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I.2 Imprese artistiche al tempo di Gregorio IX: la cappella di San Gregorio Magno e gli affreschi del Terzo maestro di Anagn

I.2.2 Precisazioni cronologiche: la fondazione della cappella e la sua decorazione

pittorica

La rarità di appigli cronologici sicuri, che pone sul malcerto terreno della verosimiglianza la storia artistica del Sacro Speco, trova parziale ma soddisfacente risarcimento in questo tempietto, generosamente dotato di un ricco apparato epigrafico dal pittore che ne aveva curato la decorazione. Due iscrizioni corrono, a mo’ di didascalia, al di sotto della Consacrazione della cappella: la prima permette di ambientare la cerimonia e di identificare nell’officiante P(a)P(a) GREGORIUS OLI(m)

EP(i)S(copus) HOSTIENSIS // QUI HA(n)C CO(n)SECRAVIT ECCLESIA(m)103 [figg. I.54,

62]; il celebrante è accompagnato da due accoliti, per uno dei quali, tonsurato e con tunica bianca, è stata proposta l’identificazione con Lando o Landone, abate del 101 Se nella porzione sovrastante la grotta di San Benedetto il pattern decorativo presenta tracce

evidenti di interpolazioni di restauro, che hanno reso più grevi le campiture cromatiche e regolarizzato i moduli d’ornato, si apprezza meglio l’originalità delle pitture nella parte di volta ancora compresa nel corridoio di Santa Chelidonia. Le stelle a otto punte costituiscono un modulo d’ornato piuttosto frequente nei partiti aniconici dei cantieri urbici di pittura murale tra primo e secondo quarto del Duecento. Si richiamano ad esempio il caso dell’abbazia delle Tre Fontane, dove la forma stellata torna nel vestibolo che collega il chiostro al portico aperto sulla campagna (cfr. QUADRI 2012a, p. 129); il caso della volta della cappella di San Silvestro ai Santi Quattro Coronati (cfr. DRAGHI 2012b, p. 191); il caso dell’oratorio di Onorio III in San

Sebastiano fuori le mura (cfr. QUEIJO 2012a), dove le stelle sono impiegate in un clipeo entro

polilobi mistilinei; infine, della volta della cappella del Tesoro, nella cattedrale di Anagni [figg. I.88-90].

102 Cfr. infra, §II.5.1.

103 La carica durò dal 1206 all’elezione al soglio pontificio, nel 1227. Il testo integrale è: HIC EST

P(a)P(a) GREGORIUS//OLi(m) EP(iscopu)S HOSTIENSIS// QUI H(anc) CO(n)SECRAVIT

ECCLESIA(m). Il libro aperto sull’altare reca la scritta VERE// LOCUS// ISTE//SA(n)C(t)U(s)//

EST//I(n) QUO//ORANT: passo tratto dall’antifona della consacrazione (FRUGONI 1993, p.

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Sublacense al tempo della realizzazione degli affreschi e già cappellano di Ugolino

de’ Conti, negli anni del suo episcopato ostiense104; nell’altro, invece, è stato

riconosciuto san Francesco [fig. I.64].

Al di sotto della prima corre un’altra iscrizione, vergata su una sorta di finta cortina di colore ocra, più lunga e dal tono sostenuto, annunciato dall’adeguamento ai ritmi dell’esametro classico: il testo informa delle circostanze della decorazione pittorica dell’ambiente, che si dice avvenuta nel secondo anno del pontificato di Gregorio IX, quindi tra il marzo del 1228 e il marzo 1229 [fig. I.62]. L’epigrafe è ora lacunosa in più parti – specialmente nelle inferiori – ma è possibile integrarne

le perdite con il supporto della trascrizione di Vincenzo Federici105:

PONTIFICIS SUM(m)I FUIT AN(n)O PIC(t)A S(e)C(un)DO HEC DOM(us)

HIC P(ri)MO Q(uo) SU(m)MO FUIT HONORE // MA(n)SERAT ET

VI(t)A(m) CELES(t)E(m) DUXERAT IDE(m) P(er)Q(ue) DUOS M(en)SES

S(an)C(t)OS [maceraverat artus] // IULIUS EST UN(us) AUGUSTUS

FERVID(us) ALTER Q(ua)LI(s) CU(m) PAULU(s) RABT[us translatus ad

astra]106// IAM NON IPSE SET [iam] CRISTUS VIVEB[at in ipso] PRO QUO

DEV[ota] FIET HIC ORA[tio]107.

L’iscrizione è stata al centro di un’animata querelle esegetico-filologica, sorta intorno alla frase hic primo quo summo fuit honore manserat e, più specificamente, alla funzione dell’aggettivo primo e al significato da riconoscere al summo honore menzionato. Le opposte posizioni del dibattito sono così paradigmaticamente rappresentate: da una parte, Alessandro Bianchi, intendendovi un riferimento alla carica pontificale e legando l’aggettivo primo al sostantivo anno del rigo precedente, proponeva di ambientare il soggiorno specuense di Gregorio e la consacrazione

della cappella nel primo anno del suo papato108; d’altra parte diversa è la lettura

offerta in precedenza da dom Guglielmo Salvi, il quale, riferendo il numerale a summo honore, coglieva un riferimento alla carica episcopale, primo degli altissimi

onori del pontefice. L’interpretazione suggerita dal Salvi, sebbene poco seguita109, è

probabilmente la più aderente alla struttura sintattica del testo e va perciò preferita, 104 L’ipotesi, formulata da FRUGONI 1953, p. 109, è stata ulteriormente approfondita da SALVI

1953, pp. 13-22, che smentiva risolutamente un’identificazione del personaggio con san Francesco, precedentemente proposta da FEDERICI 1953.

105 Cfr. FEDERICI 1904, p. 406.

106 Si segue qui la lectio proposta da FRUGONI 1993, p. 270, più aderente all’esametro.

107 «Questa dimora fu dipinta nell’anno secondo del sommo pontefice. Qui si era fermato nel

primo altissimo onore in cui fu e qui aveva condotto vita celeste. Lo stesso papa aveva macerato i santi arti per il tempo di due mesi: uno è luglio, il fervido agosto l’altro. Come Paolo, fu rapito e portato in cielo: non egli, ma Cristo viveva ormai in colui per il quale si faccia qui devota preghiera». Poco condivisibile la traduzione proposta da FRUGONI 1993 (pp. 270-272), che

intende l’hic del testo non avverbio ma pronome dimostrativo riferito addirittura a Francesco, eletto a soggetto delle frasi seguenti.

108 Cfr. BIANCHI 1980, pp. 6-8.

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tanto più che il titulus di identificazione del papa officiante è preceduto dall’avverbio

olim110, certamente da intendere nel significato di “a quel tempo”. La lectio fissa

dunque per la consacrazione della cappella una cronologia anticipata agli anni dell’episcopato di Ugolino dei Conti di Segni e, più precisamente, al 1219, quando

l’anagnino aveva fatto visita allo Speco all’eremita Lorenzo Loricato111. L’incalzante

ritmo dei decreti pontificali referti dai registri editi da August Potthast non lascia margine, infatti, a un soggiorno bimestrale presso il monastero di San Benedetto,

tra il 1227 e il 1229112. Più pacifica è invece la cronologia degli affreschi, da riferire

– come detto – al secondo anno del pontificato di Gregorio IX e, più nel dettaglio, al tempo occorso tra il marzo 1228 e la canonizzazione di san Francesco, nel luglio dello stesso anno: la mancanza del nimbo nell’icona specuense dev’essere difatti

indizio sicuro dell’anteriorità di quest’ultima rispetto all’evento113.

Della precedente dedicazione della cappella agli angeli114, che ha collocazione

pertinente nel contesto della devozione benedettina, rimane traccia parziale nella grande enfasi data alle iconografie angeliche: dai serafini nella crociera di copertura, alternati ai simboli degli Evangelisti [fig. I.74], al gigantesco San Michele arcangelo turiferario dipinto sulla parete meridionale e posto a contraltare della scena di Consacrazione, curvo sotto il giro arcuato della parete [fig. I.57]. Ai suoi piedi dovevano forse trovarsi immaginette di devoti – probabilmente monaci – poi obliterati dal Cristo in pietà: l’integrazione iconografica è suggerita da un’iscrizione ancora leggibile al di sopra dell’interpolazione quattrocentesca, con il testo

«[Princeps gloriosissime Michael] ESTO MEMOR NOSTRI», parte dell’antifona al

Magnificat del Breviario romano su cui si fonda la liturgia micaelica115, certamente 110 Il significato è registrato come secondo, per occorrenza, dal Novum glossarium Mediae

Latinitatis. Cfr. F. Blatt, olim, s.v., in Novum glossarium Mediae Latinitatis ab anno DCCC usque ad Annum MCC, XIII, 1983, coll. 441-442.

111 Cfr. SALVI 1953, p. 20. Gli atti del processo di canonizzazione del beato sono integralmente

riportati in CAPISACCHI DA NARNI,[1573], cc. 175r-199v. Cfr. anche Processus auctoritate apostolica

confectus super vita et miraculis servi Dei Laurentii conversi et heremitae, in Benedicti XIV Opera Omnia 1840, p. 663, p. 663.

112 Cfr. POTTHAST 1957,I,pp. 699-716.

113La tradizione di un soggiorno sublacense di Gregorio IX nell’anno 1228 risale alla cronaca

mirziana (MIRZIO DA TREVIRI,[1628-1630], ed. 2014, II, pp. 320-322); la vulgata contribuiva

retoricamente a riconoscere maggiore lustro allo Speco, luogo di devozione e spiritualità tali da essere scelto dal neoeletto papa come ritiro. A una presenza di Gregorio a Subiaco nell’agosto del 1227 crede BIANCHI 1980 (p. 12), che ne rintracciava la prova nell’intensificarsi in quel mese

dei provvedimenti a favore del monastero. È stata, inoltre, recentemente avanzata (MORES

2004, part. pp. 283-304) la proposta di posticipare al 1232 la visita di Gregorio IX, in totale contraddizione con l’iscrizione commemorativa.

A margine: l’iscrizione specuense si avvicina in due passaggi significativi al testo della bolla di annuncio della canonizzazione di san Francesco Mira circa nos (edita in Bullarium franciscanum Romanorum Pontificum 1759-1768, I (1759), p. 43) dell’agosto del 1228, come notato da FRUGONI

1993, p. 271, che ricavava una dipendenza testuale dell’epigrafe dipinta dall’atto pontificale. Le affinità riguardano l’espressione maceraverat artos e il paragone con san Paolo, passi che tuttavia hanno il sapore di topoi retorici.

114 Cfr. MIRZIO DA TREVIRI,[1628-1630], ed. 2014, II, p. 321.

115 Cfr. BIANCHI 1980, p. 6, la intendeva erroneamente come invocazione pronunciata dallo

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allusiva al ruolo di psicopompo dell’arcangelo. Compaiono negli affreschi anche altri minuti ritratti di monaci devoti: nella chiave di volta dell’arco della medesima parete meridionale un angelo benedice un FRATER ODDO [fig. I.55]; ai piedi del San Paolo, nell’absidiola con la Crocefissione si avvista un F(rate)R ROMAN//(u)S, affiancato

dal motto DIES MEI//TRA(n)SI//ERUNT P(arce) M(ihi) D(omini)116 [fig. I.54]. Al

frate Romano dava poi le spalle, nel medesimo registro parietale, un secondo frater, perduto per l’apertura di un repositorio in rottura di intonaco, identificato da

Hermanin come [t]HOMAS117 [fig. I.59-60].