• Non ci sono risultati.

IV – V SECOLO : T EODORETO DI C IRRO , C IRILLO D ’A LESSANDRIA E

D

RACONZIO

Le figure di Teodoreto e di Cirillo emergono tra le vicende che nei secoli III e IV movimentarono la Chiesa attraverso il dibattito che vedeva come tematica centrale l’unità e la trinità di Dio, la persona del Figlio e la sua consustanzialità col Padre. Il V secolo vide aprirsi nuovi sviluppi nella discussione cristologico: nel 451 furono condannati il monofosismo e il nestorianesimo, con l’enunciazione delle formulazioni relative alla presenza di due nature nell’unica persona del Cristo. La scuola alessandrina guidata da Cirillo (secondo cui “una è la natura del Logos incarnato”) e la scuola antiochena di Teodoro di Mopsuestia, di Giovanni di Antiochia e Teodoreto di Cirro (secondo cui le due nature perfette e distinte erano “unite” in una synápheia stretta ed indissociabile, così intima da rendere l’uomo e il divino una sola persona) si scagliarono ad accusa o in difesa delle due teorie ed intervennero nel dibattito intrapreso da Nestorio, che dal 428 si era fatto portavoce di una riflessione sulla duplice natura di Cristo154.

Come abbiamo già accennato, il paganesimo subiva ora un declino piuttosto rapido. Alla fine del IV secolo molti funzionari e molti dotti restarono fedeli all’ellenismo e alla mistica pagana, ma nella vita quotidiana gli scontri erano molto frequenti e i cristiani auspicavano la scomparsa dei templi e degli idoli, tanto che più volte i monaci si lanciavano all’assalto dei templi pagani, dando luogo a tumulti.

Per quanto riguarda il potere imperiale, fino al 385 esso si mantenne neutrale, finché Teodosio I a partire del 390 emanò disposizioni per cui si proibì qualsiasi cerimonia pagana nella città di Roma, ogni visita ai templi e ogni omaggio verso gli idoli. Il culmine dell’intolleranza fu la distruzione del Serapeo nel 391 che rappresentò una catastrofe per i pagani. L’evento suscitò grande clamore per la violenza scatenata, screditando molto il cristianesimo, ma era al contempo segnale che la nuova fede aveva ormai conquistato il campo. Per quanto riguarda invece i culti, in generale per quest’epoca potremmo affermare che i templi fossero chiusi; anche se i pagani non rinunciarono comunque alle loro usanze come ben dimostra la serie di leggi promulgate da Teodosio II contro i sacrifici clandestini la prima delle quali il 9 aprile del 423 che li puniva con la morte. Tale editto cambiò l’8 giugno dello stesso anno in esilio e confisca dei beni, venne di nuovo reso più severo nel 435, rinnovato nel 438 e nel 451155.

154 Monaca M., “Tra Efeso e Calcedonia: anticipazioni teologiche nella Terapeutica di Teodoreto di Cirro”, in

Studia Ephemeridis Augustinianum 140, Roma, 9 – 11 maggio 2013, pp. 593-594.

60

Teodoreto nacque da una famiglia agiata di Antiochia nel 393. Percorse il ciclo di studi, che comprendevano grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, musica, geometria e astronomia. Apprese i versi di Omero, sotto l’autorità dei grammatici, i dialoghi di Platone, i discorsi degli oratori, le storie di Erodoto, Plotino e Porfirio.

Dopo la morte dei propri genitori, si trasferì nel monastero di Nicerte a 80 km d’Antiochia dove per sette anni perfezionò il greco e il siriaco, studiò le Scritture e le opere apologetiche di Clemente e di Eusebio di Cesarea. Divenne vescovo di Ciro nel 423 e governò la diocesi per 35 anni, occupandosi attivamente dei suoi fedeli e della sua città.

La Terapeutica delle malattie elleniche tradisce la sua vasta cultura profana nel confronto che egli realizza tra il pensiero pagano e la dottrina cristiana, utilizzando testi profani che cita alla lettera. Il tipo di apologia che perseguì utilizzò a pieno gli studi che egli realizzò nel corso della sua giovinezza dato che la veridicità del Vangelo e della fede cristiana trovavano ora fondamento nell’insufficienza dei sistemi filosofici. Il contesto intellettuale è pieno di scritti di Plotino e di Porfirio, poté utilizzare fonti come Clemente Alessandrino ed Eusebio di Cesarea. Conosceva i misteri greci e tutto ciò che sapeva dell’Egitto probabilmente gli derivò da Clemente, da Plutarco e da Diodoro Siculo.

Ovviamente Teodoreto dette il proprio contributo all’apologia che lo precedette: la sua opera risponde agli stessi obbiettivi e sviluppa le stesse tematiche che furono protagoniste del dibattito durante i tre secoli precedenti: Dio, la materia, il mondo e l’anima. Tuttavia i tempi erano cambiati e di conseguenza i metodi, l’apologia non era ora così aggressiva, ma al contrario, come nel caso di Teodoreto, assumeva toni di conversazioni familiari.

L’esposizione della fede cristiana abbracciava i primi sei libri, mentre nei successivi cinque si occupava dei riti ebraici, di quelli pagani, soffermandosi poi sul culto dei martiri156.

Nella sua testimonianza sui sacrifici, Teodoreto non smentisce la tradizione e come fonte primaria utilizza Porfirio. Nel citarlo alla lettera, torna dunque il consueto elenco dei popoli di cui già abbiamo parlato abbondantemente nel corso di questa discussione; in questo caso, ad essi, si aggiungono ora i Cananei a cui egli fa riferimento attraverso la citazione delle Salmo di Davide, 106, 34-39 e il libro di Ezechiele, 16, 20-21. Attraverso le parole dei due profeti, il Signore e Creatore condanna il sacrificio dei figli e delle figlie in onore degli idoli del Canaan.

La Bibbia ebraica contiene diversi riferimenti ed allusioni al sacrificio dei bambini, nonostante il tophet sia menzionato in pochi testi (2 Re, 23:10; Ge.: 7:30; 19:6; 11-14). Nel

156 Thérapeutique des maladies helléniques, texte critique introduction, traduction et notes de Pierre Canivet,

61

più conosciuto di questi passi, è rappresentato come una delle sedi di culto distrutta nel VII secolo a.C. dal grande eroe degli scrittori biblici, il re Gioisia. Secondo quanto vi è scritto nell’ultima pergamena della Torah (2 Re, 22:3-13), questo re epurò la terra da ogni forma di idolatria e di culto straniero, accanendosi soprattutto contro quello di Baal, trucidando tutti i sacerdoti ancora vivi, dissotterrando e bruciando sui loro altari le ossa di quelli morti (2 Re, 23, 4-16), con il fine preciso di ristabilire il culto esclusivo, monoteista dei Yaheweh157. Il salmo 106 di Davide racconta di come Dio aiutò i figli d’Israele in seguito alla fuga dall’Egitto e di come essi lo tradirono, adorando Baal e compiendo sacrifici umani in suo onore.

Nel libro di Ezechiele la condanna dei sacrifici umani si inserisce in un contesto più elaborato, all’interno di una metafora che vede protagonista la città di Gerusalemme, paragonata a una donna le cui origini sarebbero piuttosto confuse, (“tu sei cananea d’origine e di nascita, tuo padre era amorreo e tua madre ittita” (16, 3), abbandonata in un campo appena nata, raccolta da Yaheweh che decise di prendersene cura. Ne fece una regina tra le regine riempiendola di gioielli, ma ella insuperbendo, si concesse prostituendosi a tutti gli altri popoli. Non vergognandosi di tutte le sue nefandezze ella diede in sacrificio i propri figli e figlie agli idoli di Canaan.

Verso il 439/441, dopo più di venticinque di episcopato e tre quarti di secolo dalla morte di Giuliano, Cirillo compose una voluminosa apologia dal titolo Per la santa religione dei cristiani contro i libri dell’empio Giuliano in cui confutò il Contro i Galilei di Giuliano l’Apostata e la dedicò a Teodosio II. Ci sono giunti soltanto i primi dieci libri dell’opera e costituiscono una risposta agli attacchi del primo libro dell’imperatore contro i cristiani. Alcuni frammenti greci e siriani dei libri XI-XX ci mostrano che Cirillo vi confutava invece il secondo libro.

Cirillo non fu il primo a schierarsi contro l’imperatore Giuliano che forte della propria educazione pagana aveva intravisto nel cristianesimo la fonte di molte discordie, omicidi e rivolte. Prima di lui Gregorio di Nazanzio, Apollinare di Laodicea, San Giovanni Crisotomo, Macario Magno ed altri autori successivi si schierarono contro l’imperatore che tentò di ridare coscienza al patrimonio culturale e religioso della società pagana in disfatta. Giuliano era un filosofo, un teologo e un mistico. La religione cui egli tentò di ridare vita era ovviamente una

157 Stavrakopoulou F., “The Jerusalem Tophet ideological dispute and religious transformation”, in SEL, 29 –

20, 2012 – 2013, pp. 137 e ss. e Xella P., “Il Tophet, un’interpretazione generale”, in Atti del convegno Internazionale di studi “il sacro e il profano”, Roma 2012, p.3 e ss.

62

religione molto diversa da quella dei greci del V secolo a.C. I miti erano interpretati, i culti orientali integrati e gli obbiettivi morali erano quelli del neo platonismo158.

Nello stesso modo in cui Giuliano aveva largamente usufruito dell’arsenale polemico di Celso e Porfirio, Cirillo di egual maniera riprende le argomentazione apologetiche dei propri predecessori.

Come Teodoreto, anche Cirillo utilizza come propria fonte primaria il secondo libro del De abstinentia di Porfirio, di cui riporta il passo in maniera pressoché fedele.

Ancora una volta compare la consueta lista dei popoli macchiatisi di tale delitto e per ultimi i Fenici di cui viene confermata la pratica nei casi di calamità, come guerre, epidemie e carestie.

Per concludere, bisogna ora formulare una serie di considerazioni relative ai due profili or ora analizzati. Come accennavo al principio, il periodo storico sicuramente incise sulla maniera di condurre la polemica contro il paganesimo e difendere la cristianità, più blando il modo di Teodoreto, più aspro quello di Cirillo. Tuttavia, ciò che a mio parere risulta più chiaro è la meccanicità con cui le fonti subiscono una sorta di cristallizzazione che risponde a criteri polemici ormai automatici e non troppo articolati.

Nel caso particolare di questi due autori, la questione dei sacrifici non è particolarmente approfondita, la fonte è pressoché unica e non ne vengono passate al vaglio altre. Le testimonianze degli autori antichi vengono attinte dagli apologisti precedenti in una sorta di passaparola per cui, inevitabilmente, il testo non apporta notizie nuove, se non una ripetizione di quanto man mano leggevano nei testi anteriori, ovviamente inseriti in diversi contesti polemici.

Il nostro percorso ci riporta ora a Cartagine con un autore di cui non possiamo stabilire una cronologia certa, quello che possiamo dire con sicurezza è che Draconzio fu un avvocato, cristiano, che visse, per l’appunto, a Cartagine.

Blossius Aemilius Dracontius, vir clarissimus et togatus fori proconsulis almae Carthaginis, probabilmente ereditò tale titolo dalla famiglia che apparteneva all’ordine senatorio; nonostante non sia un dato particolarmente decisivo, l’esistenza di una gens Blossia in Campania ha fatto pensare a una sua possibile origine italiana. L’unico dato certo che possediamo è che a un certo punto della sua vita, probabilmente intorno al 484, Draconzio cadde in disgrazia perdendo tutti i propri beni, incarcerato dal re Guntamondo, adirato con lui

158

63

per un carme (andato perduto) che egli dedicò a un re straniero, inviso al re vandalo di cui egli stesso ci parla nella Satisfactio159.

Rimase in carcere fino al 496, quando fu liberato dal successore di Guntamundo, Trasamondo, cui probabilmente il poeta dedicò un panegirico, anche questo andato perduto. Provenienti dalla Scandinavia, i Vandali varcarono il Reno nel 406. Dopo aver percorso la Gallia, si gettarono sulla Spagna, per poi passare direttamente in Africa al tempo della morte di Agostino.

Il cattolicesimo africano, con le sue contraddizioni interne, non tardò a mostrare la propria intolleranza nei confronti degli invasori anch’essi di fede cristiana, ma di espressione ariana. L’arianesimo si distinse per la prepotenza, l’arroganza e non certo per le argomentazioni dei propri predicatori, deboli sul piano dialettico.

Per quanto riguarda invece il paganesimo, mancano fatti di sangue e violenza che avevano contrassegnato il periodo appena precedente, al contrario il periodo della dominazione vandalica in Africa non esprime per questo riguardo degli sconvolgimenti particolari. Un quadro della situazione ci viene presentato dal vescovo di Cartagine Quodvultdeus nel De tempore barbarico 1, nel corso del quale egli mostra la propria costernazione nel vedere tota civitas compromettere al cospetto di Dio la propria anima imagines idolorum per noctem ludentes160. Cristiani e pagani si frequentavano nella feste di tradizione pagana, nei sempre affollati luoghi di spettacolo, era un mondo in altalena tra Cristo e il pantheon, proiettato verso la nuova fede ma incapace di staccarsi dalle antiche credenze161.

La politica del re Guntamundo, salito al trono nel 484, alla morte dello zio Unnerico, si distinse per la riconciliazione con il mondo cattolico, mitigò le persecuzioni e richiamò nelle chiese tutti i vescovi. Nonostante l’intolleranza dimostrata nei confronti di Draconzio, Guntamundo fu in realtà amante della cultura, tanto che facilitò l’apertura di una scuola a Cartagine sotto la guida di Feliciano.

L’altro dato importante della biografia del nostro autore è sicuramente l’ educazione che egli ricevette proprio da questo grammatico cartaginese, che non solo aveva ricondotto nella scuola di Cartagine lo studio e la passione per la cultura classica, che sembrava ormai in

159 Satisf. 93-94: culpa mihi fuerat dominos reticere modestos / ignotumque mihi scribere vel dominum. Dato che

la composizione è andata perduta, ovviamente l’identità di questo re straniero non è ben delineata: Kuijiper, ipotizzava che si trattasse di Teodorico, quando non era ancora diventato re dei Goti; a partire dagli studi di Felix Papencordt nel 1837, si è cominciato a pensare che si trattasse di Zenone, imperatore d’Oriente.

160 Quodu., 1 temp. Barb. 4, 12. 161

64

drastica ritirata per la forte politica antiromana dei re vandali, ma anche per aver tentato di far sedere nella stessa classe allievi di origine latina e allievi di origine barbarica162.

Il suo insegnamento privilegiava la lettura diretta degli auctores e formava i propri alunni attraverso un esercizio diario fondato sulla guida alla composizione, a fini retorici e versificatori, di più o meno prodotti poetici ispirati al mito e relativi alla pratica già antica e imperiale dei progymnasmata. Questo tipo di insegnamento era assai frequente nell’epoca vandala e molto traspare dai primi quattro componimenti dei Romulea, in vario modo dedicati alla saga e al mito di Ercole.

La composizione della Controversia de statua viri forti ( Romul., V, 329 esametri) risale a un periodo più tardo nella vita del poeta, quando cioè esercitava la professione di avvocato. Il componimento fu letto pubblicamente nel foro di Cartagine e come dice chiaramente il titolo si tratta di una controversia, in cui vengono riprese tematiche e caratteristiche tipiche del genere dell’età imperiale (da Seneca il Vecchio a Quintiliano), secondo un modulo di discussione “giudiziaria”, da cui Draconzio si discosta per l’utilizzo dell’esametro. Nella rubrica che precede il componimento, è dichiarato l’argomento che vede come protagonisti un cittadino ricco e un cittadino povero, tra i quali vi è una relazione di ostilità:

[…] Taurica crudelis mitis tamen ara Dianae nec Busiris atrox Aegyptius ille cruentus:

solus enim per temple deum sine morte propinqui sacra peregrinus funestat et advena tantum, illaesus nam civis erat. Tu, victor, inique, Sardorum qui sacra probas et moenia foedas lauro cincta tua, vestris ornata coronis. Insula delubris natorum colla secabat, verticis unde comam vera pietate parentes illaesa cervice metunt. Carthago duorum annua nobilium praestabat funera templis Saturnoque seni pueros mactabat ad aras. Tristia plangentum foedabant ora parentum

162 Romul. 1, 12-14 sancte pater, o magister, taliter canendus es, / qui fugatas Africanae reddis urbi litteras, /

65

Ritornando vittorioso da una prima spedizione, il cittadino ricco pretende e ottiene che sia eretta in suo onore una statua. Vittorioso da una seconda spedizione, decide che quella statua diventi asilo per quanti siano accusati o perseguitati per un qualsiasi motivo e che sotto questa statua diventino intoccabili. Ancora trionfatore da una terza e ultima missione, chiede questa volta che gli sia data in premio la testa del suo nemico, il cittadino povero, che tuttavia va proprio a rifugiarsi sotto la statua divenendo così intoccabile.

La struttura della composizione risponde esattamente alle norme declamatorie per la suddivisione nelle cinque parti canoniche: l’exordium (vv. 1-52), narratio (vv. 53-117), digressio (vv. 118-167), refutatio e confirmatio (vv. 168-259), peroratio (vv. 260-329)163. Nella digressione, su cui ci soffermeremo, vengono presentati tutti i desideri del ricco al fine di presentare il povero come vittima sacrificale dell’altare di costui; la metafora permette dunque di esporre tutta una serie di exempla di crudeltà e, nell’interrogare il dives se vuole rivivere tali contesti di malvagità, Draconzio approfitta del momento per parlare di Falaride, dell’egiziano Busiride, dei Sardi e infine dei Cartaginesi (vv.136-54)164

.

Vale la pena sottolineare che Draconzio apporta dei dati originali al tema del sacrificio in Sardegna e a Cartagine. Primo tra quanti scrissero riguardo al sacrificio che aveva luogo nell’isola, afferma che i Sardi erano soliti tranciare il collo ai bambini nei loro santuari, quando fino ad allora le testimonianze riguardavano, all’opposto, l’uccisione dei genitori anziani165. Dell’usanza non viene dichiarato se fosse rituale o meno, tuttavia aggiunge i dettagli della cerimonia, durante la quale i genitori, che non parlavano per un sincero rispetto della pratica, accarezzavano la capigliatura del bambino senza però toccarne la nuca.

Se da una parte le fonti tacciono riguardo a tale usanza, dall’altra a parlarci di essa vi sono i luoghi che ancora oggi mantengono il nome legato alla pratica. Così ad Orotelli si conserva ancora il ricordo di neonati prematuri, non lómpidos = “non compiuti”, che venivano scaraventati da un dirupo attiguo al paese, chiamato Monte Verritza. A Dorgali esiste una tradizione analoga per i neonati illegittimi, che venivano lanciati da un dirupo significativamente chiamato Iskerveddapitzinnos, letteralmente “scervellabambini”. E ancora il toponimo Ingluttitheraccos = “inghiottibambini” presenta la novità costituita da un

163

Bisanti A., Retorica e declamazione nell’Africa vandalici. Draconzio, “ l’aegritudo Perdicae”, l’ “ Epistula Didonis annuncio Aeneam”, in Studia…a umbra educata, Percorsi della retorica latina in Età imperiale, 2010, pp. 191 e ss.

164 Diaz de Bustamante J.M., Draconcio y sus carmina profana, 1978, pp. 154 -156. 165

66

“inghiottitoio” usato per la macabra operazione, proprio come a Sparta, in una voragine del monte Taigeto166

Per quanto riguarda invece Cartagine, viene confermata la tradizione per cui il sacrificio dei bambini avrebbe avuto carattere rituale annuale. I bambini facevano parte della nobiltà, come già troviamo in altri fonti menzionate167, ma vi è un elemento di novità perché Draconzio dice che i bambini erano due.

L’autore non si limita a citare i sacrifici nei Romulea, bensì in un’altra opera che probabilmente scrisse durante la sua prigionia.

La De laudibus Dei168 consta di tre libri, tutti in esametri. L’unità dell’opera è rappresentata dalla celebrazione della gloria di Dio, dalla lode della pietas e della bontà della misericordia. L’opera testimonia una lunga familiarità con il pensiero e i testi cristiani, abbondano i riferimenti all’Antico e al Nuovo Testamento. Il primo libro è quello che più parla dell’epopea biblica, il secondo si dedica per lo più a illustrare in varie forme la bontà infinita di Dio, mentre nel terzo e ultimo libro lo scopo è quello di mostrare come l’amore di Dio debba essere messo al primo posto e preferibile alla vita stessa attraverso una serie di esempi presi dall’Antico Testamento.

Il tema del sacrificio dei bambini torna di nuovo in un contesto in cui viene contrapposto l’amore di Dio per gli esseri umani alla malvagità di Saturno che invece non esita nell’accettare come dono la loro vita (III, 116 – 24):

[…] Si deus ullus erat Saturnus falcifer unquam, hoc faceret puerosque neci subduceret omnes, annua quos pietas flebat miseranda parentum, heu, non orbaret dilecto pignore natis.

L’episodio dell’Antico Testamento citato è quello del sacrificio di Isacco che fu sostituito prontamente dal Signore onnipotente con un ariete. La vicenda del sacrificio viene interrotta dalla condanna del culto di Saturno. Il dio è presentato secondo l’iconografia romana come “portatore di falce” per il suo legame originario all’agricoltura; Draconzio mette in dubbio la sua essenza divina per non aver sottratto i bambini dal sacrificio che si ripeteva annualmente con grande dolore dei genitori.

166 Pittau M., Geronticidio, eutanasia e infanticidio nella Sardegna antica, In: L'Africa romana: atti dell'8.

Convegno di studio, 14-16 dicembre 1990, Cagliari (Italia). Sassari, Edizioni Gallizzi. V. 2, p. 703-712

167 Diod. Sic., XX 14, 1-7.