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F IRMICO M ATERNO , D IONISIO E IL D IAVOLO

Firmico Materno, nativo probabilmente di Siracusa e appartenente alla classe senatoria, rinunciò alla fastidiosa carriera di avvocato per dedicarsi agli studi letterari. Lasciò infatti l’avvocatura nel 337 e iniziò il proprio studio sugli astri e ancora pagano, redasse l’opera astrologica Matheseos libri VIII (334-337), dedicata al proconsole dell’Africa, Loliano Mavorzio, in cui invoca il sole. Di animo mistico, trovò nell’astrologia una sapienza e una misteriosofia cosmiche. Probabilmente la sua conversione coincise con l’editto di Costanzo nel 341 che ordinava l’abolizione dei culti pagani. Ed è proprio in questo contesto che iniziò la stesura della sua opera apologetica De errore profanarum religionum che apparse ufficialmente nel 346.

135 Simonetti M., Sulle fonti del commento a Isaia, in Augustinianum, vol. 24, dicembre 1986, p. 451.

136 Hollerich M.J., Eusebius of Caesarea’s commentary on Isaiah: Christian exegesis in the age of Costantine,

1999, pp. 54 e ss.

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Girolamo tradusse in latino l’interpretazione dei nomi ebraici, nel Liber de expositionibus hebraicorum nominum. In questa opera, afferma che Bel significa “antico”, Baal “dominante” o “ Signore”. Cfr. Hervàs L. e Panduro, Idea dell’universo: che contiene la storia dell’uomo , elementi cosmografici, viaggio estatico al mondo planetario e storia dela terra, 1784, p 29; Montanari C. A., Per figuras amatorias: l’expositio super cantica canticorum di Guglielmo di Saint- Thierry: esegesu e teologia, vol. 157, 2006, p. 171.

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Si tratta di un pamphlet di esortazione indirizzato agli imperatori Costanzo e Costante perché sradicassero con forza il paganesimo dall’impero, cristianizzassero forzatamente i suoi addetti e confiscassero i loro beni138. Dopo una serie di critiche sfrenate contro i falsi dei, egli aggiunge la condanna dei culti di Adone, di Sabazio, degli dei dell’Olimpo e di tutte le divinizzazioni.

Nella seconda parte dell’opera Firmico impugna i signa delle religioni misteriche. Mostra come i simboli con cui avviene l’iniziazione sono solo imitazioni diaboliche dei simboli biblici e cristiani. Così egli condanna i culti di Cibele, di Mitra, di Bacco e di Osiride139. L’elemento demonologico, che già abbiamo potuto constatare a partire da Giustino, è ripreso e utilizzato fino al IV secolo. Firmico accusa i demoni di aver imitato il rituale cristiano nei culti di Cibele, di Mitra e di Iside. Egli abbozza a grandi linee il ritratto del diavolo, imitatore sacrilego della verità. A questo scopo utilizza la simbologia delle statue, del serpente del drago e, mettendo in parallelo le immagini bibliche, accusa il demonio di farsi adorare al posto di Dio e di Cristo. Tali immagini appaiono effettivamente nel passo di nostro interesse, che appartiene appunto alla seconda parte dell’opera:

Serpis in templis et occisarum hostiarum misero pasceris sanguine, nec venenis tuis cruor defuit nec semustae crematorum corporum partes: humanarum te etiam victimam frequenter sanguine cruentasti et Latiaris templi cruore vel ara Kartaginis rabies tua et siccarum faucium venena nutrita sunt. Tu haec faciens hominibus te miseris prodesse iactas ut crudelitate tua perimas, persuasione decipias, pollicitatione prosternas. Sic tuis prospicis parricida. Fugite, o miseri homines, fugite, et contagionem istam quantacumque potestis celeritatedeserite. Draco est qui colitur; latere non potest; proprietatem nominis suis ipse confessus est: confessum reum poena consequitur.

Come si legge, l’autore si riferisce qui a un serpente che striscia nei templi e si nutre del sangue delle vittime immolate. Il discorso è da contestualizzare e si riallaccia al paragrafo immediatamente precedente in cui si parla del culto del serpente: “segue un altro simbolo tenuto in grande considerazione e noto ancora oggi alle orecchie credule degli uomini miseri: « il toro è padre del serpente e il serpente è padre del toro». […] allora già preparavi dei templi per te e per i tuoi, costruivi santuari e, con cerimonie nefande, consacravi la natura sordida del tuo volto pieno di veleno.” (XXVI, 1). Si tratta di un scenario tratto da Clem. Al.,

138 Von Albrecht M., op. cit., pp. 1458-59. 139

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Protr., II, 16, 3 (“Il toro è padre del serpente, il serpente padre del toro, sui monti, contadino, il nartece nascosto”) e da Arn., Adv. Nat., V, 21, che lo riporta nella stessa versione di Firmico140.

L’accenno alla figura di questo serpente che si aggira nei templi, nutrendosi del sangue delle vittime immolate, richiama alla mente un affascinante e complesso quadro di interrelazioni tra le concezioni magico-astrologiche di alcuni gruppi gnostici, criptici cultori del serpente, ed il milieu culturale e religioso delle tradizioni sapienziali orientali caldaiche (babilonesi ed assire), giudaiche ed egizi.

Abbiamo testimonianza della perdurante vitalità del culto ofitico e degli intricati sviluppi dei gruppi gnostici seriori nell’oriente romano tardoantico: il vescovo Teodoreto nella Historia religiosa racconta in dettaglio la repressione da lui stesso condotta in Siria degli eretici Marcianti adoratori della Serpente diabolico. Zaccaria Scolastico (prima metà del VI sec.) nella Vita Severi riporta l’episodio dei monaci egizi che, nell’area canopica del Delta, devastarono un santuario segreto degli adepti del serpente edonico141.

Tuttavia la simbologia del serpente si ricollega alla già citata formula di ambito dionisiaco, “tauros drakontos kai taurou drakon pater”.

Prima di Firmico, Atenagora ne La supplica per i Cristiani, opera apologetica rivolta agli imperatori Marco Aurelio e Commodo, databile tra il 176-180 sec. d.C., si concentrò sulla simbologia del serpente e cita vari esempi tra i quali proprio quello di cui parlavamo pocanzi sulla doppia unione di Zeus, con Demetra e poi con la figlia Persefone da cui sarebbe poi nato Dionisio

La testimonianza di Atenagora è molto importante poiché costituisce una delle poche versioni complete. A parlare di questo stesso mito, senza ora tenere in conto le testimonianze cristiane, fu Diodoro Siculo che nel suo IV libro rende più esplicita la testimonianza, in cui dice che Dionisio nato da Zeus e Persefone sarebbe stato chiamato da alcuni Sabazio, introducendo così l’identificazione del dio con questa divinità traco-frigia142

.

La figura di Sabazio è molto controversa e non libera da teorie dubbiose. Probabilmente giunse in Frigia attraverso l’invasione tracia degli inizi del primo millennio, dio con

140 Firmico Materno, L’errore delle religioni pagane, in vol. 191 della Collana dei testi patristici, p. 161, nota

173.

141 Filippini A., “All’insegna del serpente celeste”. Considerazioni su astrologia caldaica, magia giudaica e

Gnosticismo in un libro recente, in Mediterraneo antico, Economie società culture, Anno IX, Fasc. 2, 2006, pp. 649 – 650.

142 Massa F., “In forma di serpente. Incesti, mostri e diavoli nella condanna cristiana dei culti dionisiaci, in

Come bestie? Forme e paradossi della violenza tra mondo antico e disagio contemporaneo”, a cura di Valerio Andò e Nicola Cusumano, Caltanisetta- Roma, 2010, pp. 236 – 237.

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connotazioni solari, assunse successivamente le forme orgiastiche delle religioni di Cibele e Attis. In Grecia Sabbazio apparse alla fine del V sec. a.C. I ceramisti attici avevano creato un tipo greco di Sabbazio nella figura di un Dionisio barbuto e coperto di una lunga veste orientale.

Il rito tipicamente trace del culto di Sabazio espresso nella forma mistica del “ dio attraverso il seno”, riferito da Clemente Alessandrino ( gli iniziati si facevano passare un serpente in mezzo al petto, Clemente parla di un serpente vero, Arnobio di un serpente d’oro) si proiettò proprio nel mito citato di provenienza orfica, per cui la frase “tauros drakontos kai taurou drakon pater” esprime chiaramente l’identità e dunque l’unità del genitore e del generato secondo una tendenza manistica che richiama la spiritualità orfica143.

La testimonianza di Clemente e di Arnobio non parlano mai esplicitamente di Dionisio, ciò che lo fa supporre è la frase già citata. In effetti il serpente viene spesso attribuito a Dionisio ma non in forma diretta. Da una parte tale figura viene mediata dalle metamorfosi del padre Zeus, dall’altra il serpente rappresenta uno degli animali più comuni nell’immaginario dionisiaco, in particolare nell’ambito delle celebrazioni delle menadi in onore del dio144

. A parlarci della pratiche dionisiache fu poi Euripide che nelle proprie Baccanti racconta che Zeus, non appena Dionisio venne alla luce dalla sua coscia, lo incoronò con una corona di serpenti, ragione per la quale anche le baccanti erano solite compiere la medesima azione145. Senza dilungarci troppo sulla questione e su un panorama abbastanza incerto, dato che l’iconografia del serpente nell’ambito dionisiaco ha origini piuttosto vaghe, è interessante invece notare come gli apologisti, per i propri fini, insistano ora su tale icona da una parte per denunciare i culti misterici, dall’altra per associarlo al male. Così il serpente di Dionisio e il serpente dell’Antico Testamento tendono a sovrapporsi e questa tendenza viene assolutamente manifestata da Firmico.

Anche nel nostro autore il nome di Dionisio non compare mai, ma egli appare sia nella prima parte per svelare come le divinità pagane non fossero altro che divinizzazione di astri ed elementi naturali, sia nella seconda in cui i culti pagani sono accusati di rappresentare una falsificazione della verità del mistero cristiano.

143 Scibona G. C., “Culto di Sabazio”, in atti del Colloquio internazionale su La soteriologia dei culti orientali

nell'Impero romano, Roma, 24-28 settembre 1979, pp. 552 – 555.

144 A confermarlo ci sarebbe l’iconografia della ceramica attica del VI e V sec. a.C. e i sarcofaghi dell’epoca

imperiale romana. Cfr. Carpenter, 1986, pp. 71 e ss., 1997, pp. 71-75, rispettivamente per l’età arcaica e l’età classica.

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All’inizio del capitolo XXI, l’autore dichiara di porsi come obbiettivo l’esposizione di “omnia symbola profanae religionis per ordinem”, con l’intento di rendere chiaro l’influsso del diavolo su queste pratiche e sulle loro possibili analogie con il cristianesimo. Firmico insiste sulla multiformità del dio Dionisio di cui la prima affermazione “tu che hai due corna e due forme”146

.

L’insistenza su questo aspetto si fa più chiaro nel secondo paragrafo del XXI: “Questo vostro dio non è biforme, ma multiforme […] Egli è il basilisco e lo scorpione […] Questo vostro dio è adornato dai capelli del serpente di Lernia.

L’autore proietta in questo passo tutte le immagini che a partire dai Settanta e poi anche dal Nuovo Testamento, erano state usate per indicare il Diavolo, cui affianca anche il riferimento a una creatura mostruosa della tradizione mitica greca, l’Idra di Lerna.

Ed è proprio poco prima del passo di nostro interesse che egli si sofferma di nuovo sulla molteplicità delle forme, con la già citata espressione dionisiaca.

Tuttavia è bene segnalare che Firmico non è interessato qui al mito della unioni di Zeus con Demetra e Persefone, ma a collegare la formula dionisiaca al Diavolo.

Tornando dunque al nostro passo, dobbiamo allora precisare che le divinità (più precisamente la divinità, poiché Bal/Cronos/Saturno non viene nemmeno nominato) vengono svuotate per così dire della loro crudeltà, poiché nei loro culti ci sarebbe sempre stata la presenza di questo serpente/diavolo. Il Diavolo ovviamente volle sempre la rovina dell’uomo, per questo si macchiò di sangue umano. I pagani dunque adorarono sempre un serpente-drago ed egli stesso si è rivelato, confessando il proprio nome, ma ne è seguente tuttavia la pena con l’avvento di Cristo.