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Subiaco al tempo di Assisi Le Storie di san Benedetto negli spazi della cripta

II.3 Conxolus Magister e la decorazione pittorica della cripta

II.3.2 I ‘partimenti’ decorat

Il ciclo storico si integra in un apparato ornamentale che, nella migliore tradizione

romana, fonde e uniforma in un calembour esornativo di «immensa allegria»46 la

sequenza concatenata di ambienti della cripta, rivelando la tipicità di una «mostruosa

abilità tecnica pieghevole al variare degli spazi e delle superfici»47, qui però riflessa

in schemi stereotipi e meno fantasiosi. Una zoccolatura uniforme di partimenti marmorei, giocati sui toni del rosso e del verde, lega in continuità le pareti affrescate; cornici di crustae marmoree cosmatesche e graticci profilano gli archi della cappella di San Romano, dello Speco, del corridoio di Santa Chelidonia – qui variate dall’inserzione di fasce prismatiche – [figg. II.55, 56]; bande in finto marmo, intarsiate a fiori policromi, pesantemente ridipinte, spartiscono internamente le due volte [figg. II.32, 33].

La sintassi decorativa è modulata su pagine murali dove, negli spazi lasciati liberi dal ciclo storico [fig. II.57], guizzano i rossi dei fondali, intonati al colore di quelli delle pitture del Sancta Sanctorum e degli affreschi – sopravvissuti in frammenti – della sacrestia dell’abbazia delle Tre Fontane [fig. II.59], tra gli effetti più vividi sugli anni ottanta dell’eleganza policroma e antiquaria dell’oratorio lateranense [fig. II.58], o ancora delle pitture, nello stesso complesso cistercense,

provenienti dall’antico dormitorio, dell’ultimo decennio del secolo48 [fig. II.62]; non

45 È del resto plausibile che fossero presenti altri affreschi sul lato sinistro del muro del rialzo

pavimentale, in contrappunto con gli episodi di Tentazione e Mortificazione [fig. II.12].

46 ROMANO 2017f, p. 15.

47 Ibidem.

48 La riscoperta dello straordinario ciclo del Sancta Sanctorum, cappella del complesso di San

Giovanni in Laterano dedicata a san Lorenzo, seguita ai restauri del 1995 (cfr. Sancta Sanctorum 1995), ha costituito le premesse per una rifondazione degli studi sulla pittura romana al tempo di Niccolò III. All’Orsini si deve infatti il restauro integrale del sacello, custodia monumentale dell’immagine acheropita del Salvatore, a partire dal 1277, anno dell’elezione pontificale. Il programma iconografico celebra, nell’esaltazione congiunta della romanitas antiquaria (evidente nei partimenti decorativi) e della romanitas cristiana (incarnata dalle Storie degli apostoli e dal Cristo

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manca il topos ornamentale dell’acanto fiorito, con i racemi attorti, applicato in limitate combinazioni ritmiche nelle pareti aniconiche: sui muri della cappella di San Romano, per esempio, e del corridoio di Santa Chelidonia [figg. II.60, 63]. Il disegno dei ramages, con smerlature ispide e profilate di bianco, rispecchia uno schema tipico della pittura esornativa negli ultimi due decenni del secolo [figg. II.58, 59, 62].

Rispetto alla tradizione dell’antiquarianism urbico, il ricorso al canone ornamentale dei racemi vegetali su fondali vermigli è più stereotipo e perde l’idea straordinaria – davvero antichizzante – dell’interazione con i riquadri narrativi

all’interno della medesima parete49 [fig. II.64]: il tralcio è circoscritto, ha uno spazio

di destinazione a sé, indipendente da quello delle scene del ciclo storico, non

composte nel formato dei pinakes al modo degli affreschi del Sancta Sanctorum50,

ma estese sull’intera superficie muraria disponibile [figg. II.20, 65]. La discendenza romanissima dei partiti ornamentali è rivendicata dall’occorrenza nel corridoio di Santa Chelidonia del modulo del cespo d’acanto fiorito [II.63], lasca apparizione antiquaria da leggere – come già proponeva la Romano – nel solco della fortuna di un ritmo esornativo classico [fig. II.61] rilanciato dal Sancta Sanctorum e ripreso

anche negli affreschi del dormitorio delle Tre Fontane51 [fig. II.62].

Le soluzioni di impaginato del sacello lateranense sembrano aver esercitato una superficiale suggestione iconografica sulla volta con i simboli del Tetramorfo

in trono «inverato nell’immagine acheropita simbolo della Resurrezione»), la centralità della Chiesa che era perseguita in parallelo dall’operato politico di Niccolò III. Per una suggestiva lettura iconografica del complesso pittorico, rimando specialmente a: ROMANO 2000b;

ROMANO 2001-2002; ROMANO 2002; ROMANO 2012c. La paternità degli affreschi lateranensi

è campo di dibattito: a Serena Romano (ROMANO 1995; ROMANO 2012c), che differenziava tra due mani principali, un Maestro del Redentore e un suo giovane, brillante aiutante, identificato con Jacopo Torriti, si opponeva Luciano Bellosi (BELLOSI [1998] 2004, p. 84) che, dopo

un’iniziale avvistamento di una congiuntura cimabuesca negli affreschi lateranensi (come già Roberto Longhi, cfr. LONGHI 1948,p. 46 nota 83; BELLOSI 1990) si mostrava propenso a riconoscere, invece, lo stesso Torriti nel ductus vigorosamente plastico del Maestro del Redentore, proponendo un’attribuzione che mi pare a tutt’oggi convincente.

Quanto agli affreschi dell’abbazia cistercense delle Tre Fontane, la decorazione pittorica aveva preso avvio negli anni ottanta del Duecento dalla sacrestia, dove furono dipinte le lunette con la Natività e l’Incoronazione della Vergine, fortemente legate agli affreschi del Santa Sanctorum (su cui si veda QUADRI 2012c). Nel decennio successivo, ma sempre nell’arco dell’abbaziato di

Martino (1283-1306), erano stati affrescati gli altri ambienti monastici: lo spazio loggiato al di sopra del dormitorio, da cui provengono gli affreschi staccati, pertinenti a un complesso e sofisticato programma enciclopedico che a buon diritto Melinda Mihàlyi (MIHÀLYI 1991) ha

sintetizzato come «ciclo della Vita»; il portico dell’ala dei monaci, dipinto con il perduto Calendario, da immaginare sul genere di quello dell’Aula gotica dei Santi Quattro Coronati, della metà del secolo; il dormitorio – divenuto in seguito, forse, sala di rappresentanza (Cfr. BARCLAY

LLOYD 1997, pp. 328-332), donde provengono gli affreschi staccati con ramages vegetali su

fondo rosso che qui interessano. Per un approfondimento sulle questioni citate, rimando alla densa scheda di QUADRI 2017, ma si veda anche ROMANO 1995, pp. 50-51 per i confronti

tipologici dei moduli ornamentali.

49 Rimando per questi aspetti a: ROMANO 1995, pp. 44-45, 50-51; ROMANO 2001-2002;

ROMANO 2008b.

50 Cfr. HERKLOTZ 1997, pp. 151-153, per un commento sull’articolazione delle pitture del

sacello orsiniano.

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[II.46-47] e compositiva per quanto riguarda, invece, l’articolazione della parete meridionale della cripta, dove però il riecheggiamento dello schema della narrazione

bipartita ai lati della monofora centrale52 [figg. II.64-65], già ‘corrotto’

dall’inserzione dei clipei con San Benedetto e Santa Scolastica53, si arricchisce di un

interesse per l’architettura illusiva che, come si vedrà, è specchio dei tempi moderni.