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La preghiera e la memoria: dalla lettura iconografica degli affreschi a un’ipotes

I.2 Imprese artistiche al tempo di Gregorio IX: la cappella di San Gregorio Magno e gli affreschi del Terzo maestro di Anagn

I.2.3 La preghiera e la memoria: dalla lettura iconografica degli affreschi a un’ipotes

sull’uso della cappella gregoriana

La mancanza di notizie certe sulla destinazione d’uso dell’ambiente ha di certo contribuito a deprimere il senso unitario e complessivo del programma, frammentato in una pluralità di episodi e personaggi autonomi e desultori, cui sono stati riconosciuti carattere e funzione preminentemente votivi. Tale è difatti la conclusione che emerge dalle pagine di Bianchi, cui si deve, ad ora, il tentativo di uno studio più articolato delle pitture, che tuttavia non dà pienamente valore alle sofisticate implicazioni dottrinali delle scelte iconografiche, affatto consone

all’importanza del luogo118. Questa emerge dalle poche, ma illuminanti, battute della

cronaca mirziana, laddove si allude alle numerose indulgenze di cui l’altare gregoriano fu dotato sin dalla fondazione e che sarebbero col tempo diventate più

cospicue119; colpisce, inoltre, anche la particolare affezione dei monaci per il

tempietto, tale da far loro rivolgere preghiere insistenti al papa perché questi desse al luogo una consacrazione più solenne. Gli stessi monaci sembrano essere destinatari privilegiati di un programma iconografico di ideazione eletta, contesto intorno a temi e parole a predominante vocazione memoriale e penitenziale, della quale si ha un primo e immediato riverbero nell’ampia presenza di figurine di devoti che indirizzano ad angeli e santi invocazioni ribattenti sulla salvatio animae. La centralità di quest’ultimo tema è messa ulteriormente in valore dall’evidenza conferita al torreggiante San Michele arcangelo [figg. 1.56-57], figura santa cui si riconosce convenzionalmente un ruolo centrale nel giudizio dell’anima post mortem e per questo congrua destinataria dell’invito esto memor nostri pronunciato dai

116 Secondo un’ipotesi verosimile già di Federico Hermanin, ripresa da Gerhart Ladner, il frate

potrebbe essere identificato con l’abate Romano, rettore, ormai noto, dell’abbazia sublacense negli anni della renovatio innocenziana e qui omaggiato post mortem. Cfr. HERMANIN 1904, p. 417;

LADNER 1964, pp. 449-460.

117 Cfr. HERMANIN 1904, p. 417.

118 Cfr. BIANCHI 1980, p. 7: «Anche se eseguiti in un’unica occasione gli affreschi appaiono privi

di un senso complessivo». Mancano del tutto di approfondimenti iconografici le pagine di

CRISTIANI TESTI 1982, pp. 111-120.

119 Cfr. MIRZIO DA TREVIRI,[1628-1630], ed. 2014, II, pp. 321, 417 per le indulgenze concesse

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personaggi perduti ai suoi piedi120; questo tacito dialogo per la salvazione è replicato

in scala ridotta tra un angioletto in volo e il già menzionato frater Oddo, nella lunetta

sommitale della medesima parete [fig. I.58]121. La presenza micaelica si attaglia bene,

inoltre, alla dedicazione gregoriana dell’oratorio, giacché l’arcangelo apparve sul culmine della Mole adrianea al pontefice santo mentre questi si recava in processione per le strade di Roma, pregando la Madonna affinché liberasse la città

dal morbo della peste122.

Le implicazioni escatologiche sottese alle figure fino a qui esaminate sono annunciate già dall’affresco esterno alla cappella, raffigurante Gregorio Magno con Giobbe piagato, pittura in cui generalmente si intende un omaggio all’attività del papa

di commentatore del testo veterotestamentario [figg. I.91-93]123. La curiosa

iconografia, ad oggi un hapax se si eccettua la replica quattrocentesca fattane dal Maestro della cappella Caldora nel vestibolo orientale della chiesa dello Speco [fig.

I.92]124, dà grande enfasi alla figura del pontefice, sovradimensionata. Quest’ultimo,

tuttavia, sembra intento, più che a scrivere, a introdurre, con gesti e cartiglio (VIR/

ERAT/ IN TERRA/ UBS125/ NOMINE/ IOB), il patriarca Giobbe, effettivo

coprotagonista del dipinto, anch’egli dotato di un rotulo che inneggia alla labilità delle fortune terrene: NUDUS/ EGRESSUS/ SU(m) DE/ UTERO/ MATRIS/ MEE. La figura biblica, che nei Moralia assurge a figura paradigmatica del percorso di salvezza che i pii sono chiamati a seguire attraverso la mortificazione della carne e delle gioie terrene, trova non a caso nei contesti monastici la sua ambientazione congeniale, come ha ben illustrato Julie Enckel Julliard, riscoprendo il più antico ciclo agiografico dedicato a Giobbe (XI sec.) nella supposta galilea dell’abbazia di Farfa; la vicenda del piissimus uomo di Hus si costituisce inoltre a parabola della resurrezione, tanto che la sua illustrazione trova campo di applicazione privilegiato

anche in ambito funerario126. Da simili premesse assume una diversa sfumatura di

120 Si lamenta la mancanza di studi specifici e classificatori sull’iconografia di san Michele. Per

un quadro d’insieme, cfr. PETRUCCI 1971; PIAZZA 2006, pp. 192-203; infine – sebbene

estremamente compendiario – BELLI D’ELIA 2000; sulla presenza di san Michele in contesti

iconografici escatologici, cfr. BASCHET 1991, pp. 73-80, con bibliografia precedente. Sull’arcangelo guerriero, cfr. anche il recente CASTALDI 2016.

121 È molto suggestiva, sebbene non dimostrabile, l’ipotesi di riconoscere in Oddo Oddone di

Cluny, artefice nel X secolo della riforma cluniacense, nonché fautore di una solida propaganda gregoriana. Per BIANCHI 1980 (p. 10 nota 9), si tratterebbe invece di Oddone da Novara, morto

nel 1198 dopo una visione celeste, e dichiarato venerabile da Gregorio IX nel 1240.

122 La leggenda riceve in realtà prima redazione testuale da Jacopo da Varazze, che tuttavia

registra nella sua opera un patrimonio di racconti agiografici preesistenti, perpetuatisi oralmente o trasmessi da fonti scritte non più tracciabili. Sulla leggenda dell’apparizione di san Michele sulla Mole, raffigurata da Ambrogio Lorenzetti a Montesiepi e da Spinello Aretino nella chiesa di San Francesco ad Arezzo, cfr. ARGENZIANO 2016. Si veda anche CERUTTI 2008.

123 Cfr. BIANCHI 1980, p. 10.

124 Qui è dato maggiore rilievo all’attività di commentatore di Gregorio, che è rappresentato

con un codice aperto sulle gambe.

125 Semplificazione fonetica di Hu(b)s, toponimo del luogo di nascita di Giobbe.

126 Materia iconografica rarissima, la vita di Giobbe avrebbe conosciuto un’importante edizione

trecentesca per mano di Taddeo Gaddi, autore di un ciclo destinato al Camposanto pisano. Un’ altra breve sequenza è destinata alla predella del trittico camaldolese di Nardo di Cione, con

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senso la stessa intitolazione gregoriana dell’oratorio, più di un omaggio onomastico al pontefice in carica. La figura del papa benedettino, difatti, trova frequente associazione con il culto e la commemorazione dei defunti, poiché a Gregorio vanno riconosciute una prima normalizzazione della liturgia funeraria come strumento di riscatto e una decisa affermazione del valore della preghiera pro animis127: questi aspetti dottrinali, già fondativi dell’indirizzo riformistico cluniacense, avrebbero conosciuto una discreta fortuna – teologica e iconografica –

duecentesca, ma soprattutto trecentesca, afferente all’ambito domenicano128.

Tuttavia, la centralità delle tematiche memorialistiche gregoriane potrebbe trovare a Subiaco un’ambientazione eletta, giacché a Santa Scolastica si riconosceva, sin dall’XI secolo, grande importanza nella liturgia quotidiana alla commemorazione dei defunti, tanto che l’abbazia, come Farfa e come Montecassino, era dotata di un

proprio Liber vitae129; d’altro canto, tra il terzo e il quarto decennio del Duecento si

registrava allo Speco un incremento delle richieste, di monaci e laici, di avere sepoltura nel cimitero contiguo alla porta Sancti Benedicti perché le loro anime fossero

«purius expiatas (…) monachorum cautiore ceremonia»130.

In mancanza di spazi più congrui131, è da pensare che simili celebrazioni si

svolgessero presso gli altari allora esistenti al livello inferiore: tra questi, l’altare di San Gregorio, dove le preghiere pro animis potevano forse essere destinate di preferenza, come sembrano dire le scelte iconografiche. L’indirizzo memoriale ed escatologico precedentemente enucleato trova nuova conferma nei brani superstiti della scena della controfacciata della cappella, da identificare – come anticipato – con un Tributo di san Pietro (Mt 17, 27), il cui intrinseco significato figurale di redenzione dell’anima attraverso la fede riceve ulteriore valore dalla collocazione in posizione prospiciente la parete con la Crocefissione [I.64]. La medesima scena apostolica trovava un suo spazio di destinazione – isolato e non pertinente a una

Madonna con Bambino, San Gregorio e San Giobbe (1365, Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce), su cui cfr. TARTUFERI 2001.

127 È in tal senso centrale il libro IV dei Dialogi, dove si racconta di un monaco, Iustus, che si era

macchiato di furto ma era riuscito a scampare all’inferno grazie alle preghiere dei confratelli. Su questi aspetti, si rimanda a ENCKELL JULLIARD 2008, p. 180, che fa notare come la figura di

san Gregorio fosse di preferenza associata al culto dei morti: nel farfense Liber Tramitis aevi Odilonis abbatis, per esempio, dove «la fête celebrée en l’honneur de saint Grégoire est associée au culte des defunts, à la différence de celle d’autres saints». Sull’iconografia gregoriana, cfr.

BISOGNI 2008; CERUTTI 2008.

128 Vanno ricordati, in proposito, gli affreschi agiografici dello pseudo-Dalmasio nella cappella

Bardi (già di San Gregorio) in Santa Maria Novella, dove è data grande enfasi alla «faculté de Grégoire à prier pour l’âme des damnés», come nota CERUTTI 2013, p. 175. Le scene più legate

alla dottrina della preghiera per l’anima dei defunti sono Gregorio visitato dal medico, Giustizia di Traiano, Preghiera per l’anima di Traiano.

129 Contenuto nel Sacramentario B24 della Biblioteca Vallicelliana, su cui si vedano

SCHWARZMAIER 1968, HOUBEN 1987. Nella redazione definitiva, stabilizzatasi nel XIV secolo,

il Liber porta i nomi di 8000, tra monaci e laici, ai quali bastava credere che «il solo fatto di essere iscritti in un libro che serviva alla liturgia quotidiana avesse il benefico effetto di ricordare a Dio le persone registrate», cfr. FRANK 2006, p. 226.

130 Cfr. MIRZIO DA TREVIRI,[1628-1630], ed. 2014, II, p. 229. 131 Cfr. infra, cap. III.

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sequenza apostolica – sulla controfacciata del nartece di Farfa, contestuale alle menzionate Storie di Giobbe e a una grandiosa Ascensione di Cristo e partecipe del

medesimo sovrasenso escatologico132.

Non sono estranei al dialogo generale sulla salvatio i pannelli votivi con il Sant’Onofrio e il San Francesco [figg. I.64, 66], veri e propri exempla di vita penitente, paralleli a quello di san Benedetto, che è assente nelle pitture ma fisicamente rappresentato dalla memoria trogloditica collocata a poca distanza dalla cappella. È invece meno coerente con l’iconografia complessiva l’episodio della Consacrazione dell’altare, memoria nobilitante fondativa in un certo senso parallela alla bolla innocenziana esposta sul fondo della cripta.