agli affreschi di sua mano.

Al netto delle varianti linguistiche rintracciate, va però ribadito il carattere unitario del cantiere pittorico dello Speco, che si dichiara in modo lampante nel disegno unificante degli apparati decorativi, che, sul filo di motivi ornamentali comuni, creano rispondenze e contrappunti da un ambiente all’altro, da un affresco

all’altro78; mancano, inoltre, segni rilevanti di discontinuità stratigrafica, anche nelle

parti più discusse, ovvero nelle volte, dove all’intersezione delle pareti con i pennacchi di imposta, i rispettivi partiti decorativi si affiancano, più che sovrapporsi [fig. II.112].