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1 L’ATTENZIONE COME PROCESSO COGNITIVO

1.5 ATTENZIONE E MEMORIA

L'introduzione, all'interno della discussione sulla memoria, della distinzione tra caratteri strutturali e processi di controllo risale agli anni '60 e si deve a Richard Atkinson e Richard Shiffrin. Nella loro pubblicazione del 1968 «Human memory: A

proposed system and its control processes»73, infatti, gli autori operarono una categorizzazione dei processi di memoria in due classi: da una parte ci sono i processi permanenti e inerenti alle caratteristiche strutturali e fisiche del sistema; dall'altra parte abbiamo, invece, i processi di controllo, i quali sono modificabili e adattabili a seconda della situazione in cui il soggetto si trova. La distinzione fra strutture della memoria e processi di controllo viene formulata in questo modo:

The permanent features of memory, which will be referred to as the memory structure, include both the physical system and the built-in processes that are unvarying and fixed from one situation to another. Control processes, on the other hand, are selected, constructed, and used at the option of the subject and may vary dramatically from one task to another even though superficially the tasks may appear very similar. The use of a particular control process in a given situation will depend upon such factors as the nature of the instructions, the meaningfulness of

73 Atkinson, R.C., Shiffrin, R. (1968) Human memory: A proposed system and its control processes,

the material, and the individual subject's history74.

La dicotomia di cui parlano Atkinson e Shiffrin tra caratteristiche permanenti del sistema e processi di controllo presenta un’analogia con il computer: da una parte troviamo l'hardware e le componenti immodificabili, che costituiscono la base strutturale senza la quale il computer non potrebbe funzionare; dall'altra abbiamo il

software, ossia l'insieme dei programmi variabili che determinano le operazioni da

compiere e le modalità con cui svolgerle. In tal senso, la costituzione fisica del sistema mnemonico è la base che permette alle informazioni di essere registrate ed immagazzinate, ma sono i processi di controllo che selezionano i dati, li collegano con quelli già presenti nel sistema e consentono operazioni cognitive come il ragionamento e l'apprendimento.

Il modello di sistema mnemonico proposto da Atkinson e Shiffrin, anche definito modello modale, ebbe un'ampia risonanza ed anche una grande influenza sui modelli successivi e sulle ricerche nell'ambito della memoria; esso proponeva l'idea di un flusso delle informazioni di tipo lineare attraverso tre strutture permanenti: i registri sensoriali, un magazzino a breve termine ed un magazzino a lungo termine. In una fase iniziale, dunque, gli input esterni vengono raccolti nei registri sensoriali e, successivamente, sono sottoposti alla selezione attentiva che avviene sotto il controllo del soggetto e che comporta il trasferimento di una parte di quelle informazioni nella memoria a breve termine e poi a lungo termine. Il flusso di dati tra il magazzino a breve termine e quello a lungo termine può assumere entrambe le direzioni: alcune informazioni vengono, infatti, consolidate nel magazzino a lungo termine, mentre altre vengono richiamate in 74 Ivi, p. 90.

quello a breve termine tramite il controllo del soggetto per compiere operazioni come la pianificazione o il problem solving, o anche soltanto per essere comparate con i nuovi dati.

Gran parte dell'attività mnemonica è sottoposta, secondo Atkinson e Shiffrin, al controllo del soggetto; ciò che, invece, rientra nelle caratteristiche permanenti del sistema sono le strutture stesse appena citate ed il processo stesso di trasferimento di informazioni nella memoria a lungo termine che, secondo gli autori, dipende dalla quantità di tempo che esse trascorrono nella memoria a breve termine. Essi, infatti, sostengono che:

The amount and form of information transferred from STS to LTS is primarily a function of control processes. We will assume, however, that transfer itself is an unvarying feature of the system; throughout the period that information resides in the short-term store, transfer takes place to long-term store. Support for such an assumption is given by studies on incidental learning which indicates that learning takes place even when the subject is not trying to store material in the long-term store75.

Dunque, secondo Atkinson e Shiffrin, l'apprendimento a lungo termine può avere luogo anche senza che l'individuo ponga attenzione o si concentri su ciò che deve apprendere; più tempo tali informazione vengono mantenute nella memoria a breve termine, maggiore è la probabilità che avvenga il trasferimento in quella a lungo termine. In realtà questo fu uno degli aspetti maggiormente criticati del modello

modale; un'alternativa fu fornita da Fergus Craik e Robert Lockhart e dalla loro teoria dei livelli di elaborazione. Contrariamente a Atkinson e Shiffrin, essi ritenevano che non fosse la quantità di tempo a consentire l’apprendimento a lungo termine ma, piuttosto, i processi di codifica delle informazioni che possono essere automatici e incidentali ma anche volontari e intenzionali.

Solo un'elaborazione profonda e, quindi, semantica delle informazioni potrebbe garantirne l’ingresso nella memoria a lungo termine. Tale elaborazione, infatti, comporterebbe la creazione di una traccia mnestica più particolareggiata e dettagliata e, dunque, più persistente: «After the stimulus has been recognized, it may undergo further processing by enrichment or elaboration. For example, after a word is recognized, it may trigger associations, images or stories on the basis of the subject's past experience with the word»76. E successivamente: «One of the results of this perceptual analysis is the memory trace. […] Specifically, we suggest that trace persistence is a function of depth of analysis, with deeper levels of analysis associated with more elaborate, longer lasting, and stronger traces»77.

Negli stessi anni in cui venivano condotte le ricerche di Craik e Lockhart, le quali spostavano l'attenzione sul concetto di livelli di elaborazione, nel 1974 Alan Baddeley e Graham Hitch, con il loro articolo «Working memory»78, riproponevano e affrontavano i problemi relativi alla memoria a breve termine emersi dal modello modale. Il modello mnemonico da essi avanzato prevedeva una tripartizione della memoria a breve termine (qui ridefinita working memory), dettata dalla necessità di distinguere all'interno di essa

76 Craik, F.I.M., Lockhart, R.S. (1972) Levels of processing: A framework for memory research,

Journal of Verbal Learning & Verbal Behavior, 11(6), pp. 671–84; cit. p. 675.

77 Ibidem.

78 Baddeley, A.D., Hitch, G. (1974) Working memory, Psychology of Learning and Motivation, 8, pp. 47-89.

funzioni e strutture differenti; alla memoria a breve termine, infatti, erano stati attribuiti79 molti compiti importanti tra cui la selezione e l'immagazzinamento delle informazioni provenienti dai registri sensoriali, ma anche il confronto di questi dati con quelli già presenti nella memoria a lungo termine ed, infine, le operazioni cognitive più complesse di pianificazione dell'azione, ragionamento e apprendimento. Tale necessità era dettata anche da ciò che emergeva dai nuovi studi condotti sulla memoria a breve termine di pazienti con danni neuropsicologici. In alcuni casi, infatti, i pazienti dimostravano una incapacità a mantenere a breve termine le informazioni nuove, ma non si manifestava alcuna difficoltà nelle funzioni cognitive superiori come il ragionamento o l'apprendimento a lungo termine. Questi dati clinici, dunque, smentivano l'esistenza di un magazzino unitario a cui attribuire tutte le funzioni sopra indicate.

Il modello proposto da Baddeley e Hitch prevedeva la suddivisione della memoria di lavoro in due magazzini temporanei, dedicati a contenere le informazioni provenienti dai registri sensoriali: da una parte abbiamo il «loop fonologico», adibito al mantenimento dell'informazione linguistica, dall'altra troviamo il «taccuino visuo- spaziale», contenente i dati provenienti dal sistema visivo e le informazioni relative alla posizione nello spazio. La terza struttura indicata dagli autori è «l'esecutivo centrale», un organo di controllo attenzionale che si occupa di supervisionare il flusso dell'informazione nei due magazzini e di coordinare le operazioni che prevedono un

79 «Sebbene basato quasi interamente su tecniche di laboratorio, il modello di Atkinson e Shiffrin (1968) dichiarava l'importanza generale del magazzino a breve termine. Questo modello assumeva che il MaBT si comportasse come una memoria di lavoro, un sistema cioè che contenesse temporaneamente e manipolasse l'informazione partecipando nello stesso tempo ad un vasto insieme di compiti cognitivi essenziali come l'apprendimento, il ragionamento e la comprensione», da Baddeley, A.D. (1990) La memoria umana, Bologna: il Mulino; cit., p. 83.

richiamo dei dati dalla memoria a lungo termine. L’introduzione di una struttura, all'interno del sistema mnemonico, non adibita all'immagazzinamento delle informazioni ma specificatamente dedita all'elaborazione, al controllo delle risorse attenzionali ed al ragionamento dimostra la volontà, da parte degli autori, di enfatizzare il ruolo attivo svolto dalla working memory nell'ambito delle funzioni cognitive; essa viene, infatti, così definita da Baddeley: «Il termine “memoria di lavoro” implica un sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell'informazione durante l'esecuzione di differenti compiti cognitivi, come ad esempio la comprensione, l'apprendimento e il ragionamento»80.

Oltre alle già citate prove derivanti dai casi clinici, per verificare la propria ipotesi gli autori elaborarono la cosiddetta «tecnica del doppio compito»: ai soggetti veniva chiesto di immagazzinare dati nella memoria a breve termine tramite la procedura del

digit span (un test in cui si richiede al soggetto di ricordare sequenze di numeri sempre

più lunghe fino a che la capacità del sistema mnemonico a breve termine non viene esaurita) contemporaneamente allo svolgimento di compiti coinvolgenti altre funzioni cognitive come il ragionamento, la comprensione del linguaggio e i compiti di apprendimento. Nel caso in cui la working memory fosse un sistema unitario, bisognerebbe aspettarsi non solo un peggioramento nelle performance, ma anche una difficoltà a svolgere le altre funzioni cognitive nel momento in cui la capacità del sistema viene esaurita: «Ciò suggeriva che una sequenza di cifre che si avvicinava alla lunghezza dello span avrebbe avuto effetti devastanti sulla performance, poiché essa non avrebbe lasciato effettivamente libera alcuna capacità per eseguire il compito

primario»81. In realtà, gli esperimenti di Baddeley e Hitch mostrarono qualcosa di diverso: «Reasoning, comprehension, and learning tasks all showed a similar pattern. As concurrent digit load increased, performance declined, but the degree of disruption fell far short of that predicted. Subjects whose digit memory was at full capacity could reason and learn quite effectively»82. Da ciò segue l'idea di proporre e pensare alla memoria di lavoro non più come un sistema unitario, ma come ad una struttura tripartita.

Delle tre strutture postulate da Baddeley e Hitch, quella più interessante da esaminare è l'esecutivo centrale in quanto essa si caratterizza come una sorta di sistema attenzionale, piuttosto che come un magazzino mnemonico. Nel tentativo di descrivere il funzionamento di questa struttura, dunque, Baddeley trovò utile rivolgersi alle varie teorie dell'attenzione, in modo particolare a quelle che hanno indagato il problema dell'esecuzione contemporanea di due compiti. A proposito dei processi dell'esecutivo centrale, infatti, Baddeley sostiene che: «[...] (essi sono) legati invece al controllo e all'integrazione di azioni e attività piuttosto che all'eliminazione degli stimoli indesiderati.»83. Le teorie di Broadbent e Treisman non vengono, dunque, considerate particolarmente utili per la comprensione dell'esecutivo centrale poiché analizzavano soprattutto il carattere selettivo dell'attenzione e la sua funzione di escludere informazioni irrilevanti.

La problematica relativa all'esecuzione contemporanea di due compiti consiste nel verificarsi di un'interferenza che si viene a creare tra i due compiti data dall'incapacità del soggetto di compiere due azioni simultaneamente. Tuttavia, tale interferenza non si 81 Baddeley, A.D. (1986) La memoria di lavoro, Milano: R. Cortina; 1990, cit., p. 49.

82 Baddeley, A.D. (1992) Working memory, Science, 255(5044), pp. 556-559, cit. p. 556. 83 A.D. Baddeley, La memoria umana, cit. p. 142.

presenta in ogni circostanza: «[...] in realtà la maggior parte di noi è in grado di eseguire dei compiti complessi, come guidare e parlare simultaneamente, con poca interferenza tra un compito e l'altro, anche se è vero che si tende a smettere di parlare quando si verificano delle condizioni difficili di traffico»84. L'interferenza si presenta nel momento in cui il compito della guida perde il carattere dell'automaticità e richiede l'impiego dell'attenzione perché ci troviamo di fronte ad una situazione nuova o difficile. Tra le caratteristiche principali dei processi automatici, vi sarebbe, infatti, sia la capacità di non interferire con i processi concomitanti, come conseguenza della propria indipendenza dall'attenzione, sia la difficoltà che incontriamo quando proviamo a reprimerli. Come suggerito dallo stesso Baddeley: «Un esempio di questo tipo è rappresentato dall'effetto di Stroop in cui ai soggetti viene richiesto di denominare il colore in cui una parola è scritta; la denominazione del colore viene rallentata quando le parole rappresentano un colore che è differente da quello dell'inchiostro con cui sono state scritte; ad esempio quando la parola “rosso” è scritta in “verde”»85.

Ad occuparsi di approfondire la distinzione tra processi automatici e controllati furono, durante gli anni '70, Shiffrin insieme a Wolfgang Schneider nello studio intitolato «Controlled and automatic human information processing»86, suddiviso in due parti. Gli autori si concentrarono soprattutto sull'analisi dei processi percettivi con particolare attenzione alla dicotomia tra processi automatici e controllati (che si risolverà in quella tra detezione automatica e ricerca controllata) ed il ruolo svolto

84 Ivi, p. 146. 85 Ivi, p. 147.

86 Schneider, W., Shiffrin, R. M. (1977) Controlled and automatic human information processing: I. Detection, search, and attention, Psychological Review, 84(1), pp. 1-66. e Schneider, W., Shiffrin, R. M. (1977). Controlled and automatic human information processing: II. Perceptual learning, automatic attending and a general theory, Psychological Review, 84(2), pp. 127-190.

dall'attenzione. Un aspetto importante della questione è anche l'apprendimento come conseguenza dell'allenamento di capacità sia motorie che cognitive; esso ci permette di trasformare un processo controllato in uno automatico, guadagnando in tal modo velocità e risorse attenzionali. Infatti, la definizione che viene fornita dei processi automatici è la seguente:

An automatic process can be defined within such a system as the activation of a sequence of nodes with the following properties: (a) The sequence of nodes (nearly) always becomes active in response to a particular input configuration, where the inputs may be externally or internally generated and include the general situational context. (b) The sequence is activated automatically without the necessity of active control or attention by the subject87.

Le sequenze che permettono di elaborare le informazioni in modo automatico consistono di una serie di connessioni tra nodi all'interno della memoria a lungo termine; per questo motivo, sostengono gli autori, l'implementazione di nuovi processi automatici è un'operazione che richiede tempo e allenamento. Il rovescio della medaglia prevede, come abbiamo già notato, che un processo fortemente sedimentato nella memoria sia anche difficile da modificare o ignorare. Oltre a ciò, poiché le basi dei processi automatici risiedono nella memoria a lungo termine, essi non sono influenzati dalla limitata capacità del magazzino a breve termine e, dunque, dalla selezione operata dall'attenzione.

Per quanto riguarda i processi controllati, invece, essi sono descritti come una sequenza di nodi temporanea che si attiva tramite l'attenzione modulata dal soggetto. Essendo necessario mantenere il focus dell'attenzione su un determinato stimolo, i processi controllati non possono essere condotti in parallelo, simultaneamente, come avviene per quelli automatici. Questo fattore, che può essere considerato come una limitazione, è una conseguenza inevitabile delle caratteristiche stesse dei processi attentivi; i processi controllati, infatti, disponendo di una capacità limitata come quella del magazzino a breve termine, necessitano di una selezione, ma, al tempo stesso, forniscono un grande vantaggio in termini di performance ottimali grazie alla possibilità che tali processi hanno di essere facilmente modificabili e, quindi, di adattarsi a situazioni nuove. Le limitazioni del magazzino a breve termine sull'attenzione possono provocare, nei casi in cui l'attenzione sia costretta a rivolgersi a più elementi percettivi, quello che gli autori chiamano divided-attention deficit, ossia l'incapacità dell'attenzione di dividersi su più compiti o elementi differenti, con conseguente calo nei risultati della performance. Contrario è, invece, il focused-attention deficit, che consiste nella difficoltà a mantenere l'attenzione concentrata su un determinato stimolo e che si manifesta nel già citato effetto del cocktail party, quando l'attenzione che avremmo dovuto orientare su una conversazione viene attratta e spostata su un altro elemento come conseguenza del sentire pronunciare il proprio nome.

L'importanza che viene attribuita dagli autori all'attenzione consiste nell'affermare che qualsiasi tipo di processo controllato, ossia quei processi utili di fronte a situazioni nuove o complesse, dipende dalla possibilità e dalla disponibilità di utilizzazione dell'attenzione. Perché questo sia possibile, è importante poter svolgere le azioni

quotidiane e familiari in modo automatico, così da lasciare l'attenzione libera di dedicarsi a compiti più complessi e difficili. Questo è sicuramente il vantaggio più importante derivante dall'avere a disposizione due sistemi di elaborazione dell'informazione e di azione differenti: «It allows the organism to make efficient use of a limited-capacity processing system. The development of automatic processing allows the limited-capacity system to be cleared and devoted to other types of processing necessary for new tasks»88.

Poiché, dunque, l'attenzione viene considerata propria dei processi di controllo, quindi collegata all'intenzione e alla volontà del soggetto, la sua selettività è concepita nel suo significato attivo, ossia come un mettere in risalto e fare luce su alcune informazioni piuttosto che su altre. Su questo punto gli autori si discostano dalle teorie già esaminate di Broadbent e Treisman, non solo perché l'attenzione selettiva viene in questi casi associata ai processi passivi di attenuazione, nel caso di Treisman, o di esclusione, in quello di Broadbent, ma anche per l'assenza di una distinzione tra la selettività di tipo automatico, ossia dipendente dalle caratteristiche strutturali e apprese del sistema di elaborazione, e quella controllata. Questo impedirebbe al sistema di godere dei vantaggi garantiti dai processi automatici e dall'apprendimento di cui essi sono conseguenza, in quanto quest'ultimi non riuscirebbero ad oltrepassare i limiti imposti dall'attenzione.

Seguendo le ricerche relative ai processi automatici e controllati, Baddeley trovò89 nel Supervisory attentional system (SAS), il sistema di controllo attenzionale proposto da Donald Norman e Timothy Shallice, un modello per la comprensione dell'esecutivo 88 Schneider, W., Shiffrin, R.M., Controlled and automatic human information processing: II, cit. p.

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centrale. Il loro articolo, infatti, uscito nel 1986 ed intitolato «Attention to action: willed and automatic control of behaviour»90, si propone principalmente come uno studio dei processi attentivi nell'ambito dell'azione, con particolare riguardo alla dicotomia automatico-controllato, e, dunque, come una ricerca complementare a quella svolta sulla percezione sempre nello stesso contesto dai già citati Schneider e Shiffrin. Gli psicologi ritengono importante sottolineare che la distinzione tra «automatico» e «controllato» non deve essere ridotta a quella tra «automatico» e «cosciente», come invece si tende implicitamente ad assumere; ci sono, infatti, azioni che vengono intraprese e svolte senza un controllo attenzionale ma di cui siamo assolutamente coscienti, come, ad esempio, le azioni che compiamo abitualmente e che diventano di routine.

Per quanto riguarda la sfera dell'agire, la dicotomia in questione viene ricondotta alla distinzione tra due tipi differenti di processi: il primo è un meccanismo di base che prevede che i comportamenti e le azioni vengano intraprese grazie all'attivazione automatica di schemi abituali da parte degli stimoli esterni; parliamo, in questo caso, di situazioni semplici e con le quali abbiamo confidenza che possono essere risolte con velocità e prontezza grazie all'automaticità di questo meccanismo. Tale selezione automatica avviene grazie al superamento di un valore di soglia di attivazione dello schema. Il secondo processo è controllato dal Supervisory attentional system (SAS), un sistema di supporto attenzionale che interviene qualora il meccanismo di base non sia sufficiente, ossia quando non sia possibile selezionare uno schema di risposta in maniera automatica. Quando ci troviamo di fronte ad una situazione nuova o complessa, 90 Norman, D. A., Shallice, T. (1986) Attention to action: Willed and automatic control of behavior. In Davidson, R.J., Schwartz, G.E., Shapiro, D. (Eds.), Consciousness and self regulation, New York: Plenum Press, pp. 1-18.

che necessita di una pianificazione o di un processo decisionale, i vari schemi di risposta competono per arrivare alla soglia di attivazione; in questi casi entra in gioco