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L ATTANZIO : S ATURNO LAZIALE E S ATURNO AFRICANO

Il campo d’azione di L. Celio Firmiano Lattanzio è ancora una volta l’Africa, probabilmente anche sua patria. Girolamo (De Vir. Ill., 80; Epist., 70, 5, 2) dice che fu discepolo di Arnobio e Diocleziano lo assunse come professore di retorica latina nella nuova capitale ristrutturata, Nicomedia. La sua conversione avvenne quando ormai era adulto e a causa delle persecuzioni di Diocleziano iniziate nel 303 dovette rinunciare al proprio impiego. Proprio in questo periodo si dedicò alla stesura delle Divinae Institutiones.

L’opera combina una componente apologetica e una didattica. Per la prima è chiaro come Lattanzio richiami il modello delle opere di diritto e retorica romana, per le quali si meritò il titolo di “Cicerone cristiano”. Numerose inoltre sono le citazioni di autori pagani che presumibilmente gli arrivarono tramite florilegi. A lui dobbiamo i preziosi frammenti dell’ Euhemerus di Ennio e il trattato di De Republica di Cicerone. Una delle sue fonti più importanti è Virgilio, a seguire Lucrezio e Ovidio. Il passo che a noi interessa si trova nel primo libro (I, 21, 1-15) delle Divinae Institutiones, dedicato alla falsa religione (De falsa religione)105. Gli dei pagani, come già diceva Ennio nell’ Euhemerus, sono uomini morti, e dopo aver parlato della “persona” degli dei, passa ora a parlare del loro culto, costituito da cerimonie e misteri.

La testimonianza di Lattanzio è davvero molto ricca di spunti e ci fornisce un elenco piuttosto completo di usanze sacrificali. Presso i Ciprioti, Teucro offriva a Jupiter una vittima umana, pratica a cui pose fine Adriano. I Tauri immolavano a Diana gli stranieri, i Galli placavano

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Ribichini S., “La proibizione del sacrificio umano cartaginese”, in Unde Mose schrieb dieses Lied auf, Studien zum Alten Testament und zum Alten Orient, Ugarit- Verlag, Münster 1998, p. 662

104 Barthélemy J. J., Barbon Mancini L. J. – Mazarini duc de Nivernais, Viage de Anacarsis el joven por la

Grecia: a mediados del siglo quarto antes de la era vulgar, vol. V, M. Domingo, 1812, p. 392

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Esus e Teutates con sangue umano e anch’egli ci conferma la notizia che ancora ai suoi tempi Jupiter Latiaris veniva onorato con vittime umane (21, 1 – 2).

La digressione si inserisce in una riflessione che vede la contrapposizione barbari/civilizzati. Riguardo ai barbari infatti non vi erano motivi per meravigliarsi dato che bruti, senza educazione, erano portati al crimine per ignoranza. Ma quanti si dichiaravano civili e rivendicavano la gloria della loro umanità dovevano invece essere ritenuti più mostruosi (21, 4 – 5).

L’autore prosegue ora parlando del culto di Saturno Laziale, per il quale venivano immolati esseri umani. Come dice appunto Lattanzio stesso il culto era molto antico, l’uomo non veniva sacrificato sull’altare, ma veniva gettato nel Tevere dal Ponte Milvo ( 21, 6 – 9):

6 Apparet tamen antiquum esse hunc immolandorum hominum ritum, siquidem Saturnus in Latio eodem genere sacrificii cultus est, non quidem ut homo ad aram immolaretur, sed ut in Tiberim de ponto Mulvio mitteretur. 7 Quod ex responso quodam factitatum Varro auctor est: cuius responsi ultimus versus est talis:

ὶ ὰς Ἀίῃὶ tῷὶέῶ

id est hominem. Quod quia videtur ambiguum, et fax illi et homo iaci solet. 8 Verum id genus sacrificii ab Hercule, cum ex Hispania rediret, dicitur esse sublatum, ritu tamen permanente ut pro veris hominibus imagines iacerentur e scirpo, ut Ovidius in Fastis docet:

Tristia Leucadio sacra peracta modo. Illum stramineos in aquam misisse Quirites,

Herculis exemplo corpora falsa iace 9 Haec sacra Vestales virgines faciunt, ut ait idem:

Mittere roboreo scirpea ponte solet.

Nam de infantibus qui eidem Saturno immolabantur propter odium Iovis, qui dicam non invenio.

Tale rito derivava da un oracolo, come affermava Varrone, sibillino, che recitava così: “delle teste per Hades, per mio padre una vita”.

Lattanzio prosegue dicendo che questo rito fu soppresso da Ercole al suo ritorno dalla Spagna e prevedeva ora manichini di paglia al posto di uomini in carne ed ossa come spiega Ovidio nei Fasti.

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Prima di analizzare il testo mi piacerebbe fare una piccola digressione sulla figura di Saturno Laziale, approfittando del testo di Lattanzio e delineare un poco il carattere di questo dio tanto misterioso.

Persino agli antichi le origini di Saturno non erano ben chiare106. Varrone faceva derivare il nome Saturnus da sero/satum (seminare). La sua opinione fu condivisa da Festo, Lattanzio, Arnobio, Sant’Agostino, Macrobio. Più tardi lo Scaligero nel 1581 aveva sostenuto che l’etimologia del nome andasse ricercata in ambito etrusco e deriverebbe appunto dall’etrusco Satre, per cui Saturnus sarebbe uno dei tanti nomi in –urnus, -arnus, -erna che deriverebbero appunto da questa lingua.

Questo tipo di ipotesi fu ulteriormente sostenuta dalla scoperta nel 1877 dal famoso fegato bronzeo di Piacenza, dove un dio Satre appariva tra le divinità collocate nelle sedi sfavorevoli e dunque per gli etruschi era indubbiamente un dio ctonio. Inoltre pare che dagli etruschi derivassero anche i munera romani, di cui peraltro abbiamo parlato nel capitolo dedicato al martirio di Perpetua e come abbiamo già accennato, già gli antichi li consideravano sostituzioni di sacrifici umani107.

Chiarito questo, è bene ora analizzare quanto afferma Lattanzio e fare ordine nel testo poiché l’autore confonde due tradizioni riportate rispettivamente da Varrone (Macrobio) e da Ovidio. Parlando dell’origine dei Saturnali, Macrobio108

, citando Varrone, racconta che i Pelasgi, il mitico popolo pre-ellenico, scacciati dal proprio paese avevano ricevuto a Dodona un oracolo che li esortava a cercare la terra di Saturno, città degli Aborigeni, “dove galleggia un’isola”. Una volta che fossero giunti, avrebbero dovuto inviare la decima a Febo, delle teste al figlio di Cronos e un uomo a suo padre. I Pelasgi giunsero così nel Lazio e presso Cutiliae trovarono un lago nel cui centro galleggiava un’isola; capirono che quello era il luogo dell’oracolo. Si dice poi che Ercole, passando per l’Italia, insegnò ai discendenti dei Pelasgi il modo per aggirare il crudele oracolo, offrendo a Dite non delle teste umane ma degli oscilla di terracotta e a Saturno dei ceri durante i Saturnali.109

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Pucci G., Saturno: il lato oscuro, Lares, LVIII, 1992, n.1, p. 6 e Versnel S. H., op. cit., p.138.

107 Serv., Ad Aened., III, 67, Pucci G., op. cit., p.7. 108

Macrobio, Saturnalia, 1, 7, 29: “ conformemente all’oracolo consacrano la decima ad Apollo, eressero un sacello a Dite e un’ara a Saturno, la cui festa chiamarono Saturnali e a lungo credettero di placare Dite con teste umane e Saturno con uomini come vittime a causa dell’oracolo che diceva «offrite delle teste ad Ade e un uomo a suo padre.» Op. cit., 1, 7, 27-28: “Alia Saturnaliorum causa sic traditur. Qui erant ab Hercule in Italia relicti – ut quidam ferunt, irato quod incustoditum fuisset armentum, ut non nulli aestimant, consulto eos relinquente ut aram suam atque aedem ab incursionibus tuerentur - hi ergo cum a latronibus infestarentur, occupato edito colle Saturnios se nominaverunt […]. 28 Nec illam causam quae Saturnalibus adsignatur ignoro, quod Pelasgi, sicut Varro memorat, cum sedibus suis pulsi diversas terras petissent, confluxerunt plerique Dodonam et incerti quibus haererent locis eius modi accepere responsum […].”

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Parlavo prima della confusione che fece Lattanzio nel riportare come correlati i testi di Varrone (Macrobio) e di Ovidio. Il passo citato di Ovidio si riferisce infatti alla festa dei Lemuria,, il 14 maggio in onore degli Argei, figure della mitica storia delle origini di Roma, che, secondo Varrone110, erano principi giunti nella penisola italiana al seguito di Ercole e si erano stabiliti nel villaggio fondato dal dio Saturno sul Campidoglio. il ponte non era il Milvio111 ma il Sublicio, il cosiddetto ponte di legno come effettivamente lo chiama Ovidio nei suoi versi.112

Questa processione viene appunto descritta nel VI libro dei suoi Fasti. La leggenda narra che Giove Fatidico avesse ordinato ai primi abitanti del luogo, al tempo in cui quella era detta terra Saturnia, di offrire due corpi da gettare nel fiume Tevere, finché non arrivò Ercole a porre fine questi tristia Leucadio sacra peracta modo113, facendo gettare dei sostituiti di giunco, dando così origine al rito prescritto. A parlarci di questo rito sono anche Varrone (VI,44) e ci viene descritta da Dionisio di Alicarnasso (Antichità romane, I, XXXVIII) che lo vide e dice che i pontefici dopo aver celebrato i sacrifici di rito, accompagnati dalle vestali, dai Pretori e dai cittadini ai quali era permesso assistere a tale cerimonia gettavano nel corso del Tevere dal ponte sacro 30 fantocci di forma umana e li chiamavano Argei.

Una volta terminato il suo breve discorso sull’antichità del rituale in onore di Saturno nell’ambito italico, passa infine a parlare del sacrificio dei bambini che sottintende invece quello cartaginese. L’origine del rito sarebbe dovuto all’ira di Saturno, che nel suo tentativo di non essere spodestato dai figli divorandoli, fu tuttavia privato del trono da Jupiter. A proposito di questo, Lattanzio si abbandona a considerazioni di carattere “emotivo” riflettendo sul come questi genitori potessero essere tanto barbari, da compiere questo tipo di crimine contro bambini innocenti e contro l’umanità. Lattanzio ci riporta un dato interessante, questi dei, che sono ancor peggio degli uomini, richiederebbero questi sacrifici anche quando

110 Varrone, De lingua latina, VIII, 45 “Argeos dictos putant a principibus, qui cum Hercule Argivo venerunt

Romam et in Saturnia subsederunt.”. Presumibilmente Varrone aveva quotato anche l’oracolo di Dodona di cui parla anche Dion. Hal. 1, 19, 3.

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Nibby A., Roma nel MDCCCXXXVIII, Roma 1838, pp. 200-201.

112 Ovid., Fast., vv. 621-634: Tum quoque priscorum Virgo simulacra virorum mittere roboreo scirpea ponte

solet. Corpora post decies senos qui credidit annos missa neci, sceleris crimine damnat avos. Fama vetus, tum cum Saturnia terra vocata est, talia fatidici dicta fuisse Iovis: “falcifero libata seni duo corpora gentis mittite, quae Tuscis excipiantur aquis; donec in haec venit Tirynthius arva, quotannis tristia Leucadio sacra peracta modo; illum stramineos in aquam misisse Quirites, Herculis exemplo corpora falsa iaci. Pars putat, ut ferrent iuvenes suffragia soli, pontibus infirmos praecipitasse senes.

113L’espressione fa riferimento al culto di Apollo sul promontorio di Leucade, ogni anno si rinnovava l’antica

usanza nel giorno della festa del dio Leucade di precipitare dall’alto di questo promontorio qualche colpevole condannato a morte. Questo era un sacrificio espiatorio che gli abitanti di quell’isola offrivano ad Apollo onde allontanare flagelli.Cfr. Dizionario d'ogni mitologia e antichità incominciato da Girolamo Pozzoli sulle tracce del Dizionario della favola di Fr. Noel, continuato ed ampliato dal prof. Felice Romani e dal dr. Antonio Peracchi. Volume 1. [-6.], Volume 3, 1882, p.249.

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sarebbero benevoli114 e non solo in situazioni di crisi sia a livello familiare/individuale sia a livello nazionale, privando gli uomini di ogni umano sentimento e del sacro, dato che insozzano gli altari con questi delitti.

Lattazio parla infine di uno storico la cui collocazione temporale è assai incerta, Pescennio Festo115, un autore altrimenti sconosciuto ma ovviamente precedente a Lattanzio che lo cita. Egli avrebbe scritto un’opera intitolata Historiarum per saturam, per la quale sembra aver avuto come fonte principale Diodoro Siculo116 di cui riporta la versione uguale e tale. Dice in effetti che i Cartaginesi erano soliti offrire a Saturno delle vittime umane e che dopo essere stati vinti da Agatocle, re di Sicilia, credendo di essere incappati nell’ira di Saturno, decisero di ricorrere al massacro di ben 200 rampolli delle famiglie più illustri per compiere il rito nei migliore dei modi.

Sembra che anche Pescennio Festo si fosse abbandonato a considerazioni di carattere emotivo, la religione a tanta crudeltà ha portato!