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Siamo giunti alla fine del nostro percorso compiendo un salto cronologico di circa otto secoli, insieme ad un dotto esule greco la cui vita, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, lo portò a copiare e a rintracciare manoscritti a Creta, l’isola posta sotto il controllo di Venezia che fu una specie di trait – d’union tra il vecchio mondo bizantino e i sorgenti centri italiani di cultura classica.

Non abbiamo date certe per la sua nascita, si colloca approssimativamente nel 1422 in base al passo poco chiaro di una lettera di Bessarione datata 1462 indirizzata proprio ad Apostolio in cui egli viene definito “giovane”.

La famiglia di Michele, per quanto non fosse ricca, aveva comunque i mezzi per offrirgli una buona educazione. Nel 1448 lo troviamo in effetti definitivamente stabilito a Costantinopoli come discepolo del famoso insegnante Giovanni Argiropulo, che dopo alcuni anni di soggiorno in Italia, entrò in stretto contatto con gli umanisti occidentali. Il livello di studi di Apostolio non era trascurabile, dato che egli stesso gli succedette nel 1452.

La situazione politica e militare di Costantinopoli in questo periodo era estremamente critica. Sin dal 1422 la città era stata sotto un continuo assedio dei Turchi ottomani, il cui territorio ora circondava la capitale. Ciò che divideva l’opinione pubblica di allora erano quanti si dichiaravano favorevoli all’unione ecclesiastica con Roma e gli anti-unionisti che vedevano nella sottomissione alla Chiesa d’Occidente il preludio della latinizzazione e della dominazione politica dell’Occidente su Bisanzio.

Durante il sacco della capitale, che cominciò il 29 maggio 1453 e durò tre giorni e tre notti, Apostolio fu preso prigioniero. Egli fu condotto nella vicina costa asiatica del Mar Nero, dove

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rimase in cattività per poco meno di un anno. Non sappiamo come egli si procurò la libertà, ma dopo la liberazione sembra che si sia recato prima in Italia e in seguito nell’isola di Creta e lo troviamo definitivamente stabilito qui nel 1454.

Nello stesso anno si recò a Bologna nella speranza di incontrare Bessarione. Costui era diventato governatore e legato pontificio della città romagnola. In questa sua funzione aveva reso preziosi servizi, ricostruendo l’università municipale e facendo venire per l’insegnamento parecchi professori di primo piano in quel tempo, che egli stesso pagava e incoraggiava allo studio dei classici.

Questo è il primo incontro di Apostolio con Bessarione e segna l’inizio di una relazione nella quale il cardinale umanista si sarebbe comportato come sua guida e protettore. Il suo scopo era evidentemente assicurarsi l’appoggio di Bessarione per la fondazione di una scuola in Creta o preferibilmente in Italia sotto la sua propria direzione. Sebbene questo tentativo andasse a vuoto, Apostolio riuscì con successo a ottenere l’incarico di cercare antichi manoscritti che dovevano essere acquistati o copiati a spese di Bessarione e poi inviati a lui. Durante uno dei suoi viaggi a Roma, Apostolio promise a Gaspare Zacchi, primo segretario di Bessarione e vescovo di Osimo, nei pressi di Ancona, che intendeva mettere insieme per lui una collezione di proverbi e di detti ricavati dagli autori classici greci175.

Tra il 1454 e il 1466, egli lavorò senza mai portarla a compimento a una Συναγωγὴ παροιμιῶν και συνθήκη, che alla sua morte passò nelle mani del figlio Aristobulo Apostolio.

Ad ogni modo, egli riuscì a consegnare una copia al vescovo e un’altra a Lauro Quirino veneto.

Di entrambe le versioni conserviamo gli autografi di Michele Apostolio: Mazarineus 4461 (1235) ff. 1r – 102r ( autografo della redazione per Gaspare Zacchi) e Par. gr. 3059 ff. 23r – 143r (autografo della redazione per Lauro Quirino). Della prima raccolta resta anche una redazione aucta nell’ Angel. Gr. 27, anch’esso autografo di Michele Apostolio.

Il figlio Aristobulo, che dal 1506 divenne vescovo di Monembasia con il nome di Arsenio, riprese la raccolta del padre nella redazione conservata dell’Angel. Gr. 27, la integrò con tutta una serie di sentenze, apoftegmi, storie mitiche e nuovi proverbi, divise tutto il materiale in quattro sezioni specifiche: παροιμίαι, γνῶμαι, ἀποφθέγματα, ἰστορίαι, a loro volta distribuite in singole rubriche ordinate alfabeticamente, chiamò la raccolta Ίωνιά176.

175 Geanakoplos D. J., Bisanzio e il Rinascimento, Umanisti greci a Venezia e la diffusione del greco in

Occidente (1400 – 1535), 1967, pp. 81 – 126.

176 Dorandi T., Laertiana: capitoli sulla tradizione manoscritta e sulla storia del testo delle “ Vite dei filosofi” di

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La struttura dell’opera, per la natura stessa della composizione, corrisponde a quanto già abbiamo potuto vedere con Zenobio, per ogni voce ordinata alfabeticamente viene resa una spiegazione, frutto delle diverse fonti che l’autore ha consultato e nel caso di Apostolio solo in parte esse equivalgono a quelle raccolte da Zenobio.

La centuria dedicata al Σαρδώνιος γὲλως è la XV, il paragrafo il XXXV.

Per cominciare, i primi cinque versi del paragrafo corrispondono alla centuria XLVI, 72 della redazione di Arsenio. Per quanto riguarda invece il contenuto, come Apostolio stesso annota, la fonte è ancora una volta Demone177, la stessa che peraltro si ritrova nella Suda e in Fozio, per cui in Sardegna si sacrificavano non solo i più belli ma anche gli anziani con più di settant’anni al dio Cronos ed essi per dimostrare il proprio coraggio, ridevano.

Nei versi successivi invece ritorna la spiegazione etimologica dell’espressione, questa volta non deriverebbe dal verbo σεσηρέναι, ma dal nome stesso della pianta, il σαρδώνιον, che, provocando le convulsioni per il dolore, deformerebbe in un riso ghignante il viso di coloro che la mangiano:

ἢ ὅτι σαρδώνιον βοτάνη ἐστὶ δηλητήριος, ἥτις ἅπαν τὸ σῶμα τοῦ φαγόντος αὐτὴν σπασμῷ ὑποβάλλει, ὡς καὶ τῶν χειλέων συσταλέντων γυμνοῦσθαι τοὺς ὀδόντας καὶ γέλωτος φαντασίαν παρέχειν τοῖς ὁρῶσιν· ὅθεν ἔνιοι ἐφ’ ὕβρει ὀνομάζουσι τὸν Σαρδώνιον γέλωτα.

La spiegazione deriverebbe dal già citato Lucilio di Tarre, ripresa da Esichio, che probabilmente la trovò nel lessico della lingua greca scritta da Diogeniano, grammatico greco del II sec. d. C., in cinque libri.

Paolo di Egina, medico bizantino, verosimilmente nato intorno al 625 d.C., ripropone la stessa spiegazione nella propria opera intitolata De re medica. Questa volta gli effetti della pianta sono paragonati a quelli provocati da una piccola rana velenosa (ἡ σαρδίονιος εγομένη πόα βατραχιου εἶδος ἐστί). Mangiandola e bevendola (probabilmente intende l’infuso), provocherebbe pazzia mentale e spasmi facciali per cui le persone sembrano ridere.

La stessa versione si trova anche in uno scolio a Gregorio Nazanzienzo. La pianta velenosa in questione sarebbe ora il sedano e non più il σαρδώνιον. Gli effetti sono comunque gli stessi, le persone mangiandola contraggono i muscoli facciali in un riso forzato.

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