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I.3 Membra disiecta Sulle tracce di una perduta decorazione pittorica di metà Duecento

I.3.2 I motivi a finta cortina della chiesa

Una posticipazione della cronologia degli affreschi a date medio-duecentesche, suggerita dai dati di stile, potrebbe essere inoltre puntellata dall’analisi di ulteriori sopravvivenze pittoriche, da localizzare nella prima campata della chiesa, al di sotto degli intonaci degli affreschi trecenteschi, con l’Entrata di Cristo a Gerusalemme, sulla parete destra, e con il Tradimento di Cristo e la Salita al Calvario, sul muro opposto [fig. I.149-153]; tracce di velarium duecentesco, probabilmente contestuale agli altri frammenti, vanno invece localizzate nel registro inferiore della seconda campata, al di sotto della finta cortina dipinta dal Maestro della cappella Caldora [fig. I.147- 148].

I lacerti della prima campata sono meglio leggibili sulla parete destra, dove un’ampia lacuna dell’intonaco trecentesco [fig. I.151] fa intravedere un motivo a conci ocra dipinti, profilati di bianco, che torna identico anche sulla parete occidentale, come rivelano le scarne porzioni a vista; la trama si interrompe per lasciare spazio a una fascia rossa che contorna, con andamento curvilineo, il profilo

del rosone duecentesco al tempo ancora aperto168 [figg. I.152-153]. I pochi

frammenti rivelano con sicurezza un’originaria decorazione a finta cortina muraria, tipologia aniconica d’ornato piuttosto frequente a partire dalla fine del XII secolo, che conosce una discreta fortuna nel Lazio meridionale, specie verso la metà del

Duecento169. Gli studi critici non hanno mancato di motivare la vasta diffusione di

simile opzione decorativa con la sua preminente funzionalità economica, tale da

garantire l’affrescatura di ampie superfici murarie in tempi relativamente rapidi170;

ma altre sembrano essere le specificità del caso specuense, che si mostra invece affine a più raffinati e complessi sistemi di apparecchiamento pittorico attestati nell’anagnino e tutti variamente collegati all’operosità del Terzo maestro e della sua équipe171. Ad Anagni ha infatti origine una nuova modalità d’impiego della finta cortina, non «sbrigativa decorazione dell’architettura», ma dispositivo che, attraverso l’impiego di orditi più regolari e il frequente ricorso a campiture cromatiche che simulano il laterizio – ocra gialla, ocra rossa –, evidenzia le pareti 168 Cfr. infra, §III.1.1.

169 Sul motivo della finta cortina, si veda AUTENRIETH 1991 (con bibliografia precedente), dove

si riporta una casistica ampia e geograficamente varia; si rimanda anche al più recente FIORANI

2008, pp. 42-52 (per le finte cortine dipinte). Tra i casi laziali più antichi, vanno ricordate le pitture della metà del XII secolo dell’eremo di San Silvestro sul monte Soratte (cfr. BELARDELLI

2003, p. 254).

170 Cfr. AUTENRIETH 2001.

171 Così TOESCA [1902] 1994, p. 179 per i frammenti pittorici della cattedrale di Anagni: non

solo finti conci, ma anche «grandi figure di draghi e di pavoni». Il parere è accolto da F. Gandolfo, in MATTHIAE 1988, p. 292. Di recente ZAPPASODI 2018 (p. 30), ha proposto un

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«nella loro qualità muraria», com’è stato notato da Serena Romano per i più antichi affreschi del coro del convento femminile di San Pietro in vineis (1256 circa) [figg.

I.154-155]172. La specificità della variazione anagnina sul tema dell’ammattonato

dipinto è però soprattutto nella pertinenza di quest’ultimo a un più complesso sistema di architettura illusiva che articola la parete dipinta come fosse una finta loggia murata, scandita da paraste a sostegno delle arcate e completata da velaria

nello zoccolo inferiore [figg. I.155-156]173: se ne trova esempio, oltre che nel citato

coro petrino di Anagni, anche sui muri della locale cattedrale di Santa Maria. L’attuale decorazione pittorica della chiesa è – lo si ricorda – frutto dei restauri di primo Novecento; questi, tuttavia, hanno rielaborato estensivamente un pattern autenticamente duecentesco, che Pietro Toesca vedeva sulle volte settecentesche e descriveva nel 1902 tra i frammenti superstiti del rifacimento

pandolfiano del 1250174; affine e cronologicamente contestuale all’ensemble pittorico

della cattedrale è pure il finto loggiato cieco della cappellina del Salvatore, la cui integrale originalità aiuta a risarcire idealmente il disegno duecentesco della decorazione ecclesiale [fig. I.95].

Pur riconoscendo nei «motivi di finta architettura (…) un topos della

decorazione anagnina» e urbica175, Serena Romano individuava a possibile abbrivo

della fortuna basso-laziale delle finiture murarie dipinte, specie nella combinazione con il finto loggiato, proprio l’exemplum della cattedrale di Anagni. L’estrema frammentarietà del quadro di testimonianze rende quanto mai sdrucciolevole ogni tentativo di tracciare sicuri rapporti e dipendenze tra i casi basso-laziali esaminati; 172 Cfr. ROMANO 1997, p. 107. Il valore illusivo della decorazione era stato invece negato con

fermezza da BIANCHI 1983. Sugli affreschi del convento anagnino, ceduto alle clarisse nel 1256,

si rimanda, oltre che agli studi citati, al più recente ZAPPASODI 2018, pp. 29-31. La decorazione

pittorica del coro, collocato in un ambiente irregolare sopra la navata destra, si svolse in più fasi. A una prima fase, immediatamente successiva all’insediamento delle sorores, risale il finto loggiato; meno pacifica è invece la cronologia delle Storie della passione del Maestro di San Pietro in vineis (BERTELLI 1970; ZAPPASODI 2018, pp. 29-30), già ritenute da ROMANO 1997, p. 111,

effetto di un possibile ripensamento in corso d’opera interno a un medesimo cantiere e perciò cronologicamente contigue al primo intervento; ne è stata invece postulata da ZAPPASODI 2018 (p. 29), una dipendenza dalla perduta decorazione duecentesca del coro di Santa Chiara ad Assisi, certamente posteriore al 1266, anno i cui si conclusero i lavori architettonici dell’ambiente.

173 Cfr. ROMANO 1997, p. 107: «Nel S. Pietro in vineis la qualità illusiva dell’affrescatura resiste,

anche se le viene assegnato il compito di ribadire più che quello di travestire il dato murario reale, e il vano rozzo e irregolare viene così qualificato, tende verso uno status più nobile, tra l’architettura residenziale e la torre di palazzo che difende i suoi abitanti dalle aggressioni dall’esterno».

174 Cfr. TOESCA [1902]1994,p. 179.

175 Cfr. ROMANO 1997, p. 119 nota 83. Tra le attestazioni romane del tema ornamentale, databili

tra il secondo e il terzo quarto del Duecento, si ricordano le pitture del portico di San Saba, della torre di Innocenzo III nel Palazzo Vaticano, del salone della residenza di San Clemente, del vestibolo dell’abbazia delle Tre Fontane. Cfr. QUADRI 2012a. Vanno inoltre menzionati gli

affreschi del coro di San Sebastiano ad Alatri, che presentano un mattonato a finitura semplificata, a conci bianchi e disegno rosso: cfr. in proposito ROMANO 2005. Ulteriore caso

laziale, medio-duecentesco e affine, per ideazione, alla lectio anagnina: quello delle pitture dell’abbazia di Valvisciolo a Sermoneta, per cui cfr. MIHÁLYI 1999.

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eppure, la filologia impone a rigore l’individuazione di un prototipo autorevole, ruolo cui potrebbe ben assolvere la decorazione della cattedrale anagnina, l’unica peraltro visibile, differentemente dai casi affini destinati in prevalenza all’intimità

inviolabile degli spazi claustrali176.

La contiguità geografica e il doppio filo che legava in una trama di saldi rapporti artistici e di committenza il complesso sublacense alla roccaforte papalina

dei Conti177 costituirebbero già di per sé argomenti sufficienti a valutare i lacerti

recuperati allo Speco nel solco della fortuna dei partimenti anagnini178; ma a darne

conferma è un ulteriore frammento, impoverito da estese martellinature, da individuare sul limite destro dell’Ingresso di Cristo a Gerusalemme: non finti mattoni, ma una campitura uniforme di colore verde bruciato, affiancata da due bande verticali, ocra e rossa [fig. I.157-158]. Il confronto con gli affreschi del sacello del San Salvatore [fig. I.159] suggerisce un’ipotesi per la natura del frammento: quella, cioè, di parasta liminale di un ipotetico loggiato dipinto, che peraltro ripropone del caso citato a confronto la medesima successione cromatica delle bande di contorno; impossibile stabilire, invece, se lo zoccolo inferiore della parete fosse completato o meno da un velarium, che compare a brani e con disegno distintamente duecentesco

solo sul muro destro della seconda campata specuense179 [fig. I.147].

Dalla ricostruzione prospettata consegue, in ultima analisi e come per San Pietro in vineis, la possibilità di una dipendenza della decorazione pittorica della campata dello Speco da quella della cattedrale di Anagni, e quindi di una datazione 176 Il riferimento è a San Pietro in vineis e a San Sebastiano ad Alatri; la stessa campata specuense

ha destinazione claustrale, come si dirà nel Capitolo III, cui si rimanda.

177 Cfr. MORGHEN 1928, pp. 258-262; ANDREOTTA 1962; ANDREOTTA 1963.

178 Sensibilmente diversa è, per qualità e rifinitura, la finta cortina dell’ambulacro ovest del

chiostro di Santa Scolastica, su cui richiamava l’attenzione ROMANO 1992, p. 191.

Recentemente Roberta Cerone, giudicando il partimento contestuale a una decorazione aniconica più vasta e comprensiva di motivi vegetali fitomorfici, ne ha proposto una datazione tra Due e Trecento, ovvero negli anni dei primi lavori di risistemazione del chiostro dopo i danni del terremoto del 1298 (CERONE 2015, pp. 94-95). Va tuttavia notato che il finto

ammattonato e i racemi risultano da fasi decorative distinte, come bene si osserva sulla parete che dal settore occidentale del chiostro immette sul braccio settentrionale: qui la decorazione a racemi, che impegna la porzione superiore della superficie muraria, si sovrappone, nello zoccolo inferiore, al paramento murario dipinto, che dovrà quindi essere giudicato preesistente, e probabilmente realizzato in anni non lontani dalla prima affrescatura della campata specuense. Tale ipotesi non è in contraddizione con la diacronia delle fasi edilizie prospettata dalla Cerone: poiché la finta cortina muraria è limitata solo alle parti inferiori delle pareti del chiostro, si può ipotizzare che la ricostruzione post-sismica abbia interessato solo le coperture, successivamente ridipinte.

179 Il velarium è confrontabile per tipologia a quello impiegato nella cappella della Madonna,

ancora apprezzabile, nelle sue parti originali, nella porzione di parete coperta dall’altare. I profili dei drappeggi, che ricadono nelle consuete forme di triangoli capovolti, sono definiti da un contorno in ocra rossa, che digrada verso l’interno in toni aranciati via via più tenui; l’occorrenza di un tratto disegnativo rapido, già privo di schematismi arcaizzanti, e di alcuni manierismi decorativi svolti, quali la terminazione in nappe pentafoliate, i motivi a rombi intersecati nel campo centrale del drappo, le nere bandine orizzontali sulle coste del tessuto, rende plausibile una datazione medio-duecentesca dei frammenti di vela, in sintonia con la cronologia supposta per la finta cortina muraria della campata contigua.

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della prima ad anni prossimi al 1250. Il vincolo cronologico ricavato, utile guida nella seriazione delle fasi edilizie degli ambienti superiori – come si argomenterà più avanti nel dettaglio – converge singolarmente con la datazione ipotizzata, su base stilistica, per gli affreschi della facciata a fondovalle.

Si profila dunque con maggiore nitidezza la possibilità dell’esecuzione di nuove campagne pittoriche a metà Duecento, verosimilmente sollecitate in prima

battuta dalla necessità di qualificazione dei recenti ambienti superiori180; in tale

contesto, si potrebbe riconoscere al papa Alessandro IV (1254-1261), terzo papa dei Conti di Segni e fautore di un rinnovato interesse per il cenobio, il ruolo di patrocinatore dell’impresa e di tramite per il revival anagnino a Subiaco, a decenni di

distanza dal compimento della cappella di San Gregorio181.

180 cfr. infra, capitolo III.

181 Sui rapporti di Alessandro IV con il Sublacense, cfr. MORGHEN 1928, pp. 258-262;

I.1 Subiaco, Monastero di San Benedetto, livello inferiore, pianta.

I.2 Assetto del livello inferiore del Sacro Speco prima della riconfigurazione architettonica primo-duecentesca (ex

I.3 Subiaco, Monastero di San Benedetto, livello inferiore, Scala Santa.

I.5 Subiaco, Monastero di San Benedetto, grotta di San Benedetto.

I.7 PITTORELAZIALEDEL IX SECOLO, Nikopoeia e santi, Subiaco, Monastero di San Benedetto, grotta dei pastori.

I.9 Pianta restitutiva dello stato trecentesco dello Speco, con evidenziato il cortile porticato (chiostro per GIOVANNONI 1904).

I.10 Mensola dell’antica tettoia del cortile porticato, Subiaco, Monastero di San Benedetto, chiesa, prospetto esterno della parete orientale.

I.11 Mensola per tettoia (perduta), Abbazia di Fossanova.

I.12 Facciata meridionale (con evidenziate le strutture di età innocenziana), Subiaco, Monastero di San Benedetto, livello inferiore.

I.13 Monastero di San Benedetto, cappella della Madonna, parete meridionale.

I.14 Subiaco, Monastero di San Benedetto, cappella della Madonna, abside con monofore.

I.15 Maestro dei dossali di Montelabate, Madonna con Bambino, angeli e i santi Gregorio e Silvestro, Subiaco, Monastero di San Benedetto, cappella della Madonna.

I.16 Maestro dei dossali di Montelabate, Madonna con Bambino,

angeli e i santi Gregorio e Silvestro, Subiaco, Monastero di San

I.17 Subiaco, Monastero di San Benedetto, livello inferiore, ingresso.

I.19 Abbazia di Casamari, facciata.

I.20 Abbazia di Fossanova, testata settentrionale

I.22 Subiaco, Monastero di San Benedetto, livello inferiore, strutture di età innocenziana (in verde), cappella di San Gregorio e andito annesso al corridoio di Santa Chelidonia (in blu).

I.23 Assetto del livello inferiore del Sacro Speco prima della riconfigurazione architettonica primo- duecentesca (ex RIGHETTI 1982, p. 132).

I.24 Assetto del livello inferiore del Sacro Speco nel primo Trecento (ex RIGHETTI 1982, p. 132).

I.25 Subiaco, Monastero di San Benedetto, cripta, lato settentrionale.

I.26 Subiaco, Monastero di San Benedetto, cripta, parete orientale, con porta murata di comunicazione con gli antichi ambienti monastici.