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O RIGENE : C ONTRA C ELSUM

Quando, intorno al 248, iniziò a confutare le critiche contro i Cristiani contenute in un libro inviatogli dal suo discepolo Ambrogio, Origene non sapeva che, con questa sua replica, avrebbe trasmesso ai posteri la memoria di un’opera e di un autore che altrimenti sarebbero caduti nell’oblio più completo ed è notevole che lo stesso Origene non avesse a sua disposizione sulla figura di Celso null’altro che il libello contro i cristiani consegnatogli da Ambrogio. Ce ne accorgiamo dal tono incerto con cui parla della sua personalità, del suo tempo storico e della sua figura di filosofo.

Celso fu un scrittore filosofo anticristiano che intorno al 178 scrisse un’opera intitolata “Discorso vero” in risposta alla quale, nel secolo successivo, Origene scrisse Contra Celsum. Di lui come scrittore e pensatore abbiamo pochi dati, sappiamo che si relazionava al cristianesimo da un’ottica ellenica; ai suoi occhi questo nuovo credo era una dottrina barbara e assurda, praticata da gente senza cultura e quello che ancor più riteneva inconcepibile era l’idea di un dio che si incarnava e viveva una vita umana79

. Dunque, il Cristianesimo, che per Plinio il Giovane era un noioso problema amministrativo, per Luciano e Galeno niente di più che una curiosità psicologica, per Celso rappresentò invece un pericolo serio per la stabilità

79 Ramos-Lisson D., “Alegorismo pagano y alegorismo cristiano en Origenes. La polemica contra Celso”, in

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dell’impero romano80. Egli visse sotto l’impero di Marco Aurelio81

, in un periodo in cui la chiesa stava subendo persecuzioni. Celso è un importante testimone e con il suo lavoro condivide superstizioni e pregiudizi dei suoi tempi e le obiezioni alla religione nascente non colpivano solo e meramente i cristiani come membri di una setta segreta, di una organizzazione illegale, ma investiva tutti i campi della cultura, della politica e della religione. Sulla data di composizione dello scritto Contro Celso, la testimonianza più antica e autorevole proviene da Eusebio di Cesarea che, nella Historia Ecclesiastica (VI, 36, 2), scrive che sotto Filippo l’Arabo (244-249 d.C.), quando Origene aveva passato i sessanta anni, ossia dopo il 245, egli scrisse gli otto libri in risposta alle accuse di Celso82. Altri cenni storici interni allo scritto83 fanno invece capire che l’altro termine di riferimento temporale per la composizione è da collocare negli anni immediatamente prima dell’impero di Decio e quindi prima della grande persecuzione, facendo cadere l’opera tra gli anni 244-249.84

Come dicevo inizialmente, è proprio grazie al suo avversario che oggi possiamo leggere Celso. Origene, infatti, nella sua opera si preoccupa di far procedere il passo di Celso, citandolo alla lettera o parafrasandolo, e dopo la sua confutazione.

Il primo punto della polemica anticristiana di Celso affermava che i cristiani “sono contro la legge comune” (I,1). Le maggiori società antiche si fondavano sulla di essa ed era a lei che spettava il sommo potere di giudicare.

Di legge e tradizione, se ne parla in maniera più approfondita a partire dal capitolo XXV del libro V.

Secondo quanto ci riporta Origene, Celso si trovava d’accordo quando parlava delle leggi dei Giudei85. Essi si sono costituiti come nazione a sé ed hanno creato delle leggi secondo il

80 Dodds E. R., Pagan and Christian in an age of anxiety. Some Aspects of Religious Experience from Marcus

Aurelius to Constantine, Cambridge. 1991, p.105.

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Questa cronologia va bene se vogliamo dare retta a una frase che Origene cita nel libro VII,7: “e di voi se c’è ancora qualcuno che va errando e si nasconde, viene braccato per essere condannato a morte”, parole che dovrebbero riferirsi alla persecuzione dei cristiani, probabilmente quella del 177 sotto Marco Aurelio.

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Un riferimento interno all’opera (III, 15: “è probabile che questo senso di sicurezza dei fedeli per la loro vita non avrà a durare ancor molto, quando coloro che coprono con ogni genere di calunnia il Cristianesimo si accorgeranno che la grande quantità dei fedeli è la causa della ribellione giunta oggi a tal punto”) forse un po’ sibillino, ci fa pensare che l’anno sia proprio il 248. In quel l’anno Filippo combatté contro le sollevazioni di alcuni pretendenti al trono in Cappadocia, in Siria, nella Mesia, che nella parte meridionale era minacciata dall’invasione dei Goti.

83 Cfr. III, 15 e VII, 26.

84 Contro Celso, a cura di Aristide Colonna, Torino 1971, pp. 10 – 13.

85 “I Giudei dunque, i quali si sono costituiti come una nazione a sé, ed hanno fatto delle leggi secondo il

costume patrio, ed osservano tuttora tali leggi nei loro rapporti, e tengon fede ad un culto religioso che – comunque sia – è il loro culto tradizionale, agiscono in fondo come tutti gli uomini; dacché ciascuno osserva le sue tradizioni peculiari, qualunque sia il modo in cui tali tradizioni siano invalse. E questo mi sembra che si avveri, non solo per il fatto che ad ogni popolo è accaduto di amministrarsi in modo diverso e peculiare, e che ognuno necessariamente osserva quelle convenzioni che sono invalse nella sua società […]

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costume patrio ed agiscono come tutti gli uomini, poiché ciascuno osserva le sue tradizioni qualunque sia il modo in cui tali tradizioni siano invalse. Di conseguenza il metro di giudizio per sapere se si attua più o meno coerentemente in ossequio alla tradizione è operare secondo il volere della potestà, cui in origine è stato affidato tale paese.

Questo passo indicava chiaramente l’atteggiamento conservatore di Celso sulla tradizione e la legge comune, ogni nazione aveva le proprie, per cui non era possibile dire qual era necessariamente giusta e quale non la era, poiché ogni costume e ogni legge erano assolutamente buone (VI, 34).

Secondo Celso, dunque, non esisteva un tipo di legge accettabile e giusta universalmente, quindi ogni religione aveva la sua ragione d’esistere purché avesse la sua tradizione.

Invece il cristianesimo, essendo un nuovo credo, nato dai Giudei nell’impero romano, ne era totalmente privo e dunque, doveva senza dubbio osservare le leggi dei romani.

Rispettando la struttura dell’opera basata su tesi, confutazioni e rivelazioni della dottrina cristiana, Origene nel capitolo XXX non tarda a replicare. Nel paragrafo medesimo, Origine simula di interrogare direttamente Celso e confuta le sue affermazioni secondo le quali, come si legge, ciascuna parte della terra sarebbe stata assegnata a delle divinità e i popoli, a loro volta, avrebbero creato delle leggi che Celso riteneva dovessero essere rispettate perché intrinsecamente appartenenti alla regione e praticate nella maniera in cui esse fossero gradite agli dei86. Il primo concetto su cui l’autore riflette polemicamente riguarda il significato avverbiale di “rettamente”; laddove Celso aveva sospeso l’universalità delle leggi, a favore della totale relatività di esse, Origene, rifiutando in toto tale prospettiva, riporta esempi di usi e costumi di nazioni da considerare universalmente empi:

[…] καὶ πῶς οὐχ ὅσιον παραλύειν νόμους τοὺς φέρ’εἰπεῖν παρὰ Ταύροις περὶ τοῦ ἱερεῖα τοὺς ξένους προσάγεσθαι τῇ Ὰρτέμιδι, ἣ παρὰ Λιβύων τισὶ περὶ τοῦ καταθύειν τὰ τέκνα τῷ Κρόνῳ.

Così gli Sciti, rispettando le proprie leggi, uccidono i genitori, i Persiani concedono ai figli di sposare le madri e ai padri di sposare le figlie.

86“E si debbono osservare le leggi, non soltanto perché è accaduto ad ogni popolo di creare leggi diverse e

perché è necessario conservare le convenzioni invalse nella società, ma anche perché, com’è probabile le varie parti della terra, in origine assegnate a determinate potestà, e quasi divise in governi definiti, oggi continuano ancora ad essere amministrate in tal guisa. […] Ed in realtà le cose effettuate da ogni nazione saranno ben operate, qualora piacciano a quelle potestà. […] Sarà cosa empia allontanarsi dalle tradizioni istituite all’inizio in ciascuna località.”

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Il secondo concetto su cui riflette è quello di “empio”, criticando l’affermazione di Celso per il quale sarebbe appunto empio violare le proprie leggi. Ed è in questa contesto che la digressione si sposta sui sacrifici umani, interrogando Celso su come sia possibile violare costumi per propria natura scellerati, quali offrire gli stranieri ad Artemide nella Tauride87, o sacrificare i propri figli a Cronos in Libia.

Diversamente dagli altri autori finora analizzati, la notizia riguardante il sacrificio dei bambini in onore di Cronos appare in una circostanza differente.

Origene non sta difendendo la cristianità dall’accusa di infanticidio, né sta accusando gli dei pagani di essere sanguinari per richiedere pratiche abominevoli.

In realtà lo scopo immediato è quello di ribattere via via alle frasi di Celso. Le sue digressioni in questa occasione paiono piuttosto asettiche e riportate come meri elenchi estrapolati stancamente da autori precedenti.

Nulla viene detto riguardo a Cronos, non pronuncia, come per Artemide d’altronde, nessun tipo di giudizio negativo ed è significativo, dato che in una sua opera pressappoco contemporanea a questa, Omelie sui giudici88, nella predica XX, aveva designato il dio Baal come simulacro di ignominia e turpitudine.