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Subiaco al tempo di Assisi Le Storie di san Benedetto negli spazi della cripta

II.3 Conxolus Magister e la decorazione pittorica della cripta

II.3.1 Il programma iconografico

Le quattordici Storie di san Benedetto, comprese le due frammentarie sul prospetto

settentrionale del muro che segna il dislivello tra le due campate39, costituiscono la

traccia dell’apparato pittorico di Conxolus; si aggiungono a complemento un riquadro votivo con l’eremita Santa Chelidonia [figg. II.23, 24], che decora la parete del corridoio eponimo, contrappunto dell’episodio benedettino collocato al di sopra della spelonca [fig. II.22]; le pareti del sottarco di affaccio sullo Speco ospitano invece le sante Scolastica e la probabile Anatolia, di cui si conservavano le reliquie allo

Speco40 [figg. II.25, 26, 27]; per finire, sul lato destro della parete orientale è

incastonata la Santa Nitidia precedentemente menzionata, entro un pannello ad arco ribassato, appena inflesso, che col suo fondale azzurro si staglia sul rosso della parete con effetto astraente e sofisticato [fig. II.31].

Le volte delle campate sono decorate con girandole di santi e angeli [figg. II.32, 33]. Al di sopra della campata meridionale [fig. II.32] si staglia un clipeo con Cristo benedicente, con il libro aperto su Io 14, 6 (EGO/ SU(m) VIA/ VERIT/AS//

(et) VITA […]); intorno, inframmezzati da quattro angeli, si pongono gli apostoli

(descritti di seguito secondo un senso orario) 41:

- Pietro: S[anctus Petrus] [fig. II.34]; - Andrea: [Sanctus] ANDREAS; [fig. II.35] - Paolo: [Sanctus] PAUl(us); [fig. II.36]

- Giovanni Evangelista (titulus perduto) [fig. II.37].

37 MATTHIAE 1966, pp. 239-243.

38 Si rimanda a ROMANO 1992, pp. 127-132, per una prima e minuziosa ricognizione descrittiva

degli affreschi, fino ad allora descritti e analizzati per escerti.

39 La numerazione dà conto degli episodi descritti, talvolta sintetizzati in un unico affresco: i

primi tre momenti della storia sono accorpati entro un’unica scena sulla parete orientale, così come l’affresco della parete interna della grotta sintetizza tre diversi episodi.

40 Cfr. § III.4.1.

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Lo stesso schema compositivo, ma con santi al posto degli angeli, è replicato nella volta della campata contigua [fig. II.33], che ha al centro San Benedetto ([Sanctus

Benedic]TUS; nel libro: B(e)N(e)DI/CAM/ DOMINU(m)/ I(n) OM(ni) TE(m)/PORE/

SE(m)P(er) LA(us)/ EI IN O/RE MEO – Ps 33, 1-2) e tutt’intorno i santi – in senso

antiorario, dal lato occidentale:

- Romano: S(anctus) ROMANUS [fig. II.38]; - Magno: [Sanctus] MAGN(us) [fig. II.39]; - Placido: S(anctus) PL[acidus] [fig. II.40]; - Silvestro: S(anctus) SIL/VESTER [fig. II.41]; - Onorato: S(anctus) HONORAT(us) [fig. II.42];

- Lorenzo: S(anctus) LAURE(n)/TIUS; nel libro aperto: DISP(er)/SIT/ DEDIT/ PAUP//ERI/BUS/ IUSTITIA [eius manet in saeculum saeculi] - Ps 111,9 [fig. II.43];

- Mauro (titulus perduto) [fig. II.44];

- Gregorio: [Sanctus Gre]GORI(us) [fig. II.45].

A seguire, nella volta settentrionale, si trova invece il Tetramorfo [fig. II.47], con al centro l’Agnus Dei, riprodotto nell’iconografia cristomimetica tipica dei cicli monumentali romani sin dal primo XII secolo, ovvero con il petto squarciato dalla

ferita da cui si versa il sangue che poi fluisce nel calice [fig. II.48]42.

I sottarchi di passaggio alla cappella di San Romano e alla grotta di San Benedetto sono destinati rispettivamente alle figure di Sante Vergini e Angeli: le une custodiscono il cammino verso la sacra spelonca, gli altri ne custodiscono il cuore. Le sante sono inscritte in polilobi mistilinei, gli angeli entro clipei [figg. II.49, 50]. Crederei che il principio di questa differenziazione razionale tra i disegni delle incorniciature, che variano a seconda delle figure rappresentate, possa essere rintracciato nei sottarchi della basilica superiore di San Francesco ad Assisi, dove, 42 Anche i simboli degli Evangelisti sono accompagnati dagli immancabili tituli: S(anctus)

MARCUS EV(angelist)A; S(anctus) LUCAS EV(angelist)A;S(anctus) MATHE(us) EV(angelista); è

perduto quello realtivo all’aquila del San Giovanni.

Sul tema iconografico dell’Agnus Dei eucaristico, cfr. PACE 2003, p. 1235; ROMANO 2017c, p.

196. L’edizione più significante, espressione icastica del manifesto ecclesiologico di Innocenzo III, era stata quella del mosaico dell’abside di San Pietro in Vaticano, che avrebbe tuttavia potuto replicare un modello già presente nel programma iconografico paleocristiano.

Va rilevata la presenza nella volta settentrionale dello Speco di santi strettamente legati alla devozione basso-laziale: Sant’Onorato, patrono di Fondi, e San Magno di Anagni. Si nota, inoltre, una differenziazione di registro tra la campata con il Cristo benedicente e quella con il San Benedetto, che mi sembra orientata, piuttosto, ad esaltare il santorale dell’Ordine: in questo programma rientrano anche Sant’Onorato abate, ricordato da Gregorio Magno tra i fondatori di monasteri prebenedettini nel II libro dei Dialogi, e San Magno, il cui culto si lega collateralmente a una grotta, quella dove si rifugiò per scampare alle persecuzioni. Il dispiegamento di simile programma di autorappresentazione in questo punto del santuario fu certamente condizionato dalla vicina presenza della Grotta della Preghiera. Non si dimentichi, inoltre, che alla campata rialzata accedevano direttamente i monaci dagli ambienti di pertinenza; il santorale benedettino avrebbe pertanto partecipato ad accoglierli degnamente, connotando i percorsi da loro battuti.

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con altra ambizione, era stato apparecchiato un programma iconografico di appendice alla narrazione, così internamente variato: Profeti e patriarchi e cimabueschi sono figurati entro ottagoni; i Martiri (di mano prevalentemente torritiana) nei clipei [fig. II.51]; i Confessori, d’impronta mista romana e cimabuesca, negli esagoni e le Sante Vergini giottesche nei polilobi [figg. II.52]. Alla luce di ciò, a Subiaco sorprende

in special modo l’occorrenza del tema del polilobo giottesco a fettuccia continua43,

in abbinamento alle figure femminili, come nel modello francescano [figg. II.53, 54].

Il cuore del programma è nelle Storie benedettine che si susseguono sulle pareti dell’ampio invaso della cripta, dipanate intorno all’asse tracciato dai percorsi devozionali. La narrazione consolesca è ben centrata sugli episodi strettamente legati all’esperienza sublacense di Benedetto: le ambientazioni naturalistiche, esclusive, danno suggestiva e visibile risonanza alla sacra spelonca poco distante, senza deviare mai l’attenzione da San Benedetto, replicato in quasi tutte le scene nella medesima posizione, sempre con la figura ricurva, incassata nella grotta che si espande intorno al corpo come fosse un carapace. Il racconto segue da presso il secondo libro dei Dialogi di Gregorio Magno, archetipo testuale dell’agiografia benedettina minimamente variato dall’edizione duecentesca fattane da Jacopo da

Varazze44, e prende avvio dalla parete orientale della cripta, con Il miracolo del capisterio

rotto e riparato, la Vestizione di San Benedetto e San Benedetto nello Speco (DL II,1), composte in un unico lunettone [fig. II.20]; l’affresco successivo, nascosto nella parte superiore della parete di contenimento della Grotta della preghiera, sintetizza non a caso le scene ambientate nello Speco, in virtuoso contrappunto con la funzione dello spazio di destinazione: qui si trovano, dunque, gli episodi di San Romano porta i viveri a San Benedetto, Il Maligno tenta di spezzare la campanella di San Romano, Apparizione di Cristo al presbitero e visita di quest’ultimo a San Benedetto (DL II,1) [fig. II.21]. Dall’altra parte del muro, al livello della campata rialzata, è la Tentazione del Maligno in forma di uccello (DL II,2) [fig. II.22]. La sequenza continua con gli episodi della campata inferiore. Vanno virtualmente integrate le già menzionate scene con Tentazione del Maligno in veste di donna e San Benedetto tra i rovi (DL II,2), affrescate sul muro del rialzo pavimentale [figg. II.12, 13]; si continua quindi sulla parete orientale con Il falcetto del Goto (DL II, 6) [fig. II.28], e con il soprastante Salvataggio di San Placido dall’annegamento (DL. II,7) [fig. II. 29]. Sulla parete 43 Invece di ricorrere al piccolo rombo di raccordo delle fettucce, si impiega il disco; inoltre, a

Subiaco il polilobo è formato dall’intersecazione dei rombi con i quattro cerchi.

Sulle decorazioni dei sottarchi rimando alle schede di Alessio Monciatti in La Basilica di San Francesco ad Assisi 2002, II.1, pp. 470; 473-474; 488-489.

44 Cfr. JACOPO DA VARAZZE,[1260-1298], ed. 2007, I, pp. 357-367. La fedeltà del testo di

Jacopo alla fonte gregoriana è messa in risalto da Lucinia Speciale (SPECIALE 2002, p. 675).

Tuttavia la studiosa, a riprova della scarsa incidenza della versione agiografica della Legenda sull’iconografia benedettina e a dimostrazione della stretta dipendenza di quest’ultima dalla sola fonte gregoriana, nota l’occorrenza, nel ciclo di Spinello Aretino nella sacrestia di San Miniato a Monte, della «scena dell’incontro tra Benedetto e Totila, omesso nel testo di Jacopo da Varagine», ma che è invece riportato dall’agiografo, in una sorta di epilogo sui miracoli compiuti dal santo (cfr. JACOPO DA VARAZZE,[1260-1298], ed. 2007, I, p. 367).

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meridionale, da una parte e dall’altra della monofora, trovano posto Fiorenzo dona a San Benedetto il pane avvelenato e il Miracolo del corvo che porta via il pane (DL II,8) [fig. II.30]; l’ultimo affresco, messo sulla parete di sinistra in prossimità del brusco rialzo pavimentale, compone in una stessa scena i Funerali di San Benedetto e Visione della via tappezzata di arazzi (DL II.37) [fig. II.66], in cui si narra di quando due monaci videro, nel giorno della morte di San Benedetto, la via predisposta ad accompagnarlo in cielo. Nello svolgimento della narrazione si rileva una brusca interruzione tra il Miracolo del corvo che porta via il pane avvelenato e la Visione della via di arazzi, interruzione che, tenendo sott’occhio i Dialogi, cade appena prima degli episodi legati alla fondazione di Montecassino: non si tace il sospetto che quest’omissione sia intenzionale e programmatica, risultato di una tenzone silente battuta con il monastero cassinese per il privilegio di archicoenobium e, soprattutto,

per la custodia della memoria di Benedetto45.