Subiaco al tempo di Assisi Le Storie di san Benedetto negli spazi della cripta
II.3 Conxolus Magister e la decorazione pittorica della cripta
II.3.3 Precisazioni sulla cronologia dei cicl
L’assestamento cronologico dell’estensiva attività del pittore, che tocca ogni andito, ogni parete, ogni recesso della cripta, è questione dibattuta, che manca di appigli esterni certi e vincolanti. Neppure è di qualche utilità lo stemma stilizzato, con un uccello su un monte, collocato nell’angolo destro della Visione della via di arazzi [II.66, 67], che replica due imprese dipinte sul margine inferiore del lunettone soprastante con Santo Stefano, San Tommaso Becket e San Nicola – sul quale si ritornerà a breve – [fig. II.70]: esso si sovrappone, infatti, all’intonaco della scena
benedettina54 [fig. II.67], fatto che ne fa supporre un’esecuzione seriore,
probabilmente moderna. Allo scopo di una più precisa datazione dell’insegna araldica, è estremamente istruttivo il riscontro fornito dalla riproduzione litografica che Jean Renier dà della Visione nella raccolta Imagerie du Sacro Speco, edita nel 1855
come omaggio al papa Pio IX55: qui lo stemma manca, mentre sono ben evidenti
quelli del lunettone soprastante [fig. II.68]. Il rattoppo potrebbe dunque essere riferito alle mani di Luigi Lais e Antonio Bianchini, responsabili della ridipintura invasiva delle volte delle due campate del santuario registrata dalla guidistica
all’anno 185556, lo stesso della pubblicazione della strenna di Renier, che però
potrebbe aver visitato Subiaco e realizzato i disegni qualche tempo prima.
Quanto invece agli altri due stemmi, originali e pertinenti al dipinto con Santo Stefano, San Tommaso Becket e San Nicola [fig. II.69], Vincenzo Bini vi riconosceva l’impresa di famiglia dell’abate Giovanni VI (1217-1227) precedentemente
rintracciata ne «le antiche carte dei nostri archivi»57. Non si esclude che la notizia
riportata dall’abate Bini sia degna di fede, seppur sia priva, per ora, del conforto di 52 Per Serena Romano il modello era la controfacciata di Assisi; mi sembra, tuttavia, più
condizionante il prototipo lateranense, anche per la presenza degli angeli nei pennacchi dell’arco. Cfr. ROMANO 1992, p. 132.
53 Per SALVINI 1983 (p.181) i clipei derivavano dai quelli della chiesa romana di Santa Maria
Maggiore.
54 Cfr. F. Gandolfo, in MATTHIAE 1988, pp. 357-359; ROMANO 1992, pp. 130-131. 55 Cfr. RENIER 1855, tav. 54.
56 Cfr. JANNUCCELLI 1856, p. 402.
57 Cfr. BINI 1840, p. 32. La notizia è stata quindi raccolta successivamente, senza che ne venisse
esplicitata la fonte, da BARBIER DE MONTAULT 1858, p. 23; HERMANIN 1904, p. 424;
CRISTIANI TESTI 1982, p. 132; NILGEN 1995, p. 108. Va rilevata nell’affresco dello Speco
un’ulteriore attestazione del culto basso-laziale di san Tommaso Becket, che fu canonizzato a Segni nel 1173 da papa Alessandro III; all’evento seguì l’erezione e l’affrescatura dell’oratorio dedicato al martire nella cattedrale di Anagni, a livello della cripta, su cui si veda KESSLER 2001.
Come mi ricorda il prof. Francesco Aceto, che ringrazio, al santo inglese venne consacrato entro il 1182 anche un oratorio dell’abate Leonate nel nartece di San Clemente a Casauria.
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un riscontro documentario decisivo; tuttavia, il riferimento cronologico ottenuto
potrebbe aver valore solo in relazione allo strato più antico dell’affresco58 [figg.
II.69, 70, 72, 74] – stratigraficamente preesistente alla Visione della via di arazzi –, poi interpolato da ridipinture successive da riferire verosimilmente all’intervento
consolesco, esteso anche ai sistemi di incorniciatura [fig. II.73]59: l’ipotesi attributiva
scaturisce dal confronto tra il San Tommaso e il Sant’Andrea della volta della campata settentrionale, figure che si corrispondono nelle grevi forche espressive incise sulla fronte [figg. II.74-75]; a margine va inoltre notato che le peculiarità grafiche dei tituli identificativi dei santi del lunettone sono del tutto compatibili con quelle della grafia consolesca [figg. II.70-71].
Ma si faccia ora ritorno alle Storie benedettine. L’ipotesi maggiormente accreditata negli studi - maturata da Luciano Bellosi su pungenti considerazioni
stilistiche e da Serena Romano su valutazioni di ordine storico60 - le dice realizzate
a breve distanza dalle Storie francescane di Assisi, a ridosso di quel torno d’anni, compreso tra il 1292 e la fine del decennio, in cui nei principali cantieri di Roma si imparava all’unisono la lingua di Giotto e Cavallini. D’altro canto, non vanno sottostimate le pur brevi parentesi di quiete del monastero dalle travagliate vicissitudini di fine Duecento: quella, ad esempio, determinata dal governo del probo e munifico Bartolomeo I (1293-1296), su cui già richiamava l’attenzione la
Romano61. Il collegamento sembra tanto più pertinente ora che sono state
recuperate per l’abate l’appartenenza alla famiglia Caetani e la stretta parentela con Bonifacio VIII: credenziali di rango che partecipano a fare di Bartolomeo il
promotore ideale dell’impegnata decorazione pittorica della cripta62. A tal
58 Propendevano per una datazione agli anni venti del secolo Federico Hermanin e Maria Laura
Cristiani Testi (HERMANIN 1904, pp. 461-471; CRISTIANI TESTI 1982, p. 132; F. Gandolfo, in
MATTHIAE 1988, pp. 357-359).
59 Le ridipinture sono ben leggibili nella figura di San Nicola, che è come circonfusa da una sorta
di ologramma che ne doppia la sagoma – [fig. II.72]; dalla caduta dei ritocchi pittorici potrebbe risultare il singolare aspetto butterato dei volti. Si avverte che la valutazione stilistica degli affreschi delle volte deve dare i conti con le ridipinture di Lais e Bianchini.
60 Cfr. BELLOSI 1983,pp. 129-130;BELLOSI 1985,pp. 130, 145 nota 71;ROMANO 1992, p. 132;
voce dissonante è quella della Cristiani Testi, propensa a proiettare gli affreschi già nel primo decennio del Trecento (cfr. CRISTIANI TESTI 1982,p. 122; in CRISTIANI TESTI 1983, pp. 404-
405, il giudizio veniva ricalibrato e la datazione plausibile degli affreschi riportata all’ «arco cronologico tra il 1290 e gli inizi del XIV secolo»).
61 Cfr. ROMANO 1992, p. 132 dove si ipotizza «una cronologia forse entro il 1296, certamente
entro il 1299».
62 Pur essendo imprescindibile il protagonismo abbaziale nelle imprese artistiche dei monasteri
di Subiaco, non escludo comunque una partecipazione più cospicua di finanziatori privati, visto il crescente interesse delle famiglie sublacensi per il cenobio benedettino: un anonimo donatore, in abiti secolari, potrebbe essere riconosciuto nella figura orante alla sinistra del San Benedetto, nell’affresco con San Benedetto scaccia il Maligno in forma di merlo. Più curiosa è la larghissima presenza di figurine di monache ai piedi delle Storie benedettine restanti (eccetto che nell’affresco del muro interno della spelonca) e della Santa Chelidonia del corridoio eponimo. Al tempo i monasteri femminili alle dipendenze del Sublacense erano numerosi e le loro rendite potrebbero essere state impegnate nella decorazione della chiesa. Potrebbe essere centrale, in tal senso, la progressiva rifioritura del monastero di Santa Chelidonia, a partire dal 1273, quando papa
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proposito, è importante ricordare che Miklós Boskovits riconosceva nel busto di Innocenzo III [fig. II.76] il tipo dei ritratti correnti del papa anagnino e, di conseguenza, una sorta di criptoritratto di Bonifacio VIII [fig. II.78], così omaggiato dal nipote che lo studioso identificava erroneamente con il dissoluto abate
Francesco I63. L’ipotesi di Boskovits sembrerebbe incoraggiata da un altro aspetto,
cui finora non si è dato adeguato rilievo: l’Innocenzo III di fine Duecento è privo, infatti, dei baffi che sono invece piuttosto caratteristici dell’iconografia di Lotario dei Conti e presenti nel ritratto papale inserito nei mosaici di San Paolo fuori le mura [fig. II.77].
Simili considerazioni rafforzano il quadro di un possibile coinvolgimento di Bartolomeo nella commissione delle imprese pittoriche di fine secolo; ne consegue un avvio plausibile dei cantieri entro il 1296, con una prosecuzione verosimile dell’impresa pittorica negli anni seguenti.